Sentenza n. 102 del 2019

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SENTENZA N. 102

ANNO 2019

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giorgio LATTANZI;

Giudici: Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 15-bis della legge 28 aprile 2014, n. 67 (Deleghe al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio. Disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili), promosso dalla Corte d’appello di Venezia, nel procedimento penale a carico di A. H., con ordinanza del 30 maggio 2017, iscritta al n. 172 del registro ordinanze 2017 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 49, prima serie speciale, dell’anno 2017.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 6 febbraio 2019 il Giudice relatore Giovanni Amoroso.

Ritenuto in fatto

1.− La Corte d’appello di Venezia, con ordinanza del 30 maggio 2017, ha sollevato, in riferimento agli artt. 111, 24 e 97 della Costituzione «ed ai principi di efficacia e di efficienza del processo penale», questioni di legittimità costituzionale dell’art. 15-bis della legge 28 aprile 2014, n. 67 (Deleghe al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio. Disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili), nella parte in cui non prevede la sospensione del processo di cui all’art. 420-quater del codice di procedura penale, quando sia già stata deliberata la sentenza di primo grado, anche nei casi in cui risulti già pacificamente agli atti che nessun tipo di informazione e conoscenza, relative alla pendenza del procedimento, siano mai state, in alcuna fase e in alcun grado, acquisite dalla persona imputata o a lei offerte.

In particolare, la Corte d’appello di Venezia riferisce di procedere nei confronti di un imputato per i reati di cessione di sostanza stupefacente del tipo cocaina e per aver concorso nel cagionare la morte di uno dei cessionari della sostanza, quale conseguenza della condotta di cessione; precisa, altresì, che i reati risultano consumati il 22 e il 23 maggio 2008 e dal gennaio al maggio 2008.

Il rimettente, inoltre, dà atto che l’imputato, dichiarato irreperibile con decreto del pubblico ministero, è stato tratto a giudizio di primo grado in tale qualità e che la notificazione della citazione è stata eseguita presso il difensore, ai sensi dell’art. 159 cod. proc. pen.

Con sentenza del 30 ottobre 2013, l’imputato è stato condannato in relazione a tutti i fatti di cui alle imputazioni.

A seguito di nuove ricerche disposte nell’udienza del 18 gennaio 2017, è stato emesso, in data 28 aprile 2017, un nuovo decreto di irreperibilità e anche la citazione per il giudizio di appello è stata eseguita presso il difensore ai sensi dell’art. 159 cod. proc. pen.

Avverso la pronuncia di primo grado il difensore d’ufficio ha proposto rituale appello.

Il collegio prosegue osservando che dalla lettura degli atti risulta, con certezza, che l’imputato non ha mai avuto cognizione e informazione della pendenza del procedimento a suo carico in quanto egli si è allontanato dall’abitazione dove era avvenuto il decesso della persona cui aveva concorso a procurare la dose letale, prima dell’intervento della polizia giudiziaria. E ancora la certa mancata conoscenza del procedimento a suo carico deriva – ad avviso del giudice a quo − dal contesto e dalla dinamica dei fatti (conoscenza occasionale e un’ospitalità in un ambiente frequentato da più soggetti; possibilità di non essere mai identificato: il procedimento inizia nei confronti di altri soggetti; assenza di atti anche solo di polizia giudiziaria a lui notificati o da lui sottoscritti; assenza di nomina di difensore di fiducia), e dal fatto che l’imputato quando si allontanò dall’abitazione dove era avvenuto il decesso, poteva ragionevolmente rappresentarsi che non si sarebbe mai giunti alla sua persona.

Il rimettente dà atto che ai sensi dell’art. 15-bis, comma 1, della legge n. 67 del 2014, essendo stato pronunciato il dispositivo della sentenza di primo grado prima dell’entrata in vigore di tale legge (ossia prima del 17 maggio 2014), al procedimento in corso non può applicarsi – in ragione della disposizione censurata che reca la disciplina transitoria del passaggio dal regime della contumacia a quello dell’assenza − il nuovo testo dell’art. 420-quater cod. proc. pen., come sostituito dall’art. 9, comma 3, della legge n. 67 del 2014, con la conseguenza che il processo non può essere sospeso.

