Sentenza n. 79 del 2020

 

SENTENZA N. 79

ANNO 2020

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

 

Presidente: Marta CARTABIA;

 

Giudici: Aldo CAROSI, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 55 della legge 27 luglio 1978, n. 392 (Disciplina delle locazioni di immobili urbani), promossi dal Tribunale ordinario di Modena con due ordinanze del 27 novembre 2018, iscritte, rispettivamente, ai numeri 53 e 54 del registro ordinanze 2019 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 16, prima serie speciale, dell’anno 2019.

 

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nella camera di consiglio del 26 febbraio 2020 il Giudice relatore Giovanni Amoroso;

 

deliberato nella camera di consiglio del 10 marzo 2020.

 

Ritenuto in fatto

 

1.‒ Il Tribunale ordinario di Modena, con due ordinanze del 27 novembre 2018, iscritte, rispettivamente, ai numeri 53 e 54 del registro ordinanze 2019, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 55 della legge 27 luglio 1978, n. 392 (Disciplina delle locazioni di immobili urbani), nella parte in cui stabilisce che la risoluzione del contratto di locazione non ha luogo se il conduttore effettua in sede giudiziale – o entro il termine assegnato in quella sede dal giudice – il pagamento dell’importo dovuto per tutti i canoni scaduti e per gli oneri accessori maturati sino a tale data, maggiorato degli interessi legali e delle spese processuali.

 

In entrambe le ordinanze, il Tribunale rimettente incentra i dubbi di legittimità costituzionale della disposizione censurata sulla mancata previsione, tra i casi di esclusione della risoluzione in sede di procedimento per convalida di sfratto, ove al conduttore sia stato concesso il termine previsto dal medesimo articolo per le sue condizioni di difficoltà economica, dell’ipotesi in cui residui il pagamento delle spese processuali e di ogni altra ipotesi in cui, al momento della decisione, la caducazione del rapporto contrattuale, tenuto conto dell’entità del debito residuo per canoni scaduti, oneri accessori o interessi, avuto riguardo alle reciproche posizioni delle parti, determini un sacrificio sproporzionato dell’interesse abitativo del conduttore.

 

2.‒ In particolare, quanto all’ordinanza di rimessione n. 53 del 2019, il Tribunale di Modena è stato investito di un’intimazione per convalida di sfratto per morosità, volta alla risoluzione di un contratto di locazione a uso abitativo, in ragione del mancato pagamento di quattro canoni scaduti (per complessivi euro 2.000,00) e oneri accessori. Alla prima udienza, i conduttori non hanno proposto opposizione alla convalida, ma hanno chiesto e ottenuto il termine cosiddetto di grazia di cui all’art. 55 della legge n. 392 del 1978 per sanare la morosità e provvedere al pagamento delle spese legali. Alla successiva udienza, l’intimante ha dichiarato la persistenza della morosità e insistito per la convalida dello sfratto. La verifica della sanatoria della morosità è stata rinviata a un’altra udienza in quanto uno dei conduttori è comparso producendo contabili di pagamento dei canoni dovuti, a eccezione di una mensilità. All’udienza successiva, l’intimante ha insistito nuovamente per la convalida della morosità in virtù dell’omesso pagamento di un residuo debito di euro 322,50 per canoni scaduti e della mancata refusione delle spese processuali per euro 1.374,80.

 

Lo stesso Tribunale – avendo riguardo all’ordinanza n. 54 del 2019 – è stato investito di un’intimazione per convalida dello sfratto per morosità nel pagamento di tre canoni scaduti (per complessivi euro 1.500,00) e oneri condominiali nell’ambito di un rapporto di locazione a uso abitativo. Alla prima udienza, il Giudice ha concesso ai conduttori il termine di grazia ai sensi del secondo comma dell’art. 55 della legge n. 392 del 1978 per la sanatoria della morosità e il pagamento delle spese legali contestualmente liquidate. Alla successiva udienza di verifica, l’intimante ha dichiarato la persistenza della morosità per l’importo di euro 250,00 per canoni scaduti oltre al mancato pagamento delle spese, insistendo per la convalida dello sfratto.

 

Ciò premesso, in entrambi i procedimenti il Tribunale rimettente, con due ordinanze di analogo tenore, ha sollevato, d’ufficio, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 55 della legge n. 392 del 1978, nella parte in cui esclude la possibilità per il giudice, una volta scaduto il termine concesso per la sanatoria, di negare la convalida dello sfratto ove residui il mancato pagamento delle sole spese processuali e in ogni altra ipotesi nella quale la caducazione del rapporto contrattuale, tenendo conto dell’entità del debito residuo, avendo riguardo alle reciproche posizioni delle parti, determini un sacrificio sproporzionato dell’interesse abitativo del conduttore.

