Ordinanza n. 104 del 2019

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ORDINANZA N. 104

ANNO 2019

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giorgio LATTANZI;

Giudici: Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 14 della legge 20 novembre 1982, n. 890 (Notificazione di atti a mezzo posta e di comunicazioni a mezzo posta connesse con la notificazione di atti giudiziari), e dell’art. 1, comma 161, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)», promosso dalla Commissione tributaria regionale della Campania nel giudizio vertente tra l’Agenzia delle entrate-Riscossione – Napoli, subentrata a Equitalia Servizi Riscossione spa, e Andrea Mignone, con ordinanza del 10 novembre 2017, iscritta al n. 95 del registro ordinanze 2018 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 27, prima serie speciale, dell’anno 2018.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 6 marzo 2019 il Giudice relatore Giovanni Amoroso.

Ritenuto che con ordinanza del 10 novembre 2017, la Commissione tributaria regionale della Campania (di seguito CTR) ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 23, 97, 111 e 11 della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 14 della legge 20 novembre 1982, n. 890 (Notificazioni di atti a mezzo posta e di comunicazioni a mezzo posta connesse con la notificazione di atti giudiziari), e dell’art. 1, comma 161, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)», «nella parte in cui, ammettendo la notificazione diretta degli atti impositivi e dei ruoli ‒ da parte degli Uffici Finanziari Erariali e Locali nonché degli Enti di riscossione ‒ a mezzo servizio postale di raccomandata con ricevuta di ritorno, escludono a tale forma di notifica la applicazione delle modalità di cui alla L. 890/1982»;

che la CTR deve decidere sull’appello proposto da Equitalia Servizi di Riscossione spa (quale incorporante di Equitalia Sud spa) nei confronti della sentenza della Commissione tributaria provinciale di Napoli che ha accolto il ricorso proposto dal contribuente Andrea Mignone avverso un preavviso di fermo, emesso da Equitalia Sud spa e notificato a mezzo posta raccomandata, sul rilievo che la notifica delle sottostanti cartelle di pagamento, riferite a tributi erariali e imposte comunali, risultava viziata in quanto non supportata dalla prova dell’avviso di ricevimento postale della comunicazione di avvenuta notificazione (cosiddetta CAN);

che la CTR rileva l’errore del giudice di primo grado il quale ha ritenuto la nullità della notifica benché dagli atti di causa emergesse che tutte le cartelle erano state notificate «a mezzo posta raccomandata A.R. diretta, cioè senza l’intermediazione di ufficiale notificatore», sia quelle relative a tributi erariali (notifica effettuata ai sensi dell’art. 14 della legge n. 890 del 1982), sia quelle concernenti tributi locali (notifica effettuata ai sensi dell’art. 1, comma 161, della legge n. 296 del 2006);

che, ad avviso del giudice a quo, la giurisprudenza di legittimità, con orientamento consolidato, afferma che, in tema di notificazioni a mezzo posta, la disciplina relativa alla raccomandata con avviso di ricevimento, mediante la quale può essere notificato, ai sensi dell’art. 14 della legge n. 890 del 1982, l’avviso di accertamento o liquidazione senza intermediazione dell’ufficiale giudiziario, è quella dettata dalle disposizioni sul servizio postale ordinario per la consegna dei plichi raccomandati, in quanto le disposizioni di cui alla legge citata attengono esclusivamente alla notifica eseguita dall’ufficiale giudiziario ex art. 140 del codice di procedura civile;

che conseguentemente non deve essere redatta alcuna relata di notifica o annotazione specifica sull’avviso di ricevimento in ordine alla persona cui è stato consegnato il plico e l’atto pervenuto all’indirizzo del destinatario deve ritenersi ritualmente consegnato a quest’ultimo, stante la presunzione di conoscenza di cui all’art. 1335 del codice civile, superabile solo se il medesimo dia prova di essersi trovato nell’impossibilità senza sua colpa di prenderne cognizione;

che l’applicazione di tali principi comporterebbe l’accoglimento dell’appello;

che tuttavia la CTR dubita della legittimità costituzionale delle disposizioni censurate, là dove «prevedono una forma di notificazione degli atti impositivi senza le garanzie nella fase di consegna del plico previste dalla L. 890/1982 per le notificazioni a mezzo posta effettuate dall’Ufficiale giudiziario, dal messo comunale o speciale» e, in particolare, senza la CAN prescritta (alla data dell’ordinanza di rimessione) dall’art. 7 della legge n. 890 del 1982;

che la CTR si diffonde sulla ratio della disciplina delle notificazioni, evidenziando la differenza tra la comunicazione degli atti unilaterali, regolata dagli artt. 1334 e 1335 cod. civ. e finalizzata a garantire la mera conoscibilità, e la procedura della notificazione, volta, invece, ad assicurare una conoscenza effettiva dell’atto;

che le norme censurate sarebbero irragionevoli e, dunque, in conflitto con l’art. 3 Cost., in quanto darebbero luogo a «una sostanziale elusione dell’obbligo di notifica» là dove prevedono una «mera comunicazione, elevando a forma di notificazione sul piano solo nominalistico, presunzioni semplici di conoscibilità che non corrispondono alla prima che è presunzione legale iuris et de iure di conoscenza»;

che, inoltre, sarebbe violato l’art. 24 Cost., in combinato disposto con l’art. 3 Cost., in quanto l’attenuazione delle garanzie di conoscenza dell’atto in danno del contribuente si risolverebbe in un’irragionevole lesione del diritto di difesa;

