Sentenza n. 199 del 2019

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SENTENZA N. 199

ANNO 2019

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giorgio LATTANZI;

Giudici: Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Luca ANTONINI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 75 del d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa), promossi dal Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, con ordinanze del 17 settembre, del 23 ottobre, del 25 ottobre e del 24 ottobre 2018, iscritte rispettivamente ai nn. 2, 27, 28 e 29 del registro ordinanze 2019 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 5 e n. 9, prima serie speciale, dell’anno 2019.

Visti l’atto di costituzione di Alessandro Nardelli nel giudizio r.o. n. 2 del 2019 e gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella udienza pubblica e nella camera di consiglio del 3 luglio 2019 il Giudice relatore Giuliano Amato;

uditi l’avvocato Giorgia Calella per Alessandro Nardelli e l’avvocato dello Stato Pio Giovanni Marrone per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.– Il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, con quattro ordinanze di analogo tenore, ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 75 del d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa).

La disposizione in esame disciplina le conseguenze delle false dichiarazioni sostitutive di atto notorio o di certificazioni. Essa prevede che «[f]ermo restando quanto previsto dall’articolo 76, qualora dal controllo di cui all’articolo 71 emerga la non veridicità del contenuto della dichiarazione, il dichiarante decade dai benefici eventualmente conseguenti al provvedimento emanato sulla base della dichiarazione non veritiera».

È denunciata la violazione dell’art. 3 Cost., poiché l’automatica decadenza dal beneficio e l’impedimento a conseguire lo stesso, quali «conseguenze […] lato sensu sanzionatorie» della dichiarazione mendace, colpirebbero in maniera indiscriminata condotte di rilievo differente e si porrebbero in contrasto con i principi di ragionevolezza e proporzionalità, essendo preclusa qualsiasi valutazione circa la gravità del fatto, il suo disvalore e l’elemento soggettivo del dolo o della colpa del dichiarante.

2.– In ciascuno dei quattro giudizi a quibus è impugnato il provvedimento con cui l’Agenzia delle dogane e dei monopoli ha rigettato l’istanza di rinnovo del patentino per la vendita di generi di monopolio, disponendo la decadenza dall’autorizzazione provvisoria rilasciata nelle more dell’istruttoria. In base all’art. 75 del d.P.R. n. 445 del 2000, il diniego è stato determinato dall’omessa indicazione, nelle dichiarazioni sostitutive di atto notorio allegate alle rispettive istanze, dell’esistenza di pendenze verso l’erario.

Ad avviso del giudice a quo, la non veridicità delle rispettive dichiarazioni costituirebbe l’unico presupposto del provvedimento di diniego. Pertanto, non sarebbe possibile prescindere dalla definizione della questione di legittimità costituzionale dell’art. 75 del d.P.R. n. 445 del 2000 che, in presenza di dichiarazioni mendaci, prevede la decadenza «dai benefici eventualmente conseguenti al provvedimento emanato sulla base della dichiarazione non veritiera».

2.1.– Il giudice a quo evidenzia che, secondo la consolidata giurisprudenza amministrativa, la dichiarazione non veritiera, al di là dei profili penali, preclude al dichiarante il raggiungimento dello scopo cui era indirizzata la dichiarazione o comporta la decadenza dall’utilitas conseguita per effetto del mendacio. La non veridicità di quanto dichiarato rileva sotto un profilo oggettivo e determina la decadenza dai benefici ottenuti. Al riguardo, sono richiamate le sentenze del Consiglio di Stato, sezione quinta, 9 aprile 2013, n. 1993, e 24 aprile 2012, n. 2447.

Per effetto di tale consolidata interpretazione, tale da assurgere al rango di «diritto vivente», l’applicazione dell’art. 75 del d.P.R. n. 445 del 2000 comporta dunque l’automatica decadenza dal beneficio eventualmente conseguito o, comunque, l’impedimento a conseguirlo. Ad avviso del giudice a quo, queste conseguenze, oltre ad avere valenza lato sensu sanzionatoria, sarebbero irragionevoli e sproporzionate, in quanto previste a prescindere dall’effettiva gravità del fatto e dalla sua incidenza rispetto all’interesse pubblico perseguito dall’amministrazione. Verrebbe così riservato il medesimo trattamento a situazioni oggettivamente diverse. Né sarebbe possibile escludere i casi di non veridicità su aspetti di minima rilevanza concreta.

