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LAURA COSSU

 

La “non materia” dei lavori pubblici ed il suo carattere strumentale

(considerazioni a margine di Corte costituzionale n. 256/2007).

 

1. Considerazioni introduttive.

Con la sentenza n. 256/2007 la Corte costituzionale, esamina talune disposizioni statali contenute nella legge finanziaria per il 2006 , aventi ad oggetto la disciplina del finanziamento dell’Autorità di vigilanza sui lavori pubblici.

L’ Autorità di vigilanza sui lavori pubblici è stata istituita dall’articolo 4 della legge-quadro 11 febbraio 1994, n. 109, c.d. legge Merloni, in materia di lavori pubblici, e costituisce come aveva già affermato la Corte nella sentenza n. 482 del 1995, un nuovo organismo collegiale di alta qualificazione , chiamato ad operare in piena autonomia rispetto agli apparati dell’esecutivo ed agli organi di ogni amministrazione e a svolgere una funzione di vigilanza e di garanzia sui lavori pubblici «unitaria a livello nazionale» , che “implica una conoscenza completa ed integrata del settore”.

In quell’occasione la Corte, aveva riconosciuto il ruolo unificante dell’Autorità, senza per altro approfondire il tema del fondamento della stessa, ritenendo al contempo i compiti di controllo dell’Autorità non lesivi delle competenze attribuite alle Regioni in materia di opere pubbliche di interesse regionale.

In questo senso, sembrava muoversi anche il successivo decreto n. 112 del 1998, che con il passaggio di funzioni in materia di lavori pubblici, aveva espressamente mantenuto all’articolo 93 comma 3, in capo allo Stato, le funzioni attribuite all'Autorità' per la vigilanza sui lavori pubblici.

Con la sentenza n. 256 del 2007, viene ribadita, a partire dal delicato tema del finanziamento dell’Autorità di vigilanza sui lavori pubblici , la necessità che l’attività di vigilanza deve continuare ad essere esercitata in forma unitaria e, quindi a livello nazionale, anche se il contesto, rispetto alla sentenza del 1995 è assai mutato così come la stessa denominazione, ora Autorità sui contratti pubblici di lavori , servizi, forniture,[1] a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, recante il Codice dei contratti pubblici.

 

2. L’oggetto della questione di costituzionalità.

Per seguire più agevolmente il percorso argomentativo della Corte, pare opportuno delineare i tratti essenziali della vicenda e soffermarsi preliminarmente sul contenuto delle disposizioni oggetto del contendere.

Con distinti ricorsi, notificati il 24 febbraio 2006, la Provincia autonoma di Bolzano e la Regione Piemonte, denunciavano l’illegittimità costituzionale dell’articolo 1 commi 65 e 67 della Legge 23 dicembre 2005, n. 266 (“Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato, legge finanziaria per il 2006) in riferimento agli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione .

Le disposizioni censurate, introducevano in buona sostanza, anche con riferimento all’Autorità di vigilanza sui lavori pubblici, un meccanismo di autofinanziamento gravante sul “mercato di competenza”,[2] costituito dalle contribuzioni ad essa dovute dai soggetti sottoposti alla vigilanza dell’Autorità, fra i quali possono esservi anche le Regioni e le Province Autonome quali “stazioni appaltanti”[3].

In particolare, la legge finanziaria stabiliva che l'Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici, ai fini della copertura dei costi relativi al proprio funzionamento, «determina annualmente l'ammontare delle contribuzioni ad essa dovute dai soggetti, pubblici e privati, sottoposti alla sua vigilanza”.

Essa determina altresì le relative modalità di riscossione, ivi compreso l'obbligo di versamento del contributo da parte degli operatori economici quale condizione di ammissibilità dell'offerta nell'ambito delle procedure finalizzate alla realizzazione di opere pubbliche»[4].

Le ricorrenti lamentavano una lesione della loro autonomia finanziaria, dal momento che il complesso delle disposizioni introdotte avrebbe trasferito gli oneri di funzionamento dell’ Autorità richiamata , finora integralmente imputati al bilancio dello Stato, anche alle amministrazioni pubbliche regionali e locali, quali stazioni appaltanti, con conseguente maggior aggravio finanziario nell’esplicazione delle proprie funzioni, senza che questo venisse successivamente compensato da ulteriori misure di incremento delle entrate.

Inoltre, tali disposizioni -ad avviso delle ricorrenti- sarebbero state invasive della competenza legislativa ed amministrativa regionale e provinciale atteso che costituirebbero norma di dettaglio nella materia dei lavori pubblici, assegnata alla competenza legislativa residuale propria delle regioni, di cui all'art. 117, quarto comma, della Costituzione.

 

3. La motivazione della sentenza.

La Corte dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, commi 65 e 67, della legge n. 266 del 2005, fondando le proprie argomentazioni sulla ricostruzione della “supposta materia” dei lavori pubblici alla luce del nuovo assetto costituzionale, determinatosi con la riforma del titolo V della Costituzione.

