Sentenza n. 51 del 2019

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SENTENZA N. 51

ANNO 2019

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giorgio LATTANZI;

Giudici: Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 687, secondo periodo, e 688, secondo periodo, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015)», promossi dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Abruzzo, con tre ordinanze del 16 marzo 2018, iscritte rispettivamente ai numeri. 83, 84 e 120 del registro ordinanze 2018 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 23 e 37, prima serie speciale, dell’anno 2018.

Visti gli atti di costituzione del Comune di Teramo e della Società di gestione entrate e tributi (SOGET) spa, nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella udienza pubblica del 5 febbraio 2019 il Giudice relatore Luca Antonini;

uditi gli avvocati Cosima Cafforio per il Comune di Teramo e Alfonso Celotto per la SOGET spa.

Ritenuto in fatto

1.– Con tre ordinanze di analogo tenore del 16 marzo 2018 (r. o. numeri 83, 84 e 120 del 2018), la Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Abruzzo, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 687, secondo periodo, e 688, secondo periodo, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015)», in riferimento agli artt. 3, 24, 53, 81, 97, 103, 111 (questo in relazione all’«art. 6 CEDU come ripreso dall’art. 47 Carta UE») e 119, primo, secondo e quarto comma, della Costituzione.

La disciplina censurata, in sintesi, stabilisce: a) che il controllo delle comunicazioni di inesigibilità relative alle quote affidate agli agenti della riscossione dal 1° gennaio 2000 al 31 dicembre 2017 può essere avviato solo decorsi i termini previsti dal comma 684 del medesimo art. 1 della legge n. 190 del 2014, anche con riguardo alle comunicazioni presentate anteriormente alla data di entrata in vigore della citata legge, poiché integrabili entro i medesimi termini previsti per la loro presentazione; b) che le quote inesigibili, di valore inferiore o pari a 300 euro – con esclusione di quelle afferenti alle risorse proprie tradizionali di cui all’art. 2, paragrafo 1, lettera a), delle decisioni 2007/436/CE, Euratom del Consiglio, del 7 giugno 2007, e 2014/335/UE, Euratom del Consiglio, del 26 maggio 2014 – non sono assoggettate al controllo di cui all’art. 19 del decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112 (Riordino del servizio nazionale della riscossione, in attuazione della delega prevista dalla legge 28 settembre 1998, n. 337).

2.– La Sezione regionale per l’Abruzzo della Corte dei conti è stata chiamata a decidere tre distinti giudizi instaurati dalla Società di gestione entrate e tributi (SOGET) spa che, definendosi «agente della riscossione», ha impugnato, ai sensi dell’art. 20, comma 4, del d.lgs. n. 112 del 1999, i provvedimenti definitivi con cui l’«ente creditore» Comune di Teramo aveva rifiutato il discarico per inesigibilità di quote iscritte a ruolo ed affidate alla suddetta società per azioni.

Quanto alla rilevanza, i giudici rimettenti premettono, in punto di fatto, che: a) le controversie riguardano quote relative a «partite di somme iscritte a ruolo, a vario titolo», concernenti annualità dal 2000 al 2014 (relativamente al giudizio di cui al r. o. n. 83 del 2018) ovvero dal 2000 al 2008 (relativamente ai giudizi di cui al r. o. n. 84 e n. 120 del 2018), e comprendono anche quote di valore non superiore a 300 euro; b) alla tesi sostenuta nei tre giudizi principali dalla società ricorrente − secondo cui, nella specie, per le quote di valore superiore a 300 euro, l’ente creditore non avrebbe potuto, fino alla decorrenza dei termini previsti dal citato comma 684, avviare il controllo sulle comunicazioni di inesigibilità, concernenti i ruoli consegnati oggetto di causa, presentate prima dell’entrata in vigore della legge n. 190 del 2014 – aveva aderito il pubblico ministero, mentre aveva resistito il Comune di Teramo, costituitosi in detti giudizi.

