Sentenza n. 273 del 2020

SENTENZA N. 273

ANNO 2020

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Presidente: Giancarlo CORAGGIO;

Giudici: Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 107, comma 1, lettera b), 108, 109 e 112, comma 1, della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 8 luglio 2019, n. 9 (Disposizioni multisettoriali per esigenze urgenti del territorio regionale), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso notificato il 6-17 settembre 2019, depositato in cancelleria il 13 settembre 2019, iscritto al n. 98 del registro ricorsi 2019 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 43, prima serie speciale, dell’anno 2019.

Visto l’atto di costituzione della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia;

udito nell’udienza pubblica del 1° dicembre 2020 il Giudice relatore Silvana Sciarra;

uditi l’avvocato dello Stato Francesca Morici per il Presidente del Consiglio dei ministri e, in collegamento da remoto, ai sensi del punto 1) del decreto del Presidente della Corte del 30 ottobre 2020, l’avvocato Francesco Saverio Marini per la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia;

deliberato nella camera di consiglio del 3 dicembre 2020.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso notificato il 6-17 settembre 2019 e depositato il successivo 13 settembre, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale, in via principale, fra l’altro, degli artt. 107, comma 1, lettera b), 108, 109 e 112, comma 1, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 8 luglio 2019, n. 9 (Disposizioni multisettoriali per esigenze urgenti del territorio), in riferimento agli artt. 3, 51, primo comma, 97, 117, secondo comma, lettere l) e m), e terzo comma, della Costituzione.

1.1.– L’art. 107, comma 1, lettera b), della citata legge regionale è impugnato nella parte in cui modifica il comma 5, lettera c), dell’art. 8 della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 9 dicembre 2016, n. 18 (Disposizioni in materia di sistema integrato del pubblico impiego regionale e locale) e dispone che «le parole ", per un numero pari ai posti messi a concorso,” siano soppresse e le parole "due anni” siano sostituite dalle seguenti: "tre anni; il bando di concorso può prevedere un limite massimo di idonei”».

Tale disposizione, secondo la difesa statale, stabilirebbe modalità di utilizzazione delle graduatorie concorsuali diverse e incompatibili con quelle individuate dalla normativa statale con la recente legge di riordino 30 dicembre 2018, n. 145 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021), in particolare all’art. 1, commi 361, 363 e 365.

La norma regionale impugnata, infatti, non limiterebbe numericamente la possibilità di utilizzo delle graduatorie e amplierebbe il lasso di tempo di utilizzabilità delle stesse, dettando una disciplina contrastante con quella vigente nel territorio dello Stato quanto alla possibilità di accesso agli impieghi e di impegno finanziario.

Pertanto, la norma regionale impugnata violerebbe i principi di eguaglianza, imparzialità e buon andamento dell’amministrazione di cui agli artt. 3, 51, primo comma, e 97 Cost. e invaderebbe la competenza riservata alla legislazione statale nelle materie dell’ordinamento civile, della determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni e dei principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, in violazione dell’art. 117, secondo comma, lettere l) e m), e terzo comma, Cost.

1.2.– È, poi, impugnato l’art. 108 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 9 del 2019, là dove, sostituendo il comma 22 dell’art. 11 della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 28 dicembre 2017, n. 45 (Legge di stabilità 2018), stabilisce che «[l]’indennità di cui all’articolo 110, sesto comma, della legge regionale 31 agosto 1981, n. 53 (Stato giuridico e trattamento economico del personale della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia), è corrisposta anche agli autisti di rappresentanza di cui all’articolo 38 del Regolamento di organizzazione dell’Amministrazione regionale e degli enti regionali emanato con decreto del Presidente della Regione 27 agosto 2004, n. 0277/Pres. e all’articolo 14 del Regolamento di organizzazione degli uffici del Consiglio regionale emanato con deliberazione dell’Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale 30 gennaio 2019, n. 101».

Tale disposizione contrasterebbe con quelle contenute nel Titolo III del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), che indica le procedure da seguire in sede di contrattazione collettiva e l’obbligo del rispetto della normativa contrattuale.

Il ricorrente sostiene che in tal modo la norma impugnata vìoli la competenza legislativa esclusiva statale in materia di ordinamento civile. La Regione, infatti, non avrebbe titolo a disciplinare il trattamento economico e giuridico dei dipendenti in base allo statuto, in quanto la disciplina statale conterrebbe «norme fondamentali delle riforme economico-sociali», che costituiscono limite all’esercizio di tutte le competenze statutarie regionali (art. 4 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1, recante lo «Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia»).

La medesima norma regionale violerebbe anche il principio di eguaglianza fra cittadini, in quanto introdurrebbe per i residenti nella Regione Friuli-Venezia-Giulia un trattamento economico differenziato rispetto a quello dei residenti in altre Regioni.

1.3.– Viene, inoltre, impugnato l’art. 109 della citata legge regionale n. 9 del 2019, là dove dispone che, «[i]n relazione al permanere delle particolari esigenze operative e funzionali connesse e conseguenti al processo di riassetto delle autonomie locali, ai fini delle assunzioni di personale della polizia locale da parte delle UTI e dei Comuni della Regione, gli enti medesimi continuano ad applicare l’articolo 56, comma 20-ter, della legge n. 10 del 2016». Quest’ultimo prevede la possibilità di procedere ad assunzioni oltre il limite del cento per cento della spesa relativa al personale di ruolo cessato nell’anno precedente.

In tal modo, secondo la difesa statale, la disposizione regionale impugnata si porrebbe in contrasto con l’art. 35-bis del decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113 (Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonché misure per la funzionalità del Ministero dell’interno e l’organizzazione e il funzionamento dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata), convertito, con modificazioni, nella legge 1° dicembre 2018, n. 132. In base a quest’ultimo, i Comuni che nel triennio 2016-2018 hanno rispettato gli obiettivi dei vincoli di finanza pubblica possono assumere a tempo indeterminato personale di polizia locale, nel limite della spesa sostenuta per detto personale nell’anno 2016 e fermo restando il conseguimento degli equilibri di bilancio. Ulteriore contrasto viene ravvisato con l’art. 33 del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34 (Misure urgenti di crescita economica e per la risoluzione di specifiche situazioni di crisi), convertito, con modificazioni, nella legge 28 giugno 2019, n. 58, là dove subordina le facoltà di assunzione del personale pubblico al ricorrere di requisiti di sostenibilità finanziaria che non sarebbero fissati nella norma regionale impugnata.

Tutte le citate norme statali conterrebbero principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, cui la Regione non può derogare.

1.4.– È, infine, impugnato l’art. 112, comma 1, della legge regionale n. 9 del 2019, là dove stabilisce che, «[i]n relazione al processo di superamento delle Province e del conseguente trasferimento di funzioni alla Regione e in un’ottica di coerenza di sistema», al personale trasferito dalle Province alla Regione, mediante mobilità volontaria di Comparto, si applica il trattamento economico di cui all’art. 50, comma 1, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 28 giugno 2016, n. 10 (Modifiche a disposizioni concernenti gli enti locali contenute nelle leggi regionali 1/2006, 26/2014, 18/2007, 9/2009, 19/2013, 34/2015, 18/2015, 3/2016, 13/2015, 23/2007, 2/2016 e 27/2012), che garantisce il mantenimento della retribuzione individuale di anzianità o il maturato economico in godimento all’atto del trasferimento.

