Sentenza n. 5 del 2020

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SENTENZA N. 5

ANNO 2020

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Presidente: Aldo CAROSI;

Giudici: Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 24, 28, 47 (recte: art. 47, comma 1), 53 e 55 della L. della Regione Basilicata 22 Novembre 2018 n.38 (https://www.regione.basilicata.it/giunta/files/docs/DOCUMENT_FILE_3053069.pdf )promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso notificato il 21-29 gennaio 2019, depositato in cancelleria il 29 gennaio 2019, iscritto al n. 7 del registro ricorsi 2019 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 8, prima serie speciale, dell’anno 2019.

Visto l’atto di costituzione della Regione Basilicata;

udito nell’udienza pubblica del 3 dicembre 2019 il Giudice relatore Silvana Sciarra;

uditi l’avvocato dello Stato Francesca Morici per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Nicoletta Pisani per la Regione Basilicata.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso, notificato in data 21-29 gennaio 2019, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale, in via principale, oltre che delle disposizioni che hanno formato oggetto della sentenza n. 286 del 2019, degli artt. 24, 28, 47 (recte: 47, comma 1), 53 e 55 della legge della Regione Basilicata 22 novembre 2018, n. 38 (Seconda variazione al bilancio di previsione pluriennale 2018/2020 e disposizioni in materia di scadenza di termini legislativi e nei vari settori di intervento della Regione Basilicata), in riferimento agli artt. 3, 51, 97, 117, secondo comma, lettera l), e terzo comma, della Costituzione.

1.1.– In particolare, l’art. 24 è impugnato nella parte in cui dispone che «[a]l fine di razionalizzare l’impiego del personale a tempo indeterminato appartenente ad enti pubblici economici o a società a totale partecipazione pubblica in servizio presso gli uffici della Regione Basilicata da almeno cinque anni se ne dispone, a domanda, il passaggio nei ruoli regionali, nel rispetto della normativa vigente in materia di limiti alla spesa per il personale».

Tale norma si porrebbe in contrasto con gli artt. 3, 51 e 97 Cost.

Essa, infatti, nel riconoscere il diritto potestativo del personale a tempo indeterminato appartenente a enti pubblici economici o a società a totale partecipazione pubblica, in servizio da almeno cinque anni presso la Regione, di transitare nei ruoli del personale regionale, senza prevedere lo scrutinio delle professionalità acquisite da tali soggetti, determinerebbe un privilegio indebito per i soggetti beneficiari di tale meccanismo. Ciò violerebbe la regola del pubblico concorso per l’accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni (art. 97 Cost.) – che ammette deroghe solo per fronteggiare specifiche necessità funzionali dell’amministrazione, ovvero per peculiari e straordinarie ragioni di interesse pubblico, e comunque con la previsione di adeguati accorgimenti idonei a garantire la professionalità del personale assunto – e il principio secondo cui tutti i cittadini possono accedere agli uffici pubblici in condizioni di eguaglianza (artt. 3 e 51 Cost.).

1.2.– È, poi, impugnato l’art. 28 della medesima legge regionale nella parte in cui, sostituendo il comma 2 dell’art. 10 della legge della Regione Basilicata 9 gennaio 1995, n. 2 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), stabilisce che «[p]er la cura e la riabilitazione della fauna selvatica, la Regione si avvale dei Centri di Recupero degli Animali Selvatici ed Esotici (C.R.A.S.E.)».

Il ricorrente ritiene che tale previsione si ponga in contrasto con i principi fondamentali posti dal legislatore statale in materia di tutela della salute (umana e animale), in specie stabiliti nella legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), secondo cui gli animali esotici, il cui stato sanitario e la cui provenienza il più delle volte non è nota, non possono essere messi nei centri di recupero della fauna selvatica e in contatto con la stessa, per motivi di benessere animale e in ossequio a evidenti principi di prevenzione e di precauzione.

1.3.– È, altresì, impugnato l’art. 47 della medesima legge reg. Basilicata n. 38 del 2018, nella parte in cui dispone la proroga, «fino alla conclusione delle procedure di stabilizzazione», delle «graduatorie delle selezioni riservate, indette ai sensi dell’articolo 4, comma 6 del D.L. n. 101/2013, convertito con modificazioni dalla L. n. 125/2013, oggetto delle procedure di stabilizzazione» (comma 1), e stabilisce che «[i] candidati idonei ricompresi nelle graduatorie di cui all’articolo 4 della legge regionale 25 ottobre 2010, n. 31, relative a selezioni per progressioni verticali indette antecedentemente all’entrata in vigore del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, approvate al 31 dicembre 2010, sono inquadrati fino ad esaurimento delle stesse, nelle graduatorie per le quali hanno concorso, a decorrere dal 1° marzo 2019» (comma 2).

La norma in esame, con l’inserire una disciplina derogatoria, in materia di proroga di graduatorie regionali, in favore soltanto di determinati soggetti, si porrebbe in contrasto con la prescrizione dell’art. 1, comma 1148, lettera a), della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020), secondo cui «l’efficacia delle graduatorie dei concorsi pubblici per assunzioni a tempo indeterminato, vigenti alla data del 31 dicembre 2017 e relative alle amministrazioni pubbliche soggette a limitazioni delle assunzioni», è prorogata fino al 31 dicembre 2018.

Essa, pertanto, determinerebbe la lesione della competenza legislativa statale esclusiva in materia di «ordinamento civile» (art. 117, secondo comma, lettera l, Cost.), nonché dei principi di «coordinamento della finanza pubblica» (art. 117, terzo comma, Cost.), oltre che dei principi di eguaglianza, buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione (artt. 3 e 97 Cost.).

1.4.– Sono, infine, censurati gli artt. 53 e 55 della legge reg. Basilicata n. 38 del 2018, là dove disciplinano la proroga dei contratti di collaborazione presso enti e strutture connesse all’amministrazione regionale, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.

Tali norme detterebbero una disciplina contrastante con quella stabilita dal legislatore statale, in specie nell’art. 7, comma 6, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), che vieta di ricorrere alle proroghe di contratti di collaborazione, se non è stata accertata l’impossibilità oggettiva di utilizzare per il medesimo scopo il personale già a disposizione dell’amministrazione, sulla base di una specifica motivazione, o quando si intenda completare un’attività già avviata, e comunque in via temporanea e sulla base di una procedura di comparazione fra candidati. Tali condizioni non ricorrerebbero nelle citate norme, che, pertanto, violerebbero la sfera di competenza esclusiva del legislatore statale in materia di ordinamento civile.

