Ordinanza n. 140 del 2019

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ORDINANZA N. 140

ANNO 2019

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giorgio LATTANZI;

Giudici: Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 81, commi da 16 a 18, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, in legge 6 agosto 2008, n. 133, promosso dalla Commissione tributaria regionale per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, nel procedimento vertente tra l’Agenzia delle entrate - Direzione provinciale di Brescia e la Brixia Finanziaria srl, con ordinanza del 13 gennaio 2014, iscritta al n. 110 del registro ordinanze 2018 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 35, prima serie speciale, dell’anno 2018.

udito nella camera di consiglio del 17 aprile 2019 il Giudice relatore Luca Antonini.

Ritenuto che la Commissione tributaria regionale per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, con ordinanza del 13 gennaio 2014, trasmessa alla cancelleria di questa Corte il 26 aprile 2018, ha sollevato – in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione – questioni di legittimità costituzionale dell’art. 81, commi da 16 a 18, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, in legge 6 agosto 2008, n. 133;

che il giudice rimettente denuncia tale disposizione nella parte in cui ­– dopo aver previsto, al primo periodo del comma 16, un prelievo aggiuntivo, cosiddetto Robin Hood tax, qualificato «addizionale» all’imposta sul reddito delle società (IRES) di cui all’art. 75 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi), e successive modificazioni, da applicarsi nella misura del 6,5 per cento alle società operanti nel settore della ricerca e coltivazione degli idrocarburi liquidi e gassosi (lettera a), della raffinazione del petrolio, produzione o commercializzazione di benzine, petroli, gasoli per usi vari, oli lubrificanti e residuati, gas di petrolio liquefatto e gas naturale (lettera b), della produzione o commercializzazione di energia elettrica (lettera c), che, nel precedente periodo di imposta, abbiano conseguito un volume di ricavi superiore a 25 milioni di euro – stabilisce, al secondo periodo del medesimo comma 16, che «[n]el caso di soggetti operanti anche in settori diversi da quelli di cui alle lettere a), b) e c), la disposizione del primo periodo si applica qualora i ricavi relativi ad attività riconducibili ai predetti settori siano prevalenti rispetto all’ammontare complessivo dei ricavi conseguiti»;

che l’incidente di costituzionalità è stato sollevato nel corso di un giudizio di appello proposto nel 2012 dall’Agenzia delle entrate di Brescia avverso la pronuncia di primo grado della Commissione tributaria provinciale di Brescia;

che, secondo quanto il giudice rimettente premette in punto di fatto: a) la Brixia Finanziaria srl ha impugnato il silenzio rifiuto opposto dalla Agenzia delle entrate di Brescia sulla istanza di rimborso della menzionata addizionale IRES pagata nell’anno 2008; b) la Commissione tributaria provinciale di Brescia aveva accolto il ricorso del contribuente «limitatamente alla quota di imposta addizionale – identificata nel 47,59% – corrispondente alla quota percentuale dei ricavi “non petroliferi” rispetto a quelli “petroliferi”»; c) l’Agenzia delle entrate di Brescia, nell’atto di appello, ha contestato «l’interpretazione “salomonicamente” compromissoria adottata dai giudici di primo grado, […] contrapponendovi l’insuperabilità della indicazione normativa, secondo cui l’obbligo del pagamento della addizionale (sull’intera IRES) scatta alla mera condizione che il monte ricavi complessivo superi la somma di 25.000 [recte: 25.000.000] di euro, e che detti ricavi siano totalmente o anche solo prevalentemente riconducibili ad “attività Robin”»; d) la Brixia Finanziaria srl si è costituita in giudizio dispiegando appello incidentale «sostanzialmente motivato sulla necessità di interpretare la normativa nel senso di ritenere che il presupposto della addizionale sia che il “ricavo Robin” superi “da solo” la soglia dei 25.000.000 di euro»;

che, secondo quanto il giudice rimettente premette in punto di diritto: a) l’interpretazione adottata dai primi giudici è «del tutto insostenibile a fronte della cogenza del disposto normativo»; b) l’applicazione del secondo periodo del comma 16 dell’art. 81 del d.l. n. 112 del 2008, relativo al criterio della prevalenza dei “ricavi Robin” rispetto a quelli “non Robin”, «porta tuttavia a distorsioni impressionanti, forse neppure ipotizzate dal legislatore […] con esempi moltiplicabili ad libitum»;

che il rimettente considera, a titolo esemplificativo, «che un soggetto con euro 25.000.000 di ricavi tutti “energetici” non sarebbe soggetto alla addizionale, che sarebbe invece applicabile – sull’intero ammontare dei profitti – a carico del soggetto che consegua euro 25.000.001 di ricavi, di cui soltanto 12.501 [recte: 12.500.001] “energetici” e 12.500 [recte: 12.500.000] “diversi”» e, ancora, che sarebbe «curiosamente esonerato dall’addizionale il contribuente con ricavi di euro 2.000.000.001, di cui ben un miliardo “energetico” ma “annullato” dal miliardo e un euro per ricavi diversi»;

che in base a tali premesse il giudice a quo ritiene che la norma censurata víoli gli artt. 3 e 53 Cost., perché manifestamente irragionevole e lesiva del principio di capacità contributiva, «sotto un profilo che si aggiunge a quello – più generale – già sollevato con l’ordinanza 26/3/2011 n. 9 – sez. IV della Commissione Tributaria Provinciale di Reggio Emilia (non ancora esaminata dalla Corte costituzionale)»;

che nel presente giudizio non è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, né si è costituita la parte privata appellante incidentale nel giudizio principale.