Osserva, inoltre, che sebbene la disciplina transitoria introduca un criterio non irragionevole, ovvero quello della definizione del primo giudizio, che reca con sé il protrarsi della disciplina processuale precedente, tuttavia nello specifico caso in esame – nel quale è documentale l’assoluta mancanza di alcun tipo di conoscenza da parte dell’imputato in ordine alla pendenza del processo e del grado di appello − ogni attività processuale cui si dovesse dare ulteriore corso, in ossequio alla disciplina transitoria, sarebbe palesemente e con ogni certezza, vanamente espletata. Infatti, secondo l’art. 175 cod. proc. pen., nel testo previgente applicabile al caso di specie, e nel giudizio di legittimità eventualmente attivato dal difensore di ufficio, se mai l’imputato fosse reperito dopo il passaggio in giudicato della condanna, per la sua doverosa esecuzione, senza dubbio lo stesso dovrebbe essere rimesso nel termine per impugnare la sentenza di primo grado e tutta l’attività posta in essere dalla Corte di appello andrebbe dissolta.

Peraltro, del tutto irrilevante sarebbe l’avere già il difensore d’ufficio attivato autonomamente, ma nell’interesse dell’imputato, il giudizio di appello pur se definito (a tal fine è richiamata la sentenza di questa Corte n. 317 del 2009).

Tutto ciò premesso in punto di rilevanza, il giudice a quo afferma, quanto alla non manifesta infondatezza, che la disposizione in esame contrasta con l’art. 111 Cost., in quanto «non è giusto il processo che certamente deve essere rinnovato per una carenza sostanziale nella costituzione del rapporto processuale; la sua inutile celebrazione impedisce la trattazione tempestiva di altri processi»; con l’art. 97 Cost. in relazione ai principi di efficacia e di efficienza della giurisdizione (al riguardo è invocata la sentenza di questa Corte n. 460 del 1995 là dove si è affermato che l’efficienza del processo penale è bene costituzionalmente protetto); con l’art. 24 Cost. in quanto «la celebrazione del processo inutile in ragione della già avvenuta acquisizione del dato processuale della non conoscenza della pendenza e della trattazione da parte dell’imputato “consegna” al rito un processo con minorata difesa per il protagonista dominante: l’imputato».

2.− Con atto depositato il 27 dicembre 2017 è intervenuto nel presente giudizio di legittimità costituzionale il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo di dichiarare le questioni non fondate, non avendo il rimettente considerato che, proprio in forza della disposizione censurata, l’art. 420-quater cod. proc. pen., come sostituito dall’art. 9 della legge n. 67 del 2014, si applica ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della citata legge anche nel caso in cui, pur essendo stato pronunciato il dispositivo della sentenza di primo grado, la mancata presenza dell’imputato sia stata preceduta dall’emissione di un decreto di irreperibilità, come nel caso di specie, con la conseguente sospensione del procedimento.

Inoltre, aggiunge l’Avvocatura generale, se anche l’art. 420-quater cod. proc. pen. non fosse applicabile, le questioni sarebbero in ogni caso non fondate dovendo trovare applicazione la costante giurisprudenza di questa Corte secondo cui il legislatore gode di ampia discrezionalità nel regolare gli effetti temporali degli istituti processuali.

Con una memoria successiva l’Avvocatura ha ribadito le argomentazioni formulate.

Considerato in diritto

1.− La Corte d’appello di Venezia, con ordinanza del 30 maggio 2017, ha sollevato, in riferimento agli artt. 24, 97 e 111 della Costituzione «ed ai principi di efficacia e di efficienza del processo penale», questioni di legittimità costituzionale dell’art. 15-bis della legge 28 aprile 2014, n. 67 (Deleghe al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio. Disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili), nella parte in cui non prevede la sospensione del processo di cui all’art. 420-quater del codice di procedura penale, quando sia già stata deliberata la sentenza di primo grado, anche nei casi in cui risulti pacificamente agli atti che l’imputato, contumace dichiarato irreperibile, non abbia avuto, né abbia, alcuna conoscenza del processo.

