Sentenza n. 177 del 2020

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SENTENZA N. 177

ANNO 2020

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Marta CARTABIA;

Giudici: Aldo CAROSI, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 2; 2, comma 1; 4; 5; 6, commi 1 e 2, lettere h) e k); 7; 9, commi 1 e 2, lettere d) ed e); 10, commi 1 e 2; 13; 16, commi 1 e 3; 17, comma 2, e 20, commi 2 e 3, della legge della Regione Puglia 28 marzo 2019, n. 14 (Testo unico in materia di legalità, regolarità amministrativa e sicurezza), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso spedito per la notificazione il 30 maggio 2019, depositato in cancelleria il 4 giugno 2019, iscritto al n. 64 del registro ricorsi 2019 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 28, prima serie speciale, dell’anno 2019.

Visto l’atto di costituzione della Regione Puglia;

udito il Giudice relatore Franco Modugno ai sensi del decreto della Presidente della Corte del 20 aprile 2020, punto 1) lettere a) e c), in collegamento da remoto, senza discussione orale, in data 10 giugno 2020;

deliberato nella camera di consiglio del 23 giugno 2020.

Ritenuto in fatto

1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con ricorso notificato il 30 maggio 2019 e depositato il successivo 4 giugno, iscritto al n. 64 del reg. ric. 2019, ha promosso questione di legittimità in via principale degli artt. 1, comma 2; 2, comma 1; 4; 5; 6, commi 1 e 2, lettere h) e k); 7; 9, commi 1 e 2, lettere d) ed e); 10, commi 1 e 2; 13; 16, commi 1 e 3; 17, comma 2, e 20, commi 2 e 3, della legge della Regione Puglia 28 marzo 2019, n. 14 (Testo unico in materia di legalità, regolarità amministrativa e sicurezza), per violazione dell’art. 117, commi secondo, lettere g), h) e l), e terzo, della Costituzione.

1.1.– In premessa, il ricorrente afferma che non intende porre in discussione la possibilità per la Regione Puglia di promuovere la cultura della legalità; ritiene però che le disposizioni impugnate sono suscettibili di interferire, in via diretta o potenziale, con le competenze legislative statali, nonché di compromettere la competenza statale riguardo al coordinamento fra Stato e Regioni in materia di ordine pubblico e sicurezza di cui all’art. 118, terzo comma, Cost. Richiama, in proposito, la sentenza di questa Corte n. 35 del 2012 nella parte in cui afferma che, benché la promozione della legalità non sia attribuzione monopolistica, «è tuttavia necessario che misure predisposte a tale scopo nell’esercizio di una competenza propria della Regione, per esempio nell’ambito dell’organizzazione degli uffici regionali, non costituiscano strumenti di politica criminale, né, in ogni caso, generino interferenze, anche potenziali, con la disciplina statale di prevenzione e repressione dei reati». Così, nella competenza regionale dovrebbero rientrare solo le attività strettamente riferibili alla polizia amministrativa regionale e locale e le attività di carattere conoscitivo e di studio inerenti alla prevenzione dei reati e al mantenimento dell’ordine pubblico. La disciplina statale sulla "sicurezza integrata”, di cui al decreto-legge 20 febbraio 2017, n. 14 (Disposizioni urgenti in materia di sicurezza delle città), convertito in legge 18 aprile 2017, n. 48, che attua l’art. 118, terzo comma, Cost., d’altra parte, stabilisce, all’art. 1, comma 2, che Stato, Regioni, Province autonome di Trento e Bolzano ed enti locali concorrono, ciascuno nell’ambito delle proprie competenze e responsabilità, alla promozione e all’attuazione di un sistema unitario e integrato di sicurezza per il benessere delle comunità territoriali.

2.– È impugnato l’art. 1, comma 2, della sopra indicata legge reg. Puglia n. 14 del 2019, poiché, prevedendo che la Regione «promuove e sostiene ogni intervento necessario per contrastare qualsiasi fenomeno di infiltrazione del crimine organizzato nel tessuto sociale ed economico regionale e rimuoverne le cause», ricondurrebbe o potrebbe ricondurre alla competenza regionale anche strumenti di politica criminale, proprio in forza della formulazione eccessivamente ampia e generica della disposizione. Alla stessa stregua, è censurato l’art. 2, comma 1, della stessa legge regionale, poiché, consentendo alla Regione di disciplinare «l’insieme delle azioni volte alla prevenzione e al contrasto non repressivo alla criminalità organizzata», in mancanza di una più puntuale definizione delle misure di cui la norma consente l’adozione, invaderebbe la competenza statale in materia di prevenzione dei reati.

3.– Parimente impugnati per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost. sono gli artt. 4 e 5 della legge reg. Puglia n. 14 del 2019, costituendo sostanzialmente strumenti di attuazione delle finalità generali della legge enunciate negli articoli precedenti. In particolare, l’art. 4, ai commi 1 e 2, prevede che la Regione favorisce il metodo della «concertazione» tra le amministrazioni e gli altri soggetti impegnati nella promozione della sicurezza territoriale quale strumento strategico per la «programmazione e l’attuazione degli interventi»; l’art. 5 prevede l’adozione di un «Piano regionale integrato» quale strumento operativo per la programmazione degli interventi.

Secondo la difesa statale, essi invaderebbero, in via derivata, le competenze legislative statali.

4.– È poi impugnato l’art. 6, commi 1 e 2, lettera k), della legge reg. Puglia n. 14 del 2019 per contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettere h) e l), Cost.; nello svolgimento degli argomenti a sostegno delle censure, l’Avvocatura generale dello Stato espone pure motivi d’impugnazione dell’art. 6, comma 2, lettera h), della legge regionale, benché ciò non risulti dal titolo del paragrafo che contiene le censure medesime.

L’art. 6, al comma 1, prevede che «la Regione, per promuovere e coordinare le iniziative di cui alla presente legge, promuove la costituzione della "Fondazione antimafia sociale - Stefano Fumarulo”, per il contrasto non repressivo alla criminalità organizzata e per contrastare i tentativi di infiltrazione mafiosa nel tessuto sociale ed economico» e, al comma 2, disciplina le funzioni della Fondazione. Le censure sono rivolte alle previsioni secondo cui la "Fondazione antimafia sociale - Stefano Fumarulo” «h) propone azioni idonee a rafforzare gli interventi di prevenzione e contrasto, con particolare attenzione alle misure per la trasparenza nell’azione amministrativa e nel settore dei servizi, lavori e forniture e nel settore edile e delle costruzioni a committenza sia pubblica sia privata, attraverso l’attività dell’Osservatorio legalità che monitora il fenomeno del crimine mafioso e organizzato nel territorio regionale, di cui all’articolo 7» e «k) predispone, d’intesa con l’Agenzia dei beni confiscati, la banca dati dei beni confiscati alla criminalità organizzata esistenti sul territorio regionale, accessibile a tutti; nella banca dati devono essere individuati, attraverso la georeferenziazione, tutti i beni ed evidenziate, oltre alle generalità del soggetto destinatario della confisca, anche la natura, l’estensione, il valore, la destinazione d’uso dei singoli beni. In caso di concessione del bene a terzi, indipendentemente dalla finalità perseguita, nella banca dati devono essere inseriti anche i dati identificativi del terzo concessionario, la descrizione della tipologia dell’attività svolta sul bene, gli estremi dell’atto di concessione, la durata e la data di scadenza».

4.1.– L’Avvocatura generale ritiene che tali attività siano da ricomprendere nell’ambito della politica criminale sottratta alla competenza del legislatore regionale. Il fatto che le funzioni dell’ente siano enunciate nel comma 1 in termini così ampi e generici non eviterebbe, «anzi essenzialmente determina», il vizio d’illegittimità derivante dalla, anche solo potenziale, invasione delle competenze ex art. 117, secondo comma, lettera h), Cost. La difesa statale sottolinea, peraltro, che la legge regionale non specifica quale sia la natura giuridica della Fondazione, se si tratta di un ente pubblico o di fondazione giuridica privata. Quanto all’art. 6, comma 2, lettera h), il ricorrente sostiene che non vi sia dubbio che la proposta di azioni idonee al rafforzamento della prevenzione del crimine organizzato invada in modo immediato le competenze riservate allo Stato ex art. 117, secondo comma, lettera h), Cost.

Quanto all’art. 6, comma 2, lettera k), l’Avvocatura generale afferma che la predisposizione di una banca dati dei beni confiscati alla criminalità organizzata esistenti sul territorio regionale, accessibile a tutti, sovrapponendosi alla struttura operante presso l’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni confiscati alle mafie (ANBSC), rappresenterebbe una violazione di particolare rilievo «in quanto è pacifico che la prevenzione della criminalità organizzata compete allo Stato ex art. 117 c. 2 lett. h), ed è stata disciplinata, essenzialmente, dal codice antimafia (d.lgs. 159/2011)». Precisa, inoltre, che il decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136) ha imposto l’adozione di un sistema informativo funzionale al raccordo tra i soggetti che partecipano alla gestione e destinazione dei beni sottoposti a confisca. Così, dapprima il d.P.R. 15 dicembre 2011, n. 233 (Regolamento recante la disciplina sui flussi informativi necessari per l’esercizio dei compiti attribuiti all’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, nonché delle modalità delle comunicazioni, da effettuarsi per via telematica, tra l’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata e l’autorità giudiziaria, a norma dell’articolo 113, comma 1, lettera c, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159) ha attuato le previsioni del citato d.lgs. n. 159 del 2011 disciplinando i flussi informativi necessari per l’esercizio dei compiti dell’ANBSC; poi l’Agenzia si è dotata materialmente, nel 2013, della banca dati "ReGIO”, connessa con i sistemi informativi del Ministero della giustizia. La piattaforma è stata nel tempo arricchita, divenendo "OpenReGIO” e acquisendo nuove funzionalità. In linea con il principio dell’amministrazione aperta, anche l’ANBSC sta operando per la pubblicazione "open data” del proprio patrimonio informativo ostensibile. L’Avvocatura sostiene, allora, la «evidente sovrapposizione della ipotizzata banca dati regionale a quanto le norme statali e l’azione amministrativa dell’ANBSC prevedono e attuano», poiché «la banca dati dei beni confiscati costituisce uno strumento indispensabile per l’efficiente e, in particolare, unitario svolgimento dei compiti dell’ANBSC e degli altri soggetti istituzionali (autorità giudiziaria, prefetture, enti locali) preposti ad applicare il codice antimafia». Inoltre, tornando sull’impossibilità di ricostruire con certezza la natura giuridica della Fondazione in esame, la difesa statale aggiunge che non è immaginabile che l’individuazione, gestione e destinazione dei beni confiscati alle mafie siano condivise con privati.

La violazione del riparto di competenze in materia di ordine pubblico e sicurezza sarebbe, infine, di tutta evidenza, sostiene la difesa erariale, nella prevista menzione, nella banca dati, delle «generalità del soggetto destinatario della confisca». Oltre a violare l’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost. sotto il profilo della sovrapposizione alle funzioni degli enti locali previste dall’art. 48, comma 3, lettera c), del d.lgs. n. 159 del 2011, secondo cui gli enti territoriali destinatari di beni confiscati debbono rendere pubblico un elenco recante i dati concernenti la consistenza, la destinazione e l’utilizzazione dei beni, la disposizione censurata confliggerebbe anche con l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. «nella parte in cui, attribuendo alla legislazione statale esclusiva la disciplina dell’ordinamento civile, attribuisce a tale competenza esclusiva la disciplina sulla tutela dei dati personali». «La pubblicazione accessibile a tutti, nella ipotizzata banca dati regionale, delle generalità del soggetto destinatario della confisca, incide infatti, palesemente, sulla tutela di dati personali (per giunta, di natura "sensibile”), dei quali viene prevista la indiscriminata divulgazione», conclude sul punto la difesa dello Stato.

5.– Con successiva censura, s’impugna l’art. 7 della legge regionale pugliese, che istituisce l’"Osservatorio legalità” in seno alla Fondazione di cui al precedente art. 6. Il testo stabilisce che «1. La Fondazione di cui all’articolo 6 istituisce, quale struttura interna, l’Osservatorio legalità. 2. L’Osservatorio è composto da sette componenti: a) cinque componenti, di cui due in rappresentanza delle minoranze consiliari, nominati dal Consiglio regionale; b) un componente designato dal direttore dell’Ufficio scolastico regionale, in rappresentanza delle istituzioni scolastiche; c) un componente designato dall’assessore regionale competente, in rappresentanza del mondo delle associazioni che svolgono attività di educazione alla legalità e contrasto alla criminalità. 3. I componenti dell’Osservatorio devono essere soggetti di riconosciuta esperienza nel campo del contrasto dei fenomeni di stampo mafioso e della criminalità organizzata sul territorio pugliese nonché della promozione della legalità e della trasparenza e assicurare indipendenza di giudizio e azione rispetto alla pubblica amministrazione e alle organizzazioni politiche. Non possono far parte dell’Osservatorio e, se già nominati decadono, coloro i quali siano stati condannati, anche con sentenza non definitiva, per i reati previsti nei titoli II e III del libro secondo del codice penale. 4. L’Osservatorio è organismo consultivo in materia di contrasto e di prevenzione dei fenomeni di criminalità organizzata e di stampo mafioso, nonché di promozione della cultura della legalità, a supporto della Giunta regionale, della commissione consiliare competente, nonché degli altri organismi consiliari. 5. L’Osservatorio redige una relazione annuale sull’attività svolta da inviare al Presidente della Regione e al Presidente del Consiglio regionale. L’Osservatorio inoltre predispone documentazione, aperta alla fruizione dei cittadini, sui fenomeni connessi al crimine organizzato e mafioso, con specifico riguardo al territorio regionale, al fine di favorire iniziative di carattere culturale, per la raccolta di materiali e per la diffusione di conoscenze in materia mediante apposita pubblicazione sui siti internet della Regione e del Consiglio regionale. 6. L’incarico di componente dell’Osservatorio è svolto a titolo gratuito».