 

Ad avviso del rimettente si configurerebbe, in primo luogo, la violazione dell’art. 2 della Costituzione, quale fondamento costituzionale del principio di buona fede, che impone alla parte del rapporto obbligatorio, in ogni fase dello stesso, di considerare l’interesse dell’altra parte nei limiti dell’apprezzabile sacrificio del proprio, in quanto non consente al giudice di valutare l’entità di questi interessi e di questi sacrifici, imponendogli di emanare una pronuncia di risoluzione in sede sommaria anche nelle ipotesi in cui, a fronte della compromissione, che deve presumersi certa e attuale, dell’interesse abitativo del conduttore, non sia chiara l’incidenza altrettanto rilevante del debito residuo per canoni di locazione o oneri accessori nella sfera giuridica del locatore ovvero residui il solo pagamento delle spese processuali, che il locatore potrebbe comunque ottenere in forza della sentenza conclusiva del giudizio di merito, una volta mutato il rito.

 

Il Tribunale rimettente deduce, inoltre, la violazione, da parte della disposizione censurata, dell’art. 3, secondo comma, Cost., poiché, interpretata in termini rigorosi sì da richiedere l’integrale pagamento dell’importo complessivo fissato dal giudice, finisce con il determinare un irragionevole trattamento analogo di situazioni che sono invece molto diverse, come la condizione del conduttore al quale sia stato concesso il termine giudiziale per la sanatoria della morosità e non abbia pagato il debito per canoni e oneri in misura tale da incidere in modo rilevante nella sfera patrimoniale del locatore e quella del conduttore cui pure sia stato concesso il termine in questione e che non abbia pagato il debito per canoni e oneri senza incidere in maniera rilevante nella sfera patrimoniale del locatore poiché in entrambi i casi impone la risoluzione del contratto, precludendo al giudice una valutazione comparativa degli interessi contrapposti.

 

Parimenti sarebbe violato il parametro costituito dal principio del «giusto processo» di cui all’art. 111 Cost., inteso come presidio contro l’esercizio dell’azione in forme eccedenti o devianti rispetto alla tutela dell’interesse sostanziale. La disposizione censurata, infatti, impone la risoluzione del contratto, con la conseguente compromissione dell’interesse abitativo del conduttore, anche nei casi in cui, a fronte di un suo obiettivo sforzo, date le condizioni di difficoltà sottese alla concessione del termine di grazia per sanare la morosità, la lesione dell’interesse economico del locatore, corrispondente alla differenza tra quanto determinato in sede di concessione del termine di cui all’art. 55, secondo comma, della legge n. 392 del 1978, e quanto pagato dal conduttore, sia tollerabile entro i limiti dell’apprezzabile sacrificio, avuto riguardo alle condizioni delle parti, oppure soltanto eventuale, come nel caso delle spese processuali.

 

3.‒ Nei giudizi incidentali di legittimità costituzionale promossi dal Tribunale ordinario di Modena non si sono costituite le parti dei giudizi principali.

 

È invece intervenuto in entrambi i giudizi, con atti di analogo tenore, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la manifesta infondatezza delle sollevate questioni di legittimità costituzionale. In particolare, l’Avvocatura generale deduce la ragionevolezza del bilanciamento degli interessi tra le parti del rapporto di locazione operato nella propria discrezionalità dal legislatore ordinario mediante l’art. 55 della legge n. 392 del 1978, norma che, per un verso, consente al conduttore di chiedere e ottenere, in deroga alla disciplina ordinaria della risoluzione del contratto mediante il meccanismo processuale della convalida di sfratto per morosità ex art. 658 del codice di procedura civile, un ulteriore termine per sanare la morosità e, per un altro, proprio in virtù della valenza eccezionale della concessione di tale termine, pretende, come costantemente ribadito nella giurisprudenza di legittimità, che, per evitare la convalida, il conduttore sani integralmente la morosità e provveda al pagamento delle spese di un procedimento incardinato in virtù del proprio inadempimento.

