Sentenza n. 158 del 2019

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SENTENZA N. 158

ANNO 2019

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Presidente: Giorgio LATTANZI;

Giudici: Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 32, comma 2, del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150 (Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi dell’articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69), promosso dal Tribunale ordinario di Genova, nel procedimento vertente tra L. Z. e la GE.FI.L. - Gestione Fiscalità Locale spa, con ordinanza del 19 febbraio 2018, iscritta al n. 94 del registro ordinanze 2018 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 26, prima serie speciale, dell’anno 2018.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio dell’8 maggio 2019 il Giudice relatore Giancarlo Coraggio.

Ritenuto in fatto

1.− Il Tribunale ordinario di Genova, con ordinanza del 19 febbraio 2018, iscritta al n. 94 del reg. ord. 2018, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 32, comma 2, del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150 (Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi dell’articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69), in riferimento all’art. 24 della Costituzione.

2.− La norma è censurata nella parte in cui, nello stabilire che per le controversie in materia di opposizione all’ingiunzione per il pagamento delle entrate patrimoniali degli enti pubblici di cui all’art. 3 del regio decreto 14 aprile 1910, n. 639 (Approvazione del testo unico delle disposizioni di legge relative alla riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato), «[è] competente il giudice del luogo in cui ha sede l’ufficio che ha emesso il provvedimento opposto», sancisce l’applicazione di tale regola anche nel caso in cui l’ingiunzione sia stata emessa dal soggetto cui è affidato il servizio di riscossione dell’entrata patrimoniale dell’ente pubblico concedente, e tale sede ricada in un circondario diverso da quello in cui ricade la sede dell’ente locale impositore/concedente.

3.− Il rimettente era stato adito da L. Z., in sede di opposizione, proposta ai sensi dell’art. 3 del r.d. n. 639 del 1910 e dell’art. 32 del d.lgs. n. 150 del 2011, avverso l’ingiunzione di pagamento notificata da GE.FI.L. - Gestione Fiscalità Locale spa, in qualità di concessionario della riscossione della Città metropolitana di Genova.

L’opponente deduceva l’illegittimità dell’ordinanza ingiunzione in ragione di una pluralità di vizi. Esponeva, inoltre, di risiedere in Galliate Lombardo, in Provincia di Varese, e di non avere alcun collegamento con la Città metropolitana di Genova.

4.− All’udienza del 13 febbraio 2017, il giudice istruttore sottoponeva alle parti, d’ufficio, ai sensi degli artt. 27, primo comma, 28 e 38, terzo comma, del codice di procedura civile, la questione dell’incompetenza per territorio del Tribunale ordinario di Genova adito, in favore della competenza per territorio del Tribunale ordinario della Spezia, luogo in cui aveva sede l’ufficio della GE.FI.L. spa che aveva emesso l’ingiunzione di pagamento.

5.− Costituitasi, la parte convenuta resisteva all’opposizione.

6.− All’udienza di precisazione delle conclusioni L. Z. prospettava questione di legittimità costituzionale dell’art. 32, comma 2, del d.lgs. n. 150 del 2011, in riferimento agli artt. 97 e 24 Cost., nella parte in cui la suddetta norma prevede che, per le controversie proposte, ai sensi dell’art. 3 del r.d. n. 639 del 1910, nei confronti del concessionario della riscossione che ha emesso l’ordinanza ingiunzione di pagamento ai sensi dell’art. 2 del suddetto regio decreto, è competente il giudice del luogo in cui ha sede l’ufficio del concessionario della riscossione anziché quello in cui ha sede l’ente locale impositore.

Ha richiamato, a sostegno dell’eccezione, la sentenza di questa Corte n. 44 del 2016.

7.− Il giudice a quo ha affermato la rilevanza della questione, dovendo fare applicazione della norma censurata nel decidere la controversia.