5.1.– La difesa statale sostiene che tale articolo violi, sia l’art. 117, secondo comma, lettera h), poiché l’organismo consultivo in materia di contrasto e di prevenzione della criminalità organizzata può sovrapporsi agli organismi statali preposti all’ordine e alla sicurezza pubblica, sia l’art. 117, secondo comma, lettera g), Cost., che riserva alla competenza esclusiva statale l’organizzazione degli organi dello Stato: esso prevede, infatti, la partecipazione all’Osservatorio di un componente designato dal direttore dell’Ufficio scolastico regionale. Per quanto concerne il primo profilo, secondo l’Avvocatura generale, «la genericità del riferimento ad ogni possibile azione di contrasto e di prevenzione dimostra il carattere invasivo della previsione qui impugnata, che potrebbe essere ricondotta a legittimità costituzionale solo se specificasse in modo chiaro e tassativo (il che non fa) gli ambiti in cui la Giunta e il Consiglio, e i loro eventuali organi di consulenza, possono intervenire»; per quanto riguarda il secondo profilo, la violazione della Costituzione deriverebbe dall’imposizione, da parte della legge regionale «unilateralmente», di «un obbligo di partecipazione ad un organismo regionale ad un organo statale quale l’Ufficio scolastico regionale».

6.– La difesa statale paventa pure l’incostituzionalità dell’art. 9, commi 1 e 2, lettere d) ed e), della legge reg. Puglia n. 14 del 2019 per contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost. Al comma 1 è previsto che «[l]a Regione Puglia valorizza il ruolo degli enti locali nel perseguimento degli obiettivi della presente legge e adotta specifiche iniziative per valorizzare e diffondere le migliori politiche locali per la trasparenza, la legalità e il contrasto al crimine organizzato e mafioso». Ancora, secondo l’Avvocatura, «la previsione che la Regione adotti "specifiche iniziative” volte ad attuare politiche locali di contrasto al crimine organizzato e mafioso implica […], per il suo carattere aperto e indeterminato, per lo meno la possibilità (si è visto in premessa che è sufficiente una interferenza anche meramente potenziale con le competenze statali) che la Regione adotti misure di carattere immediatamente organizzativo o operativo […]. Il che, con ogni evidenza, impinge nella competenza statale esclusiva in materia, e crea il pericolo, nella delicata materia, di interferenze e contrasti tra Stato e Regione». Quanto all’art. 9, comma 2, lettera d), l’Avvocatura generale dello Stato sostiene che esso invada la competenza statale in materia di ordine pubblico e sicurezza nella parte in cui prevede azioni della Regione nel campo dell’ulteriore uso sociale dei beni confiscati alla criminalità organizzata. Il d.lgs. n. 159 del 2011 già contiene, infatti, una esauriente disciplina della gestione e destinazione dei beni confiscati alle mafie, essendo perciò «evidente come manchi qualsiasi spazio per un intervento legislativo e amministrativo regionale». A sua volta, l’art. 9, comma 2, lettera e), che si riferisce all’«attuazione di iniziative di contrasto al gioco d’azzardo e alla proliferazione delle sale da gioco in aree sensibili delle città», invaderebbe secondo il ricorrente «un campo interamente e analiticamente disciplinato dalla legge statale, sempre in attuazione della competenza esclusiva ex art. 117 c. 2 lett. h), attesa la stretta correlazione intercorrente tra la disciplina del gioco d’azzardo e la prevenzione e repressione della criminalità organizzata».

6.1.– Il ricorso ripercorre la disciplina statale in materia di contrasto al gioco d’azzardo. Movendo dal regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza), passa in rassegna gli interventi di cui alla legge 23 dicembre 2005, n. 266, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2006)», alla legge 7 luglio 2009, n. 88 (Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee – Legge comunitaria), alla legge 13 dicembre 2010, n. 220, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2011)», al decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito in legge 15 luglio 2011, n. 111, sino a una più analitica disamina delle prescrizioni recate dal decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158 (Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute), convertito in legge 8 novembre 2012, n. 189, cosiddetto decreto Balduzzi, per concludere, sul punto, ricordando i successivi interventi di cui alla legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)» e l’Intesa concernente le caratteristiche dei punti di raccolta del gioco pubblico, raggiunta il 7 settembre 2017 in Conferenza Unificata Stato-Autonomie locali sulle Linee guida sulle caratteristiche dei punti vendita ove si svolge il gioco pubblico e la loro ricollocazione territoriale. «È quindi evidente», sostiene la difesa statale, «come la materia del gioco d’azzardo, dal punto di vista della sua connessione con l’ordine e la sicurezza pubblica, sia interamente disciplinata a livello statale, e come le forme di coordinamento gli enti territoriali si debbano concordare nella Conferenza unificata Stato-autonomie locali». «Ciò esclude ogni spazio per una legislazione regionale». Precisa, inoltre, che la Corte costituzionale ha ammesso interventi legislativi delle Regioni in materia di gioco d’azzardo soltanto sulla base della competenza legislativa regionale in materia sanitaria, quindi nel circoscritto ambito della prevenzione e cura delle ludopatie, intese come fenomeni patologici, ambito al quale l’intervento regionale in esame sarebbe invece del tutto estraneo (è richiamata la sentenza di questa Corte n. l08 del 2017, relativa alla legge regionale pugliese 13 dicembre 2013, n. 43).

7.– È successivamente impugnato l’art. 10, commi 1 e 2, della stessa legge regionale perché ritenuto contrastante con l’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., segnatamente per «la totale sovrapposizione di queste previsioni con quelle recate dall’art. 48 del codice antimafia». Le disposizioni impugnate prevedono: «1. La Regione Puglia promuove interventi per la valorizzazione e il riuso dei beni immobili e delle aziende confiscate alla criminalità organizzata e mafiosa allo scopo di trasformare i mezzi e i proventi dell'economia criminale in risorse per la coesione sociale della comunità, per la creazione di occupazione e per lo sviluppo sostenibile del territorio, attraverso: a) attività di assistenza tecnica agli enti locali assegnatari di tali beni e sostegno a progetti per il recupero e il riuso sociale dei beni e delle aziende confiscate; b) iniziative per la raccolta, la catalogazione e la diffusione delle informazioni relative ai beni confiscati immediatamente disponibili per progetti di riuso sociale; c) azioni di sensibilizzazione degli enti locali territoriali per incentivare il riuso sociale dei beni confiscati iscritti nel loro patrimonio anche attraverso la concessione a organizzazioni del terzo settore con bando di evidenza pubblica; promozione di interventi formativi sul tema del riuso sociale dei beni confiscati, destinati ad amministratori e dipendenti pubblici, operatori e aspiranti imprenditori sociali; d) promozione di eventi e iniziative per il coordinamento e la messa in rete di enti locali, associazioni, imprese sociali e altri attori protagonisti di esperienze di riuso sociale di beni confiscati; e) sostegno a progetti per il recupero, la rifunzionalizzazione e il riuso sociale dei beni confiscati capaci di generare occasioni di crescita economica e sociale in una prospettiva di auto sostenibilità nel tempo, anche attraverso specifiche premialità nei bandi e nelle iniziative regionali a supporto delle organizzazioni del terzo settore; f) erogazione di contributi per la rimozione di ostacoli che impediscano il riutilizzo a fini sociali dei beni confiscati; g) azioni di coinvolgimento della comunità locale, delle organizzazioni di categoria e degli attori sociali pubblici e privati in azioni di accompagnamento e tutoraggio dei progetti di riuso. 2. La Regione può riconoscere una premialità a quei progetti le cui attività prevedono il riutilizzo sociale dei beni immobili e il miglior riutilizzo delle aziende confiscate, in particolare di quelle agricole, confiscati alla criminalità organizzata e mafiosa. A tale scopo, nel rispetto della normativa vigente, la Regione promuove la stipula di intese e accordi di collaborazione con gli organi dello Stato, altri enti pubblici e privati, nonché associazioni e soggetti che gestiscono i beni confiscati, allo scopo di coordinare e promuovere il migliore utilizzo di beni e aziende confiscate alla criminalità».

8.– Oggetto d’impugnazione è poi l’art. 13 della legge reg. Puglia n. 14 del 2019, per contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost. L’Avvocatura generale sostiene che la Regione eserciti in modo illegittimo la sua competenza in materia sanitaria, circostanza che ricadrebbe negativamente sul principio del contenimento della spesa sanitaria e violerebbe le regole sul coordinamento della finanza pubblica. Prevedendo, infatti, al comma 1 che «[a]gli invalidi vittime della mafia, della criminalità organizzata, del terrorismo, del dovere, individuati nei modi di cui alla L. 302/1990 e ai loro familiari conviventi è riconosciuto il diritto all'assistenza psicologia e/o psichiatrica a carico della Regione Puglia, da esercitarsi presso le strutture sanitarie pubbliche o convenzionate» e che, al comma 2, «[g]li invalidi vittime della mafia, della criminalità organizzata, del terrorismo e del dovere, individuati nei modi di cui alla L. 302/1990 e i familiari, inclusi i familiari dei deceduti, limitatamente al coniuge e ai figli e, in mancanza dei predetti, ai genitori, sono esenti dalla partecipazione alla spesa per ogni tipo di prestazione sanitaria fruita presso le strutture del Servizio sanitario nazionale (SSN) o le strutture private accreditate e farmaceutica nonché dall'obbligo di pagare la differenza tra il prezzo di rimborso dei medicinali generici e il prezzo delle specialità medicinali coperte da brevetto», la normativa regionale assegnerebbe benefici non ricompresi nelle previsioni statali, cui pure si fa diretto riferimento, e porrebbe a carico del Servizio sanitario regionale (SSR) prestazioni non ricomprese nei Livelli essenziali d’assistenza (LEA). Argomenta il ricorrente che il d.P.R. 7 luglio 2006, n. 243 (Regolamento concernente termini e modalità di corresponsione delle provvidenze alle vittime del dovere e ai soggetti equiparati, ai fini della progressiva estensione dei benefici già previsti in favore delle vittime della criminalità e del terrorismo, a norma dell’articolo l, comma 565, della legge 23 dicembre 2005, n. 266), «pur ai fini della progressiva estensione alle vittime del dovere dei benefici già previsti in favore delle vittime della criminalità e del terrorismo», riconosce il diritto all’esenzione dal pagamento del ticket per ogni tipo di prestazione sanitaria e il diritto all’assistenza psicologica a carico dello Stato solamente alle vittime stesse e ai loro familiari superstiti (art. 4, comma l, lettera a), numero 2, e lettera c), numero 2). Pertanto, a tenore delle vigenti disposizioni statali, nel caso in cui l’assistito (cui sia stato riconosciuto lo status di vittima della criminalità e del terrorismo) non sia deceduto, il diritto all’esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria e il diritto all'assistenza psicologica non potrebbero essere estesi al relativo coniuge o ai figli. Così, la legge pugliese impugnata amplierebbe la platea dei destinatari dei benefici. Considerando che la Regione Puglia è impegnata nei programmi previsti dal Piano di rientro dal disavanzo sanitario, secondo la difesa statale «non può dunque garantire livelli di assistenza ulteriori rispetto a quelli previsti dalla normativa statale di riferimento, oggi fissati dal […] d.p.c.m. del 12 gennaio 2017, vigendo il divieto di effettuare spese non obbligatorie».

9.– Il ricorso denuncia altresì l’illegittimità costituzionale dell’art. 16, commi 1 e 3, della legge reg. Puglia n. 14 del 2019 per violazione dell’art. 117, comma 2, lettera h), Cost. Il comma 1 prevede che «[n]ell’attuazione delle politiche di prevenzione e contrasto dei fenomeni di illegalità in materia di tutela dell’ambiente, connessi o derivanti da attività criminose di tipo organizzato e mafioso, la Regione promuove la conclusione di accordi e la stipula di convenzioni con le autorità statali operanti sul territorio regionale nel settore ambientale (...)». I suoi contenuti, a dire dell’Avvocatura, «potrebbero comportare possibili sconfinamenti nelle scelte legislative statali (ed unicamente statali) in ordine al contrasto al crimine organizzato, ed incidere sull’attività delle Forze di Polizia», per cui «risulta evidente l’interferenza con l’articolo 117, secondo comma, lett. h), Cost.». Segnala la difesa dello Stato che, peraltro, dal momento che si tratta del contrasto ai fenomeni criminali in materia di tutela dell’ambiente, il legislatore regionale rischia di ingerirsi pure nella competenza esclusiva statale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. Il comma 3 dell’art. 16, prevedendo che si adotterà «entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge un atto di indirizzo per rafforzare la prevenzione e il contrasto della corruzione e degli altri fenomeni di illegalità nel settore sanitario», violerebbe la competenza esclusiva statale in materia di ordine pubblico e sicurezza, poiché «nessuna competenza la Regione può legittimamente auto-ascriversi in termini anche solo di "indirizzo”, atteso che le linee programmatiche in subiecta materia sono per l’appunto di esclusiva competenza del legislatore statale».

