Sentenza n. 206 del 2020

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SENTENZA N. 206

 

ANNO 2020

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

 

Presidente: Mario Rosario MORELLI;

 

Giudici: Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 23, comma 1, lettera a), della legge della Regione Toscana 25 marzo 2015, n. 35 (Disposizioni in materia di cave. Modifiche alla l.r. 104/1995, l.r. 65/1997, l.r. 78/1998, l.r. 10/2010 e l.r. 65/2014), promosso dal Tribunale amministrativo regionale per la Toscana nel procedimento vertente tra la Escavazione Marmi Lorano II srl e il Comune di Carrara, con ordinanza del 23 aprile 2019, iscritta al n. 136 del registro ordinanze 2019 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 38, prima serie speciale, dell’anno 2019.

 

Visti l’atto di costituzione della Escavazione Marmi Lorano II srl, nonché l’atto di intervento della Regione Toscana;

 

udito nell’udienza pubblica dell’8 settembre 2020 il Giudice relatore Augusto Antonio Barbera;

 

uditi gli avvocati Giuseppe Morbidelli e Riccardo Diamanti per la Escavazione Marmi Lorano II srl e l’avvocato Marcello Cecchetti per la Regione Toscana;

 

deliberato nella camera di consiglio dell’8 settembre 2020.

 

 

Ritenuto in fatto

 

1.– Con ordinanza del 23 aprile 2019 (r.o. n. 136 del 2019), il Tribunale amministrativo regionale per la Toscana ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 23, comma 1, lettera a), della legge della Regione Toscana 25 marzo 2015, n. 35 (Disposizioni in materia di cave. Modifiche alla l.r. 104/1995; l.r. 65/1997, l.r. 78/1998, l.r. 10/2010 e l.r. 65/2014) in riferimento all’art. 3 della Costituzione.

 

La disposizione censurata prevede che l’impresa autorizzata all’esercizio di attività estrattiva nelle cave debba richiedere una nuova autorizzazione a seguito di una variazione, rispetto all’originario progetto di coltivazione del sito, che comporti un «ampliamento delle volumetrie di scavo eccedenti il limite massimo di 1.000 metri cubi».

 

2.– Il giudizio principale è stato promosso da Escavazioni Marmi Lorano II srl, titolare di autorizzazione all’estrazione di materiale lapideo nel distretto delle Alpi Apuane.

 

Detta società aveva dapprima impugnato innanzi al TAR Toscana l’ordinanza del 27 luglio 2018, n. prot. 59205, con la quale il Comune di Carrara le aveva ordinato la sospensione dei lavori, contestandole di aver svolto attività di escavazione in difformità dall’autorizzazione rilasciata, in particolare ampliando le proprie volumetrie di scavo in misura eccedente il limite normativo di 1.000 metri cubi; quindi, poiché l’amministrazione aveva revocato tale atto – ritenuta l’applicabilità al caso di specie dell’art. 58-bis della legge reg. Toscana n. 35 del 2015, nel frattempo entrato in vigore – ed emesso il 27 novembre 2018 una nuova ordinanza di sospensione dei lavori (n. prot. 91001) del 27 novembre 2018, la citata società aveva impugnato quest’ultima con ricorso per motivi aggiunti.

 

3.– In ordine alla rilevanza della questione, il TAR Toscana ha osservato che il provvedimento impugnato si fonda sul superamento, da parte della ricorrente, del limite quantitativo di tolleranza negli scavi.

 

3.1.– Quanto, invece, alla non manifesta infondatezza, il rimettente ha sostenuto che la determinazione di un limite massimo di volumetria, entro cui considerare tollerabile il margine di aumento del volume delle escavazioni, a prescindere dalle dimensioni della cava in cui esso è realizzato, violerebbe il principio di uguaglianza, comportando l’identico trattamento di fattispecie diverse fra loro.

