Sentenza n. 41 del 2020

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SENTENZA N. 41

 

ANNO 2020

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

 

Presidente: Marta CARTABIA;

 

Giudici: Aldo CAROSI, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale del combinato disposto dei commi 2 e 3 dell’art. 31 del decreto legislativo 26 agosto 2016, n. 174 (Codice di giustizia contabile, adottato ai sensi dell’articolo 20 della legge 7 agosto 2015, n. 124), promosso dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Campania, nel giudizio vertente tra il Procuratore regionale della Corte dei conti per la Regione Campania e Romeo Gestioni spa e altri, con ordinanza del 24 gennaio 2019, iscritta al n. 78 del registro ordinanze 2019 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 22, prima serie speciale, dell’anno 2019.

 

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nella camera di consiglio del 29 gennaio 2020 il Giudice relatore Aldo Carosi;

 

deliberato nella camera di consiglio del 30 gennaio 2020.

 

Ritenuto in fatto

 

1.– Con l’ordinanza indicata in epigrafe, la Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Campania, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale del combinato disposto dei commi 2 e 3 dell’art. 31 del decreto legislativo 26 agosto 2016, n. 174 (Codice di giustizia contabile, adottato ai sensi dell’articolo 20 della legge 7 agosto 2015, n. 124), in riferimento agli artt. 3, 24, primo comma, e 111, primo comma, della Costituzione, nella parte in cui non consente «che il giudice, anche in caso di intervenuto proscioglimento nel merito per mancanza di uno degli elementi indicati dall’art. 31, comma 2, c.g.c., possa compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, qualora sussistano gravi ed eccezionali ragioni, analoghe a quelle tassativamente indicate dall’art. 31, comma 3, c.g.c.».

 

Nei commi censurati, l’art. 31 del d.lgs. 174 del 2016 prevede che «[c]on la sentenza che esclude definitivamente la responsabilità amministrativa per accertata insussistenza del danno, ovvero, della violazione di obblighi di servizio, del nesso di causalità, del dolo o della colpa grave, il giudice non può disporre la compensazione delle spese del giudizio e liquida, a carico dell’amministrazione di appartenenza, l’ammontare degli onorari e dei diritti spettanti alla difesa» (comma 2) e che «[i]l giudice può compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, quando vi è soccombenza reciproca ovvero nel caso di assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti, ovvero quando definisce il giudizio decidendo soltanto questioni pregiudiziali o preliminari» (comma 3).

 

1.1.– Il rimettente, dopo aver illustrato l’evoluzione della disciplina delle spese processuali nei giudizi davanti alla Corte dei conti, assume che la normativa censurata contrasti anzitutto con il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost.

 

Eliminando ogni discrezionalità in capo al giudice contabile, comunque chiamato a liquidare le spese processuali a carico dell’amministrazione di appartenenza in caso di proscioglimento, senza la possibilità di ricorrere alla clausola generale delle «gravi ed eccezionali ragioni» per pervenire a una pronuncia di compensazione, totale o parziale, l’art. 31, comma 2, cod. giust. contabile non terrebbe anzitutto conto del rilievo che qualsiasi forma di responsabilità, inclusa quella in esame, dovrebbe sempre presupporre un comportamento latamente censurabile, mentre l’esito del giudizio potrebbe essere condizionato da fattori sopravvenuti o imprevedibili. In tal modo, inoltre, si prescinderebbe dalla considerazione del carattere doveroso dell’azione promossa dal pubblico ministero contabile – organo indipendente e imparziale tenuto a esercitarla ogniqualvolta vi siano elementi sufficienti a sostenere in giudizio la contestazione di responsabilità (art. 69, comma 1, cod. giust. contabile) e non nella prospettiva di certezza della condanna – nonché del margine di discrezionalità inevitabilmente insito nella valutazione dei suoi presupposti. Il regime processuale delle spese finirebbe così per costituire una remora all’esercizio dell’azione di responsabilità, in quanto potenzialmente idonea a tradursi in un esborso per l’amministrazione, ulteriore rispetto al danno altrimenti patito, anche in caso di situazioni oggettivamente dubbie, che imporrebbero un vaglio giurisdizionale.