che la CTR, poi, assume che le disposizioni impugnate violerebbero anche «l’art. 6 CEDU applicabile direttamente ex art. 11 Cost., non garantendo al soggetto passivo una conoscenza dell’atto sfavorevole con negazione della possibilità di adeguata e tempestiva difesa considerando le decadenze e preclusioni peraltro fissate in termini assai brevi (di regola 60 giorni), il tutto altresì rimettendo a sostanziale discrezione dell’Ufficio Impositore, cioè dell’Autorità, la scelta se adottare o meno un procedimento più garantista, o meglio una vera notificazione che conduce alla legale certa conoscenza ovvero una comunicazione che al massimo conduce ad una mera astratta conoscibilità»;

che le disposizioni censurate darebbero luogo, altresì, a una violazione dell’art. 111 Cost. «perché rendendo non certa la conoscenza legale al destinatario dell’atto sostanziale impugnabile determinano una lesione del contraddittorio, quale esplicazione della possibilità effettiva di agire e contrastare nel processo» la pretesa avanzata dall’amministrazione, nonché dell’art. 97 Cost., permettendo alla pubblica amministrazione «di non organizzare i propri uffici e le proprie attività in modo da consentire la certa legale conoscenza degli atti sfavorevoli al cittadino stesso»;

che con atto depositato il 24 luglio 2018 è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili e, comunque, infondate;

che, in particolare, l’Avvocatura generale pone in rilievo che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 175 del 2018, ha già dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 26, primo comma, del d.P.R. n. 602 del 1973, nella parte in cui facoltizza l’agente della riscossione alla notifica diretta e semplificata delle cartelle esattoriali, senza intermediario, mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento.

Considerato che con motivazione sintetica, ma non implausibile, il collegio rimettente ha dato conto delle ragioni che inducono a fare applicazione delle disposizioni censurate;

che questa Corte (sentenza n. 175 del 2018) ha già esaminato analoga questione di costituzionalità riguardante parimenti la modalità di notificazione «diretta» delle cartelle di pagamento con riferimento a quella effettuata dagli ufficiali della riscossione ai sensi dell’art. 26, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito);

che con tale pronuncia questa Corte − richiamando i consolidati principi secondo cui «il regime differenziato della riscossione coattiva delle imposte risponde all’esigenza, di rilievo costituzionale, di assicurare con regolarità le risorse necessarie alla finanza pubblica» e «la disciplina speciale della riscossione coattiva delle imposte non pagate risponde all’esigenza della pronta realizzazione del credito fiscale a garanzia del regolare svolgimento della vita finanziaria dello Stato» (rispettivamente, sentenze n. 90 del 2018 e n. 281 del 2011) − ha dichiarato non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 26, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, sollevate, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 24, primo e secondo comma, e 111, primo e secondo comma, della Costituzione;

che, come rilevato nella medesima pronuncia, nella fattispecie della notificazione “diretta”, vi è un sufficiente livello di conoscibilità – ossia di possibilità che si raggiunga, per il notificatario, l’effettiva conoscenza dell’atto − «stante l’avvenuta consegna del plico (oltre che allo stesso destinatario, anche alternativamente) a chi sia legittimato a riceverlo, sicché il “limite inderogabile” della discrezionalità del legislatore non è superato e non è compromesso il diritto di difesa del destinatario della notifica»;

che analoghe considerazioni possono svolgersi con riferimento sia alla notifica diretta ad opera degli uffici finanziari, prevista dall’art. 14 della legge n. 890 del 1982, sia a quella contemplata dall’art. 1, comma 161, della legge n. 296 del 2006 per i tributi locali;

che l’indicazione degli ulteriori parametri da parte della CTR rimettente non offre elementi per una diversa valutazione delle questioni, che sono pertanto, sotto ogni profilo, manifestamente infondate.

che peraltro – come già evidenziato nella sentenza n. 175 del 2018 – la mancanza, in concreto, di «effettiva conoscenza» dell’atto, per causa non imputabile, può legittimare il destinatario a richiedere la rimessione in termini ai sensi dell’art. 153, secondo comma, del codice di procedura civile;

che l’art. 6 della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente) legittima un’applicazione estensiva dell’istituto della rimessione in termini, sì da tutelare il contribuente che non abbia avuto «effettiva conoscenza» dell’atto restituendolo nel termine di decadenza, di cui all’art. 19 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), per impugnare l’atto;

che è rimesso al prudente apprezzamento del giudice della controversia valutare ogni comprovato elemento presuntivo (art. 2729 del codice civile), offerto dal destinatario della notifica “diretta” della cartella di pagamento − il quale, pur essendo integrata un’ipotesi di conoscenza legale in ragione del rispetto delle formalità (tanto più che semplificate) di cui alle disposizioni censurate, assuma di non aver avuto conoscenza effettiva dell’atto per causa a lui non imputabile − al fine di accogliere, o no, la richiesta di rimessione in termini.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 1, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 14 della legge 20 novembre 1982, n. 890 (Notificazioni di atti a mezzo posta e di comunicazioni a mezzo posta connesse con la notificazione di atti giudiziari) e dell’art. 1, comma 161, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)» sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24, 23, 97, 111 e 11 della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, dalla Commissione tributaria regionale della Campania con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 marzo 2019.

F.to:

Giorgio LATTANZI, Presidente

Giovanni AMOROSO, Redattore

Filomena PERRONE, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 24 aprile 2019.