La sentenza, inoltre, opera una ricostruzione ed un inquadramento dei titoli di legittimazione che consentono allo Stato di intervenire, nella materia de qua considerando che la disciplina dei contributi obbligatori costituirebbe legittimo esercizio della competenza statale esclusiva in materia di “sistema tributario e contabile dello Stato”.

Sotto il primo profilo occorre sottolineare che nella nuova ripartizione di competenze la materia dei lavori pubblici, non risulta inserita in alcuno degli elenchi, pertanto, quale materia innominata, potrebbe ricondursi, come taluno ha sostenuto in dottrina[5], alla competenza regionale residuale.

In realtà replica la Corte le disposizioni censurate, benchè abbiano ad oggetto la determinazione e la disciplina dei contributi imposti ai soggetti sottoposti alla vigilanza dell’Autorità per i lavori pubblici, non attengono ad una materia spettante alla competenza regionale residuale, quale sarebbe secondo le istanti, la materia dei lavori pubblici.

Nella pronuncia sottoposta al nostro esame, la Corte richiamando le considerazioni svolte nella precedente sentenza n. 303 del 2003 [6], ha infatti ribadito ulteriormente come la mancata inclusione dei "lavori pubblici" nell’ elencazione dell'art. 117 Cost. non implica che essi siano oggetto di potestà legislativa residuale delle Regioni, trattandosi, al contrario, di ambiti di legislazione che non integrano una vera e propria materia, ma che si qualificano a seconda dell'oggetto al quale afferiscono e pertanto possono essere ascritti di volta in volta a potestà legislative esclusive dello Stato, ovvero a potestà legislative concorrenti[7].

Peraltro, la sola circostanza che un determinato oggetto di disciplina normativa non sia immediatamente riferibile ad una delle materie elencate nei commi 2 e 3 dell'art. 117 Cost., non è sufficiente – aveva sottolineato la Consulta - per ricomprenderlo in toto nell'ambito delle competenze residuali delle regioni (sent. n. 370/2003).

Nella citata sentenza n. 303 del 2003 la Corte aveva altresì affermato il principio secondo cui “limitare l’attività unificante dello Stato alle sole materie espressamente attribuitegli in potestà esclusiva o alla determinazione dei principi nelle materie di potestà concorrente, vorrebbe anche dire svalutare oltremisura istanze unitarie che pure in assetti costituzionali fortemente pervasi da un pluralismo istituzionale giustificano una deroga alla normale ripartizione delle competenze”.

Istanze unitarie possono legittimare, ritiene la Corte, deroghe alla normale ripartizione delle competenze, e nel caso dei lavori pubblici esse possono emergere, ad esempio, se si pone mente alla necessaria uniformità delle regole tecniche di talune costruzioni, alla tutela della concorrenza negli appalti, e come si è anticipato rispetto alla vigilanza dell’Autorità.

Il tenore di tali argomentazioni contiene già come è stato sottolineato, il rifiuto di un modello rigido in ordine al riparto di competenze legislative, ed accoglie invece una lettura più flessibile degli elenchi di materie di cui all’art. 117 della costituzione, proprio in ragione dell’esigenza ineliminabile di non vanificare l’esercizio unitario.

A tal fine la giurisprudenza costituzionale utilizza il principio di sussidiarietà, espressamente definito quale meccanismo dinamico del sistema[8] e in grado di operare non solo in riferimento alle funzioni amministrative ma anche quale criterio per la distribuzione delle competenze legislative, pur se a scapito della garanzia rigida delle attribuzioni regionali[9].

Una volta introdotto il meccanismo dinamico della sussidiarietà questo deve in ogni caso rispondere ai criteri di “ragionevolezza” e “proporzionalità”, ed essere accompagnato dalla previsione di appositi procedimenti di tipo collaborativo[10].

Alla luce delle considerazioni svolte i lavori pubblici, in quanto ambiti di legislazione non riconducibili ad alcuna materia specifica, necessitano strumentalmente dell’aggancio a materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato, ovvero concorrente, ovvero ancora residuale.

Ambiti di legislazione che sembrano sparigliare la normale ripartizione di competenze, in quanto non sono suscettibili di inquadramento rigido, enfatizzando l’elemento di criticità della riforma costituito dalle materie[11], cosicché nella giurisprudenza della Corte , le enumerazioni delle materie e la clausola del comma IV dell’art. 117 non paiono -come è stato efficacemente sottolineato in dottrina- affatto significativi del riparto della legislazione[12] .

Non sfuggono peraltro, le numerose connessioni con diverse materie ora affidate alla competenza legislativa concorrente, quali “porti e aeroporti civili” , grandi reti di trasporto e di navigazione” “ordinamento della comunicazione”, “produzione , trasporto e distribuzione dell’energia”[13], ora affidate alla competenza legislativa dello Stato quali la “tutela della concorrenza”[14], o l’ “ordinamento civile”, essendo i lavori pubblici per certi aspetti al confine tra il diritto pubblico e il diritto privato[15].