In particolare, il collegio rimettente ritiene che la disposizione sopra indicata si pone in contrasto con l’art. 111 Cost., in quanto non sarebbe giusto il processo «che certamente deve essere rinnovato per una carenza sostanziale nella costituzione del rapporto processuale» con la conseguenza che «la sua inutile celebrazione impedisce la trattazione tempestiva di altri processi»; con l’art. 97 Cost., in relazione ai principi di efficacia e di efficienza della giurisdizione; con l’art. 24 Cost., in quanto la celebrazione del processo sarebbe inutile in ragione della già avvenuta acquisizione del dato processuale della mancata conoscenza da parte dell’imputato del processo stesso.

2.− Va premesso che la citata legge n. 67 del 2014, che contiene la disposizione censurata, ha interamente sostituito, nel codice di procedura penale, il rito contumaciale con la disciplina dell’assenza dell’imputato.

La necessità di intervenire sulla disciplina del procedimento nel caso di assenza dell’imputato trova la sua origine nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, ed in particolare nella sentenza della Grande camera, 1° marzo 2006, Sejdovic contro Italia, e in pronunce precedenti (sentenza 18 maggio 2004, Somogy contro Italia, e, prima ancora, sentenze del 12 febbraio 1985, Colozza contro Italia, e del 28 agosto 1991, Cat Berro contro Italia), le quali hanno affermato che l’obbligo di garantire all’accusato il diritto di essere presente in udienza è uno degli elementi essenziali del diritto fondamentale al giusto processo di cui all’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848.

Per adeguare il processo contumaciale ai principi espressi dalla Corte EDU è intervenuto il legislatore con il decreto-legge 21 febbraio 2005, n. 17 (Disposizioni urgenti in materia di impugnazione delle sentenze contumaciali e dei decreti di condanna), convertito, con modificazioni, nella legge 22 aprile 2005, n. 60, che, nel modificare in particolare la disciplina della restituzione nel termine per impugnare la sentenza contumaciale (art. 175 cod. proc. pen.), ha dettato nuove regole di maggior garanzia rispetto alla disciplina previgente prevedendo, in particolare, che il contumace non doveva più provare l’incolpevole mancata conoscenza del procedimento o del provvedimento, per la cui impugnazione chiedeva di essere rimesso nel termine, introducendo una sorta di presunzione iuris tantum di mancata conoscenza da parte dell’imputato della pendenza del procedimento, salvo prova contraria (Corte di cassazione, sezione terza penale, 3 giugno-18 settembre 2014, n. 38295). Inoltre, il termine per la richiesta era elevato da dieci a trenta giorni dalla conoscenza dell’atto ed era stata eliminata la preclusione alla restituzione dell’imputato nel termine per impugnare ove l’impugnazione fosse stata già proposta dal difensore. La restituzione nel termine comportava altresì il venir meno del giudicato di condanna dell’imputato contumace e dell’esecutività della sentenza impugnata.

La tutela dell’imputato giudicato in contumacia, sia irreperibile che non, è risultata ampliata ulteriormente dalla successiva pronuncia di questa Corte (sentenza n. 317 del 2009) che – muovendo dall’interpretazione accolta nella sentenza della Corte di cassazione, sezioni unite penali, 31 gennaio-7 febbraio 2008, n. 6026 – ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 175, comma 2, cod. proc. pen., nella parte in cui non consentiva la restituzione dell’imputato, che non avesse avuto effettiva conoscenza del procedimento o del provvedimento, nel termine per proporre impugnazione contro la sentenza contumaciale, nel concorso delle ulteriori condizioni indicate dalla legge, quando analoga impugnazione fosse stata proposta in precedenza dal difensore dello stesso imputato. Talché alla garanzia dell’impugnabilità della pronuncia di condanna dell’imputato contumace ad opera del difensore di quest’ultimo si aggiungeva quella dell’imputato, restituito (pressoché automaticamente) nel termine ai sensi dell’art. 175 cod. proc. pen., di proporre un nuovo atto d’impugnazione che richiedeva un secondo giudizio con l’effetto che, nella sostanza, erano riconosciute, in sequenza, due possibilità di impugnazione in favore dell’imputato contumace. Effetto asistematico sì, ma ritenuto necessario per adeguare la disciplina del giudizio contumaciale alla garanzia convenzionale del giusto processo ex art. 6 CEDU nell’ampiezza riconosciuta dalla Corte di Strasburgo.