 

Tale ultima considerazione ridonderebbe nella violazione del canone del giusto processo (art. 111, primo comma, Cost.) e del diritto alla tutela giurisdizionale (art. 24, primo comma, Cost.), in quanto la prospettiva della condanna alle spese di lite anche in qualsiasi situazione del tutto imprevista e imprevedibile per la parte che agisce costituirebbe una remora ingiustificata all’esercizio dell’azione (si cita la sentenza di questa Corte n. 77 del 2018).

 

Il vulnus ai citati parametri verrebbe aggravato dalla previsione per cui, fermo il divieto previsto dal comma 2 dell’art. 31 cod. giust. contabile, il successivo comma 3 circoscrive la compensazione delle spese processuali a poche tassative ipotesi, escludendo analoghe situazioni di assoluta incertezza, in fatto o in diritto, che presentino analoga o maggiore gravità ed eccezionalità rispetto a quelle tipizzate dalla norma.

 

1.2.– In punto di rilevanza, il rimettente riferisce di essere stato adito dal pubblico ministero nell’esercizio dell’azione di responsabilità, nei confronti della società affidataria della gestione del patrimonio del Comune di Napoli e di due dirigenti dell’ente locale, per la mancata esazione di «canoni di occupazione» relativi a un impianto sportivo di proprietà comunale.

 

Dopo aver accolto soltanto parzialmente l’eccezione di prescrizione e prosciolto nel merito tutti i convenuti, non ravvisando nella loro condotta – seppur negligente e superficiale e, dunque, tale da giustificare l’esercizio dell’azione di responsabilità – gli estremi della colpa grave, stante l’obiettiva incertezza circa l’effettiva distribuzione delle competenze in materia di gestione degli impianti sportivi nell’ambito del Comune, il giudice a quo ha sospeso la decisione solamente in ordine alle spese processuali, sollevando le descritte questioni di legittimità costituzionale.

 

Esse, a suo avviso, devono necessariamente coinvolgere entrambi i commi censurati, atteso che la declaratoria di incostituzionalità del solo art. 31, comma 2, cod. giust. contabile non permetterebbe la compensazione delle spese processuali in ipotesi diverse da quelle tassativamente indicate nel successivo comma 3 – nella fattispecie insussistenti – mentre la sola caducazione di quest’ultimo, nella parte in cui non la consente per altre gravi ed eccezionali ragioni, analoghe a quelle previste, non ovvierebbe al divieto contenuto nel comma precedente.

 

Dunque, considerato il tenore letterale delle disposizioni denunciate e l’impossibilità di interpretarle nel senso di consentire la compensazione delle spese processuali, quest’ultima richiederebbe necessariamente la declaratoria d’incostituzionalità del loro combinato disposto.

 

2.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, sostenendo l’inammissibilità o, comunque, l’infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate dal giudice a quo.

 

A suo avviso, sia il richiamo operato dall’art. 31, comma 6, cod. giust. contabile, tra gli altri, all’art. 92 del codice di procedura civile – nel contenuto assunto a seguito della sentenza n. 77 del 2018 di questa Corte – sia quello dell’art. 7, comma 2, cod. giust. contabile alle disposizioni del codice di procedura civile espressive di principi generali avrebbero consentito al rimettente la compensazione delle spese di lite in presenza di gravi ed eccezionali ragioni a prescindere dall’invocata declaratoria d’incostituzionalità.

 

Nel merito, le questioni sollevate non sarebbero fondate, in quanto il legislatore, nell’esercizio della propria discrezionalità, avrebbe compiuto, in tema di spese processuali, scelte coerenti con il carattere peculiare del giudizio di responsabilità rispetto a quello civile, realizzando un ragionevole contemperamento tra la necessità di deterrenza e quella di buon andamento dell’amministrazione, garantendo al pubblico dipendente, che abbia correttamente operato, la rifusione delle spese processuali.

