Sentenza n. 264 del 2020

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SENTENZA N. 264

 

ANNO 2020

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

composta dai signori:

 

Presidente: Mario Rosario MORELLI;

 

Giudici: Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA,

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 3, secondo periodo, della legge della Regione Siciliana 11 giugno 2014, n. 13, recante «Variazioni al bilancio di previsione della Regione per l’esercizio finanziario 2014 e modifiche alla legge regionale 28 gennaio 2014, n. 5 “Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2014. Legge di stabilità regionale”. Disposizioni varie», come modificato dall’art. 14, comma 1, lettera a), della legge della Regione Siciliana 17 maggio 2016, n. 8 (Disposizioni per favorire l’economia. Norme in materia di personale. Disposizioni varie), promosso dal Tribunale ordinario di Siracusa, in funzione del giudice del lavoro, nel procedimento instaurato da D. C. contro l’Istituto regionale per lo sviluppo delle attività produttive (IRSAP) e altri, con ordinanza del 5 febbraio 2019, iscritta al n. 154 del registro ordinanze 2019 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 40, prima serie speciale, dell’anno 2019.

 

Visto l’atto di intervento del Presidente della Giunta regionale della Sicilia;

 

udito nella camera di consiglio del 21 ottobre 2020 il Giudice relatore Silvana Sciarra;

 

deliberato nella camera di consiglio del 22 ottobre 2020.

 

Ritenuto in fatto

 

1.– Con ordinanza del 5 febbraio 2019, iscritta al n. 154 del registro ordinanze 2019, il Tribunale ordinario di Siracusa, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 36, primo comma, e 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 3, secondo periodo, della legge della Regione Siciliana 11 giugno 2014, n. 13, recante «Variazioni al bilancio di previsione della Regione per l’esercizio finanziario 2014 e modifiche alla legge regionale 28 gennaio 2014, n. 5 “Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2014. Legge di stabilità regionale”. Disposizioni varie», come modificato dall’art. 14, comma 1, lettera a), della legge della Regione Siciliana 17 maggio 2016, n. 8 (Disposizioni per favorire l’economia. Norme in materia di personale. Disposizioni varie).

 

1.1.– Il rimettente espone di dover decidere sul ricorso di un dirigente di prima fascia «del ruolo del comparto Regione Siciliana ed enti pubblici non economici sottoposti a vigilanza e/o controllo della Regione Siciliana», transitato nel ruolo della pianta organica dell’Istituto regionale per lo sviluppo delle attività produttive (IRSAP).

 

La parte ricorrente lamenta di aver subìto una decurtazione stipendiale annua di 44.000,00 euro, per effetto della disposizione censurata, che ha imposto un limite retributivo di 100.000,00 euro annui lordi, e ha eccepito l’illegittimità costituzionale della normativa applicabile.

 

Ad avviso del rimettente, le questioni sarebbero rilevanti, in quanto una declaratoria di illegittimità costituzionale condurrebbe all’accoglimento del ricorso, volto a ripristinare l’originario ammontare della retribuzione dovuta.

 

1.2.– Il giudice a quo ha accolto, in quanto non manifestamente infondate, le eccezioni di illegittimità costituzionale formulate dalla parte ricorrente.

 

1.2.1.– Il rimettente, anzitutto, ravvisa il contrasto della disciplina in esame con il principio di eguaglianza (art. 3 Cost.), che impone «identità di trattamento per le situazioni sostanzialmente omogenee». Sprovvista di ogni «giustificazione oggettiva e ragionevole», la previsione censurata riserverebbe un trattamento differenziato a «persone poste in situazioni sostanzialmente equiparabili».

 

Per il personale e i dirigenti «dipendenti direttamente dalla Regione Sicilia e dagli enti del settore sanitario», varrebbe, per un periodo di tempo limitato, prorogato fino al triennio 2017-2019, il “tetto” retributivo di 160.000,00 euro annui. Al contrario, non sarebbe temporaneo e sarebbe fissato nell’importo «decisamente inferiore» di 100.000,00 euro annui lordi il limite retributivo applicabile ai «dipendenti degli enti sottoposti a controllo e vigilanza della Regione, anche di qualifica dirigenziale». Tale «trattamento deteriore» non sarebbe sorretto da «alcuna ragione giustificatrice».