Tale previsione si porrebbe in contrasto con l’art. 30, comma 2-quinquies, del d.lgs. n. 165 del 2001. Quest’ultimo, che disciplina il trattamento giuridico ed economico spettante al dipendente trasferito per mobilità volontaria, dispone che, «a seguito dell’iscrizione nel ruolo dell’amministrazione di destinazione, al dipendente trasferito per mobilità si applica esclusivamente il trattamento giuridico ed economico, compreso quello accessorio, previsto nei contratti collettivi vigenti nel comparto della stessa amministrazione».

La norma regionale impugnata, ponendosi in contrasto con la citata previsione statale, violerebbe la competenza legislativa esclusiva statale in materia di ordinamento civile.

Tale norma violerebbe anche il principio di eguaglianza, introducendo per i residenti nella Regione Friuli-Venezia-Giulia un trattamento economico differenziato rispetto a quello dei residenti nelle altre Regioni.

2.– Si è costituita nel giudizio la Regione autonoma Friuli-Venezia-Giulia e ha chiesto che le questioni promosse con il ricorso siano dichiarate inammissibili e non fondate.

2.1.– Quanto alle censure promosse nei confronti dell’impugnato art. 107, comma 1, lettera b), la difesa regionale prospetta profili di inammissibilità per genericità e difetto assoluto di motivazione. In particolare, le norme statali, che costituirebbero parametro interposto, sarebbero solo elencate nel ricorso, senza specificare in che modo la disciplina impugnata si porrebbe in contrasto con le medesime.

Non sarebbero, poi, neppure richiamate le disposizioni dello statuto speciale che assegnano alla Regione una competenza primaria in materia di «ordinamento degli uffici e degli enti dipendenti dalla Regione e stato giuridico ed economico del personale ad essi addetto» e di «ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni» (art. 4, numero 1 e numero 1-bis dello statuto), né sarebbe, di conseguenza, fornita alcuna motivazione circa l’estraneità della disciplina regionale impugnata rispetto alle citate competenze statutarie regionali.

Nel merito la questione sarebbe priva di fondamento. La difesa regionale sostiene che la norma impugnata – che, peraltro, non si porrebbe in contrasto con la disciplina statale delle graduatorie, né quanto alla durata, né quanto all’uso delle medesime – sia, comunque, riconducibile alla competenza regionale residuale in materia di ordinamento e organizzazione amministrativa regionale, attenendo ai profili pubblicistico-organizzativi dell’impiego pubblico. Non vi sarebbe neppure violazione degli artt. 3, 51, primo comma, e 97 Cost., dal momento che la norma regionale risponderebbe proprio all’obiettivo di soddisfare esigenze di economicità, flessibilità e semplificazione e, essendo espressione di una competenza regionale, esercitabile in maniera differente da Regione a Regione, non contrasterebbe con il principio di eguaglianza. Anche la dedotta violazione dei principi di coordinamento della finanza pubblica sarebbe priva di fondamento, dato che, con l’accordo sottoscritto il 25 febbraio 2019 dallo Stato e dalla medesima Regione, recepito con decreto legislativo 25 novembre 2019, n. 154 (Norme di attuazione dello Statuto speciale della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia in materia di coordinamento della finanza pubblica), si è stabilito che i principi di coordinamento della finanza pubblica che si impongono alla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia attengono al mero rispetto degli obiettivi di sistema e non possono vincolare nel dettaglio e singolarmente l’ente Regione o i singoli enti locali.

Anche le questioni promosse nei confronti dell’art 108 sarebbero inammissibili e comunque infondate. La norma regionale impugnata non farebbe altro che specificare meglio i destinatari dell’indennità, che era già stata estesa dalla norma sostituita (l’art. 11, comma 22, della legge regionale n. 45 del 2017), non impugnata, agli autisti di rappresentanza della Regione.

Del pari inammissibili e comunque infondate sono – ad avviso della difesa regionale – le censure proposte in relazione all’art. 109 della medesima legge regionale n. 9 del 2019. Premesso che, secondo la costante giurisprudenza costituzionale, i rapporti finanziari fra Stato e autonomie speciali sono regolati dal principio dell’accordo, inteso come vincolo di metodo e declinato nella forma della leale collaborazione, la resistente ricorda che tra la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e lo Stato è stato sottoscritto un accordo con l’obiettivo di ridefinire i rapporti finanziari complessivi in materia di finanza pubblica. Tale accordo ha regolato il concorso del sistema integrato degli enti territoriali del Friuli-Venezia Giulia al perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica per il triennio 2019-2021. In esso è stabilito che il citato sistema integrato è vincolato, non già al rispetto delle singole misure statali, ma a garantire, nel complesso, il perseguimento dei medesimi obiettivi di contenimento della spesa pubblica previsti a livello statale.

Infine, la difesa regionale sostiene che le questioni promosse nei confronti dell’art. 112, comma 1, della medesima legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 9 del 2019, siano entrambe inammissibili per la mancata evocazione dei parametri statutari inerenti alla competenza regionale rilevanti nella specie.

La questione posta in riferimento all’art. 3 Cost. sarebbe, in particolare, inammissibile in quanto non contenuta nella delibera di impugnazione del Consiglio dei ministri e comunque fondata su un erroneo presupposto interpretativo, dal momento che – diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente – la norma non opererebbe alcuna differenziazione in base alla residenza del lavoratore del comparto unico regionale.

Non vi sarebbe, inoltre, nessun contrasto con la normativa statale interposta. La conservazione dell’anzianità e del trattamento economico goduto presso l’amministrazione di provenienza sarebbe elemento strutturale e connaturato all’istituto della mobilità, senza alcuna differenziazione fra mobilità obbligatoria o volontaria, secondo quanto previsto dall’art. 30 del d.lgs. n. 165 del 2001 e dalla sua interpretazione consolidata nel diritto vivente. La norma regionale impugnata sarebbe, peraltro, compatibile anche con la contrattazione collettiva a livello regionale (artt. 27 e 60 del CCRL 7 dicembre 2006 e art. 21 CCRL 15 ottobre 2018).

3.– All’udienza pubblica le parti hanno insistito per l’accoglimento delle conclusioni formulate nelle memorie scritte.

Considerato in diritto

1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe, ha promosso questioni di legittimità costituzionale di varie disposizioni della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 8 luglio 2019, n. 9 (Disposizioni multisettoriali per esigenze urgenti del territorio). Fra di esse, vengono, in particolare, qui in esame gli artt. 107, comma 1, 108, 109 e 112, comma 1, impugnati in riferimento agli artt. 3, 51, primo comma, 97, 117, secondo comma, lettere l) e m), e terzo comma, della Costituzione.

La decisione delle altre questioni, proposte con lo stesso ricorso, è riservata a separata pronuncia.

Considerato che le disposizioni di cui si discute riguardano ambiti diversi, occorre procedere separatamente allo scrutinio delle questioni promosse.

2.– In linea preliminare, si devono esaminare alcune eccezioni di inammissibilità che la difesa regionale ha sollevato con riferimento a tutte le questioni relative alle quattro disposizioni impugnate.