1.5.– Con memoria depositata nell’imminenza dell’udienza pubblica, il ricorrente ha rinunciato parzialmente al ricorso con riferimento, per quanto di interesse, all’art. 28 della citata legge regionale n. 38 del 2018, alla luce delle modifiche – ritenute satisfattive – apportate all’art. 10 della legge reg. Basilicata n. 2 del 1995, nel testo sostituito dalla disposizione impugnata.

2.– Nel giudizio si è costituita la Regione Basilicata, che chiede che il ricorso sia dichiarato infondato.

2.1.– Preliminarmente, la difesa regionale chiede che sia dichiarata la cessazione della materia del contendere in relazione alle questioni promosse nei confronti degli artt. 28 e 47 (recte: 47, comma 1) della legge regionale n. 38 del 2018, in ragione delle modifiche apportate al primo, in recepimento dei rilievi formulati dal Ministero della salute, e dell’abrogazione del secondo, disposta con la legge della Regione Basilicata 13 marzo 2019, n. 4 (Ulteriori disposizioni urgenti in vari settori d’intervento della Regione Basilicata).

In particolare, quanto all’impugnativa dell’art. 47, la Regione precisa che la richiesta di declaratoria di cessazione della materia del contendere si fonda sulla circostanza della sopravvenuta abrogazione del comma 1 del medesimo articolo, e della considerazione che le censure promosse nei confronti dell’art. 47 erano rivolte solo a tale comma (e non anche ai commi 2 e 3, pur testualmente richiamati).

2.2.– Nel merito, comunque, la questione promossa nei confronti dell’art. 47, comma 1, della legge regionale n. 38 del 2018 sarebbe infondata sulla scia della sentenza n. 241 del 2018, con riguardo alla denunciata violazione della sfera di competenza statale in materia di «ordinamento civile», nonché agli artt. 3 e 97 Cost.

La normativa impugnata, infatti, inerente alla proroga delle graduatorie, non solo risponderebbe all’esigenza di assicurare il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione e il contenimento della spesa pubblica, ma inciderebbe su aspetti che ineriscono all’organizzazione amministrativa regionale e che quindi sarebbero sottratti alla privatizzazione. La difesa regionale, a tal proposito, ricorda che, per costante giurisprudenza, costituisce concorso pubblico non solo quello aperto ai candidati esterni, ma anche quello riservato ai dipendenti ai fini delle progressioni verticali di particolare rilievo qualitativo, restando affidata in tal caso la selezione all’esercizio dei poteri pubblici e ai procedimenti amministrativi, la cui regolamentazione spetta alle Regioni.

2.3.– Con riguardo, poi, alle censure rivolte agli artt. 53 e 55 della medesima legge regionale n. 38 del 2018, il ricorrente chiede che siano dichiarate manifestamente infondate.

Anzitutto, la Regione sostiene che la disciplina contenuta nelle citate norme sia riconducibile alla potestà legislativa regionale residuale in materia di organizzazione amministrativa, attenendo alla proroga di contratti già esistenti e dunque spiegando la propria efficacia in un momento successivo a quello dell’instaurazione del contratto di collaborazione. Essa, pertanto, inciderebbe sul comportamento delle amministrazioni nell’organizzazione delle proprie risorse umane e solo in via riflessa sulle posizioni soggettive. Peraltro, la Regione ricorda di aver già nel passato provveduto a prorogare contratti di collaborazione, senza che fossero sollevate analoghe questioni di legittimità costituzionale.

Del pari priva di fondamento sarebbe la censura di violazione della normativa statale di cui all’art. 7 del d.lgs. n. 165 del 2001.

In particolare, quanto alle proroghe dei contratti di collaborazione in scadenza al 31 dicembre 2018, disposte con l’art. 53, la difesa regionale sostiene che esse siano funzionali a consentire la realizzazione di talune attività puntualmente indicate nella norma, in particolare per consentire all’amministrazione di continuare ad avvalersi di collaboratori già formati, al fine di garantire il completamento dei progetti, ragione per cui sono stati costituiti i rispettivi rapporti contrattuali, con l’individuazione di specifiche competenze. Tale proroga – necessaria per l’efficienza e l’efficacia dell’amministrazione, in quanto garantirebbe alle strutture la disponibilità di risorse di elevata e comprovata professionalità – sarebbe pienamente rispondente al comma 5-bis dell’art. 7 del d.lgs. n. 165 del 2001, come riformulato dal decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75 recante «Modifiche e integrazioni al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ai sensi degli articoli 16, commi 1, lettera a), e 2, lettere b), c), d) ed e) e 17, comma 1, lettere a), c), e), f), g), h), l) m), n), o), q), r), s) e z), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche», unitamente all’art. 22, comma 8, del medesimo d.lgs. n. 75 del 2017, che ribadiscono il divieto alle pubbliche amministrazioni di stipulare contratti di collaborazione di cui all’art. 2 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81 (Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183) solo a decorrere dal 1° gennaio 2019. Peraltro, la Regione ritiene che il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, con la circolare n. 3 del 2017, abbia chiarito che il divieto per le amministrazioni pubbliche di stipulare contratti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione siano organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e ai luoghi di lavoro, si applica solo ai contratti sottoscritti a partire dal nuovo anno, ma non ai contratti che, sottoscritti in data antecedente, dispiegherebbero i loro effetti anche in un periodo successivo.

Quanto, poi, alle proroghe disposte con l’art. 55 della medesima legge regionale n. 38 del 2018, la Regione precisa che tale norma ha inteso dettare disposizioni in materia di contratti di collaborazione attivati dalla Regione Basilicata con l’«Avviso pubblico per il conferimento di incarichi di collaborazione coordinata e continuativa finalizzati al rafforzamento della capacità tecnica e amministrativa dell’Amministrazione regionale (capacity building) e all’accompagnamento nelle attività per l’accelerazione e l’efficacia degli interventi della programmazione unitaria regionale 2007-2013 e 2014-2010», approvato con determinazione dirigenziale n. 12A2.2014/D. 00042 dell’8 agosto 2014.

L’intervento legislativo scaturirebbe dalla necessità dell’amministrazione di continuare ad avvalersi dei collaboratori selezionati fino al termine ultimo di ammissibilità delle spese della «programmazione FSE 2014-2020, FESR 2014-2020 e FEASR 2014-2020», fissato al 31 dicembre 2023, al fine di continuare ad assicurare il rafforzamento della capacità tecnica e amministrativa dell’amministrazione regionale e l’accompagnamento nelle attività per l’accelerazione e l’efficacia delle azioni dei programmi.

La proroga sarebbe opportuna per garantire alle strutture coinvolte nell’attuazione dei Programmi la disponibilità di collaboratori selezionati fino al termine del periodo di attuazione dei tre programmi comunitari.