10.– Anche l’art. 17, comma 2, della legge reg. Puglia n. 14 del 2019 è impugnato per motivi «consimili a quelli di cui al precedente motivo di ricorso». La disposizione prevede che la Regione Puglia possa promuovere la stipula di «"Protocolli di legalità” tra prefetture e amministrazioni aggiudicatrici, per potenziare gli strumenti di prevenzione e contrasto dei fenomeni corruttivi e delle infiltrazioni mafiose, nella realizzazione di opere e prestazione di servizi, in materia urbanistica e di edilizia privata, [...] al fine di: a) garantire la regolarità dei cantieri e il rispetto della normativa in materia di lavoro e sicurezza dei lavoratori; b) dare piena e concreta attuazione ai piani di prevenzione della corruzione ai sensi della legge 6 novembre 2012, n. 190 […]; c) confrontare e condividere valutazioni e proposte tra istituzioni, associazioni e cittadini; d) diffondere tra la cittadinanza la conoscenza dell’esistenza di misure di sostegno nazionali e regionali in favore delle vittime del reato di usura o di estorsione». Il ricorrente ritiene che non può aversi potestà legislativa regionale sui rapporti tra prefetture e amministrazioni aggiudicatrici, «atteso che la normativa in materia di "anti corruzione” presenta evidenti connessioni con la materia dell’ordine pubblico e della sicurezza, riservata in via esclusiva al legislatore statale»: si richiama l’art. l, comma 17, della legge 6 novembre 2012, n. 190 (Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione), secondo il quale l’adozione dei detti protocolli è rimessa alla discrezionalità della singola stazione appaltante, che può inserirli all'interno dei propri bandi di gara, avvisi o lettere d’invito.

11.– In conclusione, è impugnato l’art. 20, commi 2 e 3, della legge reg. Puglia n. 14 del 2019, per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost. È previsto che: «2. La Regione e i comuni affidano alle Aziende per la casa e per l’abitare le funzioni di classificazione, ripristino, assegnazione e manutenzione ordinaria e straordinaria del patrimonio immobiliare utilizzabile o riconvertibile a uso abitativo nell’ambito di beni immobili sequestrati o confiscati ai sensi del vigente codice antimafia. […] 3. Per le finalità e l’attuazione di quanto previsto al comma 2 la Regione Puglia promuove la stipula di un protocollo d’intesa con l’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità». L’Avvocatura generale precisa che il d.lgs. n. 159 del 2011 disciplina dettagliatamente la gestione dei beni sequestrati e confiscati (artt. 40 e seguenti), attribuendo competenze all’autorità giudiziaria, che può avvalersi di amministratori giudiziari e dell’ausilio dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, già ricordata. Per queste ragioni, le disposizioni regionali si porrebbero in frontale contrasto con la disciplina statale in materia di ordine pubblico e sicurezza.

12.– La Regione Puglia, in persona del Presidente della Giunta regionale, si è costituita in giudizio depositando una memoria difensiva in data 10 luglio 2019. La difesa regionale afferma che le censure articolate nel ricorso muovono da una lettura fuorviante della legge reg. Puglia n. 14 del 2019, poiché «essa circoscrive puntualmente il proprio ambito applicativo, limitandolo alla competenza legislativa e amministrativa riservata dalla Costituzione alla potestà regionale». La legge regionale – si prosegue – si inserisce nell’alveo delle politiche pubbliche per la sicurezza integrata, conformemente a quanto previsto dal d.l. n. 14 del 2017, come convertito. L’intento della legge reg. Puglia n. 14 del 2019 sarebbe, perciò, quello di promuovere iniziative volte «alla diffusione dell’educazione alla responsabilità sociale e della cultura della legalità» (art. 1), collocandosi così fuori dalle competenze statali afferenti all’ordine pubblico e alla sicurezza; è lo stesso disposto normativo, d’altronde, che prescrive il «rispetto delle competenze dello Stato e [la] conformità con l’ordinamento comunitario» per concorrere «allo sviluppo dell’ordinata e civile convivenza della comunità regionale pugliese e alla crescita della coscienza democratica». Anche la relazione di accompagnamento alla legge regionale illustrerebbe chiaramente le finalità, di «promozione e diffusione della cultura della legalità quale mezzo imprescindibile per la crescita ed il benessere sociale», della normativa impugnata.

12.1.– Al riguardo, si rammentano affermazioni di questa Corte secondo cui, per quanto «un’attività [sia] connessa a fenomeni criminali» essa può tuttavia essere «tale da poter essere ricondott(a) a materie o funzioni di spettanza regionale ovvero a interessi di rilievo regionale [...] (sentenza n. 4 del 1991; in seguito, sentenze n. 167 del 2010 e n. 105 del 2006). La promozione della legalità, in quanto tesa alla diffusione dei valori di civiltà e pacifica convivenza su cui si regge la Repubblica, non è attribuzione monopolistica» (sentenza n. 35 del 2012; sono anche richiamati passaggi della sentenza n. 208 del 2018). Si segnala, inoltre, che secondo la Corte costituzionale «ai fini dell’individuazione della materia in cui si colloca la norma impugnata, si deve tener conto dell’oggetto, della ratio e della finalità della stessa, tralasciando gli aspetti marginali e gli effetti riflessi, così da identificare correttamente e compiutamente anche l’interesse tutelato» (è citata la sentenza n. 116 del 2019 e i precedenti ivi menzionati). Le misure adottate dalla Regione Puglia, insomma, «non costituiscono strumenti di politica criminale, né, in ogni caso, generano interferenze, anche potenziali, con la disciplina statale di prevenzione e repressione dei reati». La Regione pone anche in evidenza che le disposizioni censurate ricalcano in gran parte norme contenute nella legge della Regione Puglia 23 marzo 2015, n. 12 (Promozione della cultura della legalità, della memoria e dell’impegno), abrogata dalla legge regionale impugnata: quelle norme non erano, però, state impugnate dallo Stato, di là da alcuni commi degli artt. 7 e 8, in riferimento ai quali questa Corte si è pronunciata nel senso dell’accoglimento con sentenza n. 175 del 2016.

13.– Quanto alle censure mosse nei confronti dell’art. 1, comma 2, e 2, comma 1, della legge reg. Puglia n. 14 del 2019, la difesa regionale afferma che esse sarebbero «inammissibili» perché le disposizioni sono prive di forza precettiva, di capacità innovativa e, dunque, non avrebbero la capacità di ledere la sfera di competenza statale, essendo norme a carattere essenzialmente programmatico. Sarebbero, poi, «infondate», perché basta una loro diversa interpretazione per considerarle compatibili con la Costituzione. Entrambi i commi impugnati, infatti, dovrebbero essere letti congiuntamente al primo comma dell’art. 1, che delinea le finalità della normativa regionale de qua, cioè quelle di promuovere interventi volti alla diffusione dell’educazione alla responsabilità sociale e della cultura della legalità. Dopo aver evocato, a sostegno dei propri argomenti, le sentenze di questa Corte n. 35 del 2012,  ordinanza n. 290 del 2011, n. 208 del 2018 e n. 105 del 2006, la difesa regionale richiama in particolare un passaggio della sentenza n. 116 del 2019 in cui questa Corte ha rigettato questioni di costituzionalità fondate sulla formulazione "generica e poco chiara”, "atta a ricomprendere non solo interventi di carattere social-preventivo, ma anche quelli strettamente inerenti all’ordine pubblico e alla sicurezza” delle norme volte a prevenire e contrastare i fenomeni del bullismo e cyberbullismo.

14.– Quanto all’eccepita illegittimità costituzionale degli artt. 4 e 5, per contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., la difesa regionale sostiene che le censure presentino gli «stessi vizi di inammissibilità ed infondatezza dianzi illustrati». «Non è perspicuo dove risieda la lesività», prosegue la Regione, «anche potenziale, delle stesse in relazione alla competenza esclusiva statale, non comprendendosi come gli strumenti della concertazione e dell’adozione di un piano regionale integrato di contrasto alla criminalità organizzata, dichiaratamente finalizzati a favorire la diffusione della cultura della legalità, possano interferire con le azioni di politica criminale riservate alla legislazione statale». Questi vizi «d’inammissibilità» sarebbero «rafforzati» dalla evidente genericità della motivazione: la Corte costituzionale ha più volte chiarito che il ricorso in via principale deve contenere una argomentazione di merito a sostegno della richiesta declaratoria di illegittimità costituzionale (sentenza n. 109 del 2018). In ogni caso, le questioni sarebbero infondate, perché «la previsione della partecipazione è coerente con gli obiettivi fissati al co. 2 dell’art. 4 della L.R. 28/2017» e gli strumenti previsti concorrono semplicemente alla promozione e diffusione della cultura della legalità.

15.– Sull’impugnazione dell’art. 6, commi 1 e 2, lettere h) e k), per contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettere h) e l), Cost., la difesa regionale afferma che la norma che istituisce la «Fondazione antimafia sociale» dedicata a Stefano Fumarulo attribuisce solamente compiti di studio e ricerca sui fenomeni di criminalità mafiosa e corruttiva. La Regione eccepisce l’inammissibilità dell’impugnativa riferita all’art. 6, comma 2, lettera h), della legge reg. Puglia n. 14 del 2019, sulla base della non inclusione della stessa nella delibera di autorizzazione a ricorrere. In ogni caso – si prosegue – la doglianza è infondata anche in merito, poiché le competenze attribuite alla Fondazione non riguardano interventi di politica criminale: la Fondazione, infatti, si limita a formulare proposte. Proprio in considerazione del fatto che, con sentenza di questa Corte n. 325 del 2011, era stata dichiarata l’illegittimità costituzionale di un’Agenzia per la promozione della legalità per la sua sovrapposizione con l’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, la Regione disciplinerebbe oggi la Fondazione antimafia sociale conferendole «meri compiti istruttori, consultivi o di studio e ricerca».

15.1.– Quanto all’ulteriore censura, secondo la Regione Puglia, la banca dati dei beni confiscati alle mafie esistenti sul territorio regionale, accessibile a tutti, di cui la norma impugnata prevede l’istituzione, non rischierebbe di sovrapporsi con la banca dati gestita dall’Agenzia nazionale. La norma impugnata, al contrario, sarebbe coerente con l’art. 112 del d.lgs. n. 159 del 2011 che stabilisce che l’ANBSC possa sottoscrivere convenzioni o protocolli con pubbliche amministrazioni, Regioni, enti locali, ordini professionali, enti e associazioni per le finalità indicate dal Codice stesso. D’altronde, esisterebbero normative regionali di contenuto simile: si richiama la legge della Regione Lombardia n. 23 del 2015 secondo cui «La Regione […] promuove la sottoscrizione di protocolli d’intesa e convenzioni con l’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata». La difesa pugliese insiste sul fatto che la Fondazione non predisporrebbe tale banca dati in via autonoma, bensì «previa intesa con l’Agenzia nazionale»; menziona un parere reso dal Garante per la protezione dei dati personali che si esprimeva sul trattamento dei dati da parte dell’ANBSC, sostenendo che, se per l’Agenzia nazionale «il trattamento dei dati personali, anche "particolari” come quelli evidenziati, appare supportato da un’adeguata base giuridica», allora pure l’attività della Fondazione sarebbe lecita alla stessa stregua.

16.– Per quanto concerne l’impugnazione dell’art. 7, la difesa della Regione Puglia, in via preliminare, rileva che il contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera g), Cost. non veniva indicato nella relazione sulla delibera che autorizzava al ricorso e che, dunque, la censura è inammissibile. Questa sarebbe, a ogni modo, pure infondata: la disposizione che prevede che all’Osservatorio partecipi un membro designato dal direttore dell’Ufficio scolastico regionale non violerebbe la competenza statale sull’organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali, poiché, trattando della mera designazione di un membro, essa non può essere paragonata alla fattispecie già censurata da questa Corte con sentenza n. 134 del 2004 per aver previsto la partecipazione obbligatoria di prefetti e magistrati al "Comitato d’indirizzo” di un Osservatorio operante presso la Presidenza della Giunta della Regione Marche. Peraltro, il d.P.R. 11 agosto 2013, n. 319 (Regolamento di organizzazione del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca), all’art. 8, prevede che, tra i compiti del direttore dell’Ufficio scolastico regionale, vi sia quello di collaborare con Comuni, Province e Regioni per il miglior esercizio possibile delle sue funzioni. Il contrasto tra l’art. 7 della legge pugliese impugnata e l’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., inoltre, non sussisterebbe, poiché è previsto che l’Osservatorio svolga solamente compiti di carattere consultivo, conoscitivo e di studio, rientranti perciò nelle competenze regionali.

17.– Sull’asserita illegittimità dell’art. 9, commi 1 e 2, lettere d) ed e), della legge reg. impugnata per contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., la difesa regionale rileva che le censure sono formulate in modo generico e incorrono, dunque, in un vizio d’inammissibilità. Sarebbero, peraltro, infondate nel merito, poiché tutti gli interventi individuati al comma 2 dell’art. 9 sono finalizzati a «valorizzare le migliori iniziative attuate dagli enti locali», anche in riferimento all’ulteriore uso sociale dei beni confiscati alle mafie e al contrasto al gioco d’azzardo e alla proliferazione delle sale da gioco. Le disposizioni impugnate, dunque, non potrebbero fondare interventi in tema di ordine pubblico, sicurezza o politica criminale perché si limiterebbero a prevedere la raccolta e la valorizzazione di interventi già attuati in precedenza.