2.1.– Anzitutto, la difesa regionale ne eccepisce l’inammissibilità per genericità e difetto di motivazione. Le censure sarebbero proposte con la mera indicazione del parametro costituzionale e delle norme statali interposte che si assumono violate – peraltro in alcuni casi solo genericamente identificate – senza una adeguata motivazione a sostegno del preteso contrasto.

2.1.1.– Tali eccezioni possono essere tutte superate.

Secondo il costante orientamento di questa Corte, «il ricorrente ha l’onere di individuare le disposizioni impugnate e i parametri costituzionali dei quali lamenta la violazione e di svolgere una motivazione che non sia meramente assertiva», indicando le «ragioni per le quali vi sarebbe il contrasto con i parametri evocati» (da ultimo, sentenza n. 194 del 2020). Tuttavia, allorquando l’atto introduttivo, pur nella sua sintetica formulazione, consenta di individuare «con sufficiente chiarezza […] il parametro asseritamente violato [...] e la ratio del prospettato contrasto della disposizione denunciata con il parametro stesso» (sentenza n. 187 del 2020), l’impugnativa proposta è ammissibile.

Nella specie, le questioni, pur proposte in maniera sintetica e, talora, con la sola asserzione del contrasto della norma regionale impugnata con la normativa statale interposta, superano quella «soglia minima di chiarezza […] che rende ammissibile l’impugnativa proposta (sentenza n. 201 del 2018)» (sentenza n. 194 del 2020). Il semplice raffronto del contenuto delle disposizioni regionali di volta in volta impugnate con il parametro specificamente evocato è, infatti, in tali casi, sufficiente, nonostante la concisione delle censure, a consentire a questa Corte di individuare i termini delle questioni e di esaminarle nel merito.

2.2.– La difesa regionale lamenta, inoltre, che il ricorrente non faccia alcun riferimento alle disposizioni dello statuto speciale, là dove assegnano alla Regione specifiche competenze cui sarebbero riconducibili le norme regionali impugnate, né, di conseguenza, spieghi – come avrebbe dovuto fare – in che modo tali norme esorbitino dalle stesse competenze statutarie regionali.

2.2.1.– Anche tale eccezione è superabile.

Questa Corte ha ripetutamente affermato che «nel caso in cui venga impugnata, in via principale, la legge di una Regione ad autonomia speciale, la compiuta definizione dell’oggetto del giudizio, onere di cui è gravato il ricorrente, non può prescindere dalla indicazione delle competenze legislative assegnate allo statuto» (sentenza n. 199 del 2020). Vi è, tuttavia, la possibilità, sia pur «residuale, e comunque legata a ipotesi in cui è evidente l’estraneità delle competenze statutarie ad un certo ambito materiale perché immediatamente riferibile a un titolo di competenza riservato allo Stato […], che l’atto introduttivo del giudizio faccia leva unicamente su elementi "indiziari” (sentenza n. 153 del 2019), come la giurisprudenza costituzionale o il quadro della normativa statale, senza confrontarsi espressamente, sia pur in modo sintetico, col quadro delle competenze statutarie» (sentenza n. 174 del 2020).

Le questioni promosse nei confronti degli artt. 107, comma 1, 108, 109 e 112, comma 1, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 9 del 2019 sono in linea con tali indicazioni.

Il ricorrente riconduce le norme regionali in questione ad ambiti materiali quali l’«ordinamento civile» e la «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali», nonché ai «principi di coordinamento della finanza pubblica», tutti ambiti che coincidono con i limiti individuati dallo statuto speciale quanto all’esercizio delle competenze regionali anche primarie e dunque notoriamente riservati allo Stato. Ciò rende sufficiente, ai soli fini dell’ammissibilità dell’impugnativa, il richiamo della normativa statale quale "indizio” dell’estraneità delle competenze statutarie ai citati ambiti, senza imporre il confronto espresso con il quadro delle stesse.

3.– Si può ora passare all’esame delle questioni promosse nei confronti delle singole disposizioni.

4.– Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna l’art. 107, comma 1, lettera b), della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 9 del 2019 nella parte in cui, modificando il comma 5, lettera c), dell’art. 8 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia 9 dicembre 2016, n. 18 (Disposizioni in materia di sistema integrato del pubblico impiego regionale e locale), interviene sulla disciplina delle graduatorie, eliminando il riferimento all’impiego delle stesse «per un numero pari ai posti messi a concorso», nonché estendendone da due a tre anni il periodo di vigenza.

Il ricorrente sostiene che tale disposizione stabilisca modalità di utilizzazione delle graduatorie concorsuali diverse e incompatibili con quelle individuate dall’art. 1, commi 361, 363 e 365 della legge 30 dicembre 2018, n. 145 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021), là dove non limita numericamente la possibilità di utilizzo delle graduatorie e amplia il lasso di tempo di utilizzabilità delle stesse. In tal modo detterebbe una disciplina contrastante con quella vigente nell’intero territorio dello Stato quanto alla possibilità di accesso agli impieghi e di impegno finanziario, in violazione dei principi di eguaglianza, imparzialità e buon andamento dell’amministrazione pubblica di cui agli artt. 3, 51, primo comma, e 97 Cost., ma anche della competenza riservata alla legislazione statale nelle materie dell’«ordinamento civile» e della «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali» e dei «principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica».

4.1.– Le questioni non sono fondate in riferimento ad alcuno dei parametri invocati.

La norma regionale impugnata modifica la lettera c) del comma 5 dell’art. 8 della citata legge regionale n. 18 del 2016, che detta la disciplina dell’accesso alla qualifica di dirigente. Quest’ultima disposizione, dopo aver previsto che «[l]’accesso alla qualifica di dirigente nelle amministrazioni del Comparto unico avviene per corso concorso o per concorso» (comma 1), con riguardo alla graduatoria finale del concorso, a seguito della modifica introdotta dall’impugnato art. 107, stabilisce che essa «comprende anche gli idonei, a concorso, e rimane vigente per un periodo di tre anni; il bando di concorso può prevedere un limite massimo di idonei» (comma 5, lettera c). Tale norma introduce, in tal modo, la possibilità dello scorrimento della graduatoria finale per l’assunzione degli idonei non più vincolato al numero dei posti messi a concorso e per un tempo – quello di vigenza della graduatoria – esteso da due a tre anni.

Questa Corte ha, anche di recente, affermato che la disciplina delle «procedure concorsuali pubblicistiche per l’accesso all’impiego regionale (sentenze n. 191 del 2017, punto 5.4. del Considerato in diritto e n. 251 del 2016, punto 4.2.1. del Considerato in diritto) e la regolamentazione delle graduatorie, che rappresentano il provvedimento conclusivo delle procedure selettive (sentenza n. 241 del 2018, punto 4. del Considerato in diritto)» (sentenza n. 126 del 2020), rientrano nella competenza legislativa residuale in materia di ordinamento e organizzazione amministrativa delle Regioni. Le relative disposizioni, pertanto, in quanto inerenti «a una fase antecedente al sorgere del rapporto di lavoro, non invadono la competenza legislativa esclusiva dello Stato nella materia «ordinamento civile, attenendo all’organizzazione del personale, àmbito in cui si esplica la competenza residuale delle Regioni» (sentenza n. 126 del 2020).