Sulla base di queste premesse, la Corte imposta il ragionamento che la porterà ad agganciare questa volta i lavori pubblici, non più configurati come una materia autonoma, alla potestà esclusiva dello Stato, in virtù del fatto che tali contributi, in quanto risorse – in precedenza ed in parte ancora oggi reperite attraverso la fiscalità generale – sono riconducibili alla categoria delle entrate tributarie statali, di cui soddisfano i principali requisiti.

La Corte ricorda partendo anche dai lavori preparatori, come le disposizioni censurate, si pongano nell’ottica del perseguimento di obiettivi volti al contenimento della spesa nel quadro generale dei crescenti vincoli posti alla finanza pubblica, in questo senso esse non vulnererebbero l'autonomia finanziaria regionale e provinciale.

Sul punto la Corte ha più volte affermato che a seguito di manovre della finanza pubblica, possono anche determinarsi riduzioni nella disponibilità finanziaria delle Regioni, purché esse non siano tali da comportare uno squilibrio incompatibile con le complessive esigenze di spesa regionale e rendano insufficienti i mezzi finanziari dei quali la Regione dispone per l'adempimento dei propri compiti (sentenza n. 155 del 2006), evenienze, queste ultime, che la Consulta non ritiene dimostrate dalle ricorrenti.

Si tratta, infatti, - scrive la Corte - di una contribuzione – “imposta in base alla legge e connessa ad una particolare situazione in cui i soggetti obbligati si vengono a trovare per effetto dell'attività dell'ente – alle spese necessarie a consentire l'esercizio della sua attività istituzionale, che si caratterizza per la doverosità della prestazione, il collegamento di questa ad una pubblica spesa ed il riferimento ad un presupposto economicamente rilevante (sentenza n. 73 del 2005). Il primo requisito è soddisfatto in quanto essa grava sull'intero mercato di riferimento, senza alcuna relazione diretta con il godimento di specifici servizi ed in difetto di un rapporto sinallagmatico tra prestazione e beneficio percepito dal singolo; il secondo, in quanto è connessa alla spesa relativa al servizio di vigilanza del settore dei lavori pubblici, obbligatorio in relazione all'istituzione dell'Autorità; il terzo, infine, in quanto l'entità di detta contribuzione è determinata con una percentuale fissa rispetto ai ricavi annui delle imprese regolate.

Poiché tali contributi rientrano a pieno titolo nella categoria dei tributi statali, - ad avviso della Corte - le disposizioni censurate costituiscono, legittimo esercizio della competenza statale esclusiva in materia di «sistema tributario e contabile dello Stato» (art. 117, secondo comma, lettera e, della Costituzione).

 

4. La “strumentalità” dei lavori pubblici.

Nel definire i lavori pubblici come ambiti di legislazione, e non più come una materia autonoma , in vero, la Corte, non si preoccupa –come rileva taluno in dottrina- di motivare “perché un settore sempre tradizionalmente considerato una “materia”, che continua ad esserlo sugli Statuti speciali, con la riforma costituzionale si possa automaticamente dissolvere come tale ”.[16]

Tuttavia chi scrive, ritiene che il ragionamento condotto dalla Corte, sia sostanzialmente condivisibile.

A tal fine , è opportuno ripercorre brevemente l’evoluzione della vicenda che ha caratterizzato i lavori pubblici, vicenda che si distende lungo l’arco temporale di oltre un secolo , per evidenziare come “la separata considerazione dei lavori pubblici sarebbe solo il riflesso di una “circostanza” e cioè dell’esistenza nell’apparato statale di un Ministero ad hoc per i lavori pubblici”[17].

Prima dell’attuazione dell’ordinamento regionale, infatti l’organizzazione dei lavori pubblici in Italia, era concentrata principalmente nel Ministero dei lavori pubblici, che aveva il compito di “fornire” opere pubbliche.

A differenza di quanto avveniva in altri Stati, quali ad esempio la Germania i cui ordinamenti, data la natura strumentale dell’esecuzione di opere pubbliche rispetto al perseguimento di interessi diversi , attribuivano alle singole amministrazioni la competenza per i lavori pubblici.

Tuttavia, ha sottolineato la dottrina, “tale strumentalità non era rimasta senza effetto e anche nella legislazione italiana si rinvengono attribuzioni in materia di altri ministeri e particolari forme organizzatorie previste per lo svolgimento dell’azione amministrativa , quali le intese , i concerti e la partecipazione in cosiddetta rappresentanza di funzionari del ministero dei lavori pubblici ad organi consultivi costituiti presso altre amministrazioni e di converso di funzionari di altri ministeri agli organi consultivi di quello dei lavori pubblici” [18].

In seguito al ministero dei lavori pubblici è affidata principalmente l’attività consultiva e quella tecnico-esecutiva, laddove si registrano attribuzioni in materia di opere pubbliche tra Ministero dei lavori pubblici e altri dicasteri con l’affidamento a quest’ultimi di potestà deliberative.