2.1.– I giudici rimettenti premettono, in punto di diritto, che «[l]a normativa di riferimento è pacificamente rinvenibile nell’articolo 1 della legge 23 dicembre 2014 n. 190», per cui i termini previsti dal primo periodo del comma 684 dell’art. 1 della legge n. 190 del 2014 (richiamati dal secondo periodo del comma 687 dello stesso art. 1) e modificati in corso di causa dall’art. 1, comma 10-quinquies, del decreto-legge 16 ottobre 2017, n. 148 (Disposizioni urgenti in materia finanziaria e per esigenze indifferibili), convertito, con modificazioni, nella legge 4 dicembre 2017, n. 172, si applicano alle fattispecie oggetto delle cause a quibus. Ritengono, inoltre, non praticabile, data la chiarezza della lettera della legge, l’interpretazione costituzionalmente orientata delle disposizioni denunciate propugnata dal Comune di Teramo, secondo il quale, il differimento del termine ultimo per la presentazione della domanda di discarico non impedirebbe all’ente creditore di esercitare il controllo sull’attività del concessionario e l’esclusione delle quote fino a 300 euro dall’assoggettamento al controllo sarebbe esclusivamente funzionale a esentare da responsabilità amministrativa e contabile l’ente creditore che non lo esercitasse.

3.– Quanto alla non manifesta infondatezza, i giudici a quibus svolgono considerazioni articolate, richiamando, con funzione di premessa argomentativa alle censure di legittimità, alcuni passaggi della deliberazione della Corte dei conti, sezione centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato, 20 ottobre 2016, n. 11/2016/G, secondo la quale «l’esistenza di una consistente mole di arretrati ha indotto a disporre ripetutamente il differimento dei termini di presentazione delle comunicazioni, rimodulando, in parallelo, quelli per il controllo da parte degli enti creditori», per cui si è «determinata una lievitazione negli anni delle quote inesigibili, con una conseguente imponente stratificazione delle partite creditorie da trattare (per gli agenti della riscossione) e da controllare (per gli enti impositori)», al punto che «considerata la massa e la vetustà delle quote inesigibili accumulatesi nel tempo, non solo la possibilità di riscossione delle partite più risalenti è assolutamente modesta, ma è anche improbabile un controllo effettivo delle procedure poste in essere dall’agente della riscossione da parte degli uffici degli enti impositori».

I giudici rimettenti osservano quindi che, con le citate disposizioni dell’art. 1 della legge n. 190 del 2014, «il legislatore sembra aver abdicato, per i prossimi anni, alla tempestiva vigilanza sull’andamento delle riscossioni di crediti risalenti nel tempo» e conseguentemente ritengono che le norme sopra denunciate violerebbero l’art. 3 Cost., in relazione al principio di ragionevolezza. Ciò in quanto, da un lato, nel regolare la procedura di discarico per inesigibilità dei crediti (sia nella fase amministrativa del procedimento che in quella successiva giurisdizionale) esse prevedono (con l’art. 1, comma 687, secondo periodo) un periodo di sospensione della definizione dei rapporti tra ente creditore e agente della riscossione di durata oggettivamente abnorme (tale da sfiorare i quaranta anni, per i ruoli del 2000, e i venti anni, per i ruoli del 2008), rendendo l’agente della riscossione non interessato a presentare la comunicazione di inesigibilità. Dall’altro, sottraggono al controllo dell’ente creditore le quote affidate di valore unitario non superiore a 300 euro (art. 1, comma 688, secondo periodo), anche nelle ipotesi in cui tali quote abbiano un ingente valore cumulativo, impedendo così all’ente creditore ogni sindacato sull’operato del proprio agente.

I giudici rimettenti ritengono, altresì, che le suddette disposizioni della legge n. 190 del 2014 si pongano in contrasto con gli artt. 24 e 103 Cost., perché impedirebbero di fatto, per un tempo incongruamente lungo, di accedere alla tutela giurisdizionale dinanzi al giudice contabile per definire la posizione patrimoniale dell’ente creditore e, per le quote di valore unitario fino a 300 euro, addirittura precluderebbero in via definitiva e non solo temporanea la possibilità di accesso a detta tutela.