Ciò vale – questa Corte ha affermato – anche per una Regione a statuto speciale come la Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, titolare di una competenza primaria statutaria in materia di «ordinamento degli uffici e degli enti dipendenti dalla Regione e stato giuridico ed economico del personale» e di «ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni» (art. 2, primo comma, lettere a e b, dello della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4, recante «Statuto speciale per la Valle d’Aosta»), che incontra il limite delle «norme fondamentali di riforma economico-sociale». A seguito della modifica del Titolo V della Parte II della Costituzione, alla citata Regione, infatti, «spetta la più ampia competenza legislativa residuale in materia di "ordinamento e organizzazione amministrativa regionale” di cui all’art. 117, quarto comma, Cost.» (sentenza n. 77 del 2020), in virtù della cosiddetta clausola di favore di cui all’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), in quanto «prevede una forma di autonomia più ampia di quella già attribuita alla stessa Regione» dallo statuto speciale (sentenza n. 77 del 2020; nello stesso senso, sentenza n. 241 del 2018). In considerazione del fatto che lo statuto speciale della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia assegna una competenza primaria alla Regione nella medesima materia individuata dallo statuto speciale valdostano («ordinamento degli Uffici e degli Enti dipendenti dalla Regione e stato giuridico ed economico del personale ad essi addetto» e «ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni»: art. 4, numero 1 e numero 1bis, dello statuto speciale del Friuli-Venezia Giulia), entro gli stessi limiti, la medesima conclusione deve trarsi anche per essa.

Le disposizioni regionali impugnate, pertanto, là dove definiscono le regole di accesso all’impiego regionale e di utilizzo delle relative graduatorie concorsuali, costituiscono espressione della competenza regionale in materia di organizzazione amministrativa del personale, vincolata solo «al rispetto dei limiti costituzionali del buon andamento e dell’imparzialità e dei princìpi di coordinamento della finanza pubblica» (sentenza n. 126 del 2020).

Nell’escludere, nei confronti delle Regioni, la vincolatività delle previsioni, invocate quali norme statali interposte, contenute nell’art. 1, commi 361 e 365, della legge n. 145 del 2018, cui si aggiunge, nel presente giudizio, il riferimento al comma 363, questa Corte ha già avuto modo di dichiarare l’estraneità della disciplina in esse contenuta, attinente alla regolamentazione delle graduatorie delle procedure selettive per l’accesso all’impiego pubblico statale, anche alla materia della «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali». Quest’ultima è infatti invocabile solo «in relazione a specifiche prestazioni delle quali la normativa statale definisca il livello essenziale di erogazione» (sentenza n. 126 del 2020, punto 6. del Considerato in diritto), nella specie insussistenti.

Le citate previsioni statali – di cui è stata frattanto disposta l’abrogazione (anche se dei soli commi 361 e 365) ad opera dell’art. 1, comma 148, della legge 27 dicembre 2019, n. 160 (Bilancio di previsione per l’anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022) – non corrispondono neppure a quei limiti costituzionali di buon andamento e di imparzialità della pubblica amministrazione cui le Regioni devono attenersi nell’esercizio della propria competenza. L’ampio campo di azione riservato al legislatore regionale «consente allo stesso di intervenire […] con efficienza e ragionevolezza nella gestione delle graduatorie, anche tenendo conto della posizione degli idonei. Un reclutamento imparziale degli idonei inseriti nelle graduatorie non entra in contrasto con gli artt. 3 e 97 Cost., proprio perché costituisce una delle possibili espressioni del buon andamento e dell’imparzialità dell’amministrazione, nell’esercizio della competenza legislativa regionale» (sentenza n. 77 del 2020, punto 4.3.1. del Considerato in diritto). E ciò a condizione che il periodo di efficacia delle graduatorie non sia definito in modo da «pregiudicare l’esigenza di aggiornamento professionale» (sentenza n. 241 del 2018).

Lo scorrimento delle graduatorie, «dapprima individuato come strumento eccezionale, ha perso con il passare del tempo tale caratteristica, per configurarsi, in molte occasioni, quale soluzione alternativa all’indizione di nuovi concorsi» (sentenza n. 77 del 2020, punto 4.3.1. del Considerato in diritto).

In questa prospettiva, la scelta del legislatore friulano di consentire lo scorrimento delle graduatorie finali per assumere gli idonei nel termine di efficacia delle medesime graduatorie – fissato in tre anni, peraltro, in armonia con le norme statali allora vigenti (art. 35, comma 5-ter, del d.lgs. n. 165 del 2001) – è volta a contemperare, in maniera non palesemente irragionevole, le esigenze di contenimento delle spese relative all’indizione di procedure concorsuali e di reclutamento imparziale degli idonei, con quelle di garanzia della permanenza dei requisiti professionali richiesti. Essa, pertanto, non supera il limite del rispetto dei principi di cui agli artt. 3, 51 e 97 Cost.

Anche l’ipotizzato contrasto di tale scelta regionale con i principi di coordinamento della finanza pubblica si rivela privo di fondamento.

Occorre, anzitutto, premettere che questa Corte ha riconosciuto la natura di principi di coordinamento della finanza pubblica alle disposizioni di cui all’art. 1, comma 1148, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020), che, stabilendo la proroga del termine per l’esercizio, da parte di amministrazioni pubbliche soggette a vincoli nelle assunzioni, della facoltà di assunzione di personale, circoscrivendola a un nuovo termine, individuava in quest’ultimo anche il limite per la proroga dell’efficacia delle graduatorie dei concorsi pubblici. Una simile previsione è stata ricondotta alla normativa di coordinamento finanziario, in quanto agiva sul rilevante aggregato di spesa pubblica costituito dalla spesa per il personale e poneva limiti transitori alla facoltà delle Regioni e degli enti del Servizio sanitario nazionale di procedere ad assunzioni (sentenza n. 241 del 2018, punto 3. del Considerato in diritto).

Le disposizioni di cui all’art. 1, commi 361, 363 e 365, della legge n. 145 del 2018, prima modificate e poi abrogate – là dove prescrivevano l’utilizzo delle graduatorie finali dei concorsi per il reclutamento del personale presso le amministrazioni pubbliche esclusivamente per la copertura dei posti messi a concorso (comma 361), con riferimento solo «alle graduatorie delle procedure concorsuali bandite successivamente alla data di entrata in vigore» della medesima legge (comma 365) – dettavano, diversamente dal citato art. 1, comma 1148, della legge n. 205 del 2017, una disciplina a regime dell’uso delle medesime graduatorie, relativa a procedure concorsuali non ancora bandite e svincolata da considerazioni inerenti a misure di limitazione delle assunzioni.

In ogni caso, sebbene «i principi fondamentali fissati dalla legislazione dello Stato nell’esercizio della competenza di coordinamento della finanza pubblica si applic[hi]no anche alle autonomie speciali (ex plurimis, sentenze n. 62 del 2017, n. 40 del 2016, n. 82 e n. 46 del 2015), in quanto funzionali a prevenire disavanzi di bilancio, a preservare l’equilibrio economico-finanziario del complesso delle amministrazioni pubbliche e anche a garantire l’unità economica della Repubblica» (sentenza n. 103 del 2018), essi, tuttavia, sono individuati nel rispetto del «principio dell’accordo, inteso come vincolo di metodo (e non già di risultato) e declinato nella forma della leale collaborazione (sentenze n. 88 del 2014, n. 193 e n. 118 del 2012)» (sentenza n. 103 del 2018). Questo metodo è funzionale sia al «raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica nel rispetto dei vincoli europei», sia a evitare «che il necessario concorso delle Regioni comprima oltre i limiti consentiti l’autonomia finanziaria ad esse spettante» (sentenza n. 62 del 2017).