La giurisprudenza di legittimità ha poi ulteriormente precisato la portata delle garanzie connesse alla restituzione in termini, essendosi affermato il diritto alla rinnovazione del dibattimento in appello con possibilità anche di accesso ai riti alternativi.

3.− Ben poteva però il legislatore, nell’esercizio della sua discrezionalità, disciplinare diversamente la fattispecie del giudizio celebrato non in presenza dell’imputato ed è ciò che ha fatto con la legge n. 67 del 2014, operando una scelta radicalmente diversa: non più un rimedio restitutorio ex post a tutela dell’imputato giudicato in contumacia, ma garanzie ex ante a tutela dell’imputato giudicato in sua assenza.

È stato, quindi, eliminato dal codice di procedura penale l’istituto della contumacia e si è garantito, all’imputato non presente, il diritto alla sospensione del processo penale là dove sia dimostrato che la sua assenza derivi da un’incolpevole mancanza di conoscenza dello svolgimento del processo. A fronte dell’assenza dell’imputato le nuove disposizioni prevedono che il giudice debba rinviare l’udienza disponendo la notificazione all’imputato personalmente della nuova data ad opera della polizia giudiziaria e che, in caso di esito negativo della notificazione, e qualora non debba pronunziarsi sentenza ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen., il giudice con ordinanza sospende il processo nei confronti dell’imputato assente; si è stabilito che durante la sospensione possono essere acquisite le prove non rinviabili e, allo scadere di un anno dalla sospensione, il giudice dispone nuove ricerche dell’imputato.

Il giudice può invece procedere in assenza dell’imputato solo in una serie di tipizzate ipotesi: quando vi è rinunzia espressa a essere presente al processo; se vi è stata nel corso del procedimento dichiarazione o elezione di domicilio, o se l’imputato sia stato arrestato o fermato o sottoposto a misura cautelare o se abbia nominato un difensore di fiducia; se abbia ricevuto personalmente la notifica dell’avviso dell’udienza, ovvero risulti con certezza che lo stesso è a conoscenza del procedimento o si è volontariamente sottratto alla conoscenza del procedimento o di atti del medesimo (art. 420-bis cod. proc. pen.).

L’assenza è istituto destinato elettivamente a trovare applicazione nel giudizio di primo grado. Ma può rilevare anche nel giudizio di appello, essendo previsto che il giudice dichiara la nullità della sentenza di primo grado e dispone il rinvio degli atti al giudice di primo grado se vi è la prova che in primo grado si sarebbe dovuto provvedere al rinvio dell’udienza o se l’imputato prova che l’assenza è stata dovuta ad una incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo (art. 604, comma 5-bis, cod. proc. pen.).

Contestualmente all’introduzione dell’istituto dell’assenza è stata ridimensionata la portata della restituzione nel termine in favore dell’imputato, limitata ora all’ipotesi di condanna con decreto penale ove quest’ultimo non abbia avuto effettiva conoscenza del processo (art. 175, comma 2, cod. proc. pen., come novellato dalla legge n. 67 del 2014), ed è stato introdotto l’istituto della rescissione del giudicato qualora il condannato, nei cui confronti si sia proceduto in assenza, provi che l’assenza è ascrivibile a una incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo (originario art. 625-ter cod. proc. pen., oggi rifluito nell’art. 629-bis cod. proc. pen.).

4.− Ciò premesso in sintesi, si pone in via preliminare – come del resto puntualmente eccepito dall’Avvocatura generale dello Stato − il problema della portata interpretativa della disposizione che reca la regola di regime transitorio censurata di illegittimità costituzionale dal giudice rimettente.

