Ordinanza n. 92 del 2019

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ORDINANZA N. 92

ANNO 2019

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giorgio LATTANZI;

Giudici: Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 414, 415 e 416 del codice di procedura civile, promosso dal Tribunale ordinario di Napoli, in funzione di giudice del lavoro, nel procedimento tra Orsola D’Alterio ed Extensa Formazione informatica di Manfra Tommaso & C. sas e altri, con ordinanza del 16 gennaio 2013, iscritta al n. 157 del registro ordinanze 2018 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 45, prima serie speciale, dell’anno 2018.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 20 marzo 2019 il Giudice relatore Silvana Sciarra.

Ritenuto che, con ordinanza del 16 gennaio 2013 (reg. ord. n. 157 del 2018), il Tribunale ordinario di Napoli, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 414, 415 e 416 del codice di procedura civile, i quali disciplinano, rispettivamente, la «[f]orma della domanda», il «[d]eposito del ricorso e [il] decreto di fissazione dell’udienza» e la «[c]ostituzione del convenuto» nel procedimento di primo grado nelle controversie individuali di lavoro;

che il giudice a quo premette che la parte resistente nel giudizio di cui è investito ha eccepito l’illegittimità costituzionale, per violazione degli artt. 3 e 24 Cost., degli artt. 414, 415 e 416 cod. proc. civ. «nella parte in cui non contengono espressamente – contrariamente a quanto sancito per il rito ordinario dall’art. 163 c.p.c. – l’invito al convenuto/resistente a costituirsi nel termine di dieci giorni prima dell’udienza fissata, con l’avvertimento che la costituzione oltre il suddetto termine implica le decadenze di cui all’art. 416 c.p.c.»;

che, ciò premesso, il giudice a quo afferma di ritenere tali questioni «rilevant[i] nel caso di specie, posto che, non essendo stata edotta di quale fosse il termine ultimo entro il quale dover svolgere la propria attività difensiva, la parte resistente – coinvolta nella risoluzione di gravi problemi personali di cui v’è prova agli atti di causa – non si è tempestivamente rivolta ad un legale, decadendo dal diritto di articolare una compiuta ed adeguata difesa in fatto ed in diritto»;

che, quanto alla non manifesta infondatezza, il rimettente asserisce di ritenere che «ciò costituisca una mutilazione del diritto di difesa spettante a ciascun cittadino coinvolto in una causa di lavoro il quale deve essere reso edotto, al pari di quanto previsto nel rito ordinario, di quale sia il termine ultimo entro il quale poter svolgere le proprie difese»;

che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni sollevate siano dichiarate inammissibili o infondate;

che l’interveniente eccepisce anzitutto l’inammissibilità delle questioni;

che, in primo luogo, tutte quante le stesse sarebbero inammissibili per difetto di rilevanza;

che l’interveniente deduce in proposito che, poiché il giudice a quo si limita ad affermare che la parte resistente non ha potuto articolare «una compiuta ed adeguata difesa in fatto ed in diritto», senza spiegare «se ed in che misura tale circostanza abbia comportato […] un concreto pregiudizio in ordine alla conclusione della causa», sarebbe impossibile stabilire se l’accoglimento delle questioni «sia o meno suscettibile […], sotto il profilo considerato, di incidere concretamente nel […] giudizio»;

che, in secondo luogo, le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 415 e 416 cod. proc. civ. sarebbero inammissibili anche perché la Corte costituzionale, con la sentenza n. 347 del 1987 e con l’ordinanza n. 191 del 1999, avrebbe già dichiarato, rispettivamente, l’infondatezza e la manifesta infondatezza di questioni identiche, rispetto alle quali il «rimettente non prospetta profili di illegittimità nuovi od ulteriori»;

che, in terzo luogo, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 414 cod. proc. civ. sarebbero inammissibili anche perché, secondo quanto affermato dalla stessa ordinanza di rimessione, la parte resistente non si sarebbe tempestivamente rivolta a un avvocato a causa di «gravi problemi personali», sicché «emerge che altra e diversa è stata la causa dell’intempestiva costituzione in giudizio della parte, che nulla ha a che fare, quindi, con la mancata indicazione, nel ricorso, delle avvertenze di cui si discute»;

che le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 414 cod. proc. civ. sarebbero, comunque, non fondate;

che, quanto a quella sollevata in riferimento all’art. 3 Cost., l’interveniente deduce che, con l’ordinanza n. 191 del 1999, la Corte costituzionale avrebbe affermato che le caratteristiche strutturali e procedimentali che distinguono il rito ordinario da quello speciale del lavoro sarebbero «tali da non consentire l’istituzione di raffronti, nei quali sia ragionevole assumere il primo a modello di perfezione cui l’altro, pena l’incostituzionalità, sia tenuto ad adeguarsi, e viceversa», sicché, «stante la diversa struttura dei due procedimenti, non sussistono le condizioni per poter ritenere sussistente una violazione dell’art. 3 Cost.»;

che, quanto alla questione sollevata in riferimento all’art. 24 Cost., l’interveniente osserva che, diversamente dall’atto di citazione, che integra una vocatio in ius, il ricorso si sostanzia in una edictio actionis, dove è il giudice a fissare l’udienza di discussione e i termini per la notificazione del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza nonché per la costituzione del convenuto;