In armonia con tali indicazioni, il 25 febbraio 2019 è stato stipulato – in attuazione di quanto stabilito dall’art. 1, comma 875, della legge n. 145 del 2018, inerente alla individuazione del necessario concorso anche della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica – un accordo fra lo Stato e la medesima Regione, poi confluito nel testo del d.lgs. 25 novembre 2019, n. 154 che contiene le «Norme di attuazione dello Statuto speciale della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia in materia di coordinamento della finanza pubblica».

Tale accordo impone il rispetto degli obiettivi di sistema e stabilisce che il sistema integrato – inclusivo della Regione, degli enti locali situati sul suo territorio e dei rispettivi enti strumentali e organismi interni (art. 1) – concorre alla finanza pubblica con un contributo in termini di saldo netto da finanziare (art. 4), puntualmente individuato per gli anni 2019-2021, ma non indica vincoli di dettaglio inerenti all’ente Regione o ai singoli enti locali.

Pertanto, le previsioni di cui all’art. 1, commi 361, 363 e 365, della legge n. 145 del 2018 – ora, come chiarito, in parte abrogate – non sono vincolanti per la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia.

4.1.1.– In conclusione, le questioni relative all’art. 107, comma 1, lettera b), della legge regionale n. 9 del 2019, promosse in riferimento agli artt. 3, 51, 97 e 117, secondo comma, lettere l) e m), e terzo comma, Cost. devono essere dichiarate non fondate.

5.– È, poi, impugnato l’art. 108, che, sostituendo il comma 22 dell’art. 11 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia 28 dicembre 2017, n. 45 (Legge di stabilità 2018), dispone che l’indennità mensile, non pensionabile, che l’art. 110, sesto comma, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 31 agosto 1981, n. 53 (Stato giuridico e trattamento economico del personale della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia), già riconosceva agli «addetti di segreteria del Presidente e dei Vicepresidenti del Consiglio, dei Presidenti delle Commissioni consiliari, del Presidente della Giunta, degli Assessori e dei Presidenti degli Enti regionali», è corrisposta anche agli «autisti di rappresentanza». Questi ultimi sono individuati negli autisti di rappresentanza del Presidente della Regione e degli assessori regionali (art. 38 del Regolamento di organizzazione dell’Amministrazione regionale e degli enti regionali emanato con decreto del Presidente della Regione 27 agosto 2004, n. 0277/ Pres.), del Presidente del Consiglio regionale (art. 14 del Regolamento di organizzazione degli uffici del Consiglio regionale emanato con deliberazione dell’Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale 30 gennaio 2019, n. 101), nonché in quelli assegnati alla Segreteria generale del Consiglio regionale e all’Ufficio di gabinetto della Presidenza della Regione e ai loro sostituti.

Tale previsione si porrebbe in contrasto con le disposizioni contenute nel Titolo III del d.lgs. n. 165 del 2001, che regola le procedure da seguire in sede di contrattazione e impone il rispetto della normativa contrattuale. Essa, quindi, violerebbe la competenza statale esclusiva in materia di «ordinamento civile», in quanto la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, le cui competenze statutarie devono essere esercitate nel rispetto delle «norme fondamentali delle riforme economico-sociali» (art. 4 dello statuto), non avrebbe titolo a disciplinare il trattamento economico e giuridico dei dipendenti regionali. Quest’ultimo, a seguito della privatizzazione del lavoro pubblico, è regolato dalla legge dello Stato e, in virtù del rinvio da questo operato, dalla contrattazione collettiva.

La medesima norma violerebbe anche il principio di eguaglianza fra cittadini, in quanto introdurrebbe per i soli residenti nella Regione un trattamento economico differenziato rispetto a quello dei residenti in altre Regioni.

5.1.– Preliminarmente, occorre esaminare l’eccezione di inammissibilità sollevata dalla difesa regionale in relazione alla questione promossa in riferimento all’art. 3 Cost. Tale questione non sarebbe ammissibile, perché non contenuta nella delibera di impugnazione del Consiglio dei ministri.

5.1.1.– L’eccezione è priva di fondamento.

Nella relazione del Dipartimento per gli affari regionali allegata alla delibera di impugnazione del Consiglio dei ministri del 5 settembre 2019, fra i parametri in riferimento ai quali è promossa la questione di legittimità costituzionale dell’art. 108 della citata legge regionale n. 9 del 2019, è espressamente indicato l’art. 3 Cost. In particolare, in essa, si sostiene ci sia il «contrasto con il principio di eguaglianza fra i cittadini di cui all’art. 3 della Costituzione in quanto il personale delle altre regioni nella stessa situazione lavorativa si troverebbe di fronte ad una diversa qualificazione degli emolumenti».

5.2.– Nel merito, la questione promossa in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. è fondata.

5.2.1.– La norma regionale impugnata sostituisce il comma 22 dell’art. 11 della legge regionale di stabilità per il 2018, che disponeva che l’indennità mensile non pensionabile prevista dall’art. 110, sesto comma, della legge regionale n. 53 del 1981, nell’ambito della disciplina dello «Stato giuridico e trattamento economico del personale della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia» (così la rubrica del citato art. 110), in favore degli «addetti di segreteria del Presidente e dei Vicepresidenti del Consiglio, dei Presidenti delle Commissioni consiliari, del Presidente della Giunta, degli Assessori e dei Presidenti degli Enti regionali» e per tutta la durata dell'incarico, fosse corrisposta, «a decorrere dal 1° gennaio 2018 e rapportandola ai periodi di effettivo svolgimento delle funzioni, anche agli autisti di rappresentanza della Regione». Con le modifiche apportate dall’art. 108 della legge regionale n. 9 del 2019, si è precisato che la citata indennità è corrisposta, oltre che agli addetti di segreteria, «agli autisti di rappresentanza di cui all’articolo 38 del Regolamento di organizzazione dell’Amministrazione regionale e degli enti regionali […] e all’articolo 14 del Regolamento di organizzazione degli uffici del Consiglio regionale […]», e cioè agli autisti del Presidente della Regione e degli Assessori regionali, e del Presidente del Consiglio regionale, nonché, in riferimento «ai periodi di effettivo svolgimento delle funzioni di guida di rappresentanza, agli autisti assegnati alla Segreteria generale del Consiglio regionale e all’Ufficio di Gabinetto della Presidenza della Regione» e «al personale che sostituisce gli autisti di rappresentanza in caso di loro assenza o impedimento».

Risulta evidente, dal tenore letterale della disposizione impugnata, che essa, là dove prevede l’estensione dell’indennità per gli addetti di segreteria agli autisti di rappresentanza, puntualmente individuati, interviene a disciplinare il trattamento economico di una specifica categoria del personale regionale.

Secondo il costante orientamento della giurisprudenza costituzionale, a seguito della privatizzazione del pubblico impiego, la disciplina del trattamento giuridico ed economico dei dipendenti pubblici, tra i quali, ai sensi dell’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001, sono ricompresi anche i dipendenti delle Regioni, compete unicamente al legislatore statale, rientrando nella materia dell’ordinamento civile (ex multis, sentenze n. 196 del 2018, n. 175 e n. 72 del 2017). Tale disciplina è, pertanto, retta dalle disposizioni del codice civile e dalla contrattazione collettiva, cui la legge dello Stato rinvia (sentenza n. 199 del 2020).