Il testo originario della legge n. 67 del 2014 – entrata in vigore il 17 maggio 2014 − non prevedeva alcuna disciplina transitoria specifica per i processi in corso. Ciò avrebbe comportato l’operatività del canone tempus regit actum con notevole incertezza in ordine all’applicabilità della nuova disciplina, potendo farsi riferimento, alternativamente, al momento della pronuncia della sentenza contumaciale o a quello della dichiarazione di contumacia o prima ancora a quello della dichiarazione di irreperibilità dell’imputato.

Tale mancanza di disciplina è stata ben presto colmata dalla legge 11 agosto 2014, n. 118 (Introduzione dell’articolo 15-bis della legge 28 aprile 2014, n. 67, concernente norme transitorie per l’applicazione della disciplina della sospensione del procedimento penale nei confronti degli irreperibili), che ha inserito nella legge n. 67 del 2014 l’art. 15-bis, norma censurata.

Il fine perseguito – come si legge nei lavori parlamentari (A. C. n. 2344 del 5 maggio 2014) – è stato quello di evitare che la nuova disciplina del giudizio in caso di irreperibilità dell’imputato «determini incertezze applicative soprattutto connesse al regime delle impugnazioni avverso le sentenze emesse in passato nel corso di processi celebrati in absentia». Nella relazione al disegno di legge si afferma che «[l]e norme previgenti si applicano anche ai procedimenti che non si siano ancora conclusi in primo grado, a due condizioni: una − positiva − che alla data di entrata in vigore della nuova legge il giudice abbia già dichiarato la contumacia dell’imputato; l’altra − negativa − che nell’ambito del procedimento non sia stato emesso il decreto di irreperibilità». Il risultato quindi è che «mentre per gli imputati irreperibili la nuova disciplina − che rispetto a quella attuale risulta più garantista e rispettosa dei princìpi del “giusto processo” − verrà applicata a tutti i procedimenti non ancora definiti in primo grado, per gli imputati “contumaci” − nei cui confronti la notificazione è avvenuta in forme rispettose della necessaria conoscenza del processo − continueranno ad applicarsi le regole previgenti».

È stata così introdotta la censurata disposizione transitoria (art. 15-bis) che consta di due commi strettamente connessi. Il comma 1 prevede: «Le disposizioni di cui al presente capo si applicano ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della presente legge, a condizione che nei medesimi procedimenti non sia stato pronunciato il dispositivo della sentenza di primo grado». Il comma 2 prescrive: «In deroga a quanto previsto dal comma 1, le disposizioni vigenti prima della data di entrata in vigore della presente legge continuano ad applicarsi ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della presente legge quando l’imputato è stato dichiarato contumace e non è stato emesso il decreto di irreperibilità».

5.− Di tale complessiva disposizione il giudice rimettente si limita a tener conto del solo primo comma dell’art. 15-bis, che prevede la regola generale dell’applicazione delle nuove disposizioni ai procedimenti in corso al 17 maggio 2014 (data di entrata in vigore della legge) solo se nei medesimi non sia intervenuto il dispositivo della sentenza di primo grado. La Corte d’appello, adita a seguito di impugnazione del difensore d’ufficio, ritiene che troverebbe applicazione la disciplina previgente della contumacia − e non già la nuova regolamentazione dell’assenza − perché il dispositivo nel giudizio di primo grado, nei confronti dell’imputato contumace del quale era stata dichiarata l’irreperibilità, è stato pronunciato prima della data di entrata in vigore della legge n. 67 del 2014.

Ma c’è anche il comma 2 dell’art. 15-bis che contempla una deroga: le disposizioni previgenti sul giudizio contumaciale si applicano ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della legge quando l’imputato è stato dichiarato contumace e non è stato emesso il decreto di irreperibilità. Il comma 2, quindi, ritaglia un’eccezione alla regola del comma 1: all’imputato contumace non si applica la nuova disciplina dell’assenza se il giudizio di primo grado non si è ancora concluso e se non c’è stata la dichiarazione di irreperibilità. Invece per l’imputato irreperibile, che sia stato dichiarato contumace, la deroga non opera, e quindi si applica la nuova disciplina dell’assenza; ma non è chiaro se ciò possa predicarsi in ogni caso (ossia anche se alla data di entrata in vigore della legge n. 67 del 2014 sia già stata emessa una sentenza di primo grado) oppure solo nel rispetto della regola del comma 1 dell’art. 15-bis, che fa riferimento, come discrimine temporale tra vecchia e nuova disciplina, alla pronuncia del dispositivo di primo grado.