 

Considerato in diritto

 

1.‒ Il Tribunale ordinario di Modena con due ordinanze del 27 novembre 2018, iscritte, rispettivamente, ai numeri 53 e 54 del registro ordinanze 2019, dubita della legittimità costituzionale dell’art. 55 della legge 27 luglio 1978, n. 392 (Disciplina delle locazioni di immobili urbani), in riferimento agli artt. 2, 3, secondo comma, e 111 della Costituzione, nella parte in cui, prevedendo (al quinto comma) che «[i]l pagamento, nei termini di cui ai commi precedenti, esclude la risoluzione del contratto», non comprende, tra i casi di esclusione della risoluzione in sede di procedimento per convalida di sfratto, ove al conduttore sia stato concesso il termine previsto dal medesimo articolo per le sue condizioni di difficoltà economica, l’ipotesi in cui residui il pagamento delle spese processuali e ogni altra ipotesi in cui, al momento della decisione, la caducazione del rapporto contrattuale, tenuto conto dell’entità del debito residuo per canoni scaduti, oneri accessori o interessi, avuto riguardo alle reciproche posizioni delle parti, determini un sacrificio sproporzionato dell’interesse abitativo del conduttore.

 

Le questioni sono state sollevate in due procedimenti di convalida di intimazione di sfratto per morosità nei quali il giudice aveva concesso ai conduttori, ai sensi dell’art. 55, secondo comma, della legge n. 392 del 1978, il termine cosiddetto di grazia per la sanatoria della morosità in sede giudiziale.

 

In entrambe le ipotesi oggetto delle ordinanze di rimessione, i conduttori non avevano integralmente pagato l’importo complessivo determinato dal giudice nel concedere il termine di grazia residuando una frazione di canone scaduto e le spese processuali, sicché, in virtù della consolidata interpretazione del quinto comma dello stesso art. 55 della legge n. 392 del 1978 da parte della giurisprudenza di legittimità, il pagamento parziale, ancorché quasi integrale, non escludeva la risoluzione del contratto, non essendo ammissibile una valutazione dell’importanza della somma residua.

 

2.‒ Le questioni di legittimità costituzionale, sollevate dal medesimo Tribunale con le due ordinanze di rimessione, sono sostanzialmente identiche sul piano giuridico e si rende, quindi, opportuna la loro trattazione congiunta mediante riunione dei giudizi.

 

3.‒ Giova premettere il quadro dei riferimenti normativi essenziali, in cui si collocano le questioni incidentali di legittimità costituzionale, prendendo le mosse dalla disciplina dettata dagli artt. 1453 e seguenti del codice civile in tema di risoluzione per inadempimento dei contratti a prestazioni corrispettive, tra i quali rientra quello di locazione.

 

All’interno del generale sistema delineato dal codice civile, la parte adempiente può ottenere la risoluzione del contratto solo ove l’inadempimento dell’altra parte sia grave, ossia non abbia scarsa importanza, secondo quanto disposto dall’art. 1455 cod. civ. L’azione, infatti, può essere accolta dal giudice con la pronuncia (di natura costitutiva, non dichiarativa) di risoluzione del contratto, sempre che l’inadempimento non abbia «scarsa importanza, avuto riguardo all’interesse dell’altra».

 

Ciò è vero anche in caso di inadempienze reciproche delle parti contrattuali, stante il principio, ricavabile dall’art. 1460 cod. civ., che consente a ciascuno dei contraenti di rifiutarsi di adempiere la sua obbligazione, se l’altro non adempie o non offre di adempiere contemporaneamente la propria, sempre che il rifiuto non sia contrario alla buona fede. Altresì, il contraente può sospendere l’esecuzione della propria prestazione se ha il fondato timore di non poter ottenere l’adempimento della controprestazione (art. 1461 cod. civ.). Come più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità, in caso di inadempienze reciproche, ai fini della pronuncia di risoluzione per inadempimento deve procedersi a un esame del comportamento complessivo delle parti, al fine di stabilire quale di esse, in relazione ai rispettivi interessi e all’oggettiva entità degli inadempimenti, si sia resa responsabile delle violazioni maggiormente rilevanti e della conseguente alterazione del sinallagma contrattuale (Corte di cassazione, sezione seconda civile, sentenza 30 maggio 2017, n. 13627, e ordinanza 22 maggio 2019, n. 13827).

 

Inoltre, l’art. 1453, terzo comma, cod. civ. prevede che l’inadempimento posto a fondamento dell’azione è “cristallizzato”, nel senso che «[d]alla data della domanda di risoluzione l’inadempiente non può più adempiere la propria obbligazione» e quindi è a quel momento che va valutata dal giudice l’importanza dell’inadempimento. Ciò non esclude che la parte che agisce per la risoluzione contrattuale – e che, in ragione di tale disposizione, può rifiutare l’adempimento tardivo, così come può rifiutare l’adempimento parziale anche se la prestazione è divisibile (art. 1181 cod. civ.) – possa volontariamente accettarlo.