 

Nessuna rilevanza andrebbe viceversa riconosciuta ai profili psicologici che potrebbero influenzare la scelta del pubblico ministero, chiamato non semplicemente a tutelare l’interesse dell’amministrazione, bensì a perseguire quello generale, svolgendo una funzione obiettiva e neutrale, per cui alla necessità di accertamento della sussistenza di una responsabilità non potrebbe essere d’ostacolo un possibile esito negativo dell’azione.

 

Considerato in diritto

 

1.– Con l’ordinanza indicata in epigrafe, la Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Campania, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale del combinato disposto dei commi 2 e 3 dell’art. 31 del decreto legislativo 26 agosto 2016, n. 174 (Codice di giustizia contabile, adottato ai sensi dell’articolo 20 della legge 7 agosto 2015, n. 124), in riferimento agli artt. 3, 24, primo comma, e 111, primo comma, della Costituzione, nella parte in cui non consente «che il giudice, anche in caso di intervenuto proscioglimento nel merito per mancanza di uno degli elementi indicati dall’art. 31, comma 2, c.g.c., possa compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, qualora sussistano gravi ed eccezionali ragioni, analoghe a quelle tassativamente indicate dall’art. 31, comma 3, c.g.c.».

 

Nei commi censurati, l’art. 31 del d.lgs. 174 del 2016 prevede che «[c]on la sentenza che esclude definitivamente la responsabilità amministrativa per accertata insussistenza del danno, ovvero, della violazione di obblighi di servizio, del nesso di causalità, del dolo o della colpa grave, il giudice non può disporre la compensazione delle spese del giudizio e liquida, a carico dell’amministrazione di appartenenza, l’ammontare degli onorari e dei diritti spettanti alla difesa» (comma 2) e che «[i]l giudice può compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, quando vi è soccombenza reciproca ovvero nel caso di assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti, ovvero quando definisce il giudizio decidendo soltanto questioni pregiudiziali o preliminari» (comma 3).

 

Ad avviso del rimettente, il combinato disposto di tali disposizioni, impedendo la compensazione delle spese processuali nel giudizio di responsabilità dinanzi alla Corte dei conti anche nel caso di accertata insussistenza dei presupposti della stessa – ossia, di proscioglimento del convenuto nel merito – qualora sussistano gravi ed eccezionali ragioni, analoghe a quelle, tassativamente indicate, che la consentono, violerebbe il principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.), il canone del giusto processo (art. 111, primo comma, Cost.) e il diritto alla tutela giurisdizionale (art. 24, primo comma, Cost.). Ciò in quanto la normativa denunciata: a) non terrebbe conto del rilievo che l’esito del giudizio potrebbe essere condizionato da fattori sopravvenuti o imprevedibili; b) prescinderebbe dal carattere doveroso dell’azione promossa dal pubblico ministero contabile e dal margine di discrezionalità inevitabilmente insito nella valutazione dei presupposti della responsabilità; c) costituirebbe una remora all’esercizio della relativa azione, in quanto potenzialmente idonea a tradursi in un esborso per l’amministrazione, ulteriore rispetto al danno altrimenti patito, anche in caso di situazioni assolutamente incerte, in fatto o in diritto, che presentino analoga o maggiore gravità ed eccezionalità rispetto alle ipotesi tipizzate di possibile compensazione.

 

2.– Il giudice a quo denuncia entrambe le disposizioni in quanto dal loro combinato disposto deriverebbe l’impossibilità di compensare le spese nel giudizio di responsabilità davanti alla Corte dei conti ogniqualvolta sia accertata l’insussistenza di uno dei presupposti della stessa – nella fattispecie, un grado di colpa inferiore a quella grave – pur in presenza di gravi ed eccezionali ragioni analoghe a quelle tassativamente indicate dall’art. 31, comma 3, cod. giust. contabile.

 

Il rimettente ritiene che la compensazione delle spese non possa avvenire in virtù del rinvio dell’art. 31, comma 6, cod. giust. contabile all’art. 92, secondo comma, del codice di procedura civile – il quale, a seguito della sentenza n. 77 del 2018 di questa Corte, risulta modificato nel senso «che il giudice possa compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, anche qualora sussistano altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni» rispetto a quelle nominativamente indicate – né, più in generale, in virtù di quello dell’art. 7, comma 2, cod. giust. contabile alle disposizioni del codice di procedura civile espressive di principi generali.