Ciò riguarda anche il personale regionale applicato presso le segreterie degli organi politici regionali e la disciplina del loro trattamento economico accessorio. Questa Corte ha già avuto occasione di dichiarare l’illegittimità costituzionale di norme regionali volte a disciplinare, fra l’altro, anche il trattamento economico (accessorio) del personale addetto alle segreterie, ravvisando la violazione della riserva di competenza esclusiva assegnata al legislatore statale in materia di ordinamento civile (sentenza n. 146 del 2019; nello stesso senso sentenza n. 213 del 2012).

La norma regionale impugnata, pertanto, nel disciplinare l’indennità mensile degli autisti di rappresentanza, finisce per regolare uno degli «istituti tipici del rapporto di lavoro pubblico privatizzato […] con conseguente lesione della competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile (sentenze nn. 339, 77 e 7 del 2011, nn. 332 e 151 del 2010 e n. 189 del 2007)» (sentenza n. 213 del 2012).

Nessun rilievo riveste la circostanza che la norma impugnata sia intervenuta solo a puntualizzare una disciplina introdotta dalla norma sostituita – che aveva già esteso agli autisti di rappresentanza l’indennità, prevista dalla risalente legge regionale n. 51 del 1983 per gli addetti di segreteria – e che la norma sostituita non fosse stata impugnata. L’art. 108 della legge n. 9 del 2019 ha non solo riprodotto la previsione dell’estensione dell’indennità operata dalla legge regionale n. 45 del 2017, rinnovando la lesione, ma ha anche ulteriormente esteso la categoria dei beneficiari dell’indennità, là dove li ha puntualmente identificati negli autisti di rappresentanza addetti al Presidente della Giunta, agli assessori e al Presidente del Consiglio regionale, ma anche alla segreteria generale del Consiglio regionale e all’Ufficio di gabinetto della Presidenza della Regione.

5.2.2.– Deve, quindi, dichiararsi l’illegittimità costituzionale dell’art. 108 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 9 del 2019.

5.2.3.– Resta assorbita la questione promossa in riferimento all’art. 3 Cost.

6.– Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna anche l’art. 109 della citata legge regionale n. 9 del 2019, là dove stabilisce che «[i]n relazione al permanere delle particolari esigenze operative e funzionali connesse e conseguenti al processo di riassetto delle autonomie locali», per le «assunzioni di personale della polizia locale» relative all’anno 2019, «nonché con riferimento alle procedure concorsuali già avviate nell’anno 2018 e non ancora concluse alla data di entrata in vigore della presente legge», le Unioni territoriali intercomunali (UTI) e i Comuni della Regione «continuano ad applicare l’articolo 56, comma 20-ter, della legge 18/2016», che prevede la possibilità di procedere ad assunzioni anche oltre il limite del cento per cento della spesa relativa al personale di ruolo cessato nell’anno precedente.

Il ricorrente denuncia il contrasto fra la disposizione regionale impugnata e l’art. 35-bis del decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113 (Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonché misure per la funzionalità del Ministero dell’interno e l’organizzazione e il funzionamento dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata), convertito, con modificazioni, nella legge 1° dicembre 2018, n. 132, là dove stabilisce un tetto alla spesa inerente all’assunzione del personale della polizia locale per l’anno 2019. Quest’ultimo dispone che i Comuni, che nel triennio 2016-2018 abbiano rispettato gli obiettivi dei vincoli di finanza pubblica, possono assumere a tempo indeterminato personale di polizia locale, nel limite della spesa sostenuta per il medesimo personale nell’anno 2016 e fermo restando il conseguimento degli equilibri di bilancio.

La norma regionale impugnata sarebbe anche in contrasto con l’art. 33 del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34 (Misure urgenti di crescita economica e per la risoluzione di specifiche situazioni di crisi), convertito, con modificazioni, nella legge 28 giugno 2019, n. 58, in quanto non fisserebbe i requisiti di sostenibilità finanziaria, cui il citato decreto-legge subordina la facoltà di assunzione del personale pubblico.

Entrambe le norme statali richiamate conterrebbero principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, cui la Regione non può derogare.

6.1.– La questione non è fondata.

L’art. 109 della legge regionale n. 9 del 2019, al fine di soddisfare le «particolari esigenze operative e funzionali connesse e conseguenti al processo di riassetto delle autonomie locali», avviato con la legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 12 dicembre 2014, n. 26 (Riordino del sistema Regione-Autonomie locali nel Friuli-Venezia Giulia. Ordinamento delle Unioni territoriali intercomunali e riallocazione di funzioni amministrative) e disciplinato, fra l’altro, dalla legge regionale n. 18 del 2016, nell’ambito del «sistema integrato di interventi per la gestione di attività riguardanti le amministrazioni del Comparto unico del pubblico impiego regionale e locale», non fa che ribadire quanto già previsto dall’art. 50-ter della medesima legge regionale n. 18 del 2016 per gli anni 2018 e 2019. Quest’ultimo dispone che i Comuni e le UTI, in cui si articola il citato sistema integrato, possono effettuare, per l’anno 2019 e in relazione alle procedure concorsuali già avviate nell’anno 2018 e non ancora concluse alla data di entrata in vigore della medesima legge, assunzioni di personale della polizia locale «anche oltre il limite del 100 per cento della spesa relativa al personale di ruolo cessato nell’anno precedente», purché nel «rispetto degli obblighi di contenimento della spesa di personale di cui all’articolo 22 della legge regionale 18/2015». Tali obblighi di contenimento della spesa di personale sono individuati nel citato art. 22 della legge regionale 17 luglio 2015, n. 18 (La disciplina della finanza locale del Friuli-Venezia Giulia, nonché modifiche a disposizioni delle leggi regionali 19/2013, 9/2009 e 26/2014 concernenti gli enti locali), nel testo vigente al momento della proposizione del ricorso, «nei limiti del valore medio di uno specifico triennio».

Il ricorrente contesta la non conformità di tale previsione ai principi di coordinamento della finanza pubblica individuati sia nell’art. 35-bis del d.l. n. 113 del 2018 – che vincola i Comuni ad assumere personale di polizia locale, nel limite della spesa sostenuta per il medesimo personale nell’anno 2016 – sia nell’art. 33 del d.l. n. 34 del 2019, che subordina la facoltà di assunzione del personale pubblico alla "sostenibilità finanziaria” delle stesse. Entrambi i citati principi si imporrebbero anche alla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia.

Tale assunto è privo di fondamento.

Occorre anzitutto sottolineare che l’art. 33 del d.l. n. 34 del 2019 ha introdotto un nuovo criterio di contenimento delle spese per le assunzioni del personale da parte dei Comuni, diverso e non in linea con quello indicato nell’art. 35-bis del d.l. n. 113 del 2018, in quanto non più legato alle cessazioni e alle assunzioni degli anni precedenti, ma alla "sostenibilità finanziaria” delle medesime assunzioni, ancorata a valori soglia riferiti alla spesa complessiva per tutto il personale dipendente.

Questa considerazione rivela, anzitutto, una incoerenza fra i principi di coordinamento evocati congiuntamente come parametri interposti.