Considerato che la Commissione tributaria regionale per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, con ordinanza del 13 gennaio 2014, trasmessa alla cancelleria di questa Corte il 26 aprile 2018, dubita – in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione – della legittimità costituzionale dell’art. 81, commi da 16 a 18, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, in legge 6 agosto 2008, n. 133, nella parte in cui – dopo aver disciplinato, al primo periodo del comma 16, un’addizionale nella misura del 6,5 per cento sull’aliquota dell’imposta sul reddito delle società (IRES) operanti nel settore della ricerca e coltivazione degli idrocarburi liquidi e gassosi (lettera a), della raffinazione del petrolio, produzione o commercializzazione di benzine, petroli, gasoli per usi vari, oli lubrificanti e residuati, gas di petrolio liquefatto e gas naturale (lettera b), della produzione o commercializzazione di energia elettrica (lettera c), che nel precedente periodo di imposta abbiano conseguito un volume di ricavi superiore a 25 milioni di euro – stabilisce, al secondo periodo del comma 16, il cosiddetto criterio di prevalenza, per cui «[n]el caso di soggetti operanti anche in settori diversi da quelli di cui alle lettere a), b) e c), la disposizione del primo periodo si applica qualora i ricavi relativi ad attività riconducibili ai predetti settori siano prevalenti rispetto all’ammontare complessivo dei ricavi conseguiti»;

che, in particolare, il giudice a quo censura la suddetta disposizione in quanto non consente, a suo dire, l’interpretazione adottata dai primi giudici, per cui l’applicazione della stessa «porta […] a distorsioni impressionanti, forse neppure ipotizzate dal legislatore […] con esempi moltiplicabili ad libitum»;

che, secondo il rimettente, la disposizione censurata víola gli artt. 3 e 53 Cost., perché manifestamente irragionevole e lesiva del principio di capacità contributiva, «sotto un profilo che si aggiunge a quello – più generale – già sollevato con l’ordinanza 26/3/2011 n. 9 – sez. IV della Commissione Tributaria Provinciale di Reggio Emilia (non ancora esaminata dalla Corte costituzionale)»;

che quest’ultima ordinanza di rimessione, vertente su un’analoga istanza di rimborso, è stata, nel frattempo, decisa da questa Corte con la sentenza n. 10 del 2015 che ha dichiarato, in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., l’illegittimità costituzionale dell’art. 81, commi 16, 17 e 18, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, in legge 6 agosto 2008, n. 133, e successive modificazioni;

che le questioni sollevate dal rimettente nell’odierno giudizio – che in conseguenza di un anomalo ritardo nella trasmissione dell’ordinanza di rimessione da parte della segreteria della Commissione rimettente giungono (dopo oltre quattro anni) allo scrutinio di questa Corte – sono analoghe a quelle, definitivamente decise con la menzionata sentenza n. 10 del 2015, perché relative a proposizioni normative contenute nelle medesime disposizioni già dichiarate costituzionalmente illegittime;

che l’illegittimità costituzionale di tali disposizioni e quindi dell’intera «configurazione del tributo» è stata dichiarata «a decorrere dal giorno successivo alla pubblicazione di questa sentenza nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica», avvenuta l’11 febbraio 2015 (sentenza n. 10 del 2015);

che, dunque, la suddetta dichiarazione di incostituzionalità, sopravvenuta rispetto all’odierna ordinanza di rimessione, comporta che le questioni sollevate con quest’ultima debbano essere dichiarate manifestamente inammissibili, non già per carenza dell’oggetto – poiché la norma è stata espunta dall’ordinamento solo pro futuro –, ma perché ormai definitivamente decise nei termini temporali prima ricordati, necessitati dall’esigenza di garantire la Costituzione «come un tutto unitario» e «contemperare tutti i principi e i diritti in gioco» (sentenza n. 10 del 2015);

che, del resto, successivamente alla sentenza n. 10 del 2015 è intervenuta la Corte di Cassazione stabilendo che il diritto al rimborso a favore di chi avesse corrisposto l’imposta è riconosciuto «solo per il periodo successivo al 12.2.2015», in forza della «clausola di limitazione temporale» stabilita dalla sentenza n. 10 del 2015 (Corte di Cassazione, sezione sesta civile, sottosezione T, ordinanza 18 dicembre 2018, n. 32716);

che le odierne questioni sono dunque inammissibili, essendo il loro esame precluso dalla sentenza n. 10 del 2015.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 1, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 81, commi da 16 a 18, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 2008, n. 133, sollevate dalla Commissione tributaria regionale per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 aprile 2019.

F.to:

Giorgio LATTANZI, Presidente

Luca ANTONINI, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 6 giugno 2019.