Peraltro, in linea con l’art. 7, comma 6, lettera c), del d.lgs. n. 165 del 2001, sarebbero garantite anche la temporaneità e la possibilità di proroga connessa al completamento di un progetto, in quanto già nella determinazione dirigenziale di approvazione dell’avviso pubblico emergerebbe la delimitazione dell’incarico al periodo di «avvio ed attuazione dei programmi finanziati dal FESR 2014-2020 e da FSC nel corso del quale dovranno svolgersi le prestazioni corrispondenti agli obiettivi ed ai progetti specifici e determinati (…)». La Regione ricorda, inoltre, che, nella relazione di accompagnamento alla proposta dell’art. 55, si evidenziava la necessità dell’amministrazione di continuare ad avvalersi dei collaboratori selezionati fino al termine ultimo di ammissibilità delle spese della programmazione FSE 2014-2020, FESR 2014-2020 e FEASR 2014-2020, fissato al 31 dicembre 2023.

Il progetto afferente ai contratti si sviluppa – sottolinea ancora la Regione – per l’intero periodo di programmazione (2014-2020) relativo ai programmi interessati che prevedono, sulla base dell’art. 65 del regolamento (UE) n. 1303/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 dicembre 2013, recante disposizioni comuni sul Fondo europeo di sviluppo regionale, sul Fondo sociale europeo, sul Fondo di coesione, sul Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale e sul Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca e disposizioni generali sul Fondo europeo di sviluppo regionale, sul Fondo sociale europeo, sul Fondo di coesione e sul Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca, e che abroga il regolamento (CE) n. 1083/2006 del Consiglio, come termine ultimo di conclusione delle operazioni finanziate, il 31 dicembre 2023. Ciò sarebbe confermato dalla circostanza che in altre amministrazioni, anche centrali, contratti simili sono stati attivati sin dall’inizio per l’intero periodo di programmazione 2014-2023, poiché la copertura finanziaria per l’assistenza tecnica di tali programmi è in linea con le previsioni dell’art. 59 del regolamento (UE) n. 1303/2013 e dell’art. 22 del d.P.R. 5 febbraio 2018, n. 22, intitolato «Regolamento recante i criteri sull’ammissibilità delle spese per i programmi cofinanziati dai Fondi strutturali di investimento europei (SIE) per il periodo di programmazione 2014/2020».

3.– All’udienza pubblica le parti hanno insistito per l’accoglimento delle conclusioni formulate nelle difese scritte.

Considerato in diritto

1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso questioni di legittimità costituzionale, in via principale, oltre che delle disposizioni che hanno formato oggetto della sentenza n. 286 del 2019, degli artt. 24, 28, 47 (recte: 47, comma 1), 53 e 55 della legge della Regione Basilicata 22 novembre 2018, n. 38 (Seconda variazione al bilancio di previsione pluriennale 2018/2020 e disposizioni in materia di scadenza di termini legislativi e nei vari settori di intervento della Regione Basilicata), in riferimento agli artt. 3, 51, 97, 117, secondo comma, lettera l), e terzo comma, della Costituzione.

Poiché le disposizioni impugnate incidono su materie differenti e sono state censurate in riferimento a parametri e sotto profili eterogenei, occorre esaminare separatamente le questioni di legittimità costituzionale promosse dal ricorrente.

2.– È impugnato, in primo luogo, l’art. 24 della legge reg. Basilicata n. 38 del 2018, nella parte in cui dispone che «[a]l fine di razionalizzare l’impiego del personale a tempo indeterminato appartenente ad enti pubblici economici o a società a totale partecipazione pubblica in servizio presso gli uffici della Regione Basilicata da almeno cinque anni se ne dispone, a domanda, il passaggio nei ruoli regionali, nel rispetto della normativa vigente in materia di limiti alla spesa per il personale».

Questa norma dispone il transito automatico nell’organico della Regione Basilicata del personale dipendente, a tempo indeterminato, degli enti pubblici economici e delle società a totale partecipazione pubblica, in servizio da almeno cinque anni presso gli uffici regionali, senza prevedere alcuna verifica di professionalità. Secondo il ricorrente essa si porrebbe in contrasto con la regola del pubblico concorso per l’accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni (art. 97 Cost.) e con il principio secondo cui tutti i cittadini possono accedere agli uffici pubblici in condizioni di eguaglianza (artt. 3 e 51 Cost.).

2.1.– La questione è fondata.

Secondo la giurisprudenza costante di questa Corte, «la facoltà del legislatore di introdurre deroghe al principio del concorso pubblico deve essere delimitata in modo rigoroso, potendo tali deroghe essere considerate legittime solo quando siano funzionali esse stesse al buon andamento dell’amministrazione e ove ricorrano peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico idonee a giustificarle» (sentenza n. 40 del 2018; fra le tante, sentenze n. 110 del 2017, n. 7 del 2015 e n. 134 del 2014) e, comunque, sempre che siano previsti «adeguati accorgimenti per assicurare […] che il personale assunto abbia la professionalità necessaria allo svolgimento dell’incarico» (sentenza n. 225 del 2010). Infatti, «la necessità del concorso per le assunzioni a tempo indeterminato discende non solo dal rispetto del principio di buon andamento della pubblica amministrazione di cui all’art. 97 Cost., ma anche dalla necessità di consentire a tutti i cittadini l’accesso alle funzioni pubbliche, in base all’art. 51 Cost.» (sentenza n. 225 del 2010).

Già in passato questa Corte ha ritenuto ingiustificato il mancato ricorso a una tale «forma generale ed ordinaria di reclutamento per le amministrazioni pubbliche» (sentenza n. 40 del 2018), in relazione a norme regionali di generale e automatico reinquadramento del personale di enti di diritto privato (come le società a partecipazione regionale) nei ruoli delle Regioni, senza la previsione del previo espletamento di alcuna procedura selettiva di tipo concorsuale, ma anche senza alcuna giustificazione della necessità funzionale dell’amministrazione (fra le tante, sentenza n. 225 del 2010). Un simile trasferimento automatico non può che risolversi in un privilegio indebito per i soggetti beneficiari di una procedura come quella descritta, in violazione dell’art. 97 Cost. e, di conseguenza, degli artt. 3 e 51 Cost. (fra le altre, sentenze n. 227 del 2013 e n. 62 del 2012).

Anche la norma regionale qui esaminata non soddisfa le condizioni che giustificherebbero la deroga al principio del pubblico concorso. Essa, infatti, dispone l’inquadramento automatico nei ruoli della Regione di personale a tempo indeterminato di enti di diritto privato – enti pubblici economici e società a totale partecipazione pubblica – solo su domanda, senza alcuna valutazione di professionalità. Inoltre, il mancato ricorso alla selezione concorsuale non trova alcuna peculiare ragione giustificatrice, né con riferimento alle necessità funzionali dell’amministrazione, né con riguardo a peculiari e straordinarie ragioni di interesse pubblico, cui certamente non possono ricondursi le generiche finalità di «razionalizzazione dell’impiego del personale a tempo indeterminato», indicate dalla medesima norma.

