Ordinanza n. 66 del 2020

CONSULTA ONLINE 

 

ORDINANZA N. 66

ANNO 2020

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

 

Presidente: Marta CARTABIA;

 

Giudici: Aldo CAROSI, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,

 

ha pronunciato la seguente

 

ORDINANZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 459, comma 1-bis, del codice di procedura penale, introdotto dall’art. 1, comma 53, della legge 23 giugno 2017, n. 103 (Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario), promosso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Macerata con ordinanza del 20 settembre 2017, iscritta al n. 110 del registro ordinanze 2019 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 28, prima serie speciale, dell’anno 2019.

 

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nella camera di consiglio del 10 marzo 2020 il Giudice relatore Francesco Viganò;

 

deliberato nella camera di consiglio del 10 marzo 2020.

 

Ritenuto che, con ordinanza del 20 settembre 2017, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Macerata ha sollevato – in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione – questioni di legittimità costituzionale dell’art. 459, comma 1-bis, del codice di procedura penale, introdotto dall’art. 1, comma 53, della legge 23 giugno 2017, n. 103 (Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario), «nella parte in cui prevede che il valore giornaliero di conversione della pena detentiva in pecuniaria sia pari ad euro 75 e fino a tre volte tale ammontare tenuto conto della condizione economica complessiva dell’imputato e del suo nucleo familiare»;

 

che l’ordinanza di rimessione è stata pronunciata nel procedimento a carico di R. C., imputata del reato di cui all’art. 186, comma 2, lettera b), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), in relazione al quale il pubblico ministero ha chiesto l’emissione di decreto penale di condanna, indicando la pena da irrogare in 775 euro di ammenda;

 

che tale importo è stato calcolato a partire da una pena base di dieci giorni di arresto e 800 euro di ammenda, sulla quale è stata operata la diminuzione prevista dall’art. 459, comma 2, cod. proc. pen. in ragione della specialità del rito, pervenendosi così a una pena di 5 giorni di arresto (convertita a sua volta in ammenda in ragione di 75 euro pro die) e 400 euro di ammenda;

 

che, secondo il giudice a quo, le questioni sarebbero rilevanti, attesa l’insussistenza di presupposti per rigettare la richiesta del pubblico ministero di emissione del decreto;

 

che la norma censurata sarebbe lesiva dell’art. 3 Cost., introducendo, per il solo procedimento per decreto, un trattamento sanzionatorio irragionevolmente differenziato rispetto a quello applicabile nell’ambito del rito ordinario, atteso che nel primo caso la conversione della pena detentiva in pena pecuniaria avverrebbe a un tasso giornaliero compreso tra 75 e 225 euro, tenuto conto della condizione economica complessiva dell’imputato e del suo nucleo familiare, laddove nel secondo caso il tasso di ragguaglio sarebbe compreso tra 250 e 2500 euro pro die, in base al combinato disposto degli artt. 135 del codice penale e 53 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), «con differenza che non trova origine nella diversa natura dei fatti oggetto di giudizio» e che dipenderebbe solo dalla scelta discrezionale del pubblico ministero di procedere o meno con richiesta di decreto penale di condanna;

 

che, con specifico riferimento al giudizio a quo, la pena da irrogare a R. C., ai sensi dell’art. 459, comma 1-bis, cod. proc. pen. sarebbe pari a 775 euro, laddove, in caso di opposizione al decreto penale di condanna e di celebrazione del dibattimento, la pena applicabile ammonterebbe a non meno di 3.300 euro; risultato – questo – incompatibile con il criterio di eguaglianza e ragionevolezza, poiché non razionalmente correlabile alla mera non opposizione dell’imputata al decreto penale;

 

che un effetto premiale della portata di quello previsto dall’art. 459, comma 1-bis, cod. proc. pen. non sarebbe stabilito per nessun altro rito alternativo, incluso il patteggiamento, ove l’imputato «di fatto rinunzia a difendersi», a fronte di uno sconto di pena, peraltro inferiore a quello conseguibile nel procedimento per decreto;

 

che non eliderebbe i denunciati profili di incostituzionalità della norma censurata la possibilità, per il giudice, di sindacare la congruità della pena da irrogare nel procedimento per decreto, atteso che detta valutazione riguarderebbe la pena originariamente determinata dal pubblico ministero e la compatibilità della conversione con le finalità deterrenti e rieducative, laddove il tasso di ragguaglio e la necessità di tenere in considerazione le condizioni economiche dell’imputato e del suo nucleo familiare sarebbero elementi prefissati dall’art. 459, comma 1-bis, cod. proc. pen.;