 

1.2.2.– Il legislatore regionale, nel disporre una riduzione del trattamento retributivo, svincolata da una speculare riduzione della quantità e della qualità del lavoro prestato, avrebbe violato anche l’art. 36, primo comma, Cost. e, in particolare, il principio di «proporzionalità della retribuzione», applicabile «a tutti i lavoratori compresi i dipendenti pubblici e compresi i dirigenti». Né «la finalità di assicurare il controllo della spesa pubblica» potrebbe giustificare una misura che non conosce «alcun limite temporale» e non si esaurisce nella mera sospensione dell’incremento delle retribuzioni.

 

1.2.3.– Il giudice a quo, infine, assume che la disposizione censurata contrasti con l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.

 

L’imposizione di un «limite massimo al trattamento retributivo dei dipendenti regionali» colliderebbe con il principio fondamentale che, anche per le Regioni ad autonomia speciale, attribuisce alla contrattazione collettiva la disciplina del «trattamento economico dei dipendenti pubblici con rapporto di lavoro “privatizzato”» e costituisce un limite di diritto privato, fondato sull’esigenza di assicurare un trattamento uniforme nel territorio nazionale.

 

2.– È intervenuto in giudizio il Presidente della Giunta regionale della Sicilia e ha chiesto di dichiarare inammissibili o comunque infondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale di Siracusa.

 

2.1.– In linea preliminare, l’interveniente ha eccepito l’inammissibilità delle questioni per l’inadeguata descrizione della fattispecie concreta.

 

L’art. 13, comma 3-bis, della legge reg. Siciliana n. 13 del 2014 richiederebbe, ai fini della riduzione del trattamento retributivo, la rinegoziazione del contratto. Su tale dato il rimettente non offre indicazioni di sorta.

 

Le questioni sarebbero inammissibili anche perché viziate dall’erroneo presupposto che il censurato “tetto” retributivo si applichi senza limitazioni temporali e non solo fino al triennio 2017-2019, come dispone in termini generali l’art. 1, comma 3, della legge della Regione Siciliana 29 dicembre 2016, n. 28 (Autorizzazione all’esercizio provvisorio del bilancio della Regione per l’anno 2017. Disposizioni finanziarie).

 

Sarebbe altresì inammissibile la censura di violazione dell’art. 117 Cost., neppure ribadita nel dispositivo e irrimediabilmente generica, poiché priva di ogni indicazione su «quale comma sarebbe stato violato».

 

Le questioni sarebbero inammissibili, infine, anche per l’omessa sperimentazione di un’interpretazione adeguatrice.

 

2.2.– Nel merito, le questioni non sarebbero fondate.

 

La disposizione censurata rappresenterebbe l’adeguamento al limite retributivo che, per il «trattamento economico del personale pubblico e delle società partecipate», ha stabilito l’art. 13 del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66 (Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale), convertito, con modificazioni, nella legge 23 giugno 2014, n. 89.

 

A tale limite sarebbero obbligate a uniformarsi anche le Regioni ad autonomia speciale. La Regione Siciliana, nel determinare l’importo massimo delle retribuzioni, avrebbe attribuito rilievo al «trattamento lordo fiscale, ovvero con esclusione degli importi versati a titolo di contribuzione previdenziale». In questa prospettiva, non si ravviserebbe alcun contrasto con l’evocato art. 117 Cost.

 

La disciplina in esame non sarebbe lesiva neppure del principio di eguaglianza, in quanto il legislatore regionale avrebbe graduato gli importi massimi delle retribuzioni alla luce «delle specificità del proprio ordinamento e delle esigenze di finanza regionale», oltre che della diversa «complessità delle funzioni retribuite».

 

L’interveniente esclude, infine, anche la violazione del principio di proporzionalità della retribuzione alla quantità e alla qualità del lavoro prestato. Il limite imposto dal legislatore regionale, nell’adempimento di «uno specifico vincolo di finanza pubblica», inciderebbe «su trattamenti di notevole ammontare», non pregiudicherebbe il soddisfacimento delle esigenze di vita dei lavoratori e sarebbe, pertanto, «sostenibile».