D’altra parte, le censure non potrebbero essere superate facendo leva sulla ratio della disposizione, rinvenibile nel principio di semplificazione amministrativa, cui si accompagna l’affermazione dell’autoresponsabilità del dichiarante. Al riguardo, si fa rilevare che la disposizione censurata è volta a rendere più efficiente l’azione amministrativa, ma è anche finalizzata a garantire i diritti dei singoli di volta in volta coinvolti nel procedimento amministrativo, nell’ambito del quale sono rese le dichiarazioni. Il rigido automatismo in esame sarebbe lesivo dell’equilibrio fra le diverse esigenze in gioco, poiché pregiudicherebbe i diritti costituzionali del singolo. La finalità di semplificazione si risolverebbe, in definitiva, nella diminuzione degli adempimenti a carico dell’amministrazione pubblica, a fronte di un’eccessiva autoresponsabilità del privato.

3.– Nel giudizio iscritto al r.o. n. 2 del 2019 si è costituito Alessandro Nardelli, in qualità di parte ricorrente nel giudizio a quo, chiedendo l’accoglimento della questione di legittimità costituzionale.

3.1.– Dopo avere illustrato gli argomenti a sostegno dell’irragionevolezza della disposizione censurata, la parte privata sottolinea come essa si ponga in contrasto anche con il principio di proporzionalità delle pene, riconosciuto dall’art. 49, terzo paragrafo, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, che è stato esteso dal campo del diritto penale anche al settore delle sanzioni disciplinari (sono richiamate le sentenze di questa Corte n. 179 del 2017, n. 268 del 2016, n. 170 del 2015, n. 2 del 1999 e n. 363 del 1996).

La difesa della parte privata fa notare, inoltre, che, nel caso in esame, il mancato rinnovo del patentino, nonostante l’avvenuto pagamento della sanzione amministrativa, finirebbe per ripercuotersi proprio nei confronti degli interessi economici dello Stato, volti a promuovere le vendite dei generi di monopolio.

4.– In ciascuno dei quattro giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo – con atti di contenuto analogo – che la questione sia dichiarata inammissibile o comunque non fondata.

4.1.– In via preliminare, l’interveniente ha eccepito l’incompleta ricostruzione del quadro normativo, per l’omessa considerazione del decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 21 febbraio 2013, n. 38 (Regolamento recante disciplina della distribuzione e vendita dei prodotti da fumo). Ad avviso dell’Avvocatura generale dello Stato, le censure del rimettente dovrebbero essere riferite direttamente alle disposizioni del d.m. n. 38 del 2013 che, nel disciplinare i requisiti per il rilascio dei patentini, non prevedrebbe una graduazione circa la rilevanza delle pendenze fiscali.

È inoltre eccepito il mancato esperimento del tentativo di interpretazione conforme. L’esegesi del censurato art. 75 richiamata dal giudice a quo e considerata alla stregua di diritto vivente, sarebbe tutt’altro che consolidata. Di recente, la giurisprudenza del Consiglio di Stato avrebbe, infatti, offerto una lettura costituzionalmente orientata dell’autocertificazione, valorizzando la sostanza dell’attestazione, ove ricorrano vizi meramente formali (sono richiamate le sentenze del Consiglio di Stato, sezione quinta, 17 gennaio 2018, n. 257 e 23 gennaio 2018, n. 418, che hanno confermato le decisioni dello stesso TAR Puglia, Lecce, sezione seconda, 21 dicembre 2015, n. 3664 e 18 febbraio 2016, n. 335).

Secondo questa interpretazione, per la decadenza dal beneficio non sarebbe determinante il profilo formale della falsità della dichiarazione, bensì quello sostanziale, costituito dalla mancanza del requisito falsamente dichiarato.

D’altra parte, proprio con riguardo al rinnovo del patentino per la rivendita di tabacchi, laddove l’istanza si presenti incompleta, sarebbe ammissibile il soccorso istruttorio. Si evidenzia, inoltre, che l’amministrazione è tenuta a valutare compiutamente la portata e l’attualità delle pendenze fiscali sussistenti al momento dell’istanza, e quindi a tenere conto anche della eventuale rateizzazione del pagamento (TAR Sicilia, Palermo, sezione prima, sentenza 29 ottobre 2018, n. 2190).

È inoltre richiamata una recente pronuncia che ha escluso che sia qualificabile come pendenza fiscale, ai sensi dell’art. 8 del d.m. n. 38 del 2013, quella situazione di fatto che, alla luce della normativa tributaria, non possieda tali caratteri, ad esempio per il mancato superamento della soglia minima di rilevanza fiscale (TAR Basilicata, sezione staccata di Potenza, sentenza 7 gennaio 2019, n. 31).