Rispetto poi agli artt. 111 Cost. e «6 CEDU come ripreso dall’art. 47 Carta UE», i rimettenti ne assumono la lesione perché la disciplina censurata, posticipando di venti o quaranta anni l’eventuale processo davanti al giudice contabile, non garantirebbe l’effettività della tutela giurisdizionale.

Essi ritengono, inoltre, che le due menzionate disposizioni violerebbero sia l’art. 81 Cost., in quanto il rinvio «ad un momento futuro eccessivamente lontano» dell’accertamento dell’effettiva riscuotibilità di un credito contrasterebbe con il perseguimento degli equilibri di finanza pubblica, sia l’art. 97 Cost., perché rappresenterebbero «un ostacolo a che l’organizzazione pubblica possa bene organizzarsi per assicurare una sana gestione finanziaria».

Quanto all’art. 53 Cost., i giudici a quibus affermano che la disciplina censurata, disponendo la sospensione per lungo tempo dei controlli dell’attività di riscossione ovvero addirittura la loro esclusione (per le quote di valore unitario fino a 300 euro), contrasterebbe con il principio di effettività della capacità contributiva, perché consentirebbe che l’attività di riscossione si svolga in condizioni di non effettiva parità nei confronti di tutti i contribuenti, tollerando situazioni di sottrazione all’obbligo di contribuzione.

Infine, i giudici rimettenti denunciano la lesione dell’art. 119, primo, secondo e quarto comma, Cost., in quanto l’applicazione delle due disposizioni impedirebbe all’ente locale creditore di avere conoscenza delle risorse finanziarie effettivamente disponibili.

4.– In ciascuno dei tre giudizi di legittimità costituzionale si è costituito il Comune di Teramo, ente creditore, ribadendo, in via principale, l’interpretazione costituzionalmente orientata delle disposizioni denunciate disattesa dai rimettenti e chiedendo, in via subordinata, l’accoglimento delle questioni.

5.– La SOGET spa si è costituita nei soli giudizi promossi dalle ordinanze r. o. n. 83 e n. 84 del 2018, chiedendo il rigetto delle questioni, in quanto: a) i nuovi termini di integrazione delle comunicazioni di inesigibilità di cui al comma 687 dell’art. 1 della legge n. 190 del 2014 non violerebbero gli artt. 53, 81 e 97 Cost., essendo diretti a favorire le entrate pubbliche e non il soggetto privato preposto alla riscossione, come sarebbe riconosciuto anche dalla «Nota di lettura sulle norme di interesse dei Comuni» relativa alla legge n. 190 del 2014, redatta dall’ufficio legislativo dell’Associazione nazionale Comuni italiani (ANCI); b) l’inibizione dei controlli sulle quote fino a 300 euro comporterebbe il benefico effetto di consentire l’intensificazione dei controlli per le quote di importo maggiore (come sarebbe precisato anche dall’«Atto di Sindacato ispettivo» del Senato della Repubblica n. 1-00413, pubblicato il 5 maggio 2015 nella seduta n. 442); c) la disciplina denunciata costituirebbe il risultato di una ragionevole ponderazione di valori costituzionalmente rilevanti, effettuata nell’àmbito della discrezionalità riservata al legislatore.

6.– Nei medesimi due giudizi è intervenuta l’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che venga dichiarata l’inammissibilità per difetto di rilevanza e, in subordine, l’infondatezza delle questioni.

7.– Le parti hanno presentato memorie argomentando a sostegno della rilevanza della questione e, nel merito, limitandosi ad insistere per l’accoglimento delle già rese conclusioni.

In particolare la SOGET spa, riepilogata l’evoluzione normativa relativa all’attività dei concessionari nazionali della riscossione fino all’entrata in vigore dell’art. 3, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203 (Misure di contrasto all’evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria) convertito, con modificazioni, nella legge 2 dicembre 2005, n. 248, precisa che: a) «[l]’attuale Soget s.p.a. Società Gestione Entrate e Tributi (P. IVA 01807790686) è, appunto, la società soggetto terzo al quale SO.G.E.T. Società per la Gestione dell’esazione dei Tributi s.p.a. (P. IVA 00274230945) cedeva le attività svolte in concessione»; b) dallo stesso art. 3, comma 24, del d.l. n. 203 del 2005 si desumerebbe che, per i ruoli consegnati fino alla data del trasferimento, il rapporto con l’ente locale è regolato dal d.lgs. n. 112 del 1999, «[p]ertanto, anche qualora si dovesse ritenere che la Soget non sia qualificabile alla stregua di “agente della riscossione”, ciò nonostante la disciplina oggi in esame sarebbe applicabile per esplicito rinvio».