Deve, pertanto, essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 24 della legge reg. Basilicata n. 38 del 2018.

3.– È, poi, fatto oggetto di censure l’art. 28 della medesima legge regionale, nella parte in cui, sostituendo il comma 2 dell’art. 10 della legge della Regione Basilicata 9 gennaio 1995, n. 2 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), stabilisce che «[p]er la cura e la riabilitazione della fauna selvatica, la Regione si avvale dei Centri di Recupero degli Animali Selvatici ed Esotici (C.R.A.S.E.)».

Il ricorrente sostiene che tale previsione si ponga in contrasto con i principi fondamentali fissati dal legislatore statale in materia di tutela della salute (umana e animale) nella legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), secondo cui gli animali esotici, il cui stato sanitario e la cui provenienza spesso non sono noti, non devono essere collocati nei centri di recupero della fauna selvatica, in contatto con la stessa, per motivi di benessere animale e in ossequio a evidenti principi di prevenzione e di precauzione.

3.1.– In linea preliminare, occorre tener conto della circostanza che il ricorrente ha rinunciato parzialmente al ricorso, con riferimento a tale questione, a seguito della sopravvenuta modifica dell’art. 10, comma 2, della legge reg. Basilicata n. 2 del 1995, come sostituito dall’art. 28 della legge reg. Basilicata n. 38 del 2018, a opera dell’art. 16 della legge della Regione Basilicata 13 marzo 2019, n. 4 (Ulteriori disposizioni urgenti in vari settori d’intervento della Regione Basilicata).Il citato art. 10, comma 2, nel testo finale novellato, dispone che «per la cura e la riabilitazione della fauna selvatica, la Regione si avvale dei Centri di Recupero degli Animali Selvatici (C.R.A.S.) provvisti di assistenza medico-veterinaria e sottoposti a vigilanza veterinaria dell’Azienda Sanitaria territorialmente competente», anziché dei «Centri di Recupero degli Animali Selvatici ed Esotici (C.R.A.S.E.)».

Non è pervenuta da parte della Regione resistente l’accettazione della rinuncia, ma non risulta un suo interesse a coltivare il giudizio, se si tiene conto del fatto che la medesima Regione aveva richiesto la declaratoria di cessazione della materia del contendere, all’indomani della modifica legislativa e prima dell’atto di rinuncia parziale al ricorso da parte del ricorrente. In linea con una ormai costante giurisprudenza di questa Corte (di recente, sentenza n. 171 del 2019; fra le altre, sentenze n. 94 del 2018 e n. 19 del 2015, ordinanza n. 62 del 2015), si può, dunque, dichiarare cessata la materia del contendere.

4.– Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna, altresì, l’art. 47 della legge reg. Basilicata n. 38 del 2018, là dove dispone la proroga, «fino alla conclusione delle procedure di stabilizzazione», delle «graduatorie delle selezioni riservate, indette ai sensi dell’articolo 4, comma 6 del D.L. n. 101/2013, convertito con modificazioni dalla L. n. 125/2013, oggetto delle procedure di stabilizzazione» (comma 1), e stabilisce che «[i] candidati idonei ricompresi nelle graduatorie di cui all’articolo 4 della legge regionale 25 ottobre 2010, n. 31, relative a selezioni per progressioni verticali indette antecedentemente all’entrata in vigore del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, approvate al 31 dicembre 2010, sono inquadrati fino ad esaurimento delle stesse, nelle graduatorie per le quali hanno concorso, a decorrere dal 1° marzo 2019» (comma 2).

Il ricorrente ritiene che la norma in esame introduca una disciplina derogatoria, in materia di proroga di graduatorie regionali, in favore soltanto di determinati soggetti, in contrasto con la prescrizione dell’art. 1, comma 1148, lettera a), della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020), secondo cui «l’efficacia delle graduatorie dei concorsi pubblici per assunzioni a tempo indeterminato, vigenti alla data del 31 dicembre 2017 e relative alle amministrazioni pubbliche soggette a limitazioni delle assunzioni», è prorogata fino al 31 dicembre 2018.

Oltre a invadere la sfera di competenza legislativa statale esclusiva in materia di «ordinamento civile» (art. 117, secondo comma, lettera l, Cost.), tale norma si porrebbe in contrasto con i principi di «coordinamento della finanza pubblica» (art. 117, terzo comma, Cost.) delineati dal legislatore statale nella citata legge n. 205 del 2017, con conseguente lesione dei principi di eguaglianza, buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione (artt. 3 e 97 Cost.).

4.1.– In linea preliminare, si deve considerare che il comma 1 dell’impugnato art. 47 è stato abrogato, successivamente alla proposizione del ricorso, a opera dell’art. 17, comma 1, della legge reg. Basilicata n. 4 del 2019.

Le censure formulate dal ricorrente sono rivolte esclusivamente al comma 1 dell’impugnato art. 47, sebbene sia stato riprodotto anche il testo del comma 2 del medesimo articolo – che peraltro ha un oggetto diverso – per cui si deve valutare se permanga la materia del contendere, a seguito dello ius superveniens.

Poiché l’abrogazione è evidentemente satisfattiva delle richieste del ricorrente, si deve verificare se la norma abrogata abbia ricevuto applicazione medio tempore (fra le tante, di recente, sentenze n. 180 del 2019 e n. 238 del 2018).

Premesso che la legge n. 4 del 2019, che ha disposto l’abrogazione del comma 1 dell’art. 47, è entrata in vigore il giorno successivo alla pubblicazione sul Bollettino Ufficiale della Regione (BUR) e cioè il 15 marzo 2019, mentre la legge regionale n. 38 del 2018 era entrata in vigore il giorno stesso della pubblicazione sul BUR e cioè il 22 novembre 2018, c’è un intervallo temporale entro cui non si dimostra in alcun modo che la norma non sia stata applicata. Ciò basta a escludere una pronuncia di cessazione della materia del contendere, e quindi si rende necessario l’esame del merito delle questioni promosse nei confronti dell’art. 47, comma 1, della legge reg. Basilicata n. 38 del 2018.

4.2.– Quanto al merito, il ricorrente denuncia, fra l’altro, la lesione della sfera di competenza esclusiva del legislatore statale in materia di «ordinamento civile» (art. 117, secondo comma, lettera l, Cost.) da parte della norma regionale che dispone la proroga – «fino alla conclusione delle procedure» di stabilizzazione – delle graduatorie relative alle «selezioni riservate indette ai sensi dell’articolo 4, comma 6 del D.L. n. 101/2013, convertito con modificazioni dalla L. n. 125/2013, oggetto delle procedure di stabilizzazione ex art. 20, comma 1 del D. Lgs. n. 75/2017», in contrasto con quanto stabilito dal legislatore statale. Tale questione, inerente al riparto delle competenze legislative fra lo Stato e le Regioni, deve essere esaminata per prima. È preliminare la verifica che essa impone, circa la pretesa inesistenza di una qualsivoglia competenza regionale a disciplinare tale oggetto, di esclusiva competenza del legislatore statale.