18.– Quanto all’impugnazione dell’art. 10, commi 1 e 2, della legge reg. Puglia n. 14 del 2019, la Regione chiede di dichiarare l’inammissibilità della questione relativa al comma 1, perché esso non risulta quale oggetto d’impugnazione nella delibera governativa che autorizzava il ricorso. Comunque sia, sostiene che la censura sia complessivamente non fondata, dato che alla Regione si attribuisce «un ruolo di mero supporto nei confronti degli enti locali nell’esercizio delle competenze agli stessi attribuite dalla normativa nazionale. Pertanto, non sussiste alcuna sovrapposizione rispetto all’art. 48 del Codice Antimafia». La Regione intende, infatti, agire per la sensibilizzazione e l’incentivo all’ulteriore uso dei beni confiscati alle mafie e per il sostegno di progetti che lo favoriscono.

19.– Sulla denunciata illegittimità costituzionale dell’art. 13 della legge reg. Puglia n. 14 del 2019 per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., la difesa regionale afferma che la questione è infondata. Rispetto alla legge n. 206 del 2004, cui il ricorso faceva riferimento, che stabilisce che «alle vittime di atti di terrorismo e delle stragi di tale matrice e ai loro familiari è assicurata assistenza psicologica a carico dello Stato», infatti, la disposizione regionale impugnata, riferendosi ai soli familiari conviventi, in realtà restringerebbe la platea degli aventi diritto, anzi che ampliarla, come sostiene l’Avvocatura. La difesa regionale rileva, inoltre, che la copertura finanziaria delle prestazioni non è posta a carico del Servizio sanitario regionale (art. 28 della legge regionale impugnata): sino al 2020, sono state già stanziate risorse per gli osservatori regionali sulla legalità, che fanno capo a uno specifico capitolo di spesa per la "Politica regionale unitaria per l’ordine pubblico e la sicurezza”; poi, si conterà sulle autorizzazioni di spesa annualmente disposte dalla legge di approvazione del bilancio, fuori dal capitolo "Tutela della salute” al quale sono iscritte le spese per i LEA e per ripianare gli squilibri di bilancio. In questo modo, la legge reg. Puglia n. 14 del 2019 rispetterebbe il divieto di previsione di spese non obbligatorie in materia sanitaria, imposto dall’esecuzione del Piano di rientro.

20.– Per quanto attiene all’impugnazione dell’art. 16, commi 1 e 3, della legge reg. n. 14 del 2019, per contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., la difesa della Regione deduce l’inammissibilità delle doglianze per mancanza di motivazione a supporto delle censure: il ricorrente «non illustra puntualmente in qual modo la stipula di accordi e convenzioni possa incidere nell’ambito delle misure di politica criminale». Sostiene, poi, l’infondatezza delle medesime doglianze, poiché la promozione di accordi e convenzioni con le autorità statali operanti nel territorio regionale risponde a esigenze di "amministrazione collaborativa”, ma non potrebbe comportare l’adozione di misure repressive nella lotta all’illegalità. Ricorda, inoltre, che sono vigenti disposizioni normative di altre Regioni che hanno contenuti analoghi a quelli oggi censurati, quali la legge della Regione Piemonte 18 giugno 2007, n. 14 (Interventi in favore della prevenzione della criminalità e istituzione della "Giornata regionale della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime delle mafie”) e la legge della Regione Lombardia 24 giugno 2015, n. 17 (Interventi regionali per la prevenzione e il contrasto della criminalità organizzata e per la promozione della cultura della legalità).

21.– La difesa regionale, in riferimento alla questione sull’incostituzionalità dell’art. 17, comma 2, della legge pugliese per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., afferma che si tratta di doglianze "inammissibili ed infondate” poiché «non si spiega come la previsione di un’attività di promozione» dello strumento dei "Protocolli per la legalità” tra prefetture e amministrazioni aggiudicatrici «possa comportare una compressione dell’art. 1 co. 17 L. 190/2012».

22.– Infine, per quanto concerne l’impugnazione dell’art. 20, commi 2 e 3, della legge regionale impugnata per contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., la difesa pugliese chiarisce che la Regione intenderebbe operare congiuntamente all’ANBSC, non certo "scavalcandone” le competenze e prerogative, promovendo la stipula di un protocollo di intesa che consenta di attuare le finalità di cui al comma 2 impugnato. Precisa inoltre che «il richiamo alla sent. n. 34/2012 non è pertinente, in quanto in tale fattispecie veniva da Codesta Ecc.ma Corte censurata la previsione di compiti conferiti ad un’Agenzia regionale ritenuti sovrapponibili a quelli dell’Agenzia nazionale dei beni confiscati. Nel caso che occupa, viceversa, la Regione Puglia (e non un’Agenzia regionale) orienterebbe la propria azione nell’ambito di un protocollo di intesa con l’Agenzia nazionale».

23.– In riferimento all’intero ricorso, la Regione Puglia rileva che sussiste un vizio di inammissibilità per mancato esperimento del tentativo d’interpretazione conforme a Costituzione: come affermato nella sentenza di questa Corte n. 153 del 2015 e in molti precedenti, non si può dichiarare l’incostituzionalità perché si può dare un’interpretazione contraria alla Costituzione, ma perché non è possibile dare un’interpretazione conforme a Costituzione. Chiede, così, conclusivamente, la dichiarazione di «inammissibilità e/o infondatezza» delle questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Presidente del Consiglio dei ministri.

24.– La difesa della Regione Puglia ha depositato una memoria difensiva in data 11 febbraio 2020, con cui ribadisce le deduzioni difensive articolate nella memoria di costituzione, con qualche integrazione essenzialmente riconducibile al richiamo, a sostegno delle proprie ragioni, di alcuni passaggi della sentenza n. 285 del 2019 di questa Corte. Dopo aver ripercorso novamente i motivi del ricorso e aver ribadito che la legge reg. Puglia n. 14 del 2019 promuove misure per la sicurezza integrata in conformità alla legge n. 48 del 2017 e all’accordo raggiunto in Conferenza unificata del 24 gennaio 2018 (Accordo finalizzato alla determinazione delle linee generali delle politiche pubbliche per la promozione della sicurezza integrata), infatti, riprende ampi passaggi della sentenza di questa Corte n. 285 del 2019, ponendo in evidenza in particolare le affermazioni secondo cui «le Regioni e le Province autonome possono altresì sostenere, nell’ambito delle proprie competenze e funzioni, iniziative e progetti volti ad attuare interventi di promozione della sicurezza integrata nel territorio di riferimento, "ivi inclusa l’adozione di misure di sostegno finanziario a favore dei comuni maggiormente interessati da fenomeni di criminalità diffusa” (art. 3, comma 2). In tal senso, il menzionato decreto-legge ha disciplinato in senso ampio e trasversale le "forme di coordinamento” previste dall’art. 118, terzo comma, Cost., coinvolgendo gli enti regionali non solo quali terminali delle scelte compiute dallo Stato in materia di ordine pubblico e sicurezza, ma anche come portatori di interessi che, ancorché non direttamente afferenti alla materia di cui all’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., sono teleologicamente connessi alla competenza esclusiva statale». Si tratterebbe insomma di una «rinnovata declinazione legislativa del concetto di sicurezza, la quale consente l’intervento delle autonomie regionali purché queste si muovano nell’ambito delle competenze che l’art. 117, terzo e quarto comma, Cost. assegna loro in via concorrente o residuale».

24.1.– Con specifico riferimento alle censure promosse nei confronti degli artt. 1 e 2 della legge reg. Puglia n. 14 del 2019, la difesa regionale ricorda che la citata sentenza n. 285 del 2019 ha affermato, per censure simili a quelle proposte nel ricorso in esame, che, «pur scontando una certa vaghezza, le azioni elencate non possono dirsi di per sé contrarie alla ripartizione costituzionale di competenze, posto che, almeno prima facie, evocano ambiti riconosciuti alle Regioni dalla stessa disciplina statale contenuta nel d.l. n. 14 del 2017, come specificata dalle menzionate linee generali approvate in Conferenza unificata». In relazione alle censure promosse nei confronti degli artt. 4 e 5 della legge regionale, la medesima decisione ha inoltre stabilito – precisa la Regione – che non può dichiararsi l’incostituzionalità di norme «prive di portata lesiva: non è sufficiente, infatti, il vago richiamo ai "fenomeni d’illegalità” e di "criminalità comune e organizzata” […] per generare quelle "interferenze, anche potenziali”, con la disciplina statale di prevenzione e repressione dei reati». 

Conclude chiedendo, novamente, che la Corte costituzionale dichiari l’inammissibilità e/o l’infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Presidente del Consiglio dei ministri.

25.– In data 20 maggio 2020 l’Avvocatura generale dello Stato ha depositato una memoria con cui replica alle deduzioni della difesa regionale. Ribadisce che il ricorso non mette in dubbio che le Regioni abbiano la competenza legislativa sulla promozione della cultura della legalità, ma censura la modalità concreta con cui la Puglia l’ha esercitata. La gran parte delle disposizioni impugnate, infatti, avrebbe un’ampiezza contenutistica tale da eccedere largamente rispetto alla sola promozione della cultura della legalità. Così, sarebbe evidente l’interferenza, alle volte diretta, alle volte potenziale, con la competenza statale ex art. 117, secondo comma, lettera h), Cost.

25.1.– Reitera le considerazioni espresse nel ricorso circa i motivi di censura degli artt. 1, comma 2, e 2, comma 1, della legge reg. Puglia n. 14 del 2019, aggiungendo che le azioni volte a «innalzare e sostenere l’educazione alla responsabilità sociale e la cultura della legalità» sono separate, proprio dall’interposizione di una virgola, dalle azioni volte alla prevenzione e al contrasto non repressivo della criminalità, e che ciò renderebbe chiaro che il legislatore regionale intende portare avanti autonomamente, sia azioni di promozione della legalità, sia azioni di contrasto alla criminalità.

25.2.– Segnala, inoltre, che l’impugnazione degli artt. 4 e 5 della legge reg. Puglia n. 14 del 2019 è legata a quella degli articoli precedenti. Il programma previsto dall’art. 5 sarebbe, infatti, lo strumento con cui rendere operativi gli interventi previsti dagli artt. 1 e 2; il fatto che l’art. 3 preveda che la Regione persegue le finalità della legge, attraverso interventi di prevenzione primaria, secondaria e terziaria, non varrebbe a limitare la capacità lesiva dell’intervento regionale.

25.3.– Quanto all’impugnazione dell’art. 6, innanzitutto la difesa dello Stato ritiene infondata l’eccezione d’inammissibilità connessa all’assenza del comma 1 tra gli oggetti d’impugnativa indicati nella relazione che accompagna la delibera governativa di autorizzazione a ricorrere. Se si legge la delibera del 20 maggio 2019 nel suo complesso – si scrive – si comprende che la volontà d’impugnare anche il comma 1 è implicita. Infatti, visto che è impugnato l’art. 7 (che istituisce l’Osservatorio legalità), sarebbe ovvio che si contesti l’esistenza e i compiti della Fondazione, dato che l’Osservatorio altro non è che «la struttura "portante” della Fondazione di cui all’art. 6». Sottolinea, poi, le specificità delle censure rivolte all’art. 6, comma 2, lettera k), ricordando la sovrapposizione dello strumento previsto dal legislatore pugliese con la banca dati gestita dall’ANBSC e la violazione della competenza statale in materia di ordinamento civile, in specie riguardo la protezione dei dati personali, illustrate in ricorso.

25.4.– Quanto all’impugnazione dell’art. 7 della legge regionale citata, l’Avvocatura generale dello Stato afferma che la mancata indicazione, come parametro, nella delibera autorizzativa, dell’art. 117, secondo comma, lettera g), Cost. è una «omissione formale» e che dal richiamo alla sentenza di questa Corte n. 134 del 2004, presente nella delibera autorizzativa, si può ben desumere che le disposizioni venissero censurate nella parte in cui attribuiscono compiti a organi dello Stato. La censura sarebbe inoltre senz’altro fondata, poiché, rendendo obbligatoria la designazione di un componente da parte del direttore dell’Ufficio scolastico regionale, si porrebbe un obbligo organizzativo in capo a tale organo statale.

25.5.– A proposito dell’art. 9, commi 1 e 2, lettere d) ed e), della legge reg. Puglia n. 14 del 2019, si afferma che non può condividersi l’osservazione della Regione per cui le disposizioni non hanno capacità innovativa, prevedendo la raccolta di interventi e azioni già attuati. Secondo lo Stato, infatti, anche stabilire un rating può invadere le competenze statali, dato che «il rating regionale si traduce infatti inevitabilmente in una forma, per quanto indiretta (del tipo "soft law”, sembra di intendere), di disciplina e di indirizzo dell’azione degli enti locali in quei campi; azione che, invece, pacificamente può essere disciplinata e indirizzata solamente dalla legge dello Stato».

25.6.– In riferimento all’art. 10 della legge regionale impugnata, la difesa statale, ribadendo i motivi delle censure, pone in evidenza altresì che la volontà di impugnare l’art. 10, comma 1, è implicita nella volontà d’impugnare il secondo comma; sarebbe, così, priva di fondamento l’eccezione d’inammissibilità sollevata dalla difesa regionale basata sulla mancata indicazione del primo comma tra gli oggetti d’impugnazione nella delibera governativa di autorizzazione al ricorso.