 

che la natura discriminatoria e l’irragionevolezza di quest’ultima disposizione non sarebbero d’altra parte superate dalla possibilità, per il giudice, di commisurare la pena all’interno di una forbice compresa tra 75 e 225 euro e di applicare le circostanze attenuanti generiche, poiché tali profili, propri sia del rito speciale per decreto, sia del rito ordinario, non scalfirebbero il quadro di «totale eterogeneità» dell’esito sanzionatorio conseguibile rispettivamente nell’ambito di ciascun procedimento;

 

che il rimettente dubita infine della conformità della disposizione censurata all’art. 27 Cost., ritenendo incompatibile con il fine rieducativo della pena «la irrogazione di una pena pari anche a meno di 1/20 di quella irroganda all’esito di giudizio ordinario»;

 

che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo dichiararsi l’infondatezza delle questioni sollevate;

 

che, ad avviso dell’interveniente, il procedimento per decreto penale di condanna e la sostituzione delle pene detentive brevi disciplinata dall’art. 53 della legge n. 689 del 1981 sarebbero istituti assolutamente eterogenei, l’uno di carattere processuale, l’altro di natura sostanziale, sicché il secondo non potrebbe fungere da tertium comparationis rispetto alla norma censurata;

 

che, ancora, il procedimento per decreto non avrebbe natura di rito premiale in senso stretto, a differenza del giudizio abbreviato e del patteggiamento, sicché non sarebbe possibile operare una utile comparazione tra istituti;

 

che sarebbe altresì ingiustificato porre a confronto il risultato sanzionatorio conseguibile all’esito del procedimento per decreto rispetto a quello riconducibile al rito ordinario, avuto riguardo alle finalità acceleratorie e deflattive che connotano il primo procedimento;

 

che, infine, questioni identiche a quelle sollevate dal giudice a quo sarebbero state dichiarate da questa Corte infondate con la sentenza n. 155 del 2019.

 

Considerato che il Tribunale ordinario di Macerata dubita – in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione – della legittimità costituzionale dell’art. 459, comma 1-bis, del codice di procedura penale, introdotto dall’art. 1, comma 53, della legge 23 giugno 2017, n. 103 (Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario), «nella parte in cui prevede che il valore giornaliero di conversione della pena detentiva in pecuniaria sia pari ad euro 75 e fino a tre volte tale ammontare tenuto conto della condizione economica complessiva dell’imputato e del suo nucleo familiare»;

 

che questioni identiche a quelle sollevate dal rimettente sono già state esaminate da questa Corte e ritenute infondate con la sentenza n. 155 del 2019;

 

che in detta pronuncia questa Corte ha ritenuto insussistente la lamentata lesione dell’art. 3 Cost., in relazione alla disparità di trattamento tra gli imputati giudicati con il procedimento per decreto penale da un lato, e gli imputati giudicati con il procedimento ordinario o con altri riti speciali dall’altro lato, avuto riguardo alla finalità di incentivazione della scelta del procedimento per decreto perseguita dal legislatore, il quale non ha dunque travalicato l’ampia discrezionalità di cui gode in materia di determinazione dei trattamenti sanzionatori (ex plurimis, sentenze n. 40 del 2019, n. 222 del 2018 e n. 236 del 2016) così come di disciplina degli istituti processualpenalistici (ex multis, sentenza n. 236 del 2018);

 

che, sempre nella sentenza n. 155 del 2019, questa Corte ha respinto una censura, analoga a quella oggi formulata, di contrarietà dell’art. 459, comma 1-bis, cod. proc. pen. all’art. 27 Cost., evidenziando come la denunciata eccessiva tenuità del trattamento sanzionatorio introdotto dalla disposizione censurata sia insuscettibile di risolversi in un vulnus alla funzione rieducativa della pena, atteso che tale finalità risulta costantemente evocata, nella giurisprudenza costituzionale, in relazione alla necessità che la pena non sia sproporzionata per eccesso rispetto alla gravità del fatto di reato (ex multis, sentenze n. 40 del 2019, n. 233 e n. 222 del 2018), e non certo a sostegno di pronunce il cui effetto sia quello di inasprire il trattamento sanzionatorio previsto discrezionalmente dal legislatore;

 

che il rimettente non prospetta argomentazioni diverse da quelle già esaminate e disattese da questa Corte nella sentenza n. 155 del 2019, sicché le odierne questioni debbono essere dichiarate manifestamente infondate.

 

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 1, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 459, comma 1-bis, del codice di procedura penale, introdotto dall’art. 1, comma 53, della legge 23 giugno 2017, n. 103 (Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario), sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Macerata con l’ordinanza indicata in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 marzo 2020.

 

F.to:

 

Marta CARTABIA, Presidente

 

Francesco VIGANÒ, Redattore

 

Roberto MILANA, Cancelliere

 

Depositata in Cancelleria il 10 aprile 2020.