4.2.1.– La questione è priva di fondamento.

Di recente questa Corte (sentenza n. 241 del 2018) ha avuto occasione di pronunciarsi sulla legittimità costituzionale di una norma regionale che disponeva la proroga di ulteriori dodici mesi «[dell]’efficacia delle graduatorie di procedure selettive pubbliche», e ha dichiarato non fondata la censura di violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.

Nel ricordare che «la disciplina dei concorsi per l’accesso al pubblico impiego, "per i suoi contenuti marcatamente pubblicistici e la sua intima connessione con l’attuazione dei principi sanciti dagli artt. 51 e 97 Cost. […] è invero sottratta all’incidenza della privatizzazione del lavoro presso le pubbliche amministrazioni, che si riferisce alla disciplina del rapporto già instaurato” (sentenza n. 380 del 2004)», ha affermato che «[l]a regolamentazione delle graduatorie di procedure selettive pubbliche rientra […] nella disciplina dell’accesso al pubblico impiego». Le graduatorie «costituiscono il provvedimento amministrativo conclusivo delle procedure selettive pubbliche», con cui «l’amministrazione esaurisce l’ambito proprio del procedimento amministrativo e dell’esercizio dell’attività autoritativa».

Sulla scorta di tale precedente, non vi è dubbio che anche la disposizione ora in esame detta una disciplina che «si colloca in un momento antecedente a quello del sorgere del rapporto di lavoro» e che «riguarda i profili pubblicistico-organizzativi dell’impiego pubblico regionale e non quelli privatizzati del relativo rapporto di lavoro». Essa, pertanto, è estranea alla sfera di competenza esclusiva del legislatore statale in materia di ordinamento civile.

Da ciò deriva la non fondatezza della questione.

4.3.– L’art. 47, comma 1, della legge reg. Basilicata n. 38 del 2018 è, altresì, impugnato, là dove introduce una proroga «fino alla conclusione delle procedure di stabilizzazione», delle graduatorie relative alle selezioni riservate indette ai fini delle medesime procedure di stabilizzazione, anche per violazione dei principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica stabiliti dal legislatore statale, in specie, all’art. 1, comma 1148, lettera a), della legge n. 205 del 2017. Quest’ultimo dispone che «l’efficacia delle graduatorie dei concorsi pubblici per assunzioni a tempo indeterminato, vigenti alla data del 31 dicembre 2017 e relative alle amministrazioni pubbliche soggette a limitazioni delle assunzioni, è prorogata al 31 dicembre 2018».

4.3.1.– La questione è fondata.

Lo scorrimento delle graduatorie relative a concorsi per l’accesso al pubblico impiego, nato come strumento di carattere eccezionale, è risalente nel tempo. L’art. 3, comma 87, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2008)», ha introdotto la previsione della vigenza delle graduatorie dei concorsi per il reclutamento del personale presso le amministrazioni pubbliche per un termine di tre anni dalla data di pubblicazione delle stesse.

Il termine citato è stato inizialmente individuato per consentire una modalità alternativa e secondaria rispetto al pubblico concorso, previsto dall’art. 97 Cost. Tale modalità è poi divenuta «regola generale», sia in considerazione delle «finalità di contenimento della spesa pubblica in relazione ai costi derivanti dall’espletamento delle nuove procedure concorsuali», sia per proteggere i soggetti collocati nelle graduatorie, «in considerazione del blocco delle assunzioni» (Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, sentenza 28 luglio 2011, n. 14).

Si sono poi avute successive e frequenti proroghe del termine, con il risultato di rendere ultra-attive anche graduatorie molto risalenti nel tempo (così, ad esempio, l’art. 17, comma 19, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78, recante «Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini e della partecipazione italiana a missioni internazionali», convertito, con modificazioni, nella legge 3 agosto 2009, n. 102; e anche l’art. 1, comma 2, del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225, recante «Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie», convertito, con modificazioni, nella legge 26 febbraio 2011, n. 10). Si è inteso, in tal modo, ovviare alle esigenze funzionali delle pubbliche amministrazioni per il perdurante blocco delle assunzioni e per il mancato espletamento di nuove procedure concorsuali.

Nonostante la legge 7 agosto 2015, n. 124 (Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche) abbia indicato all’art. 17, comma 1, lettera c), il criterio direttivo della riduzione del periodo di validità delle graduatorie, anche nella prospettiva di una progressiva riapertura delle procedure concorsuali e del superamento del blocco delle assunzioni, il decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75, –recante «Modifiche e integrazioni al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ai sensi degli articoli 16, commi 1, lettera a), e 2, lettere b), c), d) ed e) e 17, comma 1, lettere a), c), e), f), g), h), l), m), n), o), q), r), s) e z), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche», all’art. 6, comma 1, lettera a) –, si è limitato a introdurre la mera facoltà di ciascuna pubblica amministrazione di indicare nel bando di concorso il numero di candidati idonei rispetto ai posti disponibili, senza incidere sulla validità delle graduatorie, che sono state, successivamente, in via eccezionale, ulteriormente prorogate per i citati motivi.

In questo quadro si colloca l’art. 1, comma 1148, lettera a), della legge di bilancio per il 2018, invocata come norma interposta dal ricorrente, che ha prorogato al 31 dicembre 2018 l’efficacia delle graduatorie dei concorsi pubblici per assunzioni a tempo indeterminato, vigenti alla data del 31 dicembre 2017 e relative alle amministrazioni pubbliche soggette a limitazioni delle assunzioni.

Tale norma – che prevede la proroga al 31 dicembre 2018 anche del termine per l’esercizio, da parte di amministrazioni pubbliche, della facoltà di assunzione di personale, in particolare, nelle sue lettere b), numero 1), c), d), numero 1) e numero 2), ed e) – è già stata ricondotta da questa Corte nel novero di quelle disposizioni statali che, «agendo sul rilevante aggregato di spesa pubblica costituito dalla spesa per il personale, pongono limiti transitori alla facoltà delle regioni […] di procedere ad assunzioni (ex plurimis, sentenze n. 1 del 2018, n. 72 del 2017, n. 251 del 2016, n. 218 e n. 153 del 2015)» (sentenza n. 241 del 2018). Essa, pertanto, nella parte in cui proroga, delimitandole, sia l’efficacia delle graduatorie vigenti, sia la facoltà di assunzione delle pubbliche amministrazioni, al 31 dicembre 2018, stabilisce un principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica, vincolante per le Regioni.