25.7.– Riguardo l’impugnazione dell’art. 13 della legge pugliese in esame, lo Stato afferma che il riferimento alla legge n. 206 del 2004, operato dalla difesa della Regione, non è pertinente, poiché in quella sede si trattava di sostegno alle vittime del solo terrorismo e non anche della criminalità. Sottolinea, inoltre, che a nulla rileverebbe l’imputazione contabile delle spese al fondo per la "politica regionale unitaria per l’ordine pubblico e la sicurezza”, dal momento che si tratterebbe di prestazioni di natura sanitaria ulteriori rispetto ai LEA (circostanza che la Regione non avrebbe contestato) che la Regione Puglia non potrebbe legittimamente erogare essendo impegnata nelle misure di rientro dal disavanzo sanitario.

25.8.– Infine, per quanto concerne le censure rivolte agli artt. 16, commi 1 e 3; 17, comma 2, e 20, commi 2 e 3, la difesa statale insiste per l’accoglimento delle doglianze, riportandosi agli argomenti illustrati nel ricorso.

26.– In data 21 maggio 2020, la difesa pugliese ha depositato in prossimità della decisione «brevi note aggiuntive», ai sensi del decreto della Presidente della Corte del 20 aprile 2020, punto 1, lettera c), con le quali afferma di riportarsi alle difese articolate nella memoria di costituzione e nella memoria difensiva depositata successivamente. Rammenta di non ravvisare ragioni di lesività, anche potenziale, della disciplina regionale nei riguardi delle competenze legislative esclusive dello Stato, atteso che gli strumenti previsti dalla legge reg. Puglia n. 14 del 2019 sarebbero diretti alla concertazione e alla prevenzione ai fini della diffusione della cultura della legalità, in conformità con le azioni di politica criminale che rimangono riservate alla legislazione statale. Richiama, per sostenere queste affermazioni, passaggi di sentenze della Corte costituzionale, in specie contenute nelle pronunce n. 35 del 2012 e n. 208 del 2018. Chiede, conclusivamente, che le questioni di costituzionalità sollevate siano dichiarate inammissibili e/o infondate.

Considerato in diritto

1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con ricorso notificato il 30 maggio 2019 e depositato il successivo 4 giugno, iscritto al n. 64 del reg. ric. 2019, ha promosso questioni di legittimità costituzionale in via principale degli artt. 1, comma 2; 2, comma 1; 4; 5; 6, commi 1 e 2, lettere h) e k); 7; 9, commi 1 e 2, lettere d) ed e); 10, commi 1 e 2; 13; 16, commi 1 e 3; 17, comma 2, e 20, commi 2 e 3, della legge della Regione Puglia 28 marzo 2019, n. 14 (Testo unico in materia di legalità, regolarità amministrativa e sicurezza), per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettere g), h) e l), e terzo comma, della Costituzione.

1.1.– Buona parte del ricorso si fonda sull’assunto per cui diverse disposizioni della legge reg. Puglia n. 14 del 2019 sono suscettibili di interferire, in via diretta o potenziale, con la competenza legislativa statale in materia di ordine pubblico e sicurezza, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., esorbitando dalla competenza regionale, nella quale dovrebbero rientrare solamente attività strettamente riferibili alla polizia amministrativa regionale e locale e attività di carattere conoscitivo e di studio inerenti alla prevenzione dei reati e al mantenimento dell’ordine pubblico.

Come riferito più ampiamente in narrativa, la difesa dello Stato non revoca in dubbio che le Regioni detengano una potestà normativa sulla promozione della cultura della legalità, ma censura la modalità con cui la Regione Puglia l’ha in concreto esercitata. In particolare, la formulazione ampia e generica di molte disposizioni dell’impugnato Testo unico determinerebbe la possibilità per la Regione di prevedere interventi che eccedono la sola promozione della legalità e diventano strumenti di politica criminale. La difesa regionale, nell’atto di costituzione e nei successivi atti difensivi, sostiene, al contrario, che le disposizioni impugnate si inseriscano nell’alveo delle politiche pubbliche sulla "sicurezza integrata”, nel rispetto delle competenze stabilite dalla Costituzione.

2.– Il contesto normativo entro cui le questioni di costituzionalità vanno inquadrate è quello costituito dal decreto-legge 20 febbraio 2017, n. 14 (Disposizioni urgenti in materia di sicurezza delle città), convertito, con modificazioni, nella legge 18 aprile 2017, n. 48, e dell’accordo sancito in sede di Conferenza unificata del 24 gennaio 2018 (Accordo finalizzato alla determinazione delle linee generali delle politiche pubbliche per la promozione della sicurezza integrata) raggiunto ai sensi dell’art. 2 del citato decreto-legge.

Per il perseguimento dell’obiettivo di realizzare la sicurezza sul territorio nazionale, in attuazione dell’art. 118, terzo comma, Cost., la legislazione statale ha introdotto una «rinnovata declinazione legislativa del concetto di sicurezza» (sentenza n. 285 del 2019), comprensiva dell’«insieme degli interventi assicurati dallo Stato, dalle Regioni, dalle Province autonome di Trento e Bolzano e dagli enti locali, nonché da altri soggetti istituzionali, al fine di concorrere, ciascuno nell’ambito delle proprie competenze e responsabilità, alla promozione e all’attuazione di un sistema unitario e integrato di sicurezza per il benessere delle comunità territoriali» (art. 1 del d.l. n. 14 del 2017).

Le Regioni e le Province autonome sono, così, espressamente abilitate ad adottare iniziative e progetti «volti ad attuare interventi di promozione della sicurezza integrata nel territorio di riferimento», anche in base a specifici accordi con lo Stato (art. 3, comma 2, del d.l. n. 14 del 2017), purché tali azioni mirino fondamentalmente a migliorare il contesto sociale e territoriale di riferimento, movendosi nell’ambito delle competenze che l’art. 117, commi terzo e quarto, Cost. attribuiscono loro (sentenza n. 285 del 2019). Di tal guisa, e fermo restando che l’esercizio di poteri coercitivi postula il necessario intervento statale, le autonomie sono chiamate a dotarsi di «strumenti di "prevenzione situazionale” che […] mirano a ridurre le opportunità di commettere reati unitamente alle misure volte a sostenere la partecipazione dei cittadini alla ricostituzione della dimensione comunitaria e al miglioramento complessivo delle condizioni sociali, abitative e dei servizi ("prevenzione comunitaria”) e agli interventi di prevenzione sociale finalizzati al contenimento dei fattori criminogeni» (così nella premessa alle linee generali sopra richiamate).

3.– Tale disegno è in linea con la giurisprudenza di questa Corte, che ha costantemente affermato che l’endiadi «ordine pubblico e sicurezza» indica una materia in senso proprio, oggettivamente delimitata e che non esclude interventi regionali in settori a essa liminari. La considerazione per cui nell’ambito della competenza esclusiva ex art. 117, secondo comma, lettera h), Cost. non è ricompresa la disciplina di qualsiasi interesse pubblico, bensì dei soli «interessi essenziali al mantenimento di una ordinata convivenza civile» (sentenza n. 290 del 2001), per l’esercizio della funzione di reprimere i reati in vista della tutela di «interessi fondamentali, quali l’integrità fisica e psichica delle persone o la sicurezza dei beni», ricorre nelle decisioni di questa Corte ed è stata, anche di recente, confermata (sentenze n. 285 e n. 116 del 2019 e n. 208 del 2018). D’altra parte, «diversamente opinando, si produrrebbe una smisurata dilatazione della nozione di sicurezza e ordine pubblico, tale da porre in crisi la stessa ripartizione costituzionale delle competenze legislative, con l’affermazione di una preminente competenza statale potenzialmente riferibile a ogni tipo di attività» (sentenza n. 300 del 2011, testualmente richiamata nella sentenza n. 285 del 2019). Le Regioni e le Province autonome possono, dunque, promuovere la realizzazione di migliori condizioni di vivibilità dei rispettivi territori, nell’ambito, ad esempio, delle politiche sociali, del governo del territorio, della polizia locale (ancora, sentenza n. 285 del 2019).

4.– La Regione Puglia ha di recente adottato l’impugnato Testo unico, con cui si prefigge, «in armonia con i principi costituzionali, nel rispetto delle competenze dello Stato e in conformità con l’ordinamento comunitario», di concorrere «allo sviluppo dell’ordinata e civile convivenza della comunità regionale pugliese e alla crescita della coscienza democratica attraverso un sistema integrato di interventi volti alla diffusione dell’educazione alla responsabilità sociale e della cultura della legalità» (art. 1, comma 1). Tratteggiando brevemente la struttura della nuova disciplina, si osserva che questa – nel promuovere azioni volte alla prevenzione, alla diffusione della cultura della legalità e al contrasto non repressivo della criminalità organizzata, nel segno della collaborazione inter-istituzionale e della cittadinanza attiva – istituisce organismi regionali aventi funzioni consultive e di studio nell’ambito della prevenzione del fenomeno mafioso e introduce misure volte a: valorizzare le buone prassi degli enti locali nelle azioni di contrasto alla criminalità organizzata; incentivare il riutilizzo dei beni e delle aziende confiscati alle mafie; sostenere, anche finanziariamente, le vittime della criminalità organizzata, del terrorismo e del dovere; prevenire le infiltrazioni mafiose nel settore ambientale, sanitario e dell’edilizia residenziale e scongiurare la diffusione del gioco patologico d’azzardo (come emerge anche dal Titolo II della legge reg. Puglia n. 14 del 2019, rubricato «Interventi e politiche di sostegno»).

4.1.– In tale ordito normativo, diverse sono le disposizioni che il ricorso assume essere lesive delle competenze statali, la cui legittimità costituzionale deve, sulla base di queste premesse, essere esaminata.

5.– Vanno, in via preliminare, disattese le eccezioni d’inammissibilità che la difesa regionale ha sollevato in riferimento all’impugnazione degli artt. 4; 5; 9, commi 1 e 2, lettere d) ed e); 16, commi 1 e 3, della legge reg. Puglia n. 14 del 2019, per carenza della motivazione a sostegno delle censure. Le ragioni dei dubbi di costituzionalità sono, infatti, sufficientemente chiare, consentendo, anche là dove la censura è illustrata in maniera sintetica, il superamento del vaglio d’ammissibilità.

6.– Va altresì disattesa l’eccezione d’inammissibilità sollevata dalla difesa pugliese, in riferimento al ricorso «nel suo complesso», basata sull’assunto per cui il ricorrente avrebbe omesso di effettuare il tentativo d’interpretazione adeguatrice delle disposizioni impugnate, cui sarebbe obbligato pena l’inammissibilità delle questioni sollevate. Diversamente da quanto sostenuto dalla parte resistente, la giurisprudenza di questa Corte ha più volte affermato che il «ricorrente – a differenza del giudice rimettente nell’incidente di costituzionalità – non ha l’onere di esperire un tentativo di interpretazione conforme a Costituzione della disposizione impugnata» (sentenza n. 156 del 2016), potendo trovare ingresso, nel giudizio in via principale, anche questioni promosse in via cautelativa ed ipotetica, purché le interpretazioni prospettate non siano implausibili e siano ragionevolmente collegabili alle disposizioni impugnate (ex plurimis, sentenze n. 77 del 2020, n. 89 del 2019, n. 154 del 2017 e n. 189 del 2016).

7.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato l’art. 1, comma 2, e l’art. 2, comma 1, della legge reg. Puglia n. 14 del 2019, i quali, nell’indicare premesse e finalità generali dell’intervento normativo, prevedono rispettivamente che «[la] Regione Puglia condanna ogni forma di criminalità, promuove e sostiene ogni intervento necessario per contrastare qualsiasi fenomeno di infiltrazione del crimine organizzato nel tessuto sociale ed economico regionale e rimuoverne le cause» e che «[la] Regione, con la presente legge, disciplina l’insieme delle azioni volte alla prevenzione e al contrasto non repressivo alla criminalità organizzata, a innalzare e sostenere l’educazione alla responsabilità sociale e la cultura della legalità, a elevare i livelli di sensibilizzazione della società civile e delle istituzioni pubbliche nonché ad assicurare il sostegno alle vittime innocenti della criminalità mafiosa e corruttiva».

Secondo l’Avvocatura generale dello Stato, la previsione generica di «ogni intervento necessario» per contrastare fenomeni dell’infiltrazione mafiosa e della criminalità organizzata invaderebbe le competenze esclusive statali in materia di prevenzione dei reati e mantenimento della sicurezza pubblica di cui all’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost.

7.1.– Le questioni non sono fondate.

Come questa Corte ha rilevato in casi simili, «pur scontando una certa vaghezza, le azioni elencate non possono dirsi di per sé contrarie alla ripartizione costituzionale di competenze» e nemmeno eccentriche rispetto alle funzioni che la normativa sulla "sicurezza integrata” permette alle Regioni di esercitare. Sono «norme, dunque, prive di portata lesiva: non è sufficiente, infatti, il vago richiamo ai "fenomeni d’illegalità” e di "criminalità comune e organizzata” […] per generare quelle "interferenze, anche potenziali”, con la disciplina statale di prevenzione e repressione dei reati, alle quali la giurisprudenza di questa Corte ricollega l’invasione della competenza legislativa statale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost.» (sentenze n. 285 del 2019 e n. 208 del 2018). L’intento di contrastare, con strumenti operativi di carattere non repressivo, fenomeni socialmente indesiderati «in tutte le [loro] manifestazioni», come correttamente rilevato dalla difesa regionale, non è ritenuto contrastante con le funzioni statali in materia di ordine pubblico e sicurezza (sentenza n. 116 del 2019), specie nel caso in cui le finalità delle azioni previste siano legate alla «diffusione dell’educazione alla responsabilità sociale e della cultura della legalità» (art. 1, comma 1, sopra richiamato).