che la tutela del diritto di difesa sarebbe quindi qui «rimessa […] al magistrato, attraverso il suo provvedimento», sicché «[s]otto tale profilo è […] evidente che nessuna violazione dell’art. 24 Cost. può essere individuata»;

che il 7 gennaio 2019 il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato una memoria con la quale insiste nelle conclusioni già rassegnate nell’atto di intervento in giudizio;

che il Presidente del Consiglio dei ministri ribadisce anzitutto che l’ordinanza di rimessione non dà conto di quali siano né i «gravi problemi personali» che avrebbero impedito alla parte resistente di rivolgersi tempestivamente a un avvocato né le decadenze in cui la stessa parte sarebbe incorsa, sicché non vi sarebbe «prova, in atti, della rilevanza della questione sollevata»;

che lo stesso interveniente ribadisce, in secondo luogo, la non fondatezza delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 414, 415 e 416 cod. proc. civ.;

che, quanto a quella sollevata in riferimento all’art. 3 Cost., il Presidente del Consiglio dei ministri richiama gli argomenti già esposti nel proprio atto di intervento, citando, in proposito, la sentenza della Corte costituzionale n. 65 del 1980 e le ordinanze della stessa Corte n. 191 del 1999 e n. 104 del 1988;

che, quanto alla questione sollevata in riferimento all’art. 24 Cost., l’interveniente richiama la sentenza della Corte costituzionale n. 61 del 1980.

Considerato che il Tribunale ordinario di Napoli, in funzione di giudice del lavoro, dubita della legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, degli artt. 414, 415 e 416 del codice di procedura civile, i quali disciplinano, rispettivamente, la «[f]orma della domanda», il «[d]eposito del ricorso e [il] decreto di fissazione dell’udienza» e la «[c]ostituzione del convenuto» nel procedimento di primo grado nelle controversie individuali di lavoro;

che tali articoli sono censurati, in particolare, «nella parte in cui non contengono espressamente – contrariamente a quanto sancito per il rito ordinario dall’art. 163 c.p.c. – l’invito al convenuto/resistente a costituirsi nel termine di dieci giorni prima dell’udienza fissata, con l’avvertimento che la costituzione oltre il suddetto termine implica le decadenze di cui all’art. 416 c.p.c.»;

che, secondo il giudice rimettente, omettendo di prescrivere l’indicazione di tale invito e avvertimento al convenuto nelle controversie individuali di lavoro, i denunciati artt. 414, 415 e 416 cod. proc. civ. violerebbero gli artt. 3 e 24 Cost., in quanto «ciò costituisc[e] una mutilazione del diritto di difesa spettante a ciascun cittadino coinvolto in una causa di lavoro il quale deve essere reso edotto, al pari di quanto previsto nel rito ordinario, di quale sia il termine ultimo entro il quale poter svolgere le proprie difese»;

che le questioni sollevate dal Tribunale di Napoli, in funzione di giudice del lavoro, sono manifestamente inammissibili:

che, anzitutto, l’ordinanza di rimessione non contiene alcuna descrizione dei fatti oggetto del giudizio a quo;

che tale carenza, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, impedendo di verificare l’effettiva rilevanza delle questioni sollevate, è causa di manifesta inammissibilità delle stesse (ex plurimis, ordinanze n. 191, n. 85 e n. 64 del 2018);

che, in secondo luogo, è fondata l’eccezione di inammissibilità prospettata dal Presidente del Consiglio dei ministri sotto il profilo che, poiché il giudice a quo si limita ad affermare che la parte resistente non ha potuto articolare «una compiuta ed adeguata difesa in fatto ed in diritto», senza spiegare «se ed in che misura tale circostanza abbia comportato […] un concreto pregiudizio in ordine alla conclusione della causa», sarebbe impossibile stabilire se l’accoglimento delle questioni «sia o meno suscettibile […], sotto il profilo considerato, di incidere concretamente nel […] giudizio»;

che l’ordinanza di rimessione si limita in effetti ad affermare genericamente che, a causa della costituzione oltre i termini, la parte convenuta è «decad[uta] dal diritto di articolare una compiuta ed adeguata difesa in fatto ed in diritto», senza, tuttavia, indicare l’oggetto concreto della decadenza;

che tale indicazione era invece necessaria ai fini della verifica della rilevanza delle questioni sollevate, tanto più che la proposizione di «tutte le […] difese in fatto e in diritto» non è prevista dall’art. 416 cod. proc. civ tra le attività che il convenuto deve compiere con la memoria difensiva a pena di decadenza;

che le stesse questioni sono dunque sollevate in modo astratto, non essendo possibile, per questa Corte, verificare l’effettiva esistenza di un rapporto di strumentalità tra la risoluzione delle stesse e la decisione del giudizio a quo;

che le ulteriori eccezioni di inammissibilità prospettate dal Presidente del Consiglio dei ministri restano assorbite.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 1, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 414, 415 e 416 del codice di procedura civile sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Napoli, in funzione di giudice del lavoro, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Cosí deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 marzo 2019.

F.to:

Giorgio LATTANZI, Presidente

Silvana SCIARRA, Redattore

Filomena PERRONE, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 17 aprile 2019.