 

Infatti, dopo aver premesso in fatto che «il lavoro di escavazione del marmo non è esattamente programmabile a priori», il TAR Toscana ha rilevato che il margine stabilito dal legislatore «può essere sufficiente ad affrontare gli imprevisti in una cava di dimensioni modeste», ma in una di fronte particolarmente esteso il limite potrebbe essere superato «per fatti anche non addebitabili all’escavatore»; di qui la dedotta violazione, avuto vieppiù riguardo al fatto che al superamento del limite la stessa legge regionale ricollega la sanzione più grave della decadenza dall’autorizzazione.

 

3.2.– Più specificamente, il rimettente ha richiamato la giurisprudenza della Corte costituzionale, formatasi a partire dalla nota sentenza n. 53 del 1958, secondo la quale la parificazione di situazioni oggettivamente diverse costituisce violazione del principio di uguaglianza; mentre, per contro, siffatta violazione non esiste laddove una diversità di disciplina corrisponda ad una diversità di situazioni, fatto salvo il limite generale dei principi di proporzionalità e ragionevolezza (sentenze n. 79 del 2016 e n. 85 del 2013).

 

Da tanto il giudice a quo ha fatto conseguire una valutazione di irragionevolezza della norma, che – pur a fronte di cave diversamente dimensionate – prevede un limite generale di tolleranza nella difformità degli scavi espresso in termini quantitativi, «anziché in termini proporzionali alle dimensioni di ciascun sito estrattivo».

 

4.– Con atto depositato il 7 ottobre 2019 è intervenuta nel giudizio la Regione Toscana.

 

4.1.– In via preliminare, la Regione ha rilevato che successivamente al deposito dell’ordinanza di rimessione, la norma censurata è stata sostituita dall’art. 10, comma 1, della legge della Regione Toscana 5 agosto 2019, n. 56 (Nuove disposizioni in materia di cave. Modifiche alla l.r. 35/2015 e alla l.r. 65/2014); per effetto di tale modifica, il nuovo testo dell’art. 23, comma 1, lettera a), della legge Reg. Toscana n. 35 del 2015 prescrive il rilascio di nuova autorizzazione per il caso in cui vengano realizzate «difformità volumetriche, entro il dimensionamento autorizzato, eccedenti il 4,5 per cento delle volumetrie autorizzate qualora tali difformità risultino pari o superiori a 1.000 metri cubi e fermo restando il limite massimo di 9.500 metri cubi».

 

Su tale base ha chiesto che gli atti vengano restituiti al giudice a quo per la rivalutazione dei presupposti di rilevanza e non manifesta infondatezza della questione.

 

4.2.– Nel merito, la Regione ha in ogni caso dedotto l’infondatezza della questione di legittimità.

 

A tale riguardo, ha sostenuto che il rimettente avrebbe errato nell’interpretare la norma censurata come disposizione meramente indicativa di un "margine di tolleranza”, idoneo a consentire alle imprese di escavazione le variazioni in aumento delle volumetrie autorizzate, senza attendere i tempi di un nuovo procedimento amministrativo.

 

La norma andrebbe invece interpretata nel solco della regola affermata dall’art. 17 della legge reg. Toscana n. 35 del 2015, che sancisce il ruolo centrale del «progetto di coltivazione» consegnato al Comune per l’autorizzazione, e nel quale sono indicati i metodi adottati, le specifiche di dimensionamento spazio-temporale dei lavori di scavo, l’analisi di stabilità geologica ed ogni altro dato necessario a valutare la compatibilità dell’attività svolta con il territorio, in tutti i suoi molteplici aspetti (ambientale, paesaggistico, idrogeologico e di sicurezza dei luoghi).

 

In tal senso, la previsione censurata costituirebbe un’eccezione alla necessità di autorizzazione ex ante, perché riafferma l’inammissibilità di coltivazioni di cava in ambiti non previamente sottoposti alle valutazioni ed autorizzazioni prescritte, se non per ipotesi circoscritte di minore entità, fra le quali l’aumento del volume di scavo contenuto nel limite di 1.000 metri cubi.