Al di là di ciò, l’art. 33-ter del medesimo d.l. n. 34 del 2019 dimostra la non vincolatività, in radice, per la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia di entrambe le citate disposizioni. Il citato art. 33-ter del d.l. n. 34 del 2019, infatti, nell’inserire i commi da 875-bis a 875-septies all’art. 1 della legge di bilancio per il 2019 (legge n. 145 del 2018), disciplina dettagliatamente le specifiche forme del contributo alla finanza pubblica da parte del «sistema integrato degli enti territoriali della regione Friuli-Venezia Giulia», in applicazione «dell’accordo sottoscritto il 25 febbraio 2019 tra il Ministro dell’economia e delle finanze e il Presidente della regione Friuli-Venezia Giulia ai sensi del comma 875, con il quale è data attuazione alle sentenze della Corte costituzionale n. 77 del 2015, n. 188 del 2016, n. 154 del 2017 e n. 103 del 2018» (comma 875-bis).

Questa Corte, come si è già ricordato (supra, punto 4.1.), ha ripetutamente affermato che i principi fondamentali fissati dalla legislazione dello Stato nell’esercizio della competenza di coordinamento della finanza pubblica che le Regioni ad autonomia speciale sono tenute a rispettare devono essere individuati nell’osservanza del «principio dell’accordo, inteso come vincolo di metodo (e non già di risultato) e declinato nella forma della leale collaborazione (sentenze n. 88 del 2014, n. 193 e n. 118 del 2012)» (sentenza n. 103 del 2018).

È in questa prospettiva che l’art. 1, comma 875, della legge n. 145 del 2018 ha demandato a un apposito accordo bilaterale la ridefinizione dei complessivi rapporti finanziari fra lo Stato e la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, al fine di assicurare il necessario concorso di quest’ultima agli obiettivi di finanza pubblica. In tale accordo sono stati, pertanto, individuati i principi generali di coordinamento della finanza pubblica specificamente vincolanti per la Regione in questione, fra cui si segnalano il mantenimento dei bilanci dei soggetti che compongono il sistema integrato degli enti territoriali del Friuli-Venezia Giulia in equilibrio, ai sensi degli artt. 97 e 119 Cost., nonché il contributo in termini di saldo netto da finanziare, che, per l’anno 2019, è puntualmente definito. Ove si consideri che, nel medesimo accordo, è espressamente stabilito che «gli obblighi derivanti dal presente Accordo sostituiscono le misure di concorso alla finanza pubblica del sistema integrato, comunque denominate, previste da intese o da disposizioni di leggi vigenti» anche per l’anno 2019 (art. 4 del d.lgs. n. 154 del 2019), appare evidente che le puntuali previsioni delle disposizioni di legge statale che il ricorrente invoca quali norme interposte non sono da ritenersi vincolanti per la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia.

7.– È, infine, impugnato l’art. 112, comma 1, della legge regionale n. 9 del 2019, là dove stabilisce che, «[i]n relazione al processo di superamento delle Province e del conseguente trasferimento di funzioni alla Regione e in un’ottica di coerenza di sistema», al personale trasferito dalle Province alla Regione, mediante mobilità volontaria di Comparto, si applica il trattamento economico di cui all’art. 50, comma 1, della legge regionale 28 giugno 2016, n. 10 (Modifiche a disposizioni concernenti gli enti locali contenute nelle leggi regionali 1/2006, 26/2014, 18/2007, 9/2009, 19/2013, 34/2015, 18/2015, 3/2016, 13/2015, 23/2007, 2/2016 e 27/2012), che garantisce il mantenimento della retribuzione individuale di anzianità o il maturato economico in godimento all’atto del trasferimento.

Tale previsione violerebbe la competenza esclusiva statale in materia di ordinamento civile, in quanto si porrebbe in contrasto con l’art. 30, comma 2-quinquies, del d.lgs. n. 165 del 2001.

Quest’ultimo, in tema di mobilità volontaria, dispone che «a seguito dell’iscrizione nel ruolo dell’amministrazione di destinazione, al dipendente trasferito per mobilità si applica esclusivamente il trattamento giuridico ed economico, compreso quello accessorio, previsto nei contratti collettivi vigenti nel comparto della stessa amministrazione».

La norma regionale impugnata si porrebbe anche in contrasto con il principio di eguaglianza, in quanto introdurrebbe per i soli residenti nella Regione un trattamento economico differenziato rispetto a quello dei residenti nelle altre Regioni.

7.1.– In linea preliminare, occorre esaminare l’eccezione di inammissibilità sollevata dalla difesa regionale nei confronti della questione promossa in riferimento all’art. 3 Cost. Tale questione non sarebbe ammissibile in quanto non sarebbe contenuta nella delibera di impugnazione del Consiglio dei ministri.

7.1.1.– L’eccezione è priva di fondamento.

Nella relazione del Dipartimento per gli affari regionali allegata alla delibera di impugnazione del Consiglio dei ministri (del 5 settembre 2019), fra i parametri in riferimento ai quali sono promosse le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 112 della citata legge regionale n. 9 del 2019 è espressamente evocato l’art. 3 Cost. Tale evocazione è connessa al dedotto contrasto della norma regionale impugnata con la «regolazione uniforme», dettata dal legislatore statale, «a cui deve attenersi tutta la pubblica amministrazione il cui rapporto di lavoro è stato contrattualizzato».

7.2.– La questione promossa in riferimento all’art. 3 Cost. è, tuttavia, priva di fondamento nel merito, in quanto si basa su un erroneo presupposto interpretativo.

7.2.1.– Come si è ricordato, il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 3 Cost. da parte della norma regionale impugnata, in quanto introdurrebbe un trattamento economico differenziato per i soli dipendenti residenti nella Regione rispetto a quello previsto per i residenti in altre Regioni.

L’infondatezza di un simile assunto è rivelata dal chiaro tenore letterale della disposizione impugnata, che non opera alcuna differenziazione di trattamento in base alla residenza del lavoratore del comparto unico regionale, ma si rivolge, indistintamente, al personale trasferito dalle Province alla Regione mediante mobilità volontaria di comparto.

7.3.– Anche la questione promossa nei confronti dell’art. 112, comma 1, della legge regionale n. 9 del 2019, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., è priva di fondamento.

7.3.1.– La norma regionale impugnata, che fa espresso riferimento al «superamento delle Province» e al «conseguente trasferimento di funzioni alla Regione», si inserisce nell’ambito del processo di riordino del «sistema Regione-autonomie locali nel Friuli-Venezia Giulia», originariamente tratteggiato già dalla legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 12 dicembre 2014, n. 26 (Riordino del sistema Regione-Autonomie locali nel Friuli-Venezia Giulia. Ordinamento delle Unioni territoriali intercomunali e riallocazione di funzioni amministrative). L’art. 1 di tale legge – poi abrogato dall’art. 40, comma 3, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 29 novembre 2019, n. 21 (Esercizio coordinato di funzioni e servizi tra gli enti locali del Friuli-Venezia Giulia e istituzione degli Enti di decentramento regionale) – si proponeva «l’individuazione delle dimensioni ottimali per l’esercizio di funzioni amministrative degli enti locali, la definizione dell’assetto delle forme associative tra i Comuni e la riorganizzazione delle funzioni amministrative», in vista della «valorizzazione di un sistema policentrico», volto a favorire «la coesione tra le istituzioni del sistema Regione-Autonomie locali, l’uniformità, l’efficacia e il miglioramento dei servizi erogati ai cittadini, nonché l’integrazione delle politiche sociali, territoriali ed economiche».