Ricorda che la Corte di cassazione ha sancito il carattere inderogabile del criterio di competenza territoriale sancito dall’art. 3 del r.d. n. 639 del 1910. Qualora l’ente impositore non provveda direttamente alla riscossione delle sue entrate patrimoniali, ma la appalti in concessione a terzi, il giudice di legittimità ha stabilito che eventuali controversie sulla sussistenza e sulla legittimità della pretesa erariale vanno introdotte dinanzi al giudice del luogo ove ha sede il concessionario per la riscossione, e non dove ha sede l’ente impositore.

La giurisprudenza di legittimità ha ulteriormente chiarito, con riguardo all’interpretazione dell’espressione «luogo in cui ha sede l’ufficio che ha emesso il provvedimento», che qualora la sede legale del concessionario non coincida con il luogo dove ha sede l’articolazione territoriale di questo, che ha materialmente predisposto e notificato l’ingiunzione, è competente il tribunale nella cui circoscrizione ha sede l’articolazione territoriale de1 concessionario che ha materialmente provveduto a predisporre e notificare l’ingiunzione oggetto del giudizio.

Pertanto, facendo applicazione dei princìpi enunciati dalla Corte di cassazione, il Tribunale ordinario di Genova dovrebbe dichiarare la propria incompetenza territoriale, in favore del Tribunale ordinario della Spezia, ove si trovano la sede legale e l’ufficio del concessionario che ha emesso l’ingiunzione di pagamento impugnata.

8.− Il rimettente ritiene la questione di legittimità costituzionale dell’art. 32, comma 2, del d.lgs. 150 del 2011 non manifestamente infondata in relazione all’art. 24 Cost.

9.− A sostegno del dubbio di costituzionalità richiama la sentenza di questa Corte n. 44 del 2016 che ha dichiarato:

− l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, comma 1, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), nel testo vigente anteriormente alla sua sostituzione ad opera dell’art. 9, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 156 (Misure per la revisione della disciplina degli interpelli e del contenzioso tributario, in attuazione degli articoli 6, comma 6, e 10, comma 1, lettere a e b, della legge 11 marzo 2014, n. 23), nella parte in cui prevede che per le controversie proposte nei confronti dei concessionari del servizio di riscossione è competente la commissione tributaria provinciale nella cui circoscrizione i concessionari stessi hanno sede, anziché quella nella cui circoscrizione ha sede l’ente locale concedente;

− in via consequenziale, l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992, nel testo vigente a seguito della sostituzione operata dall’art. 9, comma 1, lettera b), del d.lgs. n. 156 del 2015, nella parte in cui prevede che per le controversie proposte nei confronti dei soggetti iscritti nell’albo di cui all’art. 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 (Istituzione dell’imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali), è competente la commissione tributaria provinciale nella cui circoscrizione i medesimi soggetti hanno sede, anziché quella nella cui circoscrizione ha sede l’ente locale impositore.

10.− Espone il rimettente che, nella disciplina oggetto del dubbio di costituzionalità, il legislatore ha individuato un criterio attributivo della competenza che concretizza «quella condizione di “sostanziale impedimento all’esercizio del diritto di azione garantito dall’art. 24 della Costituzione” suscettibile “di integrare la violazione del citato parametro costituzionale”», di cui è menzione nella sentenza n. 44 del 2016.

Invero l’ente locale non incontra alcuna limitazione di carattere geografico-spaziale nell’individuazione del terzo cui affidare il servizio di accertamento e riscossione dei propri tributi e delle proprie entrate patrimoniali, con la conseguenza che lo spostamento richiesto al cittadino che voglia esercitare il proprio diritto di azione, garantito dall’art. 24 Cost., è potenzialmente idoneo a costituire una condizione di «sostanziale impedimento all’esercizio del diritto di azione» o comunque a «rendere “oltremodo difficoltosa” la tutela giurisdizionale».

Ricorda che l’art. 52, comma 5, lettera c), del d.lgs. n. 446 del 1997, ha precisato che l’individuazione da parte dell’ente locale del concessionario del servizio di accertamento e riscossione dei tributi e delle altre entrate «non deve comportare oneri aggiuntivi per il contribuente».