Con tale principio contrasta la norma regionale impugnata. Quest’ultima fa riferimento a graduatorie relative a selezioni riservate, indette – secondo quanto previsto dall’art. 4, comma 6, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101 (Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni), convertito, con modificazioni, nella legge 30 ottobre 2013, n. 125 – «al fine di favorire una maggiore e più ampia valorizzazione della professionalità acquisita dal personale con contratto di lavoro a tempo determinato e, al contempo, ridurre il numero dei contratti a termine». Nell’ambito di tali procedure di stabilizzazione del personale non dirigenziale disciplinate dall’art. 20, comma 1, del d.lgs. n. 75 del 2017, «al fine di superare il precariato», la norma regionale proroga le graduatorie relative alle citate selezioni «fino alla conclusione delle procedure stesse» (art. 47, comma 1, legge reg. Basilicata n. 38 del 2018) e, quindi, al di là del limite del 31 dicembre 2018 imposto dal legislatore statale per contenere le assunzioni e con esse le spese inerenti al personale anche regionale.

Si deve osservare che, successivamente all’entrata in vigore della norma regionale impugnata, il quadro normativo statale di riferimento è andato via via mutando, in virtù dell’entrata in vigore dapprima della legge 30 dicembre 2018, n. 145 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021), poi del decreto-legge 3 settembre 2019, n. 101 (Disposizioni urgenti per la tutela del lavoro e per la risoluzione di crisi aziendali), convertito, con modificazioni, nella legge n. 128 del 2019, che sono intervenuti sul regime delle graduatorie (in specie all’art. 1, commi da 661 a 665, della legge n. 145 del 2018, come modificato dal d.l. n. 101 del 2019). Premesso che il parametro interposto da prendere in considerazione per valutare la legittimità costituzionale della norma regionale è costituito, comunque, dai principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica vigenti al momento dell’entrata in vigore della norma regionale (e, quindi, dal citato art. 1, comma 1148, lettera a, della legge di bilancio per il 2018), non si può non segnalare che la nuova disciplina delle graduatorie dettata dal legislatore statale delinea uno scenario che risulta ancor più restrittivo quanto all’uso delle graduatorie e che, in costanza di misure di contenimento delle assunzioni, conferma la natura di principio di coordinamento della finanza pubblica della previsione di limiti alla proroga dell’efficacia delle stesse.

Pur prorogando le graduatorie precedenti, si introducono alcune condizioni e si definiscono precisi limiti temporali. La proroga opera a partire dalle graduatorie approvate nel 2011, a condizione che i soggetti inseriti nelle stesse frequentino obbligatoriamente corsi di formazione e aggiornamento organizzati da ciascuna amministrazione, nonché superino un apposito esame-colloquio diretto a verificarne la perdurante idoneità. Si afferma, inoltre, una nuova centralità del concorso pubblico di cui all’art. 97 Cost., tuttavia connessa alla prospettiva futura e comunque eventuale della riapertura delle procedure concorsuali e dello sblocco delle assunzioni. Si delimita, in ogni caso, a regime, l’efficacia delle graduatorie e se ne ridimensiona lo scorrimento.

Deve, pertanto, essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 47, comma 1, della legge reg. Basilicata n. 38 del 2018.

4.4.– Resta assorbita l’ulteriore questione di legittimità costituzionale riferita agli artt. 3 e 97 Cost.

5.– Sono, infine, impugnati gli artt. 53 e 55 della legge reg. Basilicata n. 38 del 2018, là dove dispongono la proroga dei contratti di collaborazione presso enti e strutture connesse all’amministrazione regionale.

Secondo il ricorrente, tali norme si porrebbero in contrasto con l’art. 7, comma 6, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), che vieta di ricorrere alle proroghe di contratti di collaborazione, tranne che quando sia stata accertata l’impossibilità oggettiva di utilizzare per il medesimo scopo il personale già a disposizione dell’amministrazione, e comunque solo in via temporanea e sulla base di una procedura di comparazione fra candidati. In tal modo, esse determinerebbero una lesione della sfera di competenza legislativa statale esclusiva in materia di «ordinamento civile» di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.

5.1.– In linea preliminare, occorre rilevare che le disposizioni impugnate – gli artt. 53 e 55 della legge reg. Basilicata n. 38 del 2018 – pur provvedendo entrambe a prorogare i contratti di collaborazione presso amministrazioni regionali, hanno contenuti e ambiti di operatività differenti.

Infatti, con l’art. 53 è prorogata la scadenza (al 31 dicembre 2019 e al 30 giugno 2020) di contratti di collaborazione coordinata e continuativa per lo svolgimento di una serie variegata di attività, puntualmente individuate, che attengono: alla realizzazione di programmi concernenti l’Osservatorio dei prezzi, dei servizi e delle tecnologie nel settore della sanità (OPT); all’attuazione del progetto di realizzazione della Rete regionale degli acquisti del Servizio sanitario regionale; ai piani e ai progetti di adeguamento infrastrutturale delle Aziende sanitarie regionali e delle strutture sanitarie; all’attuazione del progetto di riordino del sistema di formazione continua; alla realizzazione del programma regionale di farmacovigilanza attiva e del funzionamento del Centro regionale di farmacovigilanza; alla messa in esercizio del fascicolo sanitario elettronico; al completamento dei programmi connessi alla valorizzazione artistico-culturale.

L’art. 55, invece, dispone la proroga fino al 31 dicembre 2023 di contratti di collaborazione (coordinata e continuativa) volti ad «assicurare il rafforzamento della capacità tecnica e amministrativa dell’Amministrazione regionale e l’accompagnamento per l’accelerazione e l’efficacia delle attività connesse all’attuazione ed alla programmazione FSE 2014-2020, FESR 2014-2020 e FEASR 2014-2020». Si tratta, come è evidente, di dare attuazione alla programmazione realizzata con i Fondi strutturali e di investimento europei 2014-2020, per la realizzazione degli obiettivi di coesione economica, sociale e culturale, nel quadro definito dal regolamento (UE) n. 1303/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 dicembre 2013, recante disposizioni comuni sul Fondo europeo di sviluppo regionale, sul Fondo sociale europeo, sul Fondo di coesione, sul Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale e sul Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca e disposizioni generali sul Fondo europeo di sviluppo regionale, sul Fondo sociale europeo, sul Fondo di coesione e sul Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca, e che abroga il regolamento (CE) n. 1083/2006 del Consiglio.

La questione di legittimità costituzionale proposta in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., nei confronti di entrambe le disposizioni, deve essere esaminata tenendo conto della specificità della disciplina dettata da ciascuna di esse.

