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Fulco Lanchester

Il legato di Leopoldo Elia

 

1. Per i costituzionalisti italiani la scomparsa di Leopoldo Elia, avvenuta in Roma domenica scorsa, può essere considerata come un’epifania della Costituzione a 60 anni dalla sua promulgazione. Funzionario parlamentare, docente universitario, giudice e presidente della Corte costituzionale, parlamentare e ministro della Repubblica, Leopoldo Elia ha vissuto tutte le stagioni della vicenda costituzionale dal 1948 ad oggi, seguendo la sua evoluzione sia sul piano scientifico che su quello personale. Il percorso umano ed intellettuale di Elia è stato strettamente collegato al suo essere un credente (cattolico democratico), impegnato in politica, ed uno studioso di razza, mai pago di ricercare nuove strade con impegno diuturno nell’inveramento dei valori costituzionali.

In questa sede mi piace ricordarlo, da un lato, nella complessità della formazione, piuttosto che nella compattezza di una fede o di un credo; dall’altro nel cambiamento delle posizioni interpretative che nel corso del tempo egli stesso ha fatto registrare.

Leopoldo Elia ha, infatti, sempre sostenuto che la realtà è troppo complessa, perché ogni teoria possa contenerla; che non è possibile mai chiudere il cerchio e che le spiegazioni sono weberianamente una ipotesi ed una ricerca continua, ispirata da valori profondamente sentiti. La sua formazione politica si è svolta, com’è noto, nell’ambito del dossettismo prima e poi nell’alveo della posizione morotea, per approdare – infine - negli anni Novanta alle sponde di un riformismo che, dopo aver osato l’inosabile, temeva lo scatenarsi di fenomeni inarrestabili. Di qui il riferimento tenace e costante ai valori costituzionali, ma anche uno spostamento dei soggetti che questi valori interpretavano in maniera portante.

Dal punto di vista metodologico Elia si è sempre mosso in maniera originale nella polarità dei suoi maestri (Costantino Mortati e Carlo Esposito) e nella tensione tra la concezione della costituzione in senso materiale interpretata dalle forze politiche e la costituzione vivente, prodotta dalla giurisdizione costituzionale. Di qui anche il suo continuo ed intenso riferimento alla storia della costituzione, sempre più contrapposta alla storia costituzionale praticata da altri.

 

2. Figlio spirituale dei costituzionalisti degli anni Trenta, per molti anni Leopoldo Elia è stato il più raffinato esponente della scuola costituzionalistica antiformalista. Formatosi alla scuola di Mortati ed Esposito durante i primi trenta anni della sua vicenda intellettuale ha sempre ribadito l’importanza del fattore pregiuridico attraverso una costante attenzione per il ruolo dei partiti. La voce Governo (forme di) dell’”Enciclopedia del diritto” è stato uno dei prodotti più influenti per veicolare schemi della scienza politica nell’ambito di un universo giuridico che ancora negli anni Cinquanta rifuggiva un metodo meno legato alla tradizione del positivismo giuridico. D’altra parte, però, i suoi maestri (non solo Esposito e Mortati, ma anche Crisafulli, Pierandrei, Chiarelli, Giannini) si erano già soffermati alla fine degli anni Trenta - inizi degli anni Quaranta sull’importanza delle forze politiche, da un lato, e dei principi valoriali portati avanti dalle stesse, dall’altro . Si trattava della ripresa, nell’ambito della tecnicità della scuola nazionale, della lezione antiformalistica di Mosca, aperta al dibattito internazionale, ma soprattutto tedesco e francese.

In questo quadro giovani costituzionalisti degli anni Cinquanta - Sessanta manovrarono nella realtà dello Stato dei partiti e dei valori costituzionali con sensibilità differenti. Elia, a differenza di Livio Paladin, si mosse preferenzialmente nell’alveo della lezione mortatiana, tenendo conto sempre più dell’importanza della costituzione vivente fornita dalla giurisdizione costituzionale.

Alle soglie degli anni Ottanta, come fece lo stesso Temistocle Martines, Elia lanciò un grido di allarme sull’eccessiva politologicizzazione del diritto costituzionale. In realtà, una simile posizione non derivava soltanto dal suo ruolo di giudice e poi presidente della Corte costituzionale, ma piuttosto dal conclamarsi dell’involuzione del sistema dei partiti, che aveva dato vita alla Costituzione e che l’aveva animata nella fase della ricostruzione e dello sviluppo.