8.– Il ricorrente ha altresì censurato gli artt. 4 e 5 della legge reg. Puglia n. 14 del 2019, che rispettivamente favoriscono «il metodo della concertazione quale strumento strategico per la programmazione e l’attuazione degli interventi» – indicando «quale prioritaria modalità organizzativa per la programmazione e l’attuazione degli interventi sul territorio regionale, la costituzione di reti stabili o la stipula di accordi di collaborazione di natura territoriale con enti locali, università, istituzioni scolastiche e istituzioni formative accreditate, nonché con enti pubblici, organizzazioni di volontariato e associazioni di promozione sociale operanti nel settore dell’educazione alla legalità e del contrasto alla criminalità organizzata e mafiosa sul territorio regionale secondo il principio di sussidiarietà» – e dispongono l’adozione di un «Piano regionale integrato per il rafforzamento e la diffusione della cultura della legalità e della responsabilità», di durata triennale, con cui dare concreta applicazione ai detti interventi.

Trattandosi degli strumenti utili a dare attuazione alle finalità della normativa regionale individuate dagli articoli precedenti, ne conseguirebbe, «in via derivata, una invasione della competenza statale anche sotto tali aspetti attuativi».

8.1.– Pure tali questioni non sono fondate, proprio in forza del rapporto intercorrente tra gli artt. 4 e 5 e quelli precedenti. Gli artt. 4 e 5 della legge regionale impugnata, infatti, non meritano censura, dal momento che prevedono gli strumenti per attuare finalità ritenute non lesive delle competenze dello Stato.

9.– È impugnato, poi, l’art. 6, commi 1 e 2, lettere h) e k), della legge reg. Puglia n. 14 del 2019. Esso prevede l’istituzione della «Fondazione antimafia sociale - Stefano Fumarulo», cui attribuisce la generale funzione di «contrasto non repressivo alla criminalità organizzata» e ai «tentativi di infiltrazione mafiosa nel tessuto sociale ed economico» (comma 1), prevedendo, tra le altre cose, al comma 2, che essa: «h) propone azioni idonee a rafforzare gli interventi di prevenzione e contrasto, con particolare attenzione alle misure per la trasparenza nell’azione amministrativa e nel settore dei servizi, lavori e forniture e nel settore edile e delle costruzioni a committenza sia pubblica sia privata, attraverso l’attività dell’Osservatorio legalità che monitora il fenomeno del crimine mafioso e organizzato nel territorio regionale, di cui all’articolo 7» e «k) predispone, d’intesa con l’Agenzia dei beni confiscati, la banca dati dei beni confiscati alla criminalità organizzata esistenti sul territorio regionale, accessibile a tutti; nella banca dati devono essere individuati, attraverso la georeferenziazione, tutti i beni ed evidenziate, oltre alle generalità del soggetto destinatario della confisca, anche la natura, l’estensione, il valore, la destinazione d’uso dei singoli beni. In caso di concessione del bene a terzi, indipendentemente dalla finalità perseguita, nella banca dati devono essere inseriti anche i dati identificativi del terzo concessionario, la descrizione della tipologia dell’attività svolta sul bene, gli estremi dell’atto di concessione, la durata e la data di scadenza».

Ad avviso della difesa statale, il fatto che le funzioni di questa Fondazione siano enunciate al comma 1 in termini così ampi non evita, «anzi essenzialmente determina», il vizio d’incostituzionalità derivante dalla, anche solo potenziale, invasione della competenza statale ex art. 117, secondo comma, lettera h), Cost. Per l’Avvocatura generale, inoltre, la Banca dati dei beni confiscati alla criminalità organizzata esistenti sul territorio regionale, che l’art. 6, comma 2, lettera k), vorrebbe istituire, si sovrappone alla Banca dati nazionale già operante presso l’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (ANBSC, istituita dagli artt. 110 e seguenti del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, recante «Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136», anche cod. antimafia), determinando la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost. La previsione per cui tale Banca dati regionale sarebbe «accessibile a tutti», permettendo la «indiscriminata divulgazione» di informazioni sensibili, pure attinenti ai soggetti coinvolti nella procedura di confisca, violerebbe, inoltre, la competenza statale in materia di protezione dei dati personali, riconducibile all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.

9.1.– La difesa pugliese eccepisce l’inammissibilità delle questioni che riguardano l’art. 6, commi 1 e 2, lettera h), per la mancata corrispondenza tra il contenuto del ricorso e quello della delibera di autorizzazione a ricorrere, in quanto quelle disposizioni non sarebbero state indicate, nella delibera, tra gli oggetti d’impugnazione. Sostiene, altresì, che siano, a ogni modo, questioni nel merito non fondate, poiché le competenze attribuite alla Fondazione coincidono con compiti istruttori, consultivi o di studio e ricerca. Quanto all’art. 6, comma 2, lettera k), deduce l’infondatezza della censura, insistendo, in particolare, sulla circostanza che, per la predisposizione della Banca dati regionale, è previsto il raggiungimento di una intesa con l’ANBSC e, che, dunque, le attività portate avanti a livello regionale e nazionale sarebbero ben coordinate, senza pregiudizio delle funzioni dell’Agenzia nazionale.

9.2.– Le questioni relative all’art. 6, commi 1 e 2, lettera h), della legge reg. Puglia n. 14 del 2019 vanno dichiarate inammissibili, perché la volontà d’impugnare tali disposizioni non risulta dalla delibera autorizzativa al ricorso. Secondo la giurisprudenza costante di questa Corte, infatti, «la delibera governativa di impugnazione della legge e l’allegata relazione ministeriale, alla quale si rinvia, devono contenere l’indicazione delle disposizioni impugnate a pena di inammissibilità delle relative censure» (sentenza n. 269 del 2010 e, così, tra le altre, sentenza n. 41 del 2017).

9.3.– La questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 2, lettera k), della legge reg. Puglia n. 14 del 2019 è fondata, per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettere h) e l), Cost.

La predisposizione della «banca dati dei beni confiscati alla criminalità organizzata esistenti sul territorio regionale» interferisce con la funzione della Banca dati nazionale unica per la documentazione antimafia, operante presso l’ANBSC, istituita ai sensi dell’art. 96 del d.lgs. n. 159 del 2011. Così, sovrapponendosi alla struttura già disciplinata nel legittimo esercizio della competenza statale in materia di ordine pubblico e sicurezza, entro cui la normativa "antimafia” è senz’altro ricompresa, essa invade gli spazi di potestà esclusiva statale ex art. 117, secondo comma, lettera h), Cost.

Nonostante l’istituzione della Fondazione non sia di per sé lesiva delle competenze riservate alla legge dello Stato, essendo a essa attribuiti, in generale, compiti conoscitivi, di studio e di sensibilizzazione, occorre censurare l’istituzione della struttura informatica operativa nel solo territorio regionale. Questa Corte ha già avuto modo di affermare l’importanza dell’unitarietà dell’azione e delle funzioni svolte dall’ANBSC: «[l]a sua competenza», infatti, «non è delimitata dal punto di vista territoriale, essendo chiamata a svolgere compiti relativi ai beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, anche a supporto dell’autorità giudiziaria, su tutto il territorio nazionale». Così, «[l]a sfera di azione delle diverse sedi non è circoscritta al relativo ambito regionale, ma può riguardare beni e soggetti situati su tutto il territorio nazionale» (sentenza n. 159 del 2014; nello stesso senso, sentenza n. 34 del 2012).

Sussiste, inoltre, l’interferenza con la disciplina della protezione dei dati personali, appannaggio del legislatore statale ex art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. (sentenza n. 271 del 2005). È evidente che la previsione della legge regionale impugnata secondo cui la Banca dati dei beni confiscati alla criminalità organizzata esistenti sul territorio regionale deve essere «accessibile a tutti», nonché evidenziare una serie di dati, compresi dati personali del soggetto destinatario della confisca, s’inserisce nella materia dell’ordinamento civile riservata allo Stato, ponendosi in sostanziale contrasto con i limiti sul funzionamento, accesso e consultazione della Banca dati nazionale unica, previsti da apposito regolamento.

Né può essere decisivo, per evitare tali violazioni, il riferimento all’intesa di cui alla lettera k) impugnata, da raggiungersi tra ANBSC e «Fondazione antimafia sociale - Stefano Fumarulo». Infatti, una volta affermato che «la disposizione impugnata ricade in un ambito materiale riservato alla potestà legislativa esclusiva statale, viene meno l’obbligo di istituire meccanismi concertativi tra Stato e Regione» (così, sentenza n. 234 del 2012).

10.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato anche l’art. 7 della legge reg. Puglia n. 14 del 2019, il quale prevede che «1. La Fondazione di cui all’articolo 6 istituisce, quale struttura interna, l’Osservatorio legalità. 2. L’Osservatorio è composto da sette componenti: a) cinque componenti, di cui due in rappresentanza delle minoranze consiliari, nominati dal Consiglio regionale; b) un componente designato dal direttore dell’Ufficio scolastico regionale, in rappresentanza delle istituzioni scolastiche; c) un componente designato dall’assessore regionale competente, in rappresentanza del mondo delle associazioni che svolgono attività di educazione alla legalità e contrasto alla criminalità. 3. I componenti dell’Osservatorio devono essere soggetti di riconosciuta esperienza nel campo del contrasto dei fenomeni di stampo mafioso e della criminalità organizzata sul territorio pugliese nonché della promozione della legalità e della trasparenza e assicurare indipendenza di giudizio e azione rispetto alla pubblica amministrazione e alle organizzazioni politiche. Non possono far parte dell’Osservatorio e, se già nominati decadono, coloro i quali siano stati condannati, anche con sentenza non definitiva, per i reati previsti nei titoli II e III del libro secondo del codice penale. 4. L’Osservatorio è organismo consultivo in materia di contrasto e di prevenzione dei fenomeni di criminalità organizzata e di stampo mafioso, nonché di promozione della cultura della legalità, a supporto della Giunta regionale, della commissione consiliare competente, nonché degli altri organismi consiliari. 5. L’Osservatorio redige una relazione annuale sull’attività svolta da inviare al Presidente della Regione e al Presidente del Consiglio regionale. L’Osservatorio inoltre predispone documentazione, aperta alla fruizione dei cittadini, sui fenomeni connessi al crimine organizzato e mafioso, con specifico riguardo al territorio regionale, al fine di favorire iniziative di carattere culturale, per la raccolta di materiali e per la diffusione di conoscenze in materia mediante apposita pubblicazione sui siti internet della Regione e del Consiglio regionale. 6. L’incarico di componente dell’Osservatorio è svolto a titolo gratuito».

Ad avviso dell’Avvocatura generale dello Stato, tale art. 7, da un lato, per «la genericità del riferimento ad ogni possibile azione di contrasto e di prevenzione» dei fenomeni d’illegalità determinerebbe, o potrebbe determinare, l’invasione delle competenze statali su ordine pubblico e sicurezza, violando l’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., e, dall’altro, con specifico riferimento al suo comma 2, lettera b), imporrebbe un obbligo in capo al direttore dell’Ufficio scolastico regionale, incidendo sull’organizzazione dei compiti di un organo statale e violando, così, l’art. 117, secondo comma, lettera g), Cost.

10.1.– La difesa della Regione rileva, in via preliminare, l’inammissibilità della censura relativa al contrasto dell’art. 7, comma 2, lettera b), della legge reg. con l’art. 117, secondo comma, lettera g), Cost. per la mancata indicazione di tale parametro costituzionale nella delibera di autorizzazione al ricorso; nel merito, rileva l’infondatezza della stessa, ponendo in evidenza che il compito di designare un membro non comporterebbe l’imposizione di obblighi capaci di incidere sull’organizzazione dell’Ufficio scolastico regionale, diversamente da come sarebbe se s’imponesse un obbligo di partecipazione del direttore dell’Ufficio all’organismo regionale.

10.2.– La questione riguardante il contrasto del citato art. 7, comma 2, lettera b), con la competenza statale in materia di organizzazione degli organi dello Stato è ammissibile, dal momento che questa Corte attribuisce alla difesa del ricorrente un’autonomia tecnica nella indicazione dei parametri di censura, riconoscendo a essa il potere di integrare il tenore della autorizzazione (sentenza n. 39 del 2017). Nel caso di specie, l’art. 7 della legge reg. Puglia n. 14 del 2019 compare tra gli oggetti di cui si autorizza l’impugnazione e l’Avvocatura ha più specificamente articolato il motivo delle censure, rimanendo a ogni modo all’interno del perimetro delle volontà espresse nella delibera governativa.

10.3.– La questione è anche fondata.

Questa Corte ha ritenuto costituzionalmente illegittimo che le Regioni incidano sull’organizzazione degli organi dello Stato imponendo a funzionari statali la partecipazione a organismi regionali (sentenze n. 2 del 2013, n. 30 del 2006, n. 134 del 2004). La disposizione impugnata, pur non prevedendo un obbligo di partecipazione del direttore dell’Ufficio scolastico regionale all’Osservatorio, comunque sia gli impone l’obbligo di designazione di un membro, che opererà «in rappresentanza delle istituzioni scolastiche». La previsione regionale, in altre parole, finisce per impegnare il direttore dell’Ufficio scolastico regionale nella designazione di un membro e per imporre la partecipazione all’Osservatorio di un’altra figura, che opera nelle istituzioni scolastiche, così violando la competenza attribuita allo Stato dall’art. 117, comma 2, lettera g), Cost.

10.4.– La questione riguardante la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost. da parte dell’art. 7 della legge reg. Puglia n. 14 del 2019 non è fondata.