 

Considerato in diritto

 

1.– Con l’ordinanza indicata in epigrafe (reg. ord. n. 154 del 2019), il Tribunale ordinario di Siracusa, in funzione di giudice del lavoro, dubita, in riferimento agli artt. 3, 36, primo comma, e 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 3, secondo periodo, della legge della Regione Siciliana 11 giugno 2014, n. 13, recante «Variazioni al bilancio di previsione della Regione per l’esercizio finanziario 2014 e modifiche alla legge regionale 28 gennaio 2014, n. 5 “Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2014. Legge di stabilità regionale”. Disposizioni varie», come modificato dall’art. 14, comma 1, lettera a), della legge della Regione Siciliana 17 maggio 2016, n. 8 (Disposizioni per favorire l’economia. Norme in materia di personale. Disposizioni varie).

 

La disposizione censurata riguarda il «trattamento economico complessivo dei dipendenti, anche con qualifica dirigenziale, e dei titolari di contratti di lavoro degli enti sottoposti a controllo e vigilanza della Regione, delle società a totale o maggioritaria partecipazione della Regione, che svolgono l’attività esclusivamente con affidamenti diretti della stessa Regione, nonché degli enti che, a qualunque titolo, ricevono trasferimenti o contributi a carico del bilancio della Regione». Tale trattamento non può superare l’importo di «100.000 euro annui lordi», che si discosta dal più favorevole limite di centosessantamila euro annui fissato per il «trattamento economico annuo complessivo fiscale dei dipendenti dell’Amministrazione regionale e degli enti del settore sanitario» (art. 13, comma 3, primo periodo, della legge reg. Siciliana n. 13 del 2014).

 

Tale disparità di trattamento ha generato i dubbi di legittimità costituzionale prospettati dal giudice a quo, in accoglimento delle eccezioni della parte ricorrente.

 

1.1.– Il rimettente denuncia, in primo luogo, la violazione del principio di eguaglianza (art. 3 Cost.).

 

Se, per il personale e i dirigenti «dipendenti direttamente dalla Regione siciliana e dagli enti del settore sanitario», il legislatore regionale ha fissato per un periodo di tempo circoscritto, prorogato per il triennio 2017-2019, il “tetto” retributivo di 160.000,00 euro annui, si rivela, per contro, «maggiormente penalizzante» il trattamento retributivo «dei dipendenti, anche di qualifica dirigenziale, degli enti sottoposti a controllo e vigilanza della Regione, delle società a totale o maggioritaria partecipazione della Regione, che svolgono l’attività esclusivamente con affidamenti diretti della stessa Regione, nonché degli enti che, a qualunque titolo, ricevono trasferimenti o contributi a carico del bilancio della Regione». Ancorato al limite, «decisamente inferiore», di 100.000,00 euro annui lordi «e senza alcuna previsione di temporaneità», il «trattamento deteriore» previsto «per i dipendenti degli enti sottoposti a controllo e vigilanza della Regione» sarebbe carente di ogni «ragione giustificatrice».

 

1.2.– La disciplina regionale, nell’imporre «la modificazione in peius del trattamento retributivo già in godimento al dirigente regionale» a prescindere dalla riduzione della quantità e della qualità del servizio prestato, si porrebbe in contrasto con l’art. 36, primo comma, Cost. e, in particolare, con i «principi di proporzionalità della retribuzione» e con quelli «di irriducibilità del trattamento economico a parità di qualità e quantità di lavoro prestato e in ipotesi di mobilità non volontaria». Il rimettente denuncia l’irragionevole preminenza attribuita alle esigenze di «contenimento della spesa pubblica» e osserva che la misura censurata, lungi dall’incidere soltanto «sulla fisiologica dinamica delle retribuzioni», determina la decurtazione del trattamento retributivo «senza alcun limite temporale».

 

1.3.– Sarebbe violato, infine, anche l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.

 

La determinazione del limite massimo del trattamento retributivo dei dipendenti regionali infrangerebbe il principio fondamentale – vincolante anche per le Regioni ad autonomia speciale in quanto tipico limite di diritto privato – che riserva alla contrattazione collettiva la disciplina del «trattamento economico dei dipendenti pubblici con rapporto di lavoro “privatizzato”».