 

Parallelamente, con riferimento al procedimento di intimazione di sfratto per morosità nel rapporto locatizio, che mira alla formazione di un titolo esecutivo per il rilascio dell’immobile locato, in caso di mancata opposizione dell’intimato, con contestuale risoluzione del contratto, l’art. 658, primo comma, del codice di procedura civile prescrive che l’intimazione è possibile «in caso di mancato pagamento del canone di affitto alle scadenze». È la morosità di almeno un canone che vale a distinguere tra inadempimento idoneo, o no, per la convalida dell’intimazione di sfratto.

 

D’altra parte il terzo comma dell’art. 663 cod. proc. civ. prevede espressamente che «la convalida è subordinata all’attestazione in giudizio del locatore o del suo procuratore che la morosità persiste» (attestazione considerata “condizione essenziale per la emissione della definitiva convalida ex art. 663 c.p.c.”: ex plurimis, Corte di cassazione, sezione terza civile, sentenza 11 gennaio 2001, n. 332). Questa cautela era contenuta finanche nell’art. 35 del regio decreto 7 agosto 1936, n. 1531 (Nuove norme sul procedimento di ingiunzione e su quello per convalida di sfratto), che ha introdotto ex novo questo rito monitorio speciale, prima ignoto al codice di procedura civile, prevedendo – in termini poi sostanzialmente riprodotti nel codice di rito – che, se lo sfratto era stato intimato per mancato pagamento del canone, «il locatore o il suo procuratore per ottenere la convalida deve presentare una dichiarazione scritta o fare una dichiarazione a verbale, attestante la persistente morosità del conduttore». Peraltro, a seguito della sentenza di questa Corte n. 51 del 1995, è impugnabile per revocazione ex art. 395, primo comma, numero 1), cod. proc. civ., l’ordinanza di convalida di sfratto per morosità emessa sulla base della falsa attestazione della persistenza della morosità stessa.

 

Quindi, se nel rito speciale nell’intimazione di sfratto si richiede che la morosità, al momento della pronuncia del giudice, debba “persistere”, ciò implica che l’intimato moroso può, con l’adempimento tardivo, purgare la mora e far cessare la sua “persistenza” prima che il giudice sia chiamato a provvedere, convalidando l’intimazione. Trovano però non di meno applicazione le regole generali delle obbligazioni e segnatamente l’art. 1181 cod. civ. – che consente al creditore di rifiutare un adempimento parziale «salvo che la legge o gli usi dispongano diversamente», talché il conduttore non può pagare solo una frazione di canone salvo che il locatore glielo consenta – e l’art. 1182 cod. civ., che prevede che il luogo di pagamento nelle obbligazioni pecuniarie è fatto, salva diversa pattuizione, al domicilio del creditore, e quindi del locatore.

 

Con riferimento alle locazioni urbane abitative uno specifico criterio è poi dettato dall’art. 5 della legge n. 392 del 1978, che prende in considerazione il mancato pagamento del canone decorsi venti giorni dalla scadenza prevista, ovvero il mancato pagamento, nel termine previsto, degli oneri accessori quando l’importo non pagato superi quello di due mensilità del canone. È questa la soglia di importanza dell’inadempimento come motivo di risoluzione del contratto ai sensi dell’art. 1455 cod. civ. Il testuale riferimento a quest’ultima disposizione, contenuto nel richiamato art. 5, mostra che tale canone legale di valutazione dell’importanza dell’inadempimento vale innanzi tutto nel giudizio ordinario di risoluzione contrattuale.

 

3.1.‒ A fronte dell’inadempimento del conduttore rispetto alla propria principale obbligazione, ossia quella di pagamento del canone, nel nostro sistema processuale il locatore può proporre sia l’azione di risoluzione nelle forme di un giudizio ordinario di cognizione, sia l’intimazione di sfratto per morosità ai sensi dell’art. 658 cod. proc. civ., che costituisce un procedimento più celere, implicante comunque la risoluzione della locazione in ragione dell’espressa previsione dell’art. 669 cod. proc. civ., secondo cui la pronuncia sullo sfratto «risolve la locazione».