8.­– Con atto depositato il 16 gennaio 2019, l’Avvocatura generale dello Stato ha rinunciato agli interventi, «stante la mancanza della relativa determinazione da parte del Presidente del Consiglio» dei ministri precisando che «il Presidente del Consiglio ha comunicato la sua decisione di non intervenire nel giudizio di costituzionalità».

Considerato in diritto

1.– La Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Abruzzo, con tre ordinanze di analogo tenore dubita della legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 687, secondo periodo, e 688, secondo periodo, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015)», in riferimento agli artt. 3, 24, 53, 81, 97, 103, 111 (questo in relazione all’art. «6 CEDU come ripreso dall’art. 47 Carta UE») e 119, primo, secondo e quarto comma, della Costituzione.

Tali ordinanze sono state emesse nel corso di tre distinti giudizi promossi dalla società di riscossione Società di gestione entrate e tributi (SOGET) spa nei confronti dell’ente creditore Comune di Teramo avverso i provvedimenti con cui quest’ultimo aveva rifiutato il discarico per inesigibilità delle quote affidate per la riscossione.

Ad avviso dei rimettenti le questioni «rivestono, all’evidenza, carattere di pregiudizialità logica e giuridica rispetto all’esame di merito sull’effettiva inesigibilità delle singole quote e sulle relative cause» poiché «[l]a normativa di riferimento è pacificamente rinvenibile nell’articolo 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190 […] in particolare ai commi 684 e seguenti […]».

In ordine alla non manifesta infondatezza, i giudici a quibus motivano in modo unitario rispetto a entrambe le disposizioni, che vengono censurate nella parte in cui non si limitano a prorogare il termine per la presentazione o l’integrazione delle comunicazioni di inesigibilità dei crediti affidati agli agenti della riscossione dal 1° gennaio 2000 al 31 dicembre 2017, ma prevedono anche: «a) l’impossibilità, per l’ente creditore, di esercitare il controllo sulle quote iscritte a ruolo fino alla scadenza dei termini in parola (rinviando, così, l’azione di controllo fino al biennio 2038/2039 per i ruoli del 2000); b) in ogni caso, il divieto di sottoporre a controllo le quote di valore inferiore o pari a 300 euro».

In particolare, i rimettenti, con riferimento all’art. 3 Cost., lamentano l’irragionevolezza sia della previsione di un periodo di sospensione della definizione dei rapporti tra ente creditore e agente della riscossione di durata oggettivamente abnorme, sia della sottrazione al controllo dell’ente creditore delle quote affidate di valore unitario non superiore a 300 euro (anche nelle ipotesi in cui tali quote abbiano un ingente valore cumulativo).

Essi lamentano inoltre che tale disciplina, in contrasto con gli artt. 24 e 103 Cost., impedirebbe di fatto, per un tempo incongruamente lungo, di accedere alla tutela giurisdizionale dinanzi al giudice contabile e addirittura, per le quote di valore unitario fino a 300 euro, precluderebbe in via definitiva e non solo temporanea la possibilità di accesso a detta tutela.

Rispetto poi all’art. 111 Cost., in relazione all’art. «6 CEDU come ripreso dall’art. 47 Carta UE», gli stessi rimettenti ne assumono la lesione perché la predetta disciplina, posticipando di venti o quaranta anni l’eventuale processo davanti al giudice contabile, non garantirebbe l’effettività della tutela giurisdizionale.

I rimettenti ritengono, ancora, che la disciplina censurata, nel rinviare «ad un momento futuro eccessivamente lontano» l’accertamento dell’effettiva riscuotibilità di un credito, ostacolerebbe – in violazione degli artt. 81 e 97 Cost. – sia il perseguimento degli equilibri di finanza pubblica, sia il buon andamento dell’organizzazione dei pubblici uffici, in quanto impedirebbe all’ente locale creditore di avere conoscenza delle risorse finanziarie effettivamente disponibili.