Il ministero dell’agricoltura e delle foreste ad esempio presiedeva ai servizi, già di competenza del ministero dei lavori pubblici relativi alle opere di bonifica , di sistemazione montana alle opere idrauliche connesse alla bonifica idraulica ed alle trasformazioni fondiarie di pubblico interesse , alle opere di irrigazione , salva la competenza del ministero dei lavori pubblici in materia di derivazioni di acque pubbliche e dighe di ritenuta , agli acquedotti rurali , alle strade di trasformazione fondiaria e di bonificamento , alle borgate ed ai fabbricati rurali (r.d. 27 settembre 1929 , n. 1726).

In altri settori invece, veniva conferita ogni attribuzione ad altre amministrazioni con esclusione di ogni ingerenza di quella dei lavori pubblici.

Il ministero della difesa provvedeva infatti con propri uffici e in via esclusiva, all’esecuzione dei più importanti lavori d’interesse militare[19].

    L’originaria unitarietà del ministero dei lavori pubblici quale soggetto tradizionalmente competente alla realizzazione delle opere di competenza statale, ha certamente inciso nel configurare la materia come a sé stante, “ed anzi per assegnare ad essa una portata oltremodo ampia attraverso un inquadramento dei lavori pubblici nell’ “assetto del governo del territorio” [20].

Con l’entrata in vigore della Costituzione vengono inseriti nell’elenco dell’art. 117, alla lettera m, quale materia assegnata alla competenza concorrente delle regioni ordinarie la “viabilità, gli acquedotti e i lavori pubblici di interesse regionale”.

La materia anche alla luce del D.P.R. 616 del 1977 interessava le strade e la loro classificazione “in quanto la viabilità per comune e generale opinione”[21] è sempre stata ritenuta sinonimo di “strade”, escluse quelle statali e le autostrade[22].

Gli acquedotti , i quali sono costantemente considerati ai fini dell’applicazione del 117 della Costituzione, come opera pubblica e non come pubblico servizio, in quanto all’inizio l’attenzione alle “opere intorno alle acque” ha costituito un interesse prevalente rispetto a quello della tutela delle stesse, emerso solo di recente quando si è affermato il valore ambientale delle acque[23].

Infine la materia, comprendeva le opere pubbliche di qualsiasi natura ivi incluse quelle di edilizia residenziale pubblica e le costruzioni degli asili nido.[24]

La materia appare altresì “cucita” con il filo degli interessi, infatti l’etichetta fa espresso riferimento ai “lavori pubblici di interesse regionale”.

A questo proposito la dottrina ricorda come “la Corte, fa subito un passo decisivo già nel 1972 affermando che il concetto di “ interesse regionale” è implicito nella definizione di tutte le attribuzioni regionali che non si possono individuare se non riconducendole alla dimensione territoriale dell’interesse, cioè alla considerazione di un elemento che -a stare al testo costituzionale- è estraneo alla definizione dell’interesse”[25].

E’ soprattutto con il D.lgs. 112 del 1998, che emerge il carattere strumentale delle opere pubbliche.

Da un lato si realizza un ulteriore espansione del ruolo delle regioni e degli enti locali nella realizzazione di opere pubbliche, con le competenze statali ridotte al minimo indispensabile. [26]

Dall’altro si registra uno sgretolamento della materia dal momento che alcune categorie di opere tradizionalmente ricomprese nella unitaria materia delle opere pubbliche (ancora dall’articolo 88 del d.p.r. 616 del 77 ) sono ora oggetto di disciplina da parte di leggi di settore, e conseguentemente non più di competenza di una struttura amministrativa ma di più amministrazioni.

La riforma del Titolo V della Costituzione, ha sancito, anche alla luce dell’interpretazione della giurisprudenza costituzionale, la strumentalità dei lavori pubblici rispetto alla funzione finale, essendo venuto meno anche nell’apparato statale l’accentramento in capo ad un’unica amministrazione di tutte le competenze relativa alla realizzazione di opere pubbliche di rilievo statale, cosicché i lavori pubblici sembrano di fatto seguire la distribuzione delle competenze amministrative, come nel decreto 112 del 1998.

Diversamente ragionando e insistendo nella configurazione dei lavori pubblici quale materia autonoma, ancorché attribuita alla competenza residuale delle regioni, si assisterebbe ad una vera e propria implosione della stessa, a causa dell’attrazione esercitata di volta in volta dalle diverse funzioni che verrebbero in considerazione, e dell’applicazione del criterio giurisprudenziale della prevalenza.

 

Postilla.

Come si è già segnalato, nelle more della pubblicazione di questa nota, il Giudice costituzionale è tornato a pronunciarsi sull’esistenza dei lavori pubblici quale materia a sè stante, giudicando della legittimità costituzionale di numerose disposizioni del “Codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture” (D.Lgs 12 aprile 2006, n. 163).

La sentenza, particolarmente lunga e complessa, affronta una molteplicità di punti, aventi ad oggetto il riparto di potestà legislative tra Stato e regioni nel settore degli appalti.

In questa sede, ci limitiamo a svolgere alcune considerazioni che possono rivelarsi non inutili con riferimento al tema precedentemente esaminato.

La sentenza 401 del 2007 ribadisce l’inesistenza di un’autonomia della materia in questione ed il suo carattere solo strumentale, confermando altresì la soppressione, nel vigente titolo V, di ogni riferimento generale a categorie di lavori pubblici da distinguere in base alla dimensione dell’interesse[27].