5.2.– Alla luce di tale precisazione, la questione è fondata solo con riguardo all’art. 53 della legge reg. Basilicata n. 38 del 2018.

5.2.1.– Anzitutto, occorre identificare la materia cui deve ricondursi la disciplina contenuta nelle citate disposizioni.

Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, l’individuazione dell’ambito materiale, cui devono essere ascritte le disposizioni censurate, deve essere effettuata tenendo conto della loro ratio, della loro finalità, del contenuto e dell’oggetto della disciplina (da ultimo sentenza n. 100 del 2019; fra le tante, sentenze n. 32 del 2017, n. 287 e n. 175 del 2016). Poiché entrambe le disposizioni mirano a prorogare la durata di contratti di collaborazione coordinata e continuativa già in essere con enti e strutture regionali e, conseguentemente, la durata dei rapporti di collaborazione fondati su tali contratti, è evidente che esse, pur incidendo sulla materia dell’organizzazione amministrativa regionale, come sostenuto dalla difesa della Regione Basilicata, sono riconducibili alla materia dell’ordinamento civile.

Questa Corte ha già affermato che la disciplina del rapporto di lavoro con la Regione ascrivibile alla complessa nozione di "parasubordinazione” (come nel caso delle collaborazioni coordinate e continuative) non si discosta dal rapporto di lavoro pubblico privatizzato (sentenza n. 157 del 2019) quanto all’«esigenza, connessa al precetto costituzionale di eguaglianza, di garantire l’uniformità nel territorio nazionale delle regole fondamentali di diritto che disciplinano i rapporti tra privati» (sentenza n. 189 del 2007). Queste ultime, che sono riconducibili alla materia dell’«ordinamento civile» assegnata alla competenza esclusiva del legislatore statale, «costituiscono tipici limiti di diritto privato» (sentenza n. 232 del 2019) e, come tali, si impongono alle Regioni anche con riguardo alle scelte, operate da queste ultime, in tema di «organizzazione amministrativa».

5.2.2.– Il legislatore statale è intervenuto più volte sulla materia delle collaborazioni coordinate e continuative in senso restrittivo, per impedire gli abusi nel ricorso a tale strumento contrattuale, con la conseguente elusione della disciplina del rapporto di lavoro subordinato.

Con il decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 (Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30) è stata introdotta la fattispecie del lavoro a progetto (artt. da 61 a 69-bis), poi delimitata nel suo uso dall’art. 1, commi da 23 a 26 della legge 28 giugno 2012, n. 92 (Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita). Infine, con il decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81 (Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183), le norme precedenti inerenti alla collaborazione "a progetto” sono state abrogate ed è rimasta in vigore la precedente disciplina generale della collaborazione continuativa e coordinata richiamata dall’art. 409 del codice di procedura civile.

A completare un tale processo di "ridimensionamento” dei contratti di collaborazione coordinata e continuativa ha provveduto, con specifico riferimento al lavoro pubblico, il decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75, recante «Modifiche e integrazioni al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ai sensi degli articoli 16, commi 1, lettera a), e 2, lettere b), c), d) ed e) e 17, comma 1, lettere a), c), e), f), g), h), l) m), n), o), q), r), s) e z), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche», che ha espressamente introdotto, nel testo del d.lgs. n. 165 del 2001, il divieto per le pubbliche amministrazioni «di stipulare contratti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione siano organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro» (art. 7, comma 5-bis) e ha puntualmente delimitato le deroghe a tale divieto (art. 7, comma 6).

Quest’ultima disposizione stabilisce, infatti, che «le amministrazioni pubbliche possono conferire esclusivamente incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo, ad esperti di particolare e comprovata specializzazione anche universitaria», «per specifiche esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio», solo al ricorrere di specifiche condizioni, indicate come «presupposti di legittimità».

In particolare si richiede, fra l’altro, che l’oggetto della prestazione corrisponda a obiettivi e progetti specifici e determinati e sia coerente con le esigenze di funzionalità dell’amministrazione conferente; che l’amministrazione abbia preliminarmente accertato l’impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno; che la prestazione abbia natura temporanea e altamente qualificata. Si esclude la possibilità di rinnovo, mentre si stabilisce che «l’eventuale proroga dell’incarico originario è consentita, in via eccezionale, al solo fine di completare il progetto e per ritardi non imputabili al collaboratore» (art. 7, comma 6, lettera c). Infine, si introduce una fattispecie di responsabilità amministrativa del dirigente che abbia stipulato un simile contratto «per lo svolgimento di funzioni ordinarie».

Le misure richiamate stanno a dimostrare che l’obiettivo – sia del divieto di stipulazione dei contratti di collaborazione coordinata e continuativa, sia della rigorosa delimitazione delle possibili deroghe a tale divieto – consiste nello «scongiurare alla radice il rischio che si abusi delle collaborazioni esterne pur in presenza di un elevato numero di dipendenti pubblici» (sentenza n. 43 del 2016).

5.2.3.– Con tale disciplina contrasta l’art. 53 della legge reg. Basilicata n. 38 del 2018.

L’indicata disposizione regionale provvede, come si è più volte ricordato, a prorogare ulteriormente rispetto a proroghe già intervenute i contratti di collaborazione coordinata e continuativa inerenti a prestazioni molteplici ed eterogenee, relative a settori di competenza dell’amministrazione regionale (in specie al settore sanitario e farmacologico e a quello artistico-culturale). Il susseguirsi di proroghe già evidenziato contraddice la natura temporanea delle prestazioni richieste.

L’oggetto di tali prestazioni è individuato in attività da ricondurre: al controllo esercitato dall’Osservatorio dei prezzi, dei servizi e delle tecnologie nel settore della sanità; all’attuazione della Rete regionale degli acquisti del Servizio sanitario regionale; all’adeguamento infrastrutturale delle Aziende sanitarie regionali e delle strutture sanitarie; al sistema di formazione continua; al funzionamento del Centro regionale di farmacovigilanza; al fascicolo sanitario elettronico; alla valorizzazione artistico-culturale. Solo in alcuni di questi casi si incontra un – peraltro generico – riferimento, a programmi o progetti.

I progetti sottesi alle collaborazioni coordinate e continuative sono individuati in maniera tutt’altro che specifica e determinata, come prescritto dall’art. 7, comma 6, del d.lgs. n. 165 del 2001, così da non consentire una chiara distinzione rispetto alle funzioni "ordinarie” dell’amministrazione regionale. Né risulta agevole valutare l’effettiva necessità della proroga dei contratti di collaborazione ai fini del completamento «in via eccezionale» delle prestazioni richieste (la cui durata, peraltro, deve essere preventivamente determinata, secondo l’art. 7, comma 6, lettera d, del d.lgs. n. 165 del 2001).