 

Ciò posto, e ritenuta altresì la finalità deterrente della norma censurata, in quanto presupposto per l’applicazione del regime sanzionatorio in materia di attività estrattiva, la Regione ha concluso osservando che la stessa si sottrae ad ogni sindacato di legittimità costituzionale sotto il profilo della ragionevolezza, poiché il perimetro della condotta punibile e la gravità della risposta sanzionatoria costituiscono espressione della discrezionalità del legislatore nel perseguimento di un obiettivo di tutela dell’ambiente, in termini che prescindono dal dimensionamento del sito estrattivo.

 

5.– Con atto depositato l’8 ottobre 2019, si è costituita la ricorrente nel giudizio principale Escavazione Marmi Lorano II srl.

 

5.1.– Ricostruite le vicende processuali anteriori all’avvio del giudizio di legittimità, anche la società interveniente ha fatto cenno al mutamento del quadro normativo, dichiarandosi «soddisfatta della modifica legislativa intervenuta»; tuttavia, ritenuta l’irretroattività della nuova disciplina, ha dichiarato di rimettersi «al prudente apprezzamento della Corte, in merito alla valutazione sul superamento o meno della questione d’illegittimità costituzionale sollevata ad opera della citata novella legislativa».

 

5.2.– Quanto al merito della questione, la società ha poi aderito alla richiesta di declaratoria di illegittimità della norma censurata, evidenziando l’opportunità di estenderla all’art. 58-bis della legge reg. Toscana n. 35 del 2015, ove continua ad essere indicato un margine di tolleranza in misura fissa e non proporzionale alla dimensione complessiva del sito estrattivo.

 

5.3.– In pari data la stessa ricorrente nel giudizio principale ha depositato un atto denominato "memoria di costituzione con nomina di nuovi difensori in aggiunta a quelli già costituiti”, nel quale ha svolto considerazioni inerenti alla possibile contrarietà della norma censurata a parametri costituzionali diversi ed ulteriori rispetto a quello indicato nell’ordinanza di rimessione.

 

5.4.– Infine, il 17 agosto 2020 la medesima società ricorrente nel giudizio principale ha depositato memoria integrativa con la quale ha ribadito le proprie argomentazioni difensive.

 

Considerato in diritto

 

1.– Il Tribunale amministrativo regionale per la Toscana dubita della legittimità costituzionale dell’art. 23, comma 1, lettera a), della legge della Regione Toscana 25 marzo 2015, n. 35 (Disposizioni in materia di cave. Modifiche alla l.r. 104/1995, l.r. 65/1997, l.r. 78/1998, l.r. 10/2010 e l.r. 65/2014), in riferimento all’art. 3 della Costituzione.

 

La norma censurata prevede che l’impresa autorizzata all’esercizio di attività estrattiva nelle cave debba richiedere una nuova autorizzazione a seguito di una variazione, rispetto all’originario progetto di coltivazione del sito, che comporti un «ampliamento delle volumetrie di scavo eccedenti il limite massimo di 1.000 metri cubi».

 

1.1.– Secondo il rimettente, la disposizione violerebbe il principio di uguaglianza, e sarebbe altresì intrinsecamente irragionevole, poiché, nel prevedere un limite di tolleranza nella difformità degli scavi espresso in termini quantitativi fissi, anziché proporzionati alle dimensioni di ciascun sito estrattivo, assoggetterebbe ad identica disciplina fattispecie diverse fra loro, anche in considerazione del fatto che la stessa legge regionale prevede che il superamento di tale margine comporti la sanzione più grave della decadenza dall’autorizzazione.

 

2.– Ai fini dello scrutinio richiesto a questa Corte è necessario richiamare, nei suoi tratti salienti, il quadro normativo di riferimento, insieme agli antecedenti di fatto nel giudizio principale.