6.− Si ha però che su questo preliminare problema interpretativo, che incide direttamente sulla rilevanza delle sollevate questioni di costituzionalità, si registra un contrasto di giurisprudenza.

Si è inizialmente affermato (Corte di cassazione, sezione quinta penale, 1° ottobre-2 novembre 2015, n. 44177) che, se il dispositivo della sentenza di primo grado è stato pronunciato prima della data di entrata in vigore della legge n. 67 del 2014, «il giudice – evidentemente, nel caso di specie, il giudice dell’appello – applicherà la vecchia disciplina solo quando l’imputato è stato dichiarato contumace e non è stato emesso il decreto di irreperibilità, in caso contrario essendo tenuto a verificare la posizione dell’imputato alla stregua della nuova disciplina» (in senso conforme, Corte di cassazione, sezione quinta penale, 8 giugno-27 dicembre 2016, n. 54921; sezione quinta penale, 8 marzo-26 luglio 2017, n. 37190; sezione terza penale, 22 marzo-26 aprile 2017, n. 19618).

Successivamente la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto di non poter dare continuità a tale orientamento e ha affermato, al contrario, che l’esaurimento del giudizio di primo grado vale come generale spartiacque: se il dispositivo è stato pronunciato prima della data di entrata in vigore della legge n. 67 del 2014, continua in ogni caso ad applicarsi transitoriamente la previgente disciplina del giudizio contumaciale (Corte di cassazione, sezione seconda penale, 10 gennaio-18 aprile 2017, n. 18813). In particolare, si è affermato (Corte di cassazione, sezione prima penale, 27 giugno 2017-23 luglio 2018, n. 34911) che «la nuova disciplina in tema di processo in absentia non può mai trovare applicazione nel caso in cui sia stato pronunciato il dispositivo della sentenza di primo grado nonché nei casi in cui − pur non essendo stato pronunciato il dispositivo della sentenza di primo grado – sia già stata dichiarata la contumacia ma non sia stato emesso il decreto di irreperibilità» (in senso conforme, Corte di cassazione, sezione prima penale, 21 dicembre 2017-22 febbraio 2018, n. 8654; sezione prima penale, 9 gennaio-2 maggio 2017, n. 20810).

Il primo orientamento è però, ancora recentemente, richiamato dalla sentenza della Corte di cassazione, sezione terza penale, 7 giugno-18 ottobre 2018, n. 47452.

7.− La Corte d’appello rimettente, invece, non solo non tiene conto della (pur non univoca) giurisprudenza della Corte di cassazione – alla quale spetta la funzione nomofilattica di formazione del diritto vivente − già in parte esistente alla data della pronuncia dell’ordinanza di rimessione, ma anche considera esclusivamente il comma 1 dell’art. 15-bis e quindi omette di prendere posizione in ordine all’interpretazione congiunta dei due commi di cui si compone tale disposizione; i quali recano, nel loro combinato disposto, il criterio distintivo per stabilire quando sia ancora applicabile, transitoriamente e a esaurimento, la previgente disciplina del giudizio contumaciale nei confronti degli imputati irreperibili, ritenuta dal giudice rimettente in contrasto con gli evocati parametri nei termini sopra indicati.

Ciò mina irrimediabilmente l’ammissibilità delle sollevate questioni incidentali di legittimità costituzionale per insufficiente motivazione sulla rilevanza e incompleta ricostruzione della normativa di riferimento.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 15-bis della legge 28 aprile 2014, n. 67 (Deleghe al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio. Disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili), sollevate, in riferimento agli artt. 24, 97 e 111 della Costituzione, dalla Corte d’appello di Venezia con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 febbraio 2019.

F.to:

Giorgio LATTANZI, Presidente

Giovanni AMOROSO, Redattore

Filomena PERRONE, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 24 aprile 2019.