11.− Ne conseguirebbe la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 32, comma 2, del d.lgs. n. 150 del 2011, in riferimento all’art. 24 Cost., in quanto il citato comma individua quale unico criterio di riferimento il luogo in cui ha sede l’ufficio che ha emesso il provvedimento opposto, anche nel caso in cui l’ingiunzione sia stata emessa dal soggetto cui è affidato il servizio della riscossione dell’entrata del patrimonio dell’ente pubblico concedente e tale sede appartenga a un circondario diverso da quello in cui ricade la sede dell’ente locale impositore/concedente.

12.− È intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato.

13.− La difesa dell’interveniente deduce l’inammissibilità della questione in ragione del mancato esperimento da parte del rimettente del tentativo di interpretazione costituzionalmente orientata, atteso che la giurisprudenza di legittimità, richiamata dal giudice a quo, non costituirebbe diritto vivente.

Rileva che il sospetto di illegittimità costituzionale consegue non già al criterio di collegamento territoriale prescelto dal legislatore nell’art. 32 del d.lgs. n. 150 del 2011, che anzi ha razionalità e certezza giuridica, ma ad una possibile, non automatica applicazione della stessa.

Ed infatti, ben potrebbe l’ufficio che ha emesso il provvedimento opposto rientrare nella circoscrizione del tribunale in cui si trova la sede ovvero la residenza del debitore, così risultando evidente che la denunciata violazione del diritto di azione dell’interessato non discende dalla norma in sé.

D’altra parte, nella specie, l’attore non aveva alcun collegamento con la Città metropolitana di Genova, come si legge nell’ordinanza di rimessione.

La questione sarebbe, quindi, altresì inammissibile perché non è censurata la formulazione astratta della norma, ma solo gli eventuali effetti negativi che potrebbero conseguire ad una possibile applicazione pratica.

14.− L’Avvocatura generale dello Stato deduce l’infondatezza nel merito della questione, ricordando la giurisprudenza costituzionale che ha affermato che il diritto costituzionale alla tutela giurisdizionale non esclude, a carico della parte istante, alcuni oneri, purché gli stessi siano giustificati da esigenze di ordine generale o da superiori finalità di giustizia.

La scelta operata dal legislatore non sarebbe priva di giustificazioni sotto il profilo delle esigenze di ordine generale o di superiori finalità di giustizia, tenuto conto che il mantenimento di un univoco criterio di collegamento territoriale (incentrato sulla sede del soggetto che ha emesso l’atto impugnato), anche nel caso in cui l’atto sia stato adottato da un soggetto che risieda in un luogo diverso dall’ente impositore, appare ispirato ad un principio di semplificazione del giudizio di opposizione e, dunque, risulta non irragionevole e rispondente a esigenze di carattere generale.

Oltre ciò, andrebbe considerato che il processo telematico rende di fatto meno onerosa la difesa a distanza e che i maggiori oneri per la difesa potrebbero trovare ristoro nella liquidazione delle spese di lite.

15.− L’Avvocatura generale ha poi depositato memoria con la quale ha ribadito le difese svolte, insistendo sulla inammissibilità della questione anche in ragione di una non esauriente ricostruzione del quadro normativo.

Considerato in diritto

1.− Il Tribunale ordinario di Genova ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 32, comma 2, del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150 (Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi dell’articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69), in riferimento all’art. 24 della Costituzione.

2.− La norma è censurata nella parte in cui, con riguardo alla riscossione coattiva delle entrate patrimoniali degli enti pubblici locali (nel giudizio a quo, il Comune di Genova), nello stabilire che per le controversie in materia di opposizione all’ingiunzione di cui all’art. 3 del regio decreto 14 aprile 1910, n. 639 (Approvazione del testo unico delle disposizioni di legge relative alla riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato), «[è] competente il giudice del luogo in cui ha sede l’ufficio che ha emesso il provvedimento opposto», sancisce, secondo l’interpretazione datane dalla giurisprudenza di legittimità, l’applicazione di tale regola anche nel caso in cui l’ingiunzione sia stata emessa dal concessionario al quale l’ente pubblico locale ha affidato il servizio di riscossione delle proprie entrate patrimoniali.