 

In vero, l’intimazione di sfratto per morosità costituisce l’esercizio da parte del locatore, in forme speciali, di un’azione costitutiva di risoluzione del contratto per inadempimento, in uno a un’azione di condanna del conduttore al rilascio dell’immobile locato (Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 20 marzo 1985, n. 2034). Essa si fonda essenzialmente sulla mancata opposizione dell’intimato che non contesta la morosità, né l’idoneità dell’inadempimento a determinare la risoluzione della locazione. L’opposizione, quale essa sia, non consente la convalida dell’intimazione di sfratto, ma comporta – salva la possibilità che il giudice emetta, ricorrendone i presupposti, ordinanza provvisoria di rilascio con riserva delle eccezioni del convenuto (art. 665 cod. proc. civ.) – il mutamento di rito ai sensi dell’art. 667 cod. proc. civ. e il giudizio prosegue nelle forme ordinarie del processo locatizio.

 

La ricostruzione dell’intimazione per convalida di sfratto della morosità in termini di azione di risoluzione speciale implica che trovi di norma applicazione l’art. 1455 cod. civ., e che, quindi, la stessa possa essere proposta solo nell’ipotesi in cui l’inadempimento del conduttore non sia di scarsa importanza tenuto conto dell’interesse dell’altra parte. Ma, in caso di locazioni ad uso abitativo, l’art. 5 della legge n. 392 del 1978 – come già ricordato – prevede, con una norma speciale a carattere derogatorio, che «il mancato pagamento del canone, decorsi venti giorni dalla scadenza prevista, ovvero il mancato pagamento, nel termine previsto, degli oneri accessori quando l’importo non pagato superi quello di due mensilità del canone, costituisce motivo di risoluzione, ai sensi dell’art. 1455 del codice civile».

 

Tale ultima disposizione opera quindi una valutazione legale tipica della gravità dell’inadempimento del conduttore ai fini della risoluzione del contratto di locazione ad uso abitativo, rilevante in generale, quale che sia il rito ‒ ordinario a cognizione piena o speciale di tipo monitorio ‒ scelto dal locatore, fermo restando che per l’intimazione dello sfratto per morosità occorre comunque il mancato pagamento del canone alla scadenza (art. 658 cod. proc. civ.).

 

3.2.‒ Inoltre, nelle locazioni urbane abitative viene in rilevo l’art. 55 della stessa legge n. 392 del 1978; norma questa, attualmente investita dalle censure del giudice rimettente, che ha introdotto una disciplina processuale speciale di favore del conduttore – limitatamente alle sole locazioni abitative, come ritenuto dalla giurisprudenza (Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 28 aprile 1999, n. 272), ma, secondo questa Corte, applicabile anche nel giudizio ordinario di cognizione oltre che nel procedimento di intimazione di sfratto per morosità (sentenza n. 3 del 1999) – riconoscendo allo stesso la possibilità, per non più di tre volte nel corso di un quadriennio, di escludere la risoluzione contrattuale versando, «in sede giudiziale» (ossia banco iudicis), un importo complessivo dato dalla sommatoria di quanto previsto nel primo comma della stessa disposizione: i canoni scaduti, gli oneri accessori maturati sino a tale data dell’udienza, gli interessi legali maturati su tali somme, e le spese processuali liquidate in tale sede dal giudice. È anche possibile che al conduttore in «comprovate condizioni di difficoltà» il giudice possa assegnare un termine non superiore a giorni novanta (ovvero di giorni centoventi in presenza dei presupposti di cui all’ultimo comma del predetto art. 55) per pagare lo stesso importo complessivo con i medesimi effetti.

 

Come evidenziato dalle stesse ordinanze di rimessione, in conformità al diritto vivente, il disposto dell’art. 55, quinto comma, della legge n. 392 del 1978 secondo cui «il pagamento, nei termini di cui ai commi precedenti, esclude la risoluzione del contratto» deve essere interpretato nel senso che occorre, perché il conduttore possa beneficiare della speciale sanatoria in sede giudiziale, che il pagamento sia integrale, senza che l’inadempimento residuo sia suscettibile di una nuova verifica sotto il profilo della gravità (ex plurimis, Corte di cassazione, sezione terza civile, sentenza 29 luglio 2013, n. 18224).