La Corte rileva immediatamente che tali affermazioni non valgono soltanto per i contratti di appalto di lavori ma sono estensibili all’intera attività contrattuale della pubblica amministrazione, che non può identificarsi in una materia a sé, rappresentando, piuttosto, un’attività che inerisce alle singole materie sulle quali essa si esplica.

Suscita poi particolare interesse la parte della pronuncia nella quale la Corte si sofferma sulla nozione di tutela della concorrenza, materia attribuita alla potestà legislativa dello Stato ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera e), che, per il suo carattere trasversale, è potenzialmente idonea a pervadere una molteplicità di altre materie, salvo i limiti interni individuati nei criteri di proporzionalità e adeguatezza.

E’ proprio nell’ambito della tutela della concorrenza che la sentenza in questione perviene ad inquadrare i poteri di vigilanza sul mercato degli appalti, affidati appunto all’ Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, sempre più protagonista istituzionale nel settore di riferimento, e già attribuiti dall’art. 4 comma 3 del Codice alla potestà esclusiva dello Stato con l’impossibilità per le regioni di prevedere una disciplina diversa.



[1] Sul punto c.f.r., la Relazione Annuale 2006, Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, presentazione del Presidente GIAMPAOLINO L., Roma – Senato della Repubblica, 16 luglio 2007, nella quale si registra come “l’entrata in vigore del decreto legislativo n. 163/2006, Codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e fornitura, con la sua portata unificante di discipline talvolta disperse su testi eterogenei ha cambiato in modo incisivo lo scenario di fondo nel quale l’Autorità è chiamata ad operare con la messa a punto di regole per buona parte uniformi in materie di lavori, servizi e forniture e dei settori speciali, con la più marcata ispirazione ai noti principi comunitari a garanzia della libera concorrenza.

Il precedente approccio del legislatore verso la correttezza delle procedure amministrative e dell’impiego oculato delle pubbliche risorse è evoluto ora in una disciplina volta anche e soprattutto alla funzionalità del mercato ed all’efficienza competitiva delle imprese, in cui il ruolo dell’amministrazione si pone al servizio di queste nuove esigenze.”

[2] Le Autorità amministrative indipendenti presentano per molti aspetti caratteri di disomogeneità . Vedi su questo punto MERUSI F., PASSARO M., Le Autorità indipendenti, Bologna 2003, pag. 61 ss.; sulla compatibilità costituzionale vedi MANETTI M., Autorità indipendenti (dir. Cost.) in Enc.Giur.1997, pag. 1 ss.; RIVIEZZO A., Autorità amministrative indipendenti e ordinamento costituzionale, in Quaderni costituzionali 2005, pag. 321 ss.

Anche per quanto riguarda il sistema di finanziamento il quadro è molto variegato.

Proprio con riferimento a quest’ ultimo punto la finanziaria 2006 mirava ad introdurre elementi di uniformità rispetto ai meccanismi di autofinanziamento che pure suscitano non poche perplessità come da più parti sottolineato in ordine a possibili processi di “cattura” del regolatore da parte dei regolati, inoltre incidono sul principio di unità della finanza pubblica .

Per evitare tali rischi la soluzione risiede – secondo alcuni- nel far carico alla fiscalità generale del funzionamento delle autorità al pari degli altri organi dello Stato, altri considerano invece la potestà di disporre di entrate proprie, un importante circostanza idonea a sganciare le autorità dal potere politico.

[3] C.f.r. NAPOLITANO G., L’autofinanziamento delle autorità indipendenti, in Giornale di diritto amministrativo 2006, pag. 262, secondo il quale l’efficacia generale della norma è solo apparente in quanto trova applicazione nei confronti di alcune Autorità , inoltre la legge finanziaria introduce discipline speciali per ciascuna di esse , che si sostituiscono o si aggiungono a quelle preesistenti.

La Consob, l’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici, l’Autorità per la garanzia nelle telecomunicazioni e la Commissione di vigilanza sui fondi pensione.

Il riferimento al “mercato di competenza” che peraltro non presenta caratteri di univocità – secondo alcuni appare altresì infelice nella misura in cui carica le autorità di occupazioni e pre-occupazioni para-fiscali portandole a doversi impegnare non solo dal punto di vista della corretta spesa, ma anche da quello del massimo “gettito”, così CLARICH M., CORSO G., ZENO ZENZOVICH V., Il sistema delle Autorità indipendenti: problemi e prospettive, NEXUS Roma 2006, pag. 28.

Per quanto attiene agli aspetti procedurali: le deliberazioni con cui sono fissati gli importi , i termini e le modalità di versamento, “sono sottoposte al Presidente del Consiglio dei Ministri dell’economia e delle finanze , per l’approvazione con proprio decreto entro venti giorni dal ricevimento”, “ decorso il termine di venti giorni senza che siano state formulate delle osservazioni, le deliberazioni adottate dagli organismi ai sensi del presente comma divengono esecutive”.