 

I rinvii contenuti nelle disposizioni citate, infatti, operano solo «per quanto non […] disciplinato», onde il mantenimento dell’effetto impeditivo della compensazione derivante dalle esplicite prescrizioni dei commi 2 e 3 dell’art. 31 cod. giust. contabile.

 

3.– Ai fini del decidere, si rende opportuno preliminarmente rammentare la genesi delle disposizioni censurate.

 

L’art. 20 della legge 7 agosto 2015, n. 124 (Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche), ha delegato il Governo al riordino e alla ridefinizione della disciplina processuale concernente tutte le tipologie di giudizi che si svolgono innanzi alla Corte dei conti (comma 1), indicando, tra i principi e i criteri direttivi a cui attenersi nell’esercizio della delega, quello di «adeguare le norme vigenti, anche tramite disposizioni innovative, alla giurisprudenza della Corte costituzionale e delle giurisdizioni superiori, coordinandole con le norme del codice di procedura civile espressione di princìpi generali» (comma 2, lettera a), in ciò mantenendosi nel solco di quanto già sancito dall’art. 26 del regio decreto 13 agosto 1933, n. 1038 (Approvazione del regolamento di procedura per i giudizi innanzi alla Corte dei conti), secondo cui «[n]ei procedimenti contenziosi di competenza della corte dei conti si osservano le norme e i termini della procedura civile in quanto siano applicabili e non siano modificati dalle disposizioni del presente regolamento».

 

In attuazione della delega è intervenuto il d.lgs. n. 174 del 2016, il quale, all’art. 31, reca la disciplina delle spese processuali. Essa è effettivamente delineata sul modello del codice di procedura civile, da cui recepisce la regola generale della liquidazione a beneficio della parte vittoriosa (comma 1) – in corrispondenza a quanto disposto dall’art. 91, primo comma, cod. proc. civ. – nonché il generale regime della compensazione (comma 3), analogo a quello di cui all’art. 92, secondo comma, cod. proc. civ., nel dettato anteriore alla sentenza n. 77 del 2018, ma coordinato con le specifiche connotazioni storiche del giudizio contabile (nel cui ambito era esclusa la liquidazione delle spese processuali in ipotesi di definizione del giudizio per questioni preliminari o pregiudiziali – Corte dei conti, sezioni riunite, sentenza 27 giugno 2008, n. 3/2008/QM – ora resa facoltativa). Tale regime si caratterizza ulteriormente, con specifico riferimento al giudizio di responsabilità, per il divieto di compensazione in caso di proscioglimento nel merito (comma 2), frutto dell’ultimo intervento normativo anteriore all’adozione del codice di giustizia contabile, rappresentato dall’art. 17, comma 30-quinquies, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78 (Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini), convertito, con modificazioni, nella legge 3 agosto 2009, n. 102.

 

4.– Tanto premesso, il rimettente vorrebbe estendere al giudizio di responsabilità e, in particolare, al caso di proscioglimento nel merito, la facoltà di compensazione delle spese processuali attualmente prevista per il giudizio civile, invocando per il combinato disposto dei commi 2 e 3 dell’art. 31 cod. giust. contabile un’addizione analoga a quella che ha riguardato l’art. 92, secondo comma, cod. proc. civ., a seguito della sentenza n. 77 del 2018 di questa Corte, poiché, pur in diverso contesto, si sarebbe in presenza di un vulnus ai medesimi parametri costituzionali.

 

Anzitutto, la citata pronuncia, richiamata per ampi passaggi motivazionali dal rimettente a sostegno delle censure formulate e dell’addizione prospettata, ravvisa l’illegittimità della norma allora denunciata nella mancata considerazione, tra i casi che facoltizzano il giudice a compensare le spese di lite, delle «analoghe ipotesi di sopravvenienze relative a questioni dirimenti e a quelle di assoluta incertezza, che presentino la stessa, o maggiore, gravità di quelle tipiche espressamente previste», le quali assumono «carattere paradigmatico e svolgono una funzione parametrica ed esplicativa della clausola generale» delle altre gravi ed eccezionali ragioni.