All’Osservatorio legalità, infatti, la legge reg. pugliese impugnata attribuisce compiti tutti rivolti allo scopo di promuovere la cultura della legalità, tramite lo svolgimento di funzioni consultive in favore degli organi politici regionali e di funzioni di studio, ricerca e diffusione delle conoscenze nel territorio. Tale genere di attività, per giurisprudenza ormai costante, non pregiudica la competenza statale in materia di ordine pubblico e sicurezza. Quest’ultima, infatti, «riguarda le funzioni dirette a tutelare interessi fondamentali, quali l’integrità fisica e psichica delle persone, o la sicurezza dei beni (sentenza n. 290 del 2001), restando estranea a tale ambito l’attività di conoscenza, formazione e ricerca che appare strutturalmente inidonea ad incidere sull’assetto della competenza statale (sentenze n. 208 del 2018 e n. 105 del 2006)» (sentenza n. 116 del 2019).

11.– È altresì impugnato l’art. 9, commi 1 e 2, lettere d) ed e), della legge reg. Puglia n. 14 del 2019 per contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost. Esso prevede che «1. La Regione Puglia valorizza il ruolo degli enti locali nel perseguimento degli obiettivi della presente legge e adotta specifiche iniziative per valorizzare e diffondere le migliori politiche locali per la trasparenza, la legalità e il contrasto al crimine organizzato e mafioso. 2. La Regione istituisce, con apposito regolamento da emanare entro il termine di novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, un rating di buone prassi degli enti locali in materia di Antimafia sociale, finalizzato a riconoscere e valorizzare le migliori iniziative attuate dagli enti locali per il perseguimento degli obiettivi della presente legge, con particolare riferimento a: […] d) promozione della conoscenza e del riuso sociale dei beni confiscati alla criminalità organizzata; e) attuazione di iniziative di contrasto al gioco d’azzardo e alla proliferazione delle sale da gioco in aree sensibili delle città».

Secondo la difesa statale, la facoltà di adottare «specifiche iniziative» per il contrasto al crimine organizzato e mafioso, prevista dalle disposizioni impugnate, implica, per il suo carattere indeterminato, per lo meno la possibilità che la Regione adotti misure di carattere immediatamente organizzativo o operativo, pregiudicando la competenza statale su ordine pubblico e sicurezza. Ad avviso del ricorrente, inoltre, gli interventi per l’ulteriore uso sociale dei beni confiscati alla criminalità organizzata e l’attuazione di iniziative di contrasto al gioco d’azzardo e alla proliferazione delle sale da gioco in aree sensibili delle città invaderebbero «un campo interamente e analiticamente disciplinato dalla legge statale, sempre in attuazione della competenza esclusiva ex art. 117 c. 2 lett. h)».

11.1.– Le questioni non sono fondate.

Le disposizioni impugnate non sono idonee a incidere sull’assetto della competenza statale, poiché le azioni da esse previste attengono alla promozione culturale. Esse, evitando di disciplinare direttamente le modalità di contrasto al crimine organizzato o al gioco d’azzardo, impegnano, infatti, la Regione Puglia alla valorizzazione delle migliori pratiche per la trasparenza, la legalità e il contrasto ai fenomeni mafiosi, prevedendo, inoltre, l’adozione di un "rating di buone prassi” sull’ulteriore uso dei beni confiscati e sul contenimento del gioco d’azzardo, già sperimentate e attuate dagli enti locali. Tale ricognizione, funzionale alla diffusione sul territorio delle esperienze che si ritiene utile valorizzare, non è suscettibile di violare la sfera di competenza legislativa statale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost.

12.– Il ricorrente impugna, altresì, l’art. 10, commi 1 e 2, della legge reg. Puglia n. 14 del 2019, secondo cui «1. La Regione Puglia promuove interventi per la valorizzazione e il riuso dei beni immobili e delle aziende confiscate alla criminalità organizzata e mafiosa allo scopo di trasformare i mezzi e i proventi dell’economia criminale in risorse per la coesione sociale della comunità, per la creazione di occupazione e per lo sviluppo sostenibile del territorio, attraverso: a) attività di assistenza tecnica agli enti locali assegnatari di tali beni e sostegno a progetti per il recupero e il riuso sociale dei beni e delle aziende confiscate; b) iniziative per la raccolta, la catalogazione e la diffusione delle informazioni relative ai beni confiscati immediatamente disponibili per progetti di riuso sociale; c) azioni di sensibilizzazione degli enti locali territoriali per incentivare il riuso sociale dei beni confiscati iscritti nel loro patrimonio anche attraverso la concessione a organizzazioni del terzo settore con bando di evidenza pubblica; promozione di interventi formativi sul tema dell’ulteriore uso sociale dei beni confiscati, destinati ad amministratori e dipendenti pubblici, operatori e aspiranti imprenditori sociali; d) promozione di eventi e iniziative per il coordinamento e la messa in rete di enti locali, associazioni, imprese sociali e altri attori protagonisti di esperienze di riuso sociale di beni confiscati; e) sostegno a progetti per il recupero, la rifunzionalizzazione e il riuso sociale dei beni confiscati capaci di generare occasioni di crescita economica e sociale in una prospettiva di auto sostenibilità nel tempo, anche attraverso specifiche premialità nei bandi e nelle iniziative regionali a supporto delle organizzazioni del terzo settore; f) erogazione di contributi per la rimozione di ostacoli che impediscano il riutilizzo a fini sociali dei beni confiscati; g) azioni di coinvolgimento della comunità locale, delle organizzazioni di categoria e degli attori sociali pubblici e privati in azioni di accompagnamento e tutoraggio dei progetti di riuso. 2. La Regione può riconoscere una premialità a quei progetti le cui attività prevedono il riutilizzo sociale dei beni immobili e il miglior riutilizzo delle aziende confiscate, in particolare di quelle agricole, confiscati alla criminalità organizzata e mafiosa. A tale scopo, nel rispetto della normativa vigente, la Regione promuove la stipula di intese e accordi di collaborazione con gli organi dello Stato, altri enti pubblici e privati, nonché associazioni e soggetti che gestiscono i beni confiscati, allo scopo di coordinare e promuovere il migliore utilizzo di beni e aziende confiscate alla criminalità».

L’Avvocatura generale afferma che tali disposizioni violano la competenza statale fissata nell’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost. Ad avviso della difesa statale, infatti, le previsioni per cui la Regione promuove interventi per la valorizzazione e l’ulteriore uso dei beni immobili e delle aziende confiscate alla criminalità organizzata, allo scopo di utilizzare detti beni come risorse per la coesione sociale, per la creazione di occupazione e per lo sviluppo sostenibile del territorio, si sovrappone alle previsioni di cui all’art. 48 cod. antimafia, così interferendo con la competenza esercitata dal legislatore statale su ordine pubblico, sicurezza e repressione dei reati.

12.1.– La difesa regionale, dal canto suo, rileva innanzitutto l’inammissibilità dell’impugnazione del comma 1, in quanto esso non risulta indicato quale oggetto d’impugnazione nella delibera governativa di autorizzazione al ricorso, deducendo altresì l’infondatezza delle censure.

12.2.– L’eccezione, riferita all’impugnazione dell’art. 10, comma 1, della legge reg. pugliese, merita di essere accolta e, pertanto, la questione deve dichiararsi inammissibile, per le medesime ragioni esposte al punto 9.2.

12.3.– La questione di costituzionalità dell’art. 10, comma 2, della legge reg. impugnata in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost. non è fondata.

La ragione dell’infondatezza delle censure risiede, ancora una volta, nella carenza di capacità lesiva delle disposizioni impugnate. Queste ultime, infatti, evitando di innovare o disporre diversamente dalla disciplina statale in materia di ulteriore uso dei beni immobili e aziende confiscati alle mafie, si propone di svolgere attività di promozione degli stessi valori propugnati dal legislatore statale. In altri termini, la possibilità di riconoscere una premialità ai progetti sull’ulteriore uso dei predetti beni confiscati, anche attraverso intese e accordi con organi dello Stato, enti o associazioni, non incide negativamente sulla disciplina o sull’attuazione delle regole sull’ulteriore uso dei beni confiscati, appartenenti alla legislazione statale, ma si propone, anzi, di costituire stimolo e impulso ad attività ritenute – dallo stesso Stato – di significativa importanza.

13.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha, poi, impugnato l’art. 13 della legge reg. Puglia n. 14 del 2019 per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., in relazione al principio del contenimento della spesa sanitaria quale principio generale di coordinamento della finanza pubblica.

L’articolo impugnato dispone che «1. Agli invalidi vittime della mafia, della criminalità organizzata, del terrorismo, del dovere, individuati nei modi di cui alla l. 302/1990 e ai loro familiari conviventi è riconosciuto il diritto all’assistenza psicologia e/o psichiatrica a carico della Regione Puglia, da esercitarsi presso le strutture sanitarie pubbliche o convenzionate. 2. Gli invalidi vittime della mafia, della criminalità organizzata, del terrorismo e del dovere, individuati nei modi di cui alla l. 302/1990 e i familiari, inclusi i familiari dei deceduti, limitatamente al coniuge e ai figli e, in mancanza dei predetti, ai genitori, sono esenti dalla partecipazione alla spesa per ogni tipo di prestazione sanitaria fruita presso le strutture del Servizio sanitario nazionale o le strutture private accreditate e farmaceutica nonché dall’obbligo di pagare la differenza tra il prezzo di rimborso dei medicinali generici e il prezzo delle specialità medicinali coperte da brevetto».

La difesa dello Stato censura tali previsioni, poiché comporterebbero un ampliamento dell’assistenza sanitaria a carico del bilancio regionale, mentre una Regione impegnata nel Piano di rientro dal disavanzo sanitario non potrebbe prevedere spese ulteriori a quelle destinate ai Livelli essenziali d’assistenza (LEA). Il d.P.R. 7 luglio 2006, n. 243 (Regolamento concernente termini e modalità di corresponsione delle provvidenze alle vittime del dovere ed ai soggetti equiparati, ai fini della progressiva estensione dei benefici già previsti in favore delle vittime della criminalità e del terrorismo, a norma dell'articolo l, comma 565, della L. 23 dicembre 2005, n. 266) riconosce, infatti, il diritto all’esenzione dal pagamento del ticket per ogni tipo di prestazione sanitaria e il diritto all’assistenza psicologica a carico dello Stato solamente alle vittime stesse e ai loro familiari superstiti, mentre la legge reg. pugliese estenderebbe i benefici ai familiari conviventi, incidendo negativamente sul principio del contenimento della spesa pubblica.

13.1.– La parte resistente deduce l’infondatezza delle censure. Richiamando il contenuto della legge 3 agosto 2004, n. 206 (Nuove norme in favore delle vittime del terrorismo e delle stragi di tale matrice), che stabilisce che «alle vittime di atti di terrorismo e delle stragi di tale matrice e ai loro familiari è assicurata assistenza psicologica a carico dello Stato», afferma che la disposizione regionale, riferendosi ai soli familiari conviventi, in realtà non amplia bensì restringe la platea degli aventi diritto. Inoltre, la difesa regionale pone in evidenza che la copertura finanziaria delle prestazioni non è posta a carico del Servizio sanitario regionale.

13.2.– La questione è fondata.

Le disposizioni di cui all’art. 13 della legge reg. Puglia n. 14 del 2019 determinano l’estensione dei soggetti beneficiari di assistenza sanitaria gratuita, rispetto a quanto previsto dalla legislazione statale, comportando l’inosservanza del divieto di effettuare spese non obbligatorie, derivante dalla vincolatività del Piano di rientro dal disavanzo sanitario (art. 1, comma 796, lettera b), della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)»; e dall’art. 2, commi 80 e 95, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2010)», quale espressione dei principî di contenimento della spesa sanitaria e di coordinamento della finanza pubblica, riconducibili all’art. 117, terzo comma, Cost. (ex multis, sentenze n. 91 del 2012, n. 163 e n. 123 del 2011).

L’art. 4 del d.P.R. 243 del 2006 stabilisce, infatti, che la vittima del terrorismo e della criminalità organizzata o i familiari «superstiti» abbiano diritto all’esenzione dal pagamento del ticket sanitario e che le vittime del terrorismo, di cui alla legge n. 206 del 2004, usufruiscano di assistenza psicologica gratuita. Diversamente, l’art. 13 della legge reg. Puglia n. 14 del 2019 ha previsto che le vittime del terrorismo e della criminalità e i familiari «conviventi» beneficino dell’esenzione dal ticket sanitario e dell’assistenza psicologica e psichiatrica gratuita. Così, per la disciplina statale, l’assistenza psicologica è gratuita per la vittima della criminalità e, solamente quando questa fosse deceduta, per il coniuge e i figli; per la legge della Regione Puglia – che introduce la formula familiari «conviventi» – i benefici, relativi all’assistenza psicologica e psichiatrica, spettano a chi abbia un vincolo familiare e conviva con la vittima della criminalità, oltre che alla vittima stessa, e prima del suo decesso. Le previsioni regionali impugnate aggiungono altresì al beneficio concesso dalla disciplina statale, di cui all’art. 15 della legge 20 ottobre 1990, n. 302 (Norme a favore delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata), consistente nell’esenzione dal pagamento del ticket, quello dell’esenzione dal pagamento della differenza tra il prezzo del medicinale generico e il prezzo del medicinale coperto da brevetto.