 

2.1.– Nel disciplinare l’esercizio dell’attività estrattiva, la legge reg. Toscana n. 35 del 2015 prevede che lo stesso sia «subordinato ad autorizzazione del comune» (art. 16, comma 1) e che la relativa domanda sia corredata, fra l’altro, da un «progetto di coltivazione», che indichi anche le «tipologie ed i quantitativi dei materiali da estrarre» (art. 17, comma 1, lettera c, numero 3); il contenuto di tale progetto costituisce l’oggetto dell’autorizzazione (art. 18).

 

Per le ipotesi nelle quali il titolare intenda introdurre varianti al progetto autorizzato, l’art. 23 consente il ricorso a segnalazione certificata di inizio attività (comma 2), fatti salvi alcuni casi nei quali, per la rilevanza della variante, è richiesto il rilascio di una nuova autorizzazione (comma 1).

 

Rientra in tali casi la fattispecie prevista dalla norma censurata, che concerne la variazione in aumento del volume di scavo, prescrivendo – per l’appunto – che ove tale variazione superi il margine di 1.000 metri cubi sia necessario ottenere una nuova autorizzazione.

 

2.2.– Ai fini che qui vengono in rilievo, detta ultima previsione non può essere letta disgiuntamente da quella di cui all’art. 21 della legge reg. Toscana n. 35 del 2015, che – per il caso di «realizzazione di interventi in difformità dal progetto autorizzato che comportino varianti sostanziali di cui all’articolo 23, comma 1» (comma 1, lettera d) – dispone l’adozione, da parte del comune, del «provvedimento di sospensione dell’autorizzazione» (comma 1), da notificarsi al trasgressore con l’indicazione dei termini entro cui provvedere a presentare le eventuali controdeduzioni (comma 2); il successivo comma 3 prevede, infine, che, ove «non ritenga meritevoli di accoglimento le controdeduzioni o queste non siano state presentate entro il medesimo termine, il comune adotta il provvedimento di decadenza» dall’autorizzazione stessa.

 

2.3.– Il giudizio principale prende avvio in tale contesto normativo.

 

Riferisce infatti il rimettente che, all’esito dell’accertamento di lavorazioni quantitativamente difformi dal «progetto di coltivazione» autorizzato, in data 27 luglio 2018 il Comune di Carrara emise un’ordinanza con la quale sospendeva l’autorizzazione già rilasciata ad Escavazione Marmi Lorano II srl.

 

La società aveva impugnato detta ordinanza con ricorso davanti al TAR Toscana.

 

2.4.– L’ordinanza impugnata era stata tuttavia revocata dal citato Comune con provvedimento del 30 ottobre 2018, a seguito dell’intervenuta modifica della normativa applicabile.

 

L’art. 1, comma 1, della legge della Regione Toscana 2 ottobre 2018, n. 54, recante «Modifiche alla legge regionale 25 marzo 2015, n. 35 (Disposizioni in materia di cave. Modifiche alla l.r. 104/1995, l.r. 65/1997, l.r. 78/1998, l.r. 10/2010 e l.r. 65/2014)», aveva infatti inserito, nella legge reg. Toscana n. 35 del 2015, l’art. 58-bis.

 

2.5.– Quest’ultima previsione era stata introdotta in quanto – come evincibile dal preambolo della legge di modifica – i controlli effettuati dai Carabinieri forestali della Toscana nelle cave del distretto apuo-versiliese avevano rilevato aumenti di scavo per quantitativi idonei a dar luogo alla decadenza dalle autorizzazioni rilasciate; tali condotte non erano però state contestate alle imprese da alcuni comuni del distretto, i quali, nel verificare se fosse stato o meno superato il margine di 1.000 metri cubi di cui all’art. 23, non tenevano conto degli scavi effettuati al di fuori del perimetro di cui al «progetto di coltivazione», ma che rimanevano comunque all’interno della più ampia area a disposizione del gestore.