4.2.– Nel merito, la questione sarebbe comunque non fondata.

Non sarebbero violati i principi di ragionevolezza, proporzionalità ed imparzialità di cui all’art. 3 Cost., poiché la disciplina in esame non sarebbe volta a sanzionare la falsità delle dichiarazioni, quanto piuttosto a garantire la certezza dei rapporti giuridici, facendo applicazione del principio di autoresponsabilità del dichiarante, con evidenti vantaggi per l’amministrazione e per il cittadino.

D’altra parte, la concessione del beneficio anche in presenza di false attestazioni porterebbe ad effetti irragionevoli e contrastanti con l’art. 3 Cost., finendo per incentivare comportamenti volti all’attestazione del falso, a danno di chi, invece, operando con correttezza e buona fede, si assume la responsabilità di una dichiarazione, pur sfavorevole, ma veritiera. La scelta del legislatore risponde, quindi, ad esigenze di efficacia dell’azione amministrativa, le quali sarebbero frustrate laddove fosse attribuita all’amministrazione una valutazione in ordine alla gravità del fatto contestato ed all’elemento soggettivo del dichiarante.

Considerato in diritto

1.– Il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, con quattro distinte ordinanze, ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 75 del d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa).

La disposizione in esame disciplina le conseguenze delle false dichiarazioni sostitutive di atto notorio o di certificazioni. Essa prevede che «[f]ermo restando quanto previsto dall’articolo 76, qualora dal controllo di cui all’articolo 71 emerga la non veridicità del contenuto della dichiarazione, il dichiarante decade dai benefici eventualmente conseguenti al provvedimento emanato sulla base della dichiarazione non veritiera».

È denunciata la violazione dell’art. 3 Cost., poiché l’automatica decadenza dal beneficio e l’impedimento a conseguire lo stesso, quali «conseguenze […] lato sensu sanzionatorie» della dichiarazione mendace, colpirebbero in maniera indiscriminata condotte di rilievo differente e si porrebbero in contrasto con i principi di ragionevolezza e proporzionalità, essendo preclusa qualsiasi valutazione circa la gravità del fatto, il suo disvalore e l’elemento soggettivo del dolo o della colpa del dichiarante.

2.– Va preliminarmente rilevato che le quattro ordinanze di rimessione pongono questioni identiche in relazione alla norma censurata e ai parametri costituzionali evocati e, pertanto, i giudizi vanno riuniti per essere congiuntamente esaminati e decisi con unica pronuncia.

3.– La questione di legittimità costituzionale sollevata in riferimento all’art. 3 Cost. va dichiarata inammissibile.

3.1.– Nelle ordinanze di rinvio, il giudice a quo riferisce che gli impugnati provvedimenti di diniego hanno tutti ad oggetto istanze di rinnovo del patentino per la vendita di prodotti da fumo e che tale diniego è stato determinato dalla non veridicità delle dichiarazioni sostitutive di atto notorio che le accompagnavano. La falsità delle dichiarazioni sarebbe consistita nell’omessa indicazione di pendenze nei confronti dell’erario o dell’agente per la riscossione. Dalle successive verifiche effettuate dall’amministrazione, sarebbero emerse, infatti, alcune cartelle di pagamento, non dichiarate al momento della presentazione delle istanze.

La disciplina del rilascio e del rinnovo dei patentini per la vendita di prodotti da fumo è contenuta nel decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 21 febbraio 2013, n. 38 (Regolamento recante disciplina della distribuzione e vendita dei prodotti da fumo). Esso stabilisce, all’art. 7 (Criteri per il rilascio di patentini), comma 3, lettera g), che, «[a]i fini dell’adozione del provvedimento, gli Uffici competenti in relazione all’esercizio del richiedente, valutano: […] l’assenza di eventuali pendenze fiscali e/o di morosità verso l’Erario o verso l’Agente della riscossione definitivamente accertate o risultanti da sentenze non impugnabili». Il successivo art. 8 (Rilascio dei patentini), al comma 3, lettera f), prevede parimenti che «[l]a dichiarazione sostitutiva di atto notorio indica: […] la sussistenza di eventuali pendenze fiscali e/o di morosità verso l’Erario o verso il concessionario della riscossione definitivamente accertate o risultanti da sentenze non impugnabili».