 

2.– Occorre esaminare, preliminarmente, le eccezioni di inammissibilità formulate nell’atto di intervento.

 

Esse sono fondate, nei termini e nei limiti che saranno di séguito esposti.

 

3.– L’interveniente ha eccepito innanzitutto l’inammissibilità delle censure di violazione dell’art. 117 Cost., in quanto generiche. Esse, peraltro, non sarebbero state reiterate nel dispositivo dell’ordinanza di rimessione.

 

L’eccezione non è fondata.

 

È ininfluente che il giudice a quo non menzioni anche nel dispositivo l’art. 117 Cost. e che non individui in termini circostanziati il comma che assume sia violato. Rileva, piuttosto, che la questione, nel contesto della motivazione, risulti chiaramente enunciata e sia corroborata da argomenti idonei a farne cogliere il senso.

 

Dal tenore dell’ordinanza di rimessione si evince con sufficiente chiarezza che le censure si incentrano sulla violazione della competenza legislativa esclusiva dello Stato nella materia «ordinamento civile» (art. 117, secondo comma, lettera l, Cost.). Sono inequivocabili in tal senso – e sono avvalorati dalla giurisprudenza di questa Corte – i richiami all’esigenza di una disciplina uniforme delle regole fondamentali che attengono ai rapporti tra privati.

 

Tanto basta a ritenere che la questione sia stata posta anche in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.

 

4.– Il Presidente della Giunta regionale imputa inoltre al rimettente di non avere sperimentato una interpretazione adeguatrice della disposizione censurata e, anche da questo punto di vista, ha eccepito l’inammissibilità delle questioni proposte.

 

Neppure tale eccezione può essere accolta.

 

La disposizione censurata, nel fissare un limite retributivo invalicabile, presenta un dettato letterale univoco, che non si presta a una interpretazione costituzionalmente orientata. Né l’interveniente si fa carico di indicare l’interpretazione alternativa, idonea a porre rimedio al vulnus denunciato.

 

5.– L’esame del merito è, tuttavia, precluso da altre ragioni di inammissibilità, relative alla carente ricostruzione del quadro normativo di riferimento, sotto un triplice, concorrente, profilo, che investe aspetti decisivi della vicenda controversa.

 

5.1.– Il rimettente trascura di ricostruire in maniera adeguata la normativa statale che regola il limite alle retribuzioni nel settore pubblico e di valutarne l’incidenza sull’ordinamento delle Regioni.

 

L’art. 1, comma 475, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2014)», prescrive alle Regioni, entro sei mesi dalla sua entrata in vigore (1° gennaio 2014), di adeguare i propri ordinamenti al limite sancito per le retribuzioni a carico della finanza pubblica. Tale limite è commisurato alla retribuzione spettante al primo presidente della Corte di cassazione.

 

L’art. 13, comma 3, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66 (Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale), convertito, con modificazioni, nella legge 23 giugno 2014, n. 89, specifica che le Regioni si devono adeguare, entro sei mesi, al nuovo limite retributivo fissato dal comma 1. Tale limite, pur sempre ragguagliato alla retribuzione del primo presidente della Corte di cassazione, è ora stabilito nell’importo fisso di 240.000,00 euro annui, «al lordo dei contributi previdenziali ed assistenziali e degli oneri fiscali a carico del dipendente».

 

Questa Corte ha chiarito che l’imposizione di un limite alle retribuzioni a carico delle finanze pubbliche, proprio perché finalizzata a contenere e a razionalizzare la spesa, si atteggia come principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica e presuppone misure uniformi sull’intero territorio nazionale (sentenze n. 124 del 2017 e n. 153 del 2015).

 

Il rimettente mostra di non considerare l’obbligo di adeguamento che grava sulle Regioni, anche solo per escluderne la pertinenza nel caso di specie.

 

5.2.– Il giudice a quo, inoltre, omette di vagliare l’eventuale rilevanza dell’art. 13, comma 3-bis, della legge reg. Siciliana n. 13 del 2014, che impone di rinegoziare i contratti con una retribuzione superiore al limite di legge e, nel caso di mancato accordo, di provvedere a una «risoluzione unilaterale».