Si trattava di una misura funzionale, tra l’altro, al riordino disposto dal legislatore statale con la legge 7 aprile 2014, n. 56 (Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni).

Tale processo di riordino regionale ha conosciuto varie fasi. Fra queste particolare rilievo ha assunto quella legata alla soppressione delle Province, disposta con la legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 9 dicembre 2016, n. 20 (Soppressione delle Province del Friuli-Venezia Giulia e modifiche alle leggi regionali 11/1988, 18/2005, 7/2008, 9/2009, 5/2012, 26/2014, 13/2015, 18/2015 e 10/2016), in attuazione dell’art. 12 della legge costituzionale 28 luglio 2016, n. 1 (Modifiche allo Statuto speciale della regione Friuli-Venezia Giulia, di cui alla legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1, in materia di enti locali, di elettorato passivo alle elezioni regionali e di iniziativa legislativa popolare). Il legislatore costituzionale, nel modificare lo statuto speciale, ha, infatti, impresso un significativo mutamento all’organizzazione regionale, sopprimendo le Province e disponendo, di conseguenza, il trasferimento delle relative funzioni «ai comuni, anche nella forma di città metropolitane, o alla regione, con le risorse umane, finanziarie e strumentali corrispondenti, e la successione nei rapporti giuridici» (così il citato art.12, comma 2). La realizzazione di tali trasferimenti è stata, poi, regolata dalla richiamata legge regionale n. 20 del 2016, secondo un processo graduale.

Nell’ambito di tale processo e nelle more della soppressione delle Province si è previsto che queste ultime, in linea con il progressivo ridimensionamento delle proprie funzioni, riducessero le proprie dotazioni organiche. Ciò ha comportato il trasferimento del personale che, per effetto di tale riduzione, «sia dichiarato non fondamentale per le funzioni che permangono in capo alle Province», «presso la Regione a eccezione di quello che, per effetto di mobilità volontaria, consegua il trasferimento presso una Unione territoriale intercomunale» (art. 46, comma 2, della legge regionale 28 giugno 2016, n. 10 recante «Modifiche a disposizioni concernenti gli enti locali contenute nelle leggi regionali 1/2006, 26/2014, 18/2007, 9/2009, 19/2013, 34/2015, 18/2015, 3/2016, 13/2015, 23/2007, 2/2016 e 27/2012»). Nei confronti di tale personale, come di quello trasferito a seguito della entrata in vigore della legge regionale n. 20 del 2016, per effetto del riordino conseguente all’avvio del processo di soppressione delle Province, l’art. 50, comma 1, della citata legge regionale n. 10 del 2016, ha disposto la conservazione della retribuzione individuale di anzianità o del maturato economico in godimento all’atto del trasferimento, in linea, peraltro, con quanto statuito dal legislatore statale all’art. 1, comma 96, lettera a), della legge n. 56 del 2014, in relazione al personale trasferito dalle Province alle Regioni o agli enti locali.

7.3.2.– In questo contesto si colloca l’impugnato art. 112, comma 1, che interviene in una fase successiva a quella delineata dalla legge regionale n. 20 del 2016, ma ancora in costanza del «processo di superamento delle Province e del conseguente trasferimento di funzioni alla Regione». Esso, «in un’ottica di coerenza di sistema», dispone che il trattamento economico previsto dall’art. 50, comma 1, della legge regionale n. 10 del 2016 – che garantisce la conservazione della retribuzione individuale di anzianità o del maturato economico in godimento all’atto del trasferimento – si applichi «anche nei confronti del personale trasferito dalle Province alla Regione, successivamente alla data di entrata in vigore della medesima legge regionale, mediante mobilità volontaria di Comparto». Tale disposizione è da considerarsi armonica rispetto a quanto statuito dalla contrattazione collettiva di lavoro a livello regionale, in cui si riconosce ai lavoratori che, a seguito della mobilità di Comparto, transitano da un ente a un altro all’interno del Comparto unico, il mantenimento del «proprio inquadramento tabellare» inerente alla «categoria di appartenenza e posizione economica» (art. 27 del CCRL Comparto unico non dirigenti, relativo al biennio economico 2004-2005), comprensivo della «retribuzione individuale di anzianità» e del «maturato economico» (art. 60 del medesimo CCRL sopra citato), come confermato dall’art. 21 del CCRL relativo al Personale del Comparto unico del personale non dirigente – Triennio normativo ed economico 2016/2018.

Tali indicazioni sono in linea con la contrattazione collettiva nazionale del Comparto Regioni e autonomie locali, quanto all’inquadramento retributivo del personale trasferito (art. 28 del CCNL Comparto delle Regioni e delle autonomie locali per il biennio economico 2000/2001) e si rivelano coerenti non solo con il disposto dell’art. 30, comma 2-quinquies, del d.lgs. n. 165 del 2001, che impone di applicare al personale trasferito il trattamento economico di cui ai contratti collettivi vigenti nel medesimo comparto, ma anche con la ratio sottesa all’istituto della mobilità disciplinato dal comma 1 del citato art. 30 del d.lgs. n. 165 del 2001. Quest’ultimo, volto a regolare il «passaggio diretto» di dipendenti pubblici da un’amministrazione a un’altra, è, nell’ottica stessa del d.lgs. n. 165 del 2001, strumento preordinato a realizzare «l’ottimale distribuzione delle risorse umane attraverso la coordinata attuazione» dei relativi processi (art. 6, comma 2, del medesimo d.lgs. n. 165 del 2001) in vista di una efficiente organizzazione e gestione dei compiti amministrativi.

In questa prospettiva appare evidente che la norma regionale impugnata, che si inserisce nel complesso processo di riordino amministrativo degli enti territoriali della Regione, indotto dal legislatore costituzionale, costituisce esercizio della competenza regionale in materia di organizzazione amministrativa e non invade la sfera di competenza statale esclusiva in materia di «ordinamento civile». Lungi dal sostituirsi al legislatore statale o alla contrattazione collettiva quanto alla disciplina del trattamento economico del personale trasferito, essa rinvia proprio a tali fonti, richiamandone le prescrizioni, al fine di promuovere, in un’ottica di coerenza di sistema, la mobilità di comparto. Obiettivo finale è, infatti, il superamento definitivo delle Province e il completamento del trasferimento delle funzioni alla Regione, al fine di consentire a quest’ultima di gestire nella maniera più adeguata ed efficiente i nuovi compiti amministrativi che le sono stati affidati.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riservata a separata pronuncia la decisione delle altre questioni di legittimità costituzionale promosse con il ricorso indicato in epigrafe;

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 108 della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 8 luglio 2019, n. 9 (Disposizioni multisettoriali per esigenze urgenti del territorio regionale);

2) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 107, comma 1, lettera b), 109 e 112, comma 1, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 9 del 2019, promosse, in riferimento agli artt. 3, 51, 97, 117, secondo comma, lettere l) e m), e terzo comma, Cost. dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 dicembre 2020.

F.to:

Giancarlo CORAGGIO, Presidente

Silvana SCIARRA, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 21 dicembre 2020.