 

Questa interpretazione aveva ingenerato l’affidamento degli operatori in ordine alla conformità volumetrica dell’attività di escavazione, rendendo perciò necessario un intervento normativo che, nel fornire espressamente una più rigorosa definizione del perimetro estrattivo in termini corrispondenti a quello del «progetto di coltivazione», prevedesse tuttavia anche un periodo transitorio di adeguamento, durante il quale veniva esclusa l’immediata applicazione della più grave misura sanzionatoria.

 

2.6.– A questo scopo, l’art. 58-bis della legge reg. Toscana n. 35 del 2015, rubricato «Disposizioni transitorie per il sanzionamento di difformità volumetriche sino all’approvazione dei piani attuativi dei bacini estrattivi delle Alpi Apuane» dispone, al comma 1, che «[F]ino all’approvazione dei piani attuativi previsti dall’articolo 113 della L.R. 65/2014 e comunque non oltre la data del 31 dicembre 2019, qualora il titolare di un’autorizzazione in corso di validità abbia realizzato una difformità volumetrica superiore ai 1000 metri cubi rispetto al progetto di coltivazione autorizzato, ma comunque all’interno dell’area in disponibilità a destinazione estrattiva, il comune ordina la cessazione immediata dell’attività nell’area oggetto della difformità e la presentazione di una perizia giurata», ove si attesti che le difformità sono state realizzate in epoca anteriore al 25 ottobre 2018, data di entrata in vigore della legge stessa.

 

Con il medesimo provvedimento, il Comune ordina «altresì la presentazione e realizzazione di un progetto di messa in sicurezza e risistemazione ambientale dell’area che tenga conto degli impatti complessivi derivanti dalle lavorazioni difformi».

 

Il comma successivo dispone che l’autorizzazione resti sospesa sino all’approvazione del progetto e al completamento delle opere di messa in sicurezza dell’area, ma che tali adempimenti, ove intervenuti nei termini prescritti, determinino l’applicazione di una sola sanzione pecuniaria; la più grave sanzione della decadenza dall’autorizzazione è infatti prevista, in base al comma 3, per la diversa ipotesi in cui «il titolare non ottemperi agli obblighi stabiliti con l’ordinanza», ovvero «nel caso in cui, a seguito di nuovo accertamento, venga rilevata una ulteriore difformità».

 

2.7.– In conformità a tali previsioni, in data 27 novembre 2018 il Comune di Carrara aveva dunque ordinato alla società ricorrente nel giudizio principale di sospendere le attività estrattive e di produrre, entro novanta giorni, la perizia giurata ed il progetto di messa in sicurezza e risistemazione ambientale dell’area previsti dal predetto art. 58-bis.

 

Quest’ultima ordinanza è stata oggetto di impugnazione con motivi aggiunti nel ricorso principale.

 

3.– Tale essendo il quadro normativo di riferimento nel contesto del giudizio principale, la questione sollevata dal TAR Toscana è inammissibile per errata individuazione della norma applicabile (aberratio ictus).

 

3.1.– Il rimettente, infatti, pur rilevando espressamente che la prima ordinanza del Comune di Carrara, fondata sulla violazione dell’art. 23 della legge reg. Toscana n. 35 del 2015, è stata revocata e sostituita da una nuova ordinanza, che trova fondamento nella distinta previsione di cui all’art. 58-bis della stessa legge, rivolge le sue censure unicamente nei confronti della prima norma.

 

3.2.– Secondo il costante orientamento di questa Corte, nei giudizi incidentali ricorre l’inammissibilità della questione per aberratio ictus ogni qual volta le doglianze del giudice rimettente investono una disposizione diversa da quella effettivamente applicabile nel giudizio a quo (fra le altre, sentenze n. 15 del 2020 e n. 109 del 2019): la questione, in tali casi, è irrilevante, poiché, quale che sia la pronunzia nel merito in relazione alle censure prospettate, il giudizio a quo resterebbe definito da norme contenute in disposizioni diverse.