 

Su tale soluzione consensuale, originariamente prevista dall’art. 13, comma 11, della legge della Regione Siciliana 17 marzo 2016, n. 3 (Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2016. Legge di stabilità regionale) e poi ribadita e precisata dall’art. 14, comma 1, lettera b), della legge reg. Siciliana n. 8 del 2016, il rimettente non si sofferma, anche solo per negare che venga in rilievo nella vicenda sottoposta al suo esame.

 

Tale lacuna non concerne soltanto la ponderazione del quadro normativo di riferimento, ma si riverbera anche sull’adeguatezza della descrizione della fattispecie concreta e della motivazione in punto di rilevanza.

 

5.3.– La motivazione sulla non manifesta infondatezza incorre in evidenti profili di inammissibilità anche con riguardo a un punto di importanza cruciale, che verte sulla durata delle misure di contenimento della spesa.

 

Le censure muovono dalla premessa che, per i dipendenti degli enti sottoposti a controllo e a vigilanza della Regione, il “tetto” retributivo operi senza alcuna limitazione di tempo e si risolva, di conseguenza, in un sacrificio insostenibile.

 

Tale premessa, che condiziona l’intero percorso argomentativo dell’ordinanza di rimessione, non può essere condivisa.

 

L’art. 1, comma 3, della legge della Regione Siciliana 29 dicembre 2016, n. 28 (Autorizzazione all’esercizio provvisorio del bilancio della Regione per l’anno 2017. Disposizioni finanziarie), proroga per il triennio 2017-2019 tutte le misure di contenimento della spesa, con riguardo sia al “tetto” pensionistico (art. 13, comma 2, della legge reg. Siciliana n. 13 del 2014) sia a quello retributivo (art. 13, comma 3, della legge reg. Siciliana n. 13 del 2014), in tutte le sue articolazioni.

 

L’art. 13, comma 3, della legge reg. Siciliana n. 13 del 2014, difatti, è richiamato nella sua interezza, senza alcuna distinzione tra le diverse fattispecie e senza alcuna esclusione del meno favorevole limite retributivo già introdotto dall’art. 14, comma 1, lettera a), della legge reg. Siciliana n. 8 del 2016. Anche tale limite, dunque, è assoggettato a precisi requisiti temporali e la sua efficacia è destinata a cessare allo spirare del triennio 2017-2019.

 

Il rimettente, pur menzionando l’art. 1, comma 3, della legge reg. Siciliana n. 28 del 2016, non ne approfondisce tutte le implicazioni e ipotizza che, solo per i dipendenti dell’amministrazione regionale e degli enti del settore sanitario, la limitazione delle retribuzioni sia circoscritta nel tempo. Nondimeno, a sostegno della citata interpretazione restrittiva, contraddetta dal chiaro tenore testuale della disciplina, il giudice a quo non indica argomenti di sorta.

 

L’erroneità della premessa argomentativa delle censure si riflette sulla motivazione in punto di non manifesta infondatezza e si risolve, pertanto, in una ulteriore ragione di inammissibilità.

 

6.– I profili illustrati concorrono a rendere inammissibili tutte le questioni sollevate.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 3, secondo periodo, della legge della Regione Siciliana 11 giugno 2014, n. 13, recante «Variazioni al bilancio di previsione della Regione per l’esercizio finanziario 2014 e modifiche alla legge regionale 28 gennaio 2014, n. 5 “Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2014. Legge di stabilità regionale”. Disposizioni varie», come modificato dall’art. 14, comma 1, lettera a), della legge della Regione Siciliana 17 maggio 2016, n. 8 (Disposizioni per favorire l’economia. Norme in materia di personale. Disposizioni varie), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 36, primo comma, e 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Siracusa, in funzione di giudice del lavoro, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 ottobre 2020.

 

F.to:

 

Mario Rosario MORELLI, Presidente

 

Silvana SCIARRA, Redattore

 

Filomena PERRONE, Cancelliere

 

Depositata in Cancelleria il 4 dicembre 2020.