[4]In dottrina taluno ha sottolineato come le disposizioni in esame pongano in primo luogo un problema di compatibilità comunitaria, anche alla luce della sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità europee del 18.9.2003 nelle cause C-292/01 e C-293/01, che ha dichiarato illegittimo il contributo speciale a carico delle imprese di telecomunicazioni istituito dall’art. 20, comma 2, della L. 23.12.1998, n. 448 (legge finanziaria per il 1999), il “finanziamento dal mercato di competenza” non può e non deve configurarsi come una prestazione patrimoniale coattiva a carico degli operatori, ulteriore rispetto a quelle consentite dal quadro normativo comunitario, c.f.r. CLARICH M., CORSO G., ZENO ZENZOVICH V., cit, pag. 27 ss.

Altri pur evidenziando i possibili rischi hanno osservato come un uso limitato e ben regolato dell’autofinanziamento, oltre che necessario in un quadro di crescenti vincoli di finanza pubblica, presenta alcuni vantaggi in quanto riduce gli effetti redistributivi a volte perversi propri del finanziamento a carico della fiscalità generale, e può costituire un vincolo all’efficienza gestionale delle autorità e alla loro accoutability nei confronti del mercato, così NAPOLITANO G., cit., pag. 260 ss.  

[5] Sul punto vedi TORCHIA L., La potestà legislativa residuale delle regioni, in Le Regioni, 2002, pag. 343 ss., secondo cui “la ricognizione delle materie innominate non può che partire dal parametro di riferimento posto dalla stessa disposizione: “ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato” .

L’ individuazione delle materie non riservate allo Stato e quindi attribuite alla potestà legislativa residuale richiede diverse operazioni di ricognizione, di interpretazione e di confronto: fra il vecchio e il nuovo testo dell’ art. 117, fra i due elenchi del comma 2 e del comma 3 dell’ art. 117, fra le “etichette” riportate in questi elenchi e gli ambiti materiali definiti con la legislazione ordinaria e, non ultimo, fra gli ambiti coperti dalla disciplina comunitaria e quelli lasciati al diritto interno , - secondo l’ autrice - ad una prima lettura, inevitabilmente approssimativa, l'elenco delle materie attribuite alla potestà legislativa residuale potrebbe essere così articolato: acque minerali e termali, agricoltura, artigianato, assistenza, assistenza scolastica, camere di commercio, commercio, fiere e mercati, edilizia, energia (autoproduzione e profili di interesse locale), formazione professionale, industria, lavori pubblici e appalti, miniere, risorse geotermiche, cave e torbiere, ordinamento e organizzazione regionale, politiche dell'occupazione, polizia amministrativa regionale e locale, spettacolo, trasporti e viabilità, turismo e industria alberghiera, urbanistica. D’ATENA A., Giustizia costituzionale e autonomie regionali. In tema di applicazione del nuovo titolo V, www.issirfa .cnr.it, parla di drasticità della clausola residuale. Tra i contributi più recenti si segnala sul punto MERLONI F., Infrastrutture, ambiente e governo del territorio in Le Regioni 2007, pag. 45 ss., secondo il quale invece – “la strada dell’affermazione di una competenza addirittura esclusiva , in materia di “lavori pubblici” fondata sulla non espressa previsione della materia , né nel comma 2 né nel comma 3 dell’art. 117, appare poco praticabile”. LOMBARDI C., Regioni e ricerca scientifica ovvero l’ “eclissi delle materie”? in Giur.Cost. 2006, pag. 1245, l’Autrice indagando un altro ambito ricorda come- “ In sostanza la ricerca scientifica sembra subire la medesima sorte dei “lavori pubblici”, di cui il giudice delle leggi , negandone il carattere residuale idoneo a farli ricomprendere nell’art. 117 comma IV , cost. ha affermato la strumentalità rispetto alle competenze enumerate. E’ evidente la diversità del dato testuale di partenza ( i lavori pubblici non costituiscono una materia enumerata) e, pertanto , l’opinabilità di una tale operazione interpretativa a fronte delle precise scelte effettuate dal legislatore nel 2001 nell’attribuzione della ricerca scientifica alla competenza delle regioni.

[6] In Giur.Cost., 2003, pagg. 2675 ss.

[7]  Si noti che , nelle more della pubblicazione della presente nota, la Corte costituzionale è tornata sul tema con la sentenza n. 401 del 2007, nella quale , riprendendo testualmente il citato brano della sentenza 256 del 2007 (già della sentenza n. 303 del 2003), ha ulteriormente ribadito che i lavori pubblici non costituiscono una materia autonoma. Si rinvia a un successivo paragrafo per alcune considerazioni in merito a questa pronuncia.

[8] Sul punto ANZON A., Flessibilità dell’ordine delle competenze legislative e collaborazione tra Stato e Regioni, in Giur. Cost., 2003, pag. 2782, sottolinea come “nell’ordinamento comunitario è previsto espressamente un meccanismo di flessibilità basato sul principio di sussidiarietà nell’ambito delle competenze non esclusive della Comunità e che in aggiunta a questo, e in sostituzione degli attuali troppo ambigui artt. 95 e 308 TCE, l’art. 34 del progetto di Trattato costituzionale dell’Unione Europea elaborato dalla Convenzione di Bruxelles ha introdotto una apposita ed espressa “clausola di flessibilità” delle competenze dell’Unione”.