Dopo il grande tsunami del 1992-93 e le speranze di una normalizzazione del nostro ordinamento, Elia (ma anche un suo grande amico come Pietro Scoppola) divenne molto più cauto verso le prospettive di trasformazione istituzionale del sistema, temendo le ricadute evidenti sulla tenuta della Carta costituzionale. Se Livio Paladin in un congresso dell’Associazione dei Costituzionalisti alla metà degli anni Novanta si era scagliato contro la teoria della costituzione in senso materiale, nel silenzio assordante della corporazione giuspubblicistica, lo stesso Elia, divenuto esponente non più di una maggioranza perpetua, aveva trasformato parzialmente le sue caratteristiche psicologiche e modificato alcuni parametri metodologici. Non soltanto era divenuto uomo di battaglia anche esplicita, ma aveva anche ridotto la sua propensione verso il soggetto partito che oramai si era trasformato se non scomparso.

 

3. Alle spalle delle elezioni di aprile 2008 gli interventi di Elia nell’ambito dell’iniziativa delle Fondazioni di ricerca (Italianieuropei – Astrid - ecc., organizzata nei mesi di giugno – luglio, quando già gravemente ammalato continuava ad intervenire in maniera esemplare) sono sembrati chiudere in maniera significativa un periodo della riflessione metodologica e pratica sul tema delle forme di governo e della stessa storia della Costituzione, con il riconoscimento del superamento del partito politico come criterio base della sua classificazione costituzionalistica in materia. Il tutto è accaduto alla presenza di Giovanni Sartori, l’altro protagonista del dibattito degli anni Sessanta ancora vivente .

Non è questa la sede per valutare se le analisi di Leopoldo Elia evidenziassero una tendenza generale o soltanto italocentrica, derivante dalla crisi di regime del 1993/4. Ritengo che quelle posizioni siano importanti per confermare il cambiamento di posizione e l’estremo contributo al dibattito costituzionalistico di un Maestro, sempre pronto a rimettersi in discussione. Elia nell’ambito della sua relazione di giugno (ribadita in sostanza il mese successivo) aveva affermato che per la classificazione delle forme di governo l’unico criterio indefettibile era oramai quello dell’equilibrio. L’asserzione costituiva una novità esplosiva (anche se bisogna stare attenti a non estremizzare), perché contraddiceva tutta la precedente posizione di Elia in materia. A mio avviso Elia riconosceva oramai la scomparsa del partito tradizionale su cui aveva costruito la sua teoria, completa di conventio ad excludendum, e quindi cercava altri soggetti ed altri strumenti per raggiungere l’equilibrio. Il Party Government ha, indubbiamente, cambiato pelle e anche natura. La stessa campagna elettorale statunitense di Obama evidenzia l’importanza della macchina elettorale digitale, che lo finanzia e che si affianca ai 750 mila volontari, che hanno organizzato più di 30 mila eventi in suo favore. Un simile meccanismo potrebbe alla lunga mandare in soffitta i partiti, anche in Europa . Cambia, dunque, il modo di fare politica, di organizzarla ed anche il tipo di leadership. I pericoli sono evidenti: la democrazia rappresentativa viene sostituita dalla democrazia instabile della rete , basata su leaders e su militanti tecnologici, che riportano ai pericoli del censitarismo da un lato e del plebiscitarismo dall’altro.

In una situazione di questo genere è evidente che Elia riteneva di aver perso il partito ed era preoccupato per il destino della democrazia rappresentativa. Un’inquietudine che aveva accomunato Elia a recenti esternazioni di Valerio Onida (penso alle lezioni tenute ai Lincei o a Scienze politiche) e che tendeva ad agganciare i valori costituzionali all’ambito europeo, così come egli aveva ribadito nella stessa commemorazione della Costituzione alla Corte costituzionale nel febbraio scorso. Ed è per questo che - come ultimo lascito, in singolare analogia con l’ultimo scritto di V.E. Orlando dedicato all’inizio degli anni Cinquanta negli Studi in onore di Luigi Sturzo, Leopoldo Elia ha – quasi come il vecchio Gaetano Mosca al Senato durante la seconda metà degli anni Venti – riproposto il criterio dell’equilibrio e della separazione dei poteri. Egli ha voluto evidenziare significativamente l’eredità di un costituzionalista, che per missione tende a limitare il potere e a garantire le libertà individuali e collettive, la necessità di garanzie, che fuoriescano dal circuito della rappresentanza, ritornando all’equilibrio istituzionale classico.