Infine, essi lamentano che la sospensione per un tempo così lungo dei controlli sull’attività di riscossione, ovvero addirittura la loro esclusione (per le quote di valore unitario fino a 300 euro), contrasterebbe con il principio di effettività della capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost., poiché tale attività verrebbe a essere svolta in condizioni di non effettiva parità nei confronti di tutti i contribuenti, sostanzialmente tollerando situazioni di sottrazione all’obbligo di contribuzione.

2.– Preliminarmente va rilevato che le suddette questioni sono sollevate in tre diversi giudizi vertenti tra le medesime parti e in relazione a disposizioni coincidenti. I giudizi di legittimità costituzionale sono perciò tra loro connessi e vanno riuniti per essere congiuntamente trattati e decisi.

3.– Va poi precisato che, nelle more del presente giudizio, i termini di cui al comma 684 dell’art. 1 della legge n. 190 del 2014 sono stati ulteriormente prorogati dall’art. 3, comma 20, del decreto-legge 23 ottobre 2018, n. 119 (Disposizioni urgenti in materia fiscale e finanziaria), convertito, con modificazioni, nella legge 17 dicembre 2018, n. 136.

Tuttavia, tale normativa sopravvenuta non ha intaccato il meccanismo contestato dai rimettenti, in quanto ne ha meramente disposto l’ulteriore proroga, non apportando modifiche sostanziali, sicché non mutano i termini delle censure.

Tanto basta per escludere la necessità di restituire gli atti ai giudici a quibus perché valutino se permanga la rilevanza delle questioni (ex multis, sentenza n. 194 del 2018).

4.– Le suddette questioni sono inammissibili, poiché i rimettenti muovono da un erroneo presupposto interpretativo sui soggetti destinatari della normativa in questione.

Nelle ordinanze, infatti, si attribuisce alla SOGET spa la qualità di agente della riscossione del Comune di Teramo, laddove risulta dagli stessi atti dei giudizi, anche di costituzionalità, che tale società è, invece, una cessionaria del ramo di azienda relativo alle attività svolte in regime di concessione per conto degli enti locali; essa pertanto non può annoverarsi tra gli «agenti della riscossione», cui unicamente il legislatore ha inteso riferire la disciplina censurata.

4.1 – Ciò trova conferma in argomenti sistematici che emergono ripercorrendo l’evoluzione normativa, all’interno della quale l’originaria formulazione del comma 28 dell’art. 3 del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203 (Misure di contrasto all’evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito, con modificazioni, nella legge 2 dicembre 2005, n. 248, disponeva che «[a] decorrere dal 1° ottobre 2006», data di soppressione del sistema di affidamento in concessione del servizio nazionale della riscossione, «i riferimenti contenuti in norme vigenti ai concessionari del servizio nazionale della riscossione si intendono riferiti alla Riscossione S.p.a. ed alle società dalla stessa partecipate […]».

Tale formulazione, dettata allo scopo di attuare un coordinamento normativo tra la disciplina previgente applicabile ai concessionari nazionali della riscossione e quella relativa ai nuovi soggetti, ha consentito di applicare, dal 1° ottobre 2006, alla «Riscossione S.p.a. ed alle società dalla stessa partecipate […]» tutti i riferimenti normativi delle previgenti disposizioni relativi ai concessionari nazionali della riscossione.

Successivamente, l’art. 2, comma 12, del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262 (Disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito, con modificazioni, nella legge 24 novembre 2006, n. 286, ha aggiunto al menzionato comma 28 dell’art. 3 l’inciso «complessivamente denominate agenti della riscossione».