[9] C.f.r. TARCHI R., Il principio di sussidiarietà nel riparto di competenze normative tra Stato e regioni, in Le competenze normative statali e regionali tra riforme della Costituzione e giurisprudenza costituzionale, TARCHI R., (a cura di), Torino, 2006, pag. 183 ss., l’Autore considera le argomentazioni e gli esiti della pronuncia n. 303 del 2003 complessivamente soddisfacenti ed equilibrati dal momento che andando oltre al meritevole sforzo di armonizzare il complicato sistema , sono tese alla salvaguardia delle esigenze di composizione di interessi in una logica unitaria, senza che ciò comporti , tuttavia, un esautoramento del ruolo delle regioni, come più volte era accaduto anche nel recente passato. Non manca peraltro di evidenziare i principali nodi problematici, individuati nell’eccessiva fiducia riposta nel meccanismo dell’intesa, e sulle modalità applicative del principio di leale collaborazione, svolgendo ulteriori considerazioni sull’istituto dell’intesa come tale.

[10] Sui rapporti tra principio di sussidiarietà e principio di leale collaborazione vedi altresì ANZON A., cit., pag. 2786 ss.

[11] Vedi D’ATENA A., Giustizia costituzionale e autonomie regionali. In tema di applicazione del nuovo titolo V, tratto dal sito web www.issirfa .cnr.it. Peraltro come evidenzia CAVALERI P., “Di fronte ad un testo fortemente innovativo, se non addirittura rivoluzionario il legislatore ordinario non ha accompagnato – proprio quando ve n'era maggiore necessità, visto l'enorme allargamento delle competenze delle Regioni a scapito di quelle dello Stato - con una normativa diretta a disciplinare il trasferimento alle autonomie territoriali delle funzioni in precedenza svolte a livello centrale, la qual cosa avrebbe contribuito a definire le rispettive aree di competenza, l'interprete, per avere qualche punto di riferimento, deve rivolgersi soprattutto alla giurisprudenza costituzionale”, La definizione e la delimitazione delle materie di cui all’art. 117 della Costituzione, in Le competenze normative statali e regionali tra riforme della Costituzione e giurisprudenza costituzionale, TARCHI R., (a cura di). 

[12] MANGIAMELI S., L’attuazione della riforma del titolo V cost. L’Amministrazione: tra Stato , Regioni , ed Enti locali, in occasione della Relazione al Convegno organizzato dall’ISSIRFA-CNR su Regionalismo in bilico tra attuazione e riforma della riforma , Roma, Sala del Cenacolo, 30 giugno 2004. E ancora STELLA RICHTER P., rileva come la nozione di “materia” sia già sufficientemente inconsistente in via generale mentre le difficoltà e gli inconvenienti nel nuovo art. 117 della costituzione sono ampliati a dismisura dalla circostanza che le “materie” ivi elencate hanno carattere assolutamente eterogeneo, comprendendo settori dell’ordinamento (ad esempio: “ordinamento civile e penale”), singole funzioni (“politica estera”), subfunzioni (rispettivamente “tutela” e “valorizzazione” dei beni culturali), specifici scopi da perseguire (“perequazione delle risorse finanziarie” o “profilassi internazionale”), istituti giuridici (“cittadinanza”, “referendum statali”), specifiche opere (“porti e aeroporti civili”) e altro ancora. Conseguentemente nell’interpretare la semplicistica disposizione, secondo la quale “spetta alle regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato”, occorre ben guardarsi dal ritenere che qualsiasi problematica non menzionata sia una materia a se stante, come tale spettante alle regioni (…) è facile constatare che i lavori pubblici non sono più menzionati dall’art. 117 (a differenza che nel vecchio testo, il quale parlava di “viabilità, acquedotti e lavori pubblici di interesse regionale”), ma per la ragione sopra esposta non ritengo che la relativa disciplina spetti senz’altro e per ciò solo alla potestà legislativa regionale, I lavori pubblici dopo la riforma del Titolo V della Costituzione: competenza dello Stato e competenza delle Regioni, in Giustizia Civile, 2002, pag. 411 ss.

[13] C.f.r. sul punto MERLONI F., cit., pag. 58, secondo il quale l’attribuzione alla competenza regionale concorrente di interventi che lo stesso legislatore definisce “grandi” o “nazionali” crea una contraddizione insanabile perché sembra aprire la strada ad una competenza regionale –locale alla realizzazione degli interventi , confinando lo Stato alla sola definizione dei principi della materia, competenza difficilmente definibile se si tratta di “reti” infrastrutturali, nella cui realizzazione conta anche la progettazione unitaria , così come unitaria dovrà essere la gestione della rete realizzata.