 

Sotto un distinto profilo, va evidenziato che le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno affermato – con un’interpretazione ritenuta non irragionevole, né discriminatoria da questa Corte (ordinanza n. 410 del 2001) – che la disciplina dettata dall’art. 55 della legge n. 392 del 1978 non può trovare applicazione anche nell’ambito delle locazioni per uso diverso da quello abitativo, poiché il legislatore ne ha espressamente limitato la portata alle sole ipotesi di inadempimento per morosità descritte e prese in considerazione dall’art. 5 della medesima legge, di tal che è la stessa disposizione di cui all’art. 55, la quale risulta inclusa tra quelle di natura processuale, di per sé inidonee a dilatare l’ambito di applicazione di una norma di natura sostanziale, a limitare il proprio ambito di applicazione alle sole locazioni abitative (sentenza della Corte di cassazione n. 272 del 1999, citata). Ne deriva che, ove il conduttore di un immobile a uso diverso da quello abitativo, alla prima udienza, paghi il dovuto, non per questo viene sottratto al giudizio di risoluzione contrattuale, in quanto il pagamento effettuato dopo la notifica dell’atto di citazione, essendo comunque tardivo, può valere solo a purgare la morosità, evitando la convalida dello sfratto nella fase sommaria, ma non certo a cancellare l’inadempimento rilevante, all’esito del giudizio di merito, per la risoluzione del contratto (tra le altre, Corte di cassazione, sezione terza civile, sentenza 23 aprile 2008, n. 10587).

 

Ciò mostra la netta distinzione tra la purgazione della mora prima dell’udienza di convalida, che non consente al locatore intimante (o al suo procuratore) di attestare in giudizio che «la morosità persiste» e che, quindi, preclude la convalida (art. 663, terzo comma, cod. proc. civ.) – ma non per questo esclude che l’adempimento tardivo, che costituisce pur sempre inadempimento, possa essere posto dal locatore a fondamento di un’azione ordinaria di risoluzione del contratto – e la speciale sanatoria in sede giudiziale, di cui all’art. 55, all’udienza di convalida (primo comma) o anche successivamente nel caso di concessione del “termine di grazia” (secondo comma), che invece ha un effetto più ampio, di protezione del rapporto contrattuale, perché non solo sana la morosità – estesa peraltro anche a somme dovute dopo che il giudizio sia stato promosso, nelle forme sia ordinaria che monitoria – ma preclude anche la risoluzione del contratto.

 

4.‒ Tutto ciò premesso, proprio muovendo dalla natura speciale, in favore del conduttore, della disciplina dettata dall’art. 55 della legge n. 392 del 1978, devono essere ora esaminate le censure mosse a tale disposizione, con motivazioni di analogo tenore sul piano giuridico, dalle ordinanze di rimessione, che deducono entrambe la violazione dei parametri di cui agli artt. 2, 3, secondo comma, e 111 Cost.

 

Le censure si appuntano in realtà sul quinto comma di tale disposizione, come risulta dallo stesso dispositivo delle ordinanze di rimessione, le quali entrambe fanno riferimento a essa nella parte in cui prevede che «[i]l pagamento, nei termini di cui ai commi precedenti, esclude la risoluzione del contratto».

 

Il giudice rimettente ha ben presente la giurisprudenza di legittimità che, con una lettura rigorosa ma testuale della disposizione, richiede, perché tale effetto conservativo del rapporto di locazione si verifichi, che tutto l’importo fissato dal giudice, in particolare in occasione della concessione del termine di grazia di cui al secondo comma, sia pagato nel termine stesso; ciò che è oggetto di accertamento nell’udienza di verifica, successiva a quella in cui il termine di grazia è stato concesso.

 

La necessità dell’integralità del pagamento – che non consente di espungere neppure le sole spese processuali ove tutti gli altri importi siano stati pagati (ciò che peraltro non è avvenuto nei due giudizi principali atteso che gli intimati hanno comunque una residua morosità relativa ai canoni scaduti) – è contestata dal giudice rimettente, il quale ritiene che un’interpretazione così rigida della disposizione censurata, e segnatamente del suo quinto comma, contrasti con i parametri evocati.

 

Le questioni – che sono poste, e vanno esaminate, unitariamente con riferimento alla fattispecie concreta dedotta nei due giudizi principali, consistente nel mancato pagamento integrale dell’importo determinato dal giudice nel concedere il termine di grazia, ai sensi del secondo comma dell’art. 55 citato, non essendo stati pagati né i canoni scaduti per l’intero, residuando ancora il debito per una frazione di canone, né le spese processuali – non sono fondate in riferimento ad alcuno dei parametri evocati.

 

5.‒ Non fondata è innanzi tutto la questione di legittimità costituzionale dell’art. 55 della legge n. 392 del 1978, in parte qua, per violazione dell’art. 3, secondo comma, Cost. – parametro da ritenersi in realtà evocato anche nel suo primo comma, stante il tenore della censura – sotto il profilo dell’irragionevolezza del trattamento processuale simile che finiscono per avere, a fronte della concessione del termine giudiziale per la sanatoria della morosità, le differenti situazioni nelle quali il conduttore sia rimasto totalmente inadempiente e quelle in cui lo stesso abbia quasi integralmente sanato la morosità (ovvero sia rimasto debitore delle sole spese processuali liquidate dal giudice nel concedere il termine in questione).