Ne consegue che per la determinazione della competenza territoriale deve farsi riferimento al luogo sede dell’ufficio del concessionario, che può ricadere in un circondario diverso da quello in cui ricade la sede dell’ente locale concedente, e ciò, secondo il giudice a quo, determinerebbe una condizione di sostanziale impedimento all’esercizio del diritto di azione garantito dall’art. 24 Cost., in ragione dei princìpi affermati dalla sentenza di questa Corte n. 44 del 2016.

3.− Per un compiuto inquadramento normativo della questione deve essere richiamato anche l’art. 52 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 (Istituzione dell’imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali), che al comma 5, lettera b), prevede che i Comuni, con riguardo all’accertamento e alla riscossione dei tributi e delle altre entrate possono deliberare di affidare a terzi, anche disgiuntamente, l’accertamento e la riscossione medesimi dei tributi e di tutte le entrate.

La giurisprudenza di legittimità (Corte di cassazione, sezione sesta civile, ordinanze 3 ottobre 2017, n. 23110, e 21 giugno 2017, n. 15417, richiamate dal rimettente), nell’interpretare la norma censurata (nonché la precedente analoga disciplina contenuta nell’art. 3 del r.d. n. 639 del 1910, nel testo anteriore alle modifiche introdotte dal d.lgs. n. 150 del 2011), ha affermato che, in tal caso, le controversie sulla legittimità della pretesa vanno introdotte dinanzi al giudice del luogo ove ha sede l’ufficio del concessionario per la riscossione, e non dell’ente locale concedente.

4.− Le eccezioni di inammissibilità prospettate dall’Avvocatura generale dello Stato per difetto di rilevanza della questione, prospettazione da parte del rimettente di una mera quaestio facti e mancato esperimento del tentativo di interpretazione costituzionalmente orientata, sono infondate.

4.1.− L’eccepito difetto di rilevanza è motivato in ragione della circostanza che l’opponente nel giudizio a quo non risiede né nella Città di Genova, luogo sede dell’ente locale concedente, né nella Città della Spezia, luogo sede del concessionario della riscossione.

Tuttavia tale circostanza di mero fatto non incide sul rapporto di strumentalità che intercorre tra la questione di legittimità costituzionale e la definizione della concreta controversia come illustrata dal rimettente.

4.2.− La questione, poi, non riguarda mere ricadute in fatto dell’interpretazione e dell’applicazione della norma censurata, ma attiene alla sua coerenza con i princìpi costituzionali invocati dal rimettente.

4.3.− Quanto al tentativo di interpretazione costituzionalmente orientata di cui l’Avvocatura generale dello Stato eccepisce il mancato esperimento, occorre ricordare che la giurisprudenza costituzionale è costante nel ritenere che qualora il giudice a quo abbia consapevolmente reputato che il tenore letterale della disposizione censurata imponga un’interpretazione e ne impedisca altre, eventualmente conformi a Costituzione, non vi è ragione di inammissibilità, dato che «la verifica dell’esistenza e della legittimità di interpretazioni alternative, che il rimettente abbia ritenuto di non poter fare proprie, è questione che attiene al merito del giudizio e non alla sua ammissibilità» (ex multis, sentenze n. 78 del 2019 e n. 42 del 2017).

5.− Nel merito, la questione è fondata in relazione all’art. 24 Cost., comportando la norma censurata la lesione del diritto di azione.