A ciò si aggiunge la considerazione che non c’è traccia nei lavori preparatori della legge, né nella difesa della Regione, della circostanza – pure imposta dal legislatore statale – che quest’ultima abbia «preliminarmente accertato l’impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno», a conferma della divaricazione fra la norma regionale in esame e la normativa statale.

Deve, pertanto, essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 53 della legge reg. Basilicata n. 38 del 2018.

5.2.4.– Un esito differente si delinea con riguardo alla valutazione della conformità della disciplina stabilita dall’art. 55 della medesima legge reg. Basilicata n. 38 del 2018 all’art. 7, comma 6, del d.lgs. n. 165 del 2001, prima richiamato.

Tale art. 55, infatti, proroga fino al 31 dicembre 2023 il termine di scadenza dei contratti di collaborazione stipulati «[a]l fine di assicurare il rafforzamento della capacità tecnica e amministrativa dell’Amministrazione regionale», ma, soprattutto, «l’accompagnamento per l’accelerazione e l’efficacia delle attività connesse all’attuazione ed alla programmazione FSE 2014-2020, FESR 2014-2020 e FEASR 2014-2020».

Come si evince dalla relazione all’art. 55, la previsione «scaturisce dalla necessità dell’Amministrazione di continuare ad avvalersi dei collaboratori selezionati fino al termine ultimo di ammissibilità delle spese della programmazione FSE 2014-2020, FESR 2014-2020 e FEASR 2014-2020 fissato al 31 dicembre 2023» e di «garantire alle strutture coinvolte nell’attuazione dei Programmi la disponibilità dei collaboratori selezionati fino al termine del periodo di programmazione dei tre programmi comunitari». Si tratta, in altri termini, di consentire alla Regione di continuare ad avvalersi della collaborazione di esperti per la realizzazione degli specifici programmi che devono essere realizzati con i Fondi strutturali e di investimento europei 2014-2020 – in specie con il Fondo sociale europeo (FSE); con il Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR); e con il Fondo europeo per lo sviluppo rurale (FESR) –, in vista del perseguimento degli obiettivi di coesione economica, sociale e territoriale individuati dall’Unione europea (art. 176 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), come modificato dall’art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e ratificato dalla legge 2 agosto 2008, n. 130). Per il ciclo di programmazione 2014-2020 il quadro normativo europeo che definisce gli obiettivi e gli strumenti finanziari di intervento è stabilito dal regolamento (UE) n. 1303/2013. Quest’ultimo, che individua fra i principali obiettivi della programmazione «Investimenti in favore della crescita e dell’occupazione» per le Regioni meno sviluppate, fra cui rientra la Regione Basilicata, vincola l’erogazione dei fondi per la realizzazione dei Programmi operativi regionali (POR), fra l’altro, al raggiungimento di obiettivi determinati (l’art. 21 del citato regolamento disciplina la «verifica dell’efficacia dell’attuazione dei programmi»).

In particolare, il regolamento citato stabilisce (all’art. 136) che le amministrazioni titolari di programmi operativi devono presentare alla Commissione europea richieste di rimborso relative a spese sostenute e controllate entro il 31 dicembre del terzo anno successivo all’impegno di bilancio riferito ai programmi medesimi. Ove entro quella data non sia stata utilizzata una parte dell’importo in un programma operativo, per il pagamento del prefinanziamento iniziale e annuale e per i pagamenti intermedi, o non siano state presentate richieste di rimborso, la Commissione «procede al disimpegno» (art. 136, comma 1, del citato regolamento). Analogamente, il comma 2 del medesimo art. 136 dispone che «La parte di impegni ancora aperti al 31 dicembre 2023 è disimpegnata qualora la Commissione non abbia ricevuto i documenti prescritti».

Appare evidente l’elevata complessità degli adempimenti connessi all’utilizzo effettivo dei fondi europei, complessità che ha, inizialmente, indotto la Regione a stipulare contratti di collaborazione, sulla base di un’apposita procedura di avviso pubblico, approvata dall’amministrazione regionale a seguito – come indica la difesa della stessa Regione – dell’infruttuosa attivazione di mobilità volontaria interdipartimentale, volta a verificare la possibilità di far fronte alle medesime esigenze mediante l’utilizzo di personale interno.

In questa prospettiva, la proroga dei contratti di collaborazione coordinata e continuativa di cui all’impugnato art. 55 della legge reg. Basilicata n. 38 del 2018 si rivela utile in via generale e, nel caso di specie, necessaria a garantire il completamento degli specifici programmi operativi avviati dalla Regione, approvati dalla Commissione europea e cofinanziati mediante i Fondi strutturali europei 2014-2020, entro il termine – tassativamente fissato dal medesimo art. 136 del regolamento UE n. 1303/2013 – del 31 dicembre 2023. L’obiettivo è evitare il rischio della sospensione o addirittura della perdita dei finanziamenti, con esiti negativi circa l’attuazione dei programmi.

Con riguardo agli interventi finanziati anche solo parzialmente con «fondi europei e/o fondi strutturali», questa Corte ha, anche recentemente, avuto occasione di segnalare la necessità di «assicurare l’effettiva utilizzazione da parte della Regione delle descritte fonti di finanziamento, che costituiscono i principali strumenti finanziari della politica regionale dell’Unione europea» (sentenza n. 198 del 2019; analogamente, fra le altre, sentenza n. 13 del 2017), anche mediante l’adozione, da parte delle Regioni stesse, di una idonea disciplina.

Deve, pertanto, essere dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale promossa nei confronti dell’art. 55 della legge reg. Basilicata n. 38 del 2018, in quanto la disciplina in esso contenuta si mostra meramente attuativa delle condizioni prescritte dall’art. 7, comma 6, del d.lgs. n. 165 del 2001 al fine di consentire la proroga dei contratti di collaborazione coordinata e continuativa, e quindi non lede la competenza statale in materia di «ordinamento civile» di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l’illegittimità costituzionale degli artt. 24, 47, comma 1, e 53 della legge della Regione Basilicata 22 novembre 2018, n. 38 (Seconda variazione al bilancio di previsione pluriennale 2018/2020 e disposizioni in materia di scadenza di termini legislativi e nei vari settori di intervento della Regione Basilicata);

2) dichiara cessata la materia del contendere in ordine alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 28 della legge reg. Basilicata n. 38 del 2018, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all’art. 117, terzo comma, della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe;

3) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 47, comma 1, della legge reg. Basilicata n. 38 del 2018, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., con il ricorso indicato in epigrafe;

4) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 55 della legge reg. Basilicata n. 38 del 2018, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 dicembre 2019.

F.to:

Aldo CAROSI, Presidente

Silvana SCIARRA, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 28 gennaio 2020.