L’autonomia legislativa regionale, in materie di competenza concorrente, come più volte affermato da questa Corte, «può incontrare limiti alla luce degli obiettivi della finanza pubblica e del contenimento della spesa, peraltro in un quadro di esplicita condivisione, da parte delle Regioni, della necessità di contenere i disavanzi del settore sanitario» (sentenze n. 278 del 2014 e n. 193 del 2007). Le disposizioni impugnate violano il parametro costituzionale evocato e le conseguenti norme interposte per il mancato rispetto di detti limiti, in quanto prevedono spese ulteriori rispetto a quelle destinate al finanziamento delle prestazioni essenziali, per un tempo non circoscritto, nonché per importi complessivi difficilmente prevedibili.

Questa Corte ha da tempo ritenuto che le esigenze di risanamento del disavanzo sanitario e di contestuale garanzia dei LEA producano un «effetto interdittivo» della previsione di spese che possano di fatto compromettere tali impegni, destinando altrove risorse utili a quello scopo (tra le altre, sentenze n. 85 del 2014 e n. 51 del 2013). Anche di recente, questa Corte ha ribadito, con riferimento a una Regione che esegue misure di consolidamento degli obiettivi fissati nel Piano di rientro, il valore prioritario dell’effettiva garanzia delle prestazioni essenziali, a cui vanno destinate le risorse finanziarie a disposizione (sentenze n. 130 e n. 62 del 2020).

14.– Il ricorrente ha altresì impugnato l’art. 16, commi 1 e 3, della legge reg. Puglia n. 14 del 2019 per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost. Esso prevede che «1. Nell’attuazione delle politiche di prevenzione e contrasto dei fenomeni di illegalità in materia di tutela dell’ambiente, connessi o derivanti da attività criminose di tipo organizzato o mafioso, la Regione promuove la conclusione di accordi e la stipula di convenzioni con le autorità statali operanti sul territorio regionale nel settore ambientale, le associazioni di imprese, le organizzazioni sindacali, le associazioni di volontariato e le associazioni ambientalistiche individuate secondo le procedure di legge. […] 3. La Regione adotta entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge un atto di indirizzo per rafforzare la prevenzione e il contrasto della corruzione e degli altri fenomeni di illegalità nel settore sanitario. Le aziende sanitarie e gli altri soggetti del sevizio sanitario regionale danno attuazione a quanto contenuto nell’atto di indirizzo nei centottanta giorni successivi alla sua adozione».

Per la difesa statale, tali disposizioni sarebbero costituzionalmente illegittime, perché, da un lato, prevedendo che la Regione promuova la conclusione di accordi con le autorità statali operanti nel settore ambientale, comporterebbero possibili sconfinamenti nelle scelte legislative sul contrasto del crimine organizzato e potenzialmente anche sulla tutela dell’ambiente, e, dall’altro lato, prevedendo l’adozione di un atto di indirizzo regionale per rafforzare la prevenzione e il contrasto della corruzione e di altri fenomeni d’illegalità nel settore sanitario, invaderebbero la competenza statale in materia di ordine pubblico e sicurezza.

14.1.– Le questioni non sono fondate.

La formulazione delle disposizioni impugnate denota che la Regione non intende intervenire nella disciplina dei reati ambientali o nella regolamentazione del contrasto alla corruzione in ambito sanitario, bensì che intende limitarsi all’affiancamento agli organi statali nel perseguimento del fine di combattere la criminalità nei settori ambientale e sanitario. Le disposizioni – che prevedono "la promozione” di accordi tra Regione e autorità statali per la prevenzione dei reati in materia ambientale e l’adozione di un "atto di indirizzo” per rafforzare il contrasto della corruzione – hanno un valore, per così dire, programmatico e non presentano capacità lesiva, pur riferendosi a fenomeni come la criminalità organizzata e la corruzione (sentenza n. 285 del 2019).

15.– È, ancora, promossa, da parte del Presidente del Consiglio dei ministri, questione di costituzionalità dell’art. 17, comma 2, della legge reg. Puglia n. 14 del 2019 per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost. Il comma impugnato prevede che «[p]er le finalità di cui al comma 1, la Regione promuove la stipula di "Protocolli di legalità” tra prefetture e amministrazioni aggiudicatrici, per potenziare gli strumenti di prevenzione e contrasto dei fenomeni corruttivi e delle infiltrazioni mafiose, nella realizzazione di opere e prestazioni di servizi, in materia urbanistica e di edilizia privata, nella gestione del patrimonio pubblico salvaguardando l’interesse pubblico da ogni tentativo di condizionare le attività economiche e finanziarie nei settori di pubblico interesse, al fine di: a) garantire la regolarità dei cantieri e il rispetto della normativa in materia di lavoro e sicurezza dei lavoratori; b) dare piena e concreta attuazione ai piani di prevenzione della corruzione ai sensi della legge 6 novembre 2012, n. 190 […]; c) confrontare e condividere valutazioni e proposte tra istituzioni, associazioni e cittadini; d) diffondere tra la cittadinanza la conoscenza dell’esistenza di misure di sostegno nazionali e regionali in favore delle vittime del reato di usura o di estorsione».

Ad avviso del ricorrente, la Regione non potrebbe intervenire sulle normative cosiddette anti-corruzione, di pertinenza statale, perché invaderebbe un ambito di competenza già disciplinato, in particolare, con la legge 6 novembre 2012, n. 190 (Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e della illegalità nella pubblica amministrazione).

15.1.– La questione non è fondata, per ragioni simili a quelle addotte a motivo della non fondatezza delle questioni scrutinate al punto 14.

Pure in questo caso, valorizzando il dato letterale, si comprende che la Regione Puglia si limita a promuovere la stipula di Protocolli per la legalità tra prefetture e amministrazioni aggiudicatrici, nelle procedure di realizzazione di opere o prestazione di servizi, al fine di rafforzare la prevenzione della corruzione propugnata dalla legge statale. Vero è, dunque, che tali aspetti trovano una disciplina nella legge n. 190 del 2012 – che in proposito prevede che l’adozione di detti protocolli sia rimessa alla discrezionalità della singola stazione appaltante, che può inserirli all’interno dei propri bandi di gara, avvisi o lettere d’invito (art. 1, comma 17) – ma è altresì vero che la Regione non ne impone la stipula ma intende solamente promuoverne l’adozione con una previsione che, dunque, non si pone in contrasto con la disciplina statale. Così «la Regione, nell’esercizio delle proprie competenze, svolge una mera attività di stimolo e d’impulso, nei limiti consentiti, presso i competenti organi statali, all’adozione di misure volte al perseguimento del fine della tutela della sicurezza» (sentenza n. 167 del 2010).

16.– Il ricorso denunzia, infine, l’illegittimità costituzionale dell’art. 20, commi 2 e 3, della legge reg. Puglia n. 14 del 2019 per contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost. Le previsioni impugnate stabiliscono che «2. La Regione e i comuni affidano alle Aziende per la casa e per l’abitare le funzioni di classificazione, ripristino, assegnazione e manutenzione ordinaria e straordinaria del patrimonio immobiliare utilizzabile o riconvertibile a uso abitativo nell’ambito di beni immobili sequestrati o confiscati ai sensi del vigente codice antimafia. 3. Per le finalità e l’attuazione di quanto previsto al comma 2 la Regione Puglia promuove la stipula di un protocollo d’intesa con l’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità».

Ad avviso della difesa erariale, queste disposizioni sarebbero incostituzionali, poiché prevedono che la Regione e i Comuni affidano alle "Aziende per la casa e per l’abitare” le funzioni di classificazione, ripristino, assegnazione e manutenzione ordinaria dei beni immobili sequestrati o confiscati ai sensi del codice antimafia utilizzabili a scopo abitativo, promovendo a questi fini la stipula di un protocollo d’intesa con l’ANBSC, ma senz’altro contrastando con la disciplina statale recata dagli artt. 40 e seguenti del codice antimafia. Questi ultimi, infatti, racchiuderebbero una regolamentazione esauriente e dettagliata della gestione dei beni confiscati, e la normativa regionale interferirebbe con essa, sovrapponendovisi.

16.1.– La questione è fondata.

Cambia, innanzitutto, il registro utilizzato dal legislatore regionale, che nelle disposizioni ora impugnate afferma che la Regione e i Comuni pugliesi «affidano» alle Aziende per la casa e per l’abitare funzioni di classificazione, ripristino, assegnazione e manutenzione del patrimonio immobiliare confiscato alla criminalità organizzata e riconvertibile a uso abitativo, fuoriuscendo così dalle funzioni di promozione e stimolo innanzi viste e ponendo una disciplina suscettibile di immediata operatività. Disciplina che, però, si sovrappone ed è distonica rispetto alla già esercitata competenza legislativa statale.

Le disposizioni impugnate, infatti, prevedendo l’affidamento di quelle funzioni ad Agenzie regionali, comprimono le facoltà che la legge statale riconosce agli enti locali destinatari dei detti beni confiscati: l’art. 48 cod. antimafia disciplina anche fasi successive al trasferimento del bene al patrimonio del Comune ove il bene si trova o della Regione. In particolare, non si vede come potrebbero conciliarsi le previsioni di cui all’impugnato art. 20 con quelle contenute, ad esempio, nell’art. 48, comma 3, lettere c) e d), cod. antimafia, che stabilisce, alla lettera c), che i beni immobili sono «trasferiti per finalità istituzionali o sociali, in via prioritaria, al patrimonio del comune ove l'immobile è sito, ovvero al patrimonio della provincia o della regione. […] Gli enti territoriali, anche consorziandosi o attraverso associazioni, possono amministrare direttamente il bene o, sulla base di apposita convenzione, assegnarlo in concessione, a titolo gratuito e nel rispetto dei principi di trasparenza, adeguata pubblicità e parità di trattamento, a comunità, anche giovanili, ad enti, ad associazioni maggiormente rappresentative degli enti locali, ad organizzazioni di volontariato […]. I beni non assegnati possono essere utilizzati dagli enti territoriali per finalità di lucro e i relativi proventi devono essere reimpiegati esclusivamente per finalità sociali. […] Il comune può amministrare direttamente il bene oppure, preferibilmente, assegnarlo in concessione […]; e, alla lettera d), che «[…] Se entro due anni l’ente territoriale non ha provveduto alla destinazione del bene, l’Agenzia dispone la revoca del trasferimento ovvero la nomina di un commissario con poteri sostitutivi».

Le disposizioni impugnate devono dunque dichiararsi costituzionalmente illegittime perché modificano le prerogative attribuite dalla legge statale, competente a regolare la materia, ai soggetti coinvolti nella gestione dei beni immobili confiscati.

Questa Corte ha già dichiarato l’illegittimità costituzionale della previsione della «Agenzia regionale della Calabria per i beni confiscati alle organizzazioni criminali», che doveva amministrare i beni confiscati e assegnati alla Regione Calabria, censurando proprio il fatto che «la legge regionale conferisce direttamente all’Agenzia regionale, e non alla Regione, tanto la facoltà di chiedere in assegnazione detti beni, quanto il compito di amministrare quelli eventualmente assegnati alla Regione Calabria. Le funzioni di vigilanza sul corretto utilizzo dei beni da parte dei soggetti assegnatari e sull’effettiva corrispondenza tra la destinazione ed il loro utilizzo si sovrappongono a quelle previste in capo alla più volte menzionata Agenzia nazionale, la quale, oltre al potere-dovere di verificare detto utilizzo, dispone del potere di revoca del provvedimento di assegnazione e destinazione» (sentenza n. 34 del 2012). D’altra parte, questa Corte ha poi avuto modo di confermare che «la normativa concernente gli effetti della confisca definitiva a titolo di misura di prevenzione attiene alla competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di ordine pubblico e sicurezza (sentenza n. 34 del 2012), anche con riferimento all’assegnazione dei beni e alle funzioni di vigilanza sulla corretta utilizzazione di essi da parte degli assegnatari» (sentenza n. 234 del 2012).

Discende dalle considerazioni appena formulate che l’art. 20, commi 2 e 3, del testo unico pugliese viola l’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., a nulla rilevando che il comma 2 dell’articolo impugnato ricerchi forme di collaborazione interistituzionale, trattandosi di funzioni regolate dalla legislazione statale in una materia di competenza esclusiva.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 6, comma 2, lettera k), della legge della Regione Puglia 28 marzo 2019, n. 14 (Testo unico in materia di legalità, regolarità amministrativa e sicurezza);

2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 7, comma 2, lettera b), della legge reg. Puglia n. 14 del 2019;

3) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 13 della legge reg. Puglia n. 14 del 2019;

4) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 20, commi 2 e 3, della legge reg. Puglia n. 14 del 2019;

5) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 6, commi 1 e 2, lettera h), della legge reg. Puglia n. 14 del 2019, promosse, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera h), della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe;

6) dichiara inammissibile la questione dell’art. 10, comma 1, della legge reg. Puglia n. 14 del 2019, promossa, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe;

7) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 2, e 2, comma 1, della legge reg. Puglia n. 14 del 2019, promosse, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe;

8) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 4 e 5 della legge reg. Puglia n. 14 del 2019, promosse, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe;

9) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 7 della legge reg. Puglia n. 14 del 2019, promossa, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe;

10) dichiara non fondata la questione dell’art. 9, commi 1 e 2, della legge reg. Puglia n. 14 del 2019, promossa, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe;

11) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 10, comma 2, della legge reg. Puglia n. 14 del 2019, promossa, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe;

12) dichiara non fondata la questione dell’art. 16, commi 1 e 3, della legge reg. Puglia n. 14 del 2019, promossa, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe;

13) dichiara non fondata la questione dell’art. 17, comma 2, della legge reg. Puglia n. 14 del 2019, promossa, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost, dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 giugno 2020.

F.to:

Marta CARTABIA, Presidente

Franco MODUGNO, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 30 luglio 2020.