[14] In larga misura la legge Merloni è una legge sulla concorrenza e l’influsso del diritto comunitario ha ormai fatto sì che la tutela del libero mercato ed il divieto di discriminazione siano la principale ragion d’essere dell’evidenza pubblica quale criterio di scelta concorsuale del contraente dell’amministrazione, così CINTIOLI F., “I lavori pubblici e la riforma del titolo v della costituzione” , in Urbanistica e appalti, 2002, pag. 507.

[15] C.f.r. CINTIOLI F., ivi, pag. 507.

[16] Così ANZON A., Flessibilità dell’ordine delle competenze legislative e collaborazione tra Stato e Regioni, in Giur. Cost., 2003, pag. 2782 ss., “tanto più se si considera che nella stessa sentenza 303 del 2003 il riferimento alla tradizione legislativa è invece utilizzato per individuare un altro settore particolare , quello dell’edilizia e per ricondurlo alla materia dell’urbanistica e per questa via a quella odierna del “governo del territorio” . Perché in un caso il criterio storico conta e nell’altro no?, si chiede l’Autrice.

[17] CAPACCIOLI E., SATTA F., Commento al decreto 616, Milano, 1980, pag. 1388 ss., “invero tanto l’attività dei lavori pubblici quanto l’oggetto opera pubblica (la cui realizzazione costituisce finalità specifica dei lavori pubblici ) sono “strumentali” rispetto ad ulteriori attività amministrative e in genere pubbliche: conferma testuale di ciò si trae dalla stessa legge 22 luglio 1975 n. 382, la quale – in relazione alla disciplina dei beni pubblici- ha indicato al legislatore delegato, come criterio direttivo, di completare “il trasferimento alle regioni dei beni del demanio e del patrimonio dello Stato che siano direttamente strumentali alle funzioni trasferite”. L’opera pubblica, in sostanza, è un “bene capitale” destinato ad essere impiegato dalla collettività per attività che potrebbero dirsi finali (ad esempio godimento diretto da parte dei cives , prestazione di servizi pubblici , etc. ), ossia per la produzione immediata di utilità pubblica”.

[18] GARRI F. , voce “lavori pubblici” in Enc. del diritto, Milano, 1973, pag. 307.

[19] GARRI F., ivi, pag. 308 ss.

[20] CAPACCIOLI E., SATTA F., cit, pag. 1391.

[21] CAPACCIOLI E., SATTA F., cit, 1980, pag. 1386.

[22] Cfr. Corte Costituzionale, Sentenza 11 Luglio 1961, n. 45 nella quale la Corte ribadisce come la materia delle strade sia compresa in quella dei Lavori Pubblici, sulla base di una “costante tradizione legislativa”, vedi altresì PALADIN L, Problemi legislativi e interpretativi nella definizione delle materie di competenza Regionale, in Foro Ammistrativo TAR III 1971.

[23] Cfr CARAVITA B., “l’avere attribuito al Ministero dei Lavori Pubblici la competenza in materia di acque ha orientato la norma nel senso dello sfruttamento, e nella realizzazione di opere idrauliche per i diversi utilizzi” in Diritto dell’ambiente, Bologna 2001, pag. 261; come ha affermato un’autorevole dottrina, SCIALOJA V., La legislazione sulle acque, in AAVV., Il problema idraulico e la legislazione delle acque, Atti della Società italiana per il progresso delle Scienze, VIII Riunione, Roma, Tip. nazionale di G. Bertero, 1916, pag. 59, “il diritto infatti ha prima considerato il lato malefico della cosa per poi passare col tempo a regolare il lato benefico”.

[24] Vedi sul punto Corte Cost., Sentenza n. 319 del 1983.

[25] In questo senso BIN R., Materie e interessi: Tecniche di individuazione delle competenze dopo la riforma del Titolo V, relazione al Convegno "Dopo la modifica dell'art. 117 Cost.: problemi ed esperienze sulla competenza della materia agricoltura" (Siena 25 e 26 novembre 2005), Giuffré 2006, 15-32, l’autore riprende la Sentenza 183/1972: “non è esclusa la possibilità di identificare materie sostanzialmente diverse secondo la diversità degli interessi, regionali o sovraregionali desumibile dall’esperienza sociale giuridica”.

[26] C.f.r. MERLONI F., in Lo Stato autonomista , FALCON G., (a cura di), Bologna, 1998, pag. 317 ss.

[27] Sul punto vedi MERLONI F., cit, pag. 57; PALADIN L., Diritto regionale, Padova 2000, pag, 169 e seg., laddove con riferimento alla previsione della materia “viabilità, acquedotti, e lavori pubblici”, precedente alla riforma del 117 cost., si rileva come per molti aspetti la separazione delle competenze regionali e statali , si fonda sul criterio della dimensione territoriale di ciascuna specie di opere pubbliche (…) per certi altri aspetti la ripartizione delle opere pubbliche dipende dal grado della loro importanza , quand’anche i lavori pertinenti alle opere medesime si svolgano completamente nell’ambito delle singole regioni (…) mentre un terzo criterio di suddivisione delle opre pubbliche è poi costituito dalla loro connessione con le altre competenze statali o regionali.