6.− Valgono al riguardo i princìpi già enunciati nella sentenza n. 44 del 2016, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della disciplina la quale prevede, per le entrate tributarie, che le controversie proposte nei confronti dei concessionari del servizio di riscossione, nonché quelle proposte nei confronti dei soggetti iscritti nell’albo di cui all’art. 53 del d.lgs. n. 446 del 1997, sono devolute alla competenza della commissione tributaria provinciale nella cui circoscrizione i concessionari stessi e i suddetti soggetti hanno sede, anziché di quella nella cui circoscrizione ha sede l’ente locale concedente.

Con tale pronuncia, questa Corte ha ritenuto infatti che, «poiché l’ente locale non incontra alcuna limitazione di carattere geografico-spaziale nell’individuazione del terzo cui affidare il servizio di accertamento e riscossione dei propri tributi, lo “spostamento” richiesto al contribuente che voglia esercitare il proprio diritto di azione, garantito dal parametro evocato, è potenzialmente idoneo a costituire una condizione di “sostanziale impedimento all’esercizio del diritto di azione” […] o comunque a “rendere ‘oltremodo difficoltosa’ la tutela giurisdizionale”».

7.− Queste considerazioni sono valide anche nel caso in esame, in cui l’identico criterio di determinazione della competenza prescelta comporta identici effetti negativi per il ricorrente.

7.1.− In proposito, va anche considerato che lo stesso legislatore, all’art. 52, comma 5, lettera c), del d.lgs. n. 446 del 1997, ha precisato che l’individuazione, da parte dell’ente locale, del concessionario del servizio di accertamento e riscossione dei tributi e delle altre entrate (determinante ai fini del radicamento della competenza) «non deve comportare oneri aggiuntivi per il contribuente».

8.− Né assume rilievo quanto dedotto dall’Avvocatura generale dello Stato sia in ordine alla necessità di avvalersi del ministero del difensore tecnico per agire in giudizio (ad esclusione delle cause promosse dinanzi al giudice di pace per un valore inferiore ad euro 1.100), sia in ordine alla introduzione del processo telematico, ragioni per le quali l’opponente non avrebbe necessità di recarsi presso l’ufficio giudiziario competente a trattare l’opposizione. Si tratta infatti di facoltà connesse al diritto di azione che in quanto tali non possono ritorcersi contro il titolare.

9.− Quanto alla individuazione del criterio alternativo di competenza, essa non esige un’operazione manipolativa esorbitante dai poteri di questa Corte, in quanto non deve essere operata una scelta tra più soluzioni non costituzionalmente obbligate (sentenze n. 44 del 2016 e n. 87 del 2013; ordinanze n. 176 e n. 156 del 2013 e n. 248 del 2012).

Difatti, il rapporto esistente tra l’ente locale e il soggetto cui è affidato il servizio di accertamento e riscossione comporta che, ferma la plurisoggettività del rapporto, il secondo costituisca una longa manus del primo, con la conseguente imputazione dell’atto di accertamento e riscossione a quest’ultimo.

Ne consegue che, ritenuto irragionevole ai fini del radicamento della competenza territoriale, per le ragioni evidenziate, il riferimento alla sede del soggetto cui è affidato il servizio di riscossione, non può che emergere il rapporto sostanziale tra l’opponente e l’ente concedente.

Alla sede di quest’ultimo, ai fini della determinazione della competenza, non vi è quindi alternativa.

10.− Pertanto va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 32, comma 2, del d.lgs. n. 150 del 2011, nella parte in cui dopo le parole «È competente il giudice del luogo in cui ha sede l’ufficio che ha emesso il provvedimento opposto» non prevede le parole «ovvero, nel caso di concessionario della riscossione delle entrate patrimoniali, dell’ente locale concedente».

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 32, comma 2, del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150 (Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi dell’articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69), nella parte in cui dopo le parole «È competente il giudice del luogo in cui ha sede l’ufficio che ha emesso il provvedimento opposto» non prevede le parole «ovvero, nel caso di concessionario della riscossione delle entrate patrimoniali, del luogo in cui ha sede l’ente locale concedente».

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’8 maggio 2019.

F.to:

Giorgio LATTANZI, Presidente

Giancarlo CORAGGIO, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 25 giugno 2019.