In entrambe le disposizioni richiamate, la definitività dell’accertamento qualifica espressamente il requisito richiesto ai fini del rilascio e del rinnovo del titolo autorizzatorio.

Pur individuando nelle cartelle emerse dalla verifica dell’amministrazione un titolo per la riscossione, il giudice a quo omette, tuttavia, di fornire qualsiasi informazione circa il carattere definitivo dell’accertamento dell’obbligazione, cui si riferiscono espressamente gli artt. 7 e 8 del d.m. 38 del 2013. Questa definitività può ritenersi realizzata quando non sia più esperibile alcun rimedio contro l’accertamento dell’obbligazione, ovvero quando sia intervenuta una decisione giudiziale, divenuta irrevocabile, che ne accerti la fondatezza (art. 80, comma 4, del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, recante «Codice dei contratti pubblici»).

In due delle quattro ordinanze di rimessione (r.o. n. 28 e n. 29 del 2019) il giudice a quo riferisce, altresì, l’esistenza di un piano di rateizzazione. Pur essendo presuntivamente indicativa di un riconoscimento del debito, neppure tale circostanza, tuttavia, fornisce elementi circa la riferibilità delle cartelle in contestazione a debiti definitivamente accertati, ai sensi degli artt. 7 e 8 del d.m. n. 38 del 2013. Infatti, proprio la rimodulazione della scadenza e il differimento dell’esigibilità, che conseguono alla rateizzazione, potrebbero essere in contrasto con la definitività dell’accertamento. Del resto, la Corte di cassazione ha affermato più volte che «in materia tributaria, non costituisce acquiescenza, da parte del contribuente, l’aver chiesto e ottenuto, senza alcuna riserva, la rateizzazione degli importi indicati nella cartella di pagamento» (Corte di cassazione, sezione quinta civile, sentenza 11 maggio 2018, n. 11481; nello stesso senso, sentenza 8 febbraio 2017, n. 3347, e ordinanza 8 giugno 2018, n. 14945).

Inoltre, il giudice a quo non prende posizione circa la tempestività dell’istanza di rateizzazione, ai fini dell’accertamento del requisito della regolarità fiscale. Del resto, la giurisprudenza amministrativa ha ritenuto soddisfatto il requisito laddove la rateizzazione sia stata consentita prima della presentazione della richiesta accompagnata da dichiarazione sostitutiva (Consiglio di Stato, adunanza plenaria, sentenza 5 giugno 2013, n. 15, e le successive sentenze della sezione quinta, 12 febbraio 2018, n. 856, e 18 marzo 2019, n. 1753).

Pertanto, in nessuno dei quattro giudizi a quibus sono state fornite indicazioni circa la definitività dell’accertamento, ciò che qualifica il requisito previsto dagli artt. 7 e 8 del d.m. n. 38 del 2013 e, di conseguenza, la dichiarazione della parte in termini di falsità o veridicità.

L’incompleta descrizione della fattispecie si riflette nel difetto di motivazione sulla rilevanza e determina l’inammissibilità della questione (ex plurimis, sentenze n. 242 e n. 22 del 2018, n. 338 del 2011; ordinanze n. 37 del 2018, n. 248 e n. 187 del 2017).

3.2.– La questione di legittimità costituzionale sollevata dal TAR per la Puglia è, d’altra parte, inammissibile anche sotto un ulteriore profilo.

Nei casi oggetto dei giudizi a quibus, il diniego del titolo autorizzativo è derivato, in primis, dall’assenza del requisito previsto dagli artt. 7 e 8 del d.m. n. 38 del 2013 e, solo in via consequenziale, dalla non veridicità della dichiarazione. La considerazione di tale atto normativo, e in particolare della disciplina dei requisiti, appare suscettibile di definire il contenzioso instaurato dai ricorrenti, a prescindere dall’applicazione del censurato art. 75 del d.P.R. n. 445 del 2000. Le ordinanze non contengono, tuttavia, alcun rilievo in ordine al rapporto che lega la disciplina regolamentare e quella delle conseguenze delle false dichiarazioni sostitutive.

Pertanto, nelle ordinanze di rimessione risulta carente la motivazione circa la rilevanza della questione sollevata. Anche da ciò consegue l’inammissibilità della questione (ex plurimis, sentenze n. 194, n. 114, n. 102 e n. 18 del 2018).

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 75 del d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa), sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 luglio 2019.

F.to:

Giorgio LATTANZI, Presidente

Giuliano AMATO, Redattore

Filomena PERRONE, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 24 luglio 2019.