 

Al riguardo, questa Corte ha da lungo tempo sottolineato che la facoltà concessa al locatore, nelle fattispecie indicate dagli artt. 657 e 658 cod. proc. civ., di agire mediante il procedimento di convalida in alternativa al giudizio ordinario di cognizione è compatibile con l’assetto costituzionale, e in particolare con gli artt. 3, 24 e 111 Cost., poiché non vi è alcuna compromissione del diritto di difesa del conduttore intimato il quale, se decide di proporre opposizione, beneficia delle garanzie processuali di un giudizio a cognizione piena ed esauriente sulla risoluzione negoziale (sentenza n. 89 del 1972), senza che costituisca, peraltro, irrazionale tutela privilegiata in favore del locatore la possibilità per il giudice di pronunciare, ai sensi dell’art. 665 cod. proc. civ., l’ordinanza provvisoria di rilascio che rappresenta un peculiare strumento di condanna con riserva delle eccezioni predisposto dal legislatore per la legittima finalità di evitare che, attraverso l’abuso del diritto di difesa, il conduttore moroso possa protrarre anche per lungo tempo il godimento del bene locato (sentenza n. 94 del 1973).

 

Occorre anche ricordare che, come già affermato da questa Corte, l’art. 55 della legge n. 392 del 1978, da un lato, non limita la normale tutela giurisdizionale prevista dall’art. 24, primo comma, Cost., in quanto non rappresenta un ostacolo alla possibilità per il conduttore di far valere le proprie ragioni, ma prevede al contrario un’ulteriore specifica agevolazione a suo favore, che si aggiunge, senza comprimerle o menomarle, alle facoltà che ordinariamente gli spettano, in quanto convenuto in giudizio; e, da un altro, non può ritenersi in contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., posto che attribuisce obiettivo rilievo alla mora del conduttore, senza limitare l’esercizio del diritto di difesa e senza creare ingiustificate disparità di trattamento, e anzi, accorda una speciale protezione proprio ai soggetti meno abbienti, laddove stabilisce che, ove il pagamento non avvenga in udienza, il giudice può assegnare un termine per la sanatoria della mora «dinanzi a comprovate condizioni di difficoltà del conduttore» (ordinanza n. 315 del 1986).

 

Nel ribadire tali assunti, questa Corte – investita della questione di legittimità costituzionale della mancata estensione del meccanismo di cui all’art. 55 della legge n. 392 del 1978 alle locazioni a uso diverso da quello abitativo – ha sottolineato che «non può ritenersi irragionevolmente discriminatoria e pertanto lesiva dell’art. 3 della Costituzione la disciplina denunciata che, accordando al solo conduttore di immobili destinati ad uso di abitazione, la possibilità di sanare la morosità nel pagamento dei canoni o degli oneri specificati dalla legge, ha inteso, all’evidenza, apprestare all’interesse abitativo una tutela eccezionale e perciò stesso diversa e più intensa di quella, generale, riconosciuta all’interesse economico di cui è portatore il conduttore di immobili destinati ad uso non abitativo» (ordinanza n. 410 del 2001).

 

In sostanza, il meccanismo processuale configurato per le locazioni ad uso abitativo dall’art. 55 della legge n. 392 del 1978, consentendo al conduttore in difficoltà di accedere alla speciale sanatoria in sede giudiziale entro il termine di grazia concesso dal giudice alla prima udienza, è di per sé frutto di un bilanciamento discrezionale degli interessi da parte del legislatore, allo scopo di accordare una particolare tutela al conduttore ove venga in rilievo il diritto all’abitazione, che questa Corte, anche recentemente, ha definito «bene di primaria importanza» (sentenza n. 44 del 2020); conduttore che, in mancanza di questo speciale istituto, sarebbe irrimediabilmente esposto vuoi alla convalida dell’intimazione di sfratto nel procedimento monitorio, vuoi alla risoluzione contrattuale nel rito ordinario.