 

Con riferimento alla fattispecie al suo esame, tuttavia, il rimettente si limita a riferire di aver prosciolto i convenuti – oltre che (seppur solo parzialmente e soltanto per due di essi) in accoglimento dell’eccezione di prescrizione – per mancanza del requisito della colpa grave, in considerazione dell’«obiettiva incertezza» circa la distribuzione delle competenze in materia di gestione degli impianti sportivi comunali, pur in presenza di una «certa negligenza e superficialità» in capo ai convenuti medesimi. Nulla dice circa le ragioni per cui tale situazione, che corrisponde a una mera fattispecie di colpa lieve – e, dunque, inidonea a configurare la responsabilità dei convenuti ai sensi dell’art. 1, comma 1, della legge 14 gennaio 1994, n. 20 (Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti), come sostituito dall’art. 3, comma 1, lettera a), del decreto-legge 23 ottobre del 1996, n. 543 (Disposizioni urgenti in materia di ordinamento della Corte dei conti), convertito, con modificazioni, nella legge 20 dicembre 1996, n. 639 – costituisca, alla stregua delle considerazioni svolte nel precedente giurisprudenziale evocato, ragione grave ed eccezionale, assimilabile a quelle di cui all’art. 31, comma 3, cod. giust. contabile, tale da giustificare la compensazione delle spese processuali.

 

In tal modo, il giudice a quo non ha adeguatamente illustrato le ragioni per cui l’addizione invocata condurrebbe, nel caso concreto, quantomeno a valutare una pronuncia di compensazione delle spese di lite, con la conseguenza che le questioni sollevate sono inammissibili sotto il profilo del difetto di motivazione sulla rilevanza (analogamente, ordinanza n. 153 del 2016).

 

In secondo luogo, mentre la sentenza n. 77 del 2018, attraverso l’addizione operata, estende semplicemente la portata dei casi di compensazione ammessi nel giudizio civile, ovviando alla rigidità della loro tassatività, l’intervento auspicato dal giudice a quo avrebbe un’incidenza ben più profonda e correttiva sul regime delle spese processuali nel giudizio di responsabilità davanti alla Corte dei conti, non limitandosi ad ampliare le ipotesi di deroga al principio victus victori, ma facendo altresì venir meno il divieto di compensazione previsto dall’art. 31, comma 2, cod. giust. contabile in caso di proscioglimento nel merito. Considerata l’ampia discrezionalità di cui gode il legislatore nel dettare norme processuali e, segnatamente, nel regolamentare le spese di lite (ex multis, sentenza n. 77 del 2018), tale intervento avrebbe richiesto che il rimettente, rifuggendo da petizioni di principio e dalla traslazione dell’impianto argomentativo relativo alla disciplina del giudizio civile, si confrontasse adeguatamente con le specifiche caratteristiche di quello di responsabilità davanti alla Corte dei conti e con gli elementi che ne giustificano il regime delle spese, onde eventualmente far emergere quell’irragionevolezza che costituisce il limite alla discrezionalità legislativa. Ciò, nella fattispecie, non è avvenuto, con conseguente insufficienza della motivazione addotta a sostegno delle censure.

 

Alla luce delle considerazioni che precedono, le questioni sollevate sono inammissibili.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale del combinato disposto dei commi 2 e 3 dell’art. 31 del decreto legislativo 26 agosto 2016, n. 174 (Codice di giustizia contabile, adottato ai sensi dell’articolo 20 della legge 7 agosto 2015, n. 124), nella parte in cui non consente «che il giudice, anche in caso di intervenuto proscioglimento nel merito per mancanza di uno degli elementi indicati dall’art. 31, comma 2, c.g.c., possa compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, qualora sussistano gravi ed eccezionali ragioni, analoghe a quelle tassativamente indicate dall’art. 31, comma 3, c.g.c.», sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24, primo comma, e 111, primo comma, della Costituzione, dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Campania, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 30 gennaio 2020.

 

F.to:

 

Marta CARTABIA, Presidente

 

Aldo CAROSI, Redattore

 

Roberto MILANA, Cancelliere

 

Depositata in Cancelleria il 6 marzo 2020.