 

3.3.– Nel caso di specie, la diversità fra la norma censurata e quella applicata nel giudizio principale si coglie anzitutto dalla disamina delle condotte che, nelle rispettive previsioni, impongono il rilascio di una nuova autorizzazione; l’art. 23, infatti, prende in considerazione tutti gli aumenti volumetrici di scavo effettuati dall’impresa autorizzata, mentre, come si è detto, l’art. 58-bis, pur richiamando lo stesso limite di volume, riguarda i soli aumenti realizzati mediante scavi esterni al perimetro del «progetto di coltivazione», ma compresi nell’area in disponibilità a destinazione estrattiva, ed entro il citato limite temporale del 25 ottobre 2018.

 

3.4.– Inoltre, e ciò che più conta, tale distinzione si riverbera nella diversità del procedimento amministrativo che prende avvio dall’applicazione dell’una norma piuttosto che dell’altra.

 

Come è stato illustrato nel punto 2.2, infatti, il superamento del margine di scavo di cui all’art. 23 comporta l’immediata sospensione dell’attività e l’avvio di un procedimento volto all’adozione della sanzione della decadenza, previo contraddittorio con l’impresa che viene invitata a presentare le proprie controdeduzioni.

 

Invece, il riscontro di una fattispecie riconducibile alla previsione di cui all’art. 58-bis, che nella prospettazione dell’ordinanza di rimessione scherma l’art. 23, comporta che l’impresa cessi provvisoriamente l’attività, provvedendo al contempo ad alcuni adempimenti che, ove tempestivi ed approvati, ne consentano la prosecuzione con l’applicazione della sola sanzione pecuniaria.

 

Ciò, del resto, chiarisce il motivo per il quale il Comune di Carrara si era determinato a revocare la prima ordinanza emanata nei confronti dell’impresa ricorrente.

 

Della norma su cui si fonda la seconda ordinanza del medesimo Comune, oggetto di ricorso per motivi aggiunti ed in relazione alla quale pende il contenzioso, non vi è traccia nell’ordinanza di rimessione, che, pertanto, non chiarisce il profilo della perdurante rilevanza dell’art. 23.

 

4.– Peraltro la norma censurata è stata modificata, successivamente all’ordinanza di rimessione, dalla legge della Regione Toscana 5 agosto 2019, n. 56 (Nuove disposizioni in materia di cave. Modifiche alla l.r. 35/2015 e alla l.r. 65/2014), che, all’art. 10, comma 1, stabilisce un margine di tolleranza espresso in termini proporzionati alle dimensioni dell’area di scavo, nel senso prospettato dallo stesso rimettente.

 

Tuttavia, detta modifica non ha inciso sul contenuto dell’art. 58-bis (eccetto che per profili che qui non rilevano); essa, pertanto, non viene in considerazione in questa sede come possibile jus superveniens, poiché non riguarda la norma destinata a definire il giudizio principale.

 

5.– L’errata individuazione della disposizione applicabile al giudizio principale costituisce ragione decisiva di inammissibilità della questione proposta.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 23, comma 1, lettera a), della legge della Regione Toscana 25 marzo 2015, n. 35 (Disposizioni in materia di cave. Modifiche alla l.r. 104/1995, l.r. 65/1997, l.r. 78/1998, l.r. 10/2010 e l.r. 65/2014), sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Tribunale Amministrativo Regionale per La Toscana con l’ordinanza indicata in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’8 settembre 2020.

 

F.to:

 

Mario Rosario MORELLI, Presidente

 

Augusto Antonio BARBERA, Redattore

 

Filomena PERRONE, Cancelliere

 

Depositata in Cancelleria il 25 settembre 2020.