 

È legittimo che il legislatore, in presenza di una finalità meritevole di tutela, preveda una disciplina speciale in bonam partem per il conduttore, senza che possa considerarsi irragionevole la mancata estensione di tale regime, già di carattere eccezionale, a ipotesi ulteriori come quelle indicate dalle ordinanze di rimessione, specie in una materia come quella processuale dove la discrezionalità legislativa è particolarmente ampia ed è sindacabile solo sotto il profilo dell’arbitrarietà ovvero dell’irragionevolezza manifesta (ex plurimis, sentenze n. 45 del 2019; n. 225, n. 77 e n. 45 del 2018; ordinanza n. 273 del 2019). Tanto più che è lo stesso conduttore a non opporsi alla convalida e a scegliere liberamente di richiedere la concessione del termine di grazia per sanare la morosità e per evitare, intanto, di perdere subito la disponibilità dell’immobile locato, essendo preclusa a seguito della relativa istanza la pronuncia dell’ordinanza provvisoria di rilascio di cui all’art. 665 cod. proc. civ.

 

Rientra nella discrezionalità del legislatore modellare gli istituti processuali, soprattutto quando hanno carattere speciale ed eccezionale, come appunto è la sanatoria in sede giudiziale prevista dalla disposizione censurata; discrezionalità esercitata non irragionevolmente anche con riferimento all’ipotesi (prefigurata dal giudice rimettente, ma in realtà non rilevante nei due giudizi principali), in cui residui solo il mancato pagamento delle spese processuali. Il legislatore ha incluso le spese processuali nell’importo complessivo perché operi, in favore del conduttore, la speciale sanatoria in sede giudiziale del quinto comma dell’art. 55, nel contesto di un bilanciamento complessivo delle posizioni delle parti e in considerazione del “sacrificio” richiesto al locatore che non ottiene, alla prima udienza, la convalida dell’intimazione di sfratto, pur persistendo in quel momento la morosità e mancando l’opposizione dell’intimato. Appartiene alla discrezionalità del legislatore operare un diverso bilanciamento, maggiormente favorevole al conduttore moroso, così come da ultimo è stato previsto per i contratti agrari, in caso di affitto di fondi rustici, dall’art. 11, comma 8, del decreto legislativo 1 settembre 2011, n. 150 (Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi dell’articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69), che prescrive che il pagamento dell’importo complessivo nel termine di grazia sana la morosità a tutti gli effetti senza necessità del previo pagamento delle spese processuali, che il giudice regola successivamente con sentenza.

 

6.‒ È infondata anche la questione di legittimità costituzionale sollevata dalle ordinanze di rimessione con riferimento al parametro di cui all’art. 111 Cost. per violazione del «giusto processo», inteso come presidio contro l’esercizio dell’azione in forme eccedenti o devianti rispetto alla tutela dell’interesse sostanziale, laddove la disposizione denunciata, non consentendo al giudice di valutare la gravità dell’inadempimento residuo all’udienza di verifica e imponendogli la convalida dello sfratto, determinerebbe un sacrificio eccessivo delle ragioni del conduttore rispetto al diritto del locatore.

 

In vero, come più volte affermato da questa Corte proprio con riferimento al procedimento di convalida di sfratto, al legislatore è consentito differenziare i modi della tutela giurisdizionale onde adeguarli al conseguimento di determinate finalità, tra le quali assume rilevanza quella di definire il giudizio evitando abusi del diritto di difesa da parte del conduttore moroso che protragga eccessivamente il godimento del bene locato (sentenza n. 185 del 1980).

 

7.‒ Occorre, infine, rilevare che non appare pertinente il riferimento da parte del Tribunale rimettente al parametro di cui all’art. 2 Cost., e quindi a un’assunta violazione del canone di solidarietà nell’ambito del rapporto negoziale, poiché il principio di buona fede oggettiva, che pure ne permea la disciplina anche nella fase esecutiva, nemmeno può venire in rilievo, come invece prospettato dalle ordinanze del giudice a quo, quando a fronte di un inadempimento grave di una parte, l’altra abbia esercitato la propria legittima facoltà di agire in giudizio per la risoluzione negoziale, facoltà il cui esercizio, peraltro, di norma preclude l’adempimento tardivo (art. 1453, terzo comma, cod. civ.).

 

8.‒ Le questioni di legittimità costituzionale, sollevate dal giudice rimettente, vanno quindi dichiarate non fondate con riferimento a tutti i parametri evocati.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

riuniti i giudizi,

 

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 55 della legge 27 luglio 1978, n. 392 (Disciplina delle locazioni di immobili urbani), sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3, secondo comma, e 111 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Modena con le ordinanze indicate in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 marzo 2020.

 

F.to:

 

Marta CARTABIA, Presidente

 

Giovanni AMOROSO, Redattore

 

Roberto MILANA, Cancelliere

 

Depositata in Cancelleria il 24 aprile 2020.