Appare chiaro che l’aggiunta di tale segmento normativo ha una funzione distinta e autonoma rispetto all’effetto prodotto dalla precedente previsione: a) la formulazione originaria è diretta a consentire l’applicazione della disciplina previgente (riferita ai concessionari nazionali della riscossione) ai nuovi soggetti introdotti dalla riforma del d.l. n. 203 del 2005; b) il segmento introdotto con il d.l. n. 262 del 2006 designa con una denominazione unitaria il complesso panorama che emergeva all’esito della riforma di cui al citato d.l. n. 203 del 2005. In altri termini, tale segmento ha la finalità di consentire una formula sintetica: la «Riscossione S.p.a. e le società dalla stessa partecipate […]» sono complessivamente denominate agenti della riscossione. Il femminile usato dal legislatore rende inequivoco che la denominazione non si estende in modo biunivoco ai vecchi concessionari nazionali o, per traslato, ai soggetti che da essi siano eventualmente scaturiti (come le società cosiddette “scorporate”, cioè le società private beneficiarie del ramo di azienda relativo alle attività concernenti i tributi locali e altre entrate di enti locali, ceduto dai concessionari nazionali ai sensi dell’art. 3, comma 24, primo periodo, del d.l. n. 203 del 2005, come convertito nella legge n. 248 del 2005).

4.2.– La distinta considerazione da parte del legislatore dei vari soggetti (Riscossione spa, società da essa partecipate e società “scorporate”) trova testuale conferma in altri contesti normativi: fin dalla disciplina originaria, in quello del comma 25-bis del medesimo art. 3 del d.l. n. 203 del 2005, che appunto li menziona partitamente in relazione alle procedure di affidamento; più recentemente, nell’attuale formulazione dell’art. 4, comma 1, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), sulla competenza per territorio delle commissioni tributarie, dove nell’elencazione si distingue tra agenti della riscossione e soggetti che privatamente operano la riscossione delle entrate.

4.3.– Ulteriori argomenti confermano tale conclusione.

Nell’evoluzione complessiva dell’ordinamento della riscossione, infatti, all’interno del regime di proroghe dei termini di presentazione delle comunicazioni di inesigibilità, che è seguito al superamento del principio del non riscosso per riscosso (in virtù del quale i concessionari nazionali della riscossione anticipavano le somme iscritte a ruolo, salvo il rimborso delle quote inesigibili), si distinguono proroghe “generiche”, in quanto riguardanti tutti i concessionari della riscossione, e proroghe “specifiche” che hanno invece riguardato solo i soggetti “pubblici” della riscossione (cioè i soggetti a partecipazione pubblica ai sensi del comma 7 dell’art. 3 del d.l. n. 203 del 2005).

4.3.1.– Le proroghe “generiche” hanno iniziato a manifestarsi con la previsione dell’art. 3, comma 1, lettera l), del decreto legislativo 27 aprile 2001, n. 193 (Disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi 26 febbraio 1999, n. 46, e 13 aprile 1999, n. 112, in materia di riordino della disciplina relativa alla riscossione), che, modificando l’art. 59 del decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112 (Riordino del servizio nazionale della riscossione, in attuazione della delega prevista dalla legge 28 settembre 1998, n. 337), relativo alla disciplina delle procedure in corso a seguito del superamento del principio del non riscosso per riscosso, ha introdotto i commi 4-bis e 4-ter, stabilendo al 1° ottobre 2004 il termine per la presentazione delle comunicazioni di inesigibilità dei concessionari nazionali della riscossione relativamente ai ruoli resi esecutivi prima del 30 settembre 1999.

Successivamente sono intervenuti ulteriori provvedimenti di proroga relativi ai ruoli consegnati fino al 30 giugno 2003 e, infine, l’art. 3, comma 36, lettera d), numero 3), del d.l. n. 203 del 2005 ha stabilito, modificando ulteriormente l’art. 59 del d.lgs. n. 112 del 1999, che, per detti ruoli, la scadenza del termine per il discarico automatico si determina nella data del 1° luglio 2009. Invece, i ruoli consegnati dal 1° luglio 2003 fino alla data dell’eventuale trasferimento del ramo di azienda effettuato alle società “scorporate” entro il 1° ottobre 2006, sono rimasti assoggettati alla disciplina ordinaria degli artt. 19 e 20 del d.lgs. n. 112 del 1999, in forza del comma 24, lettera b), dell’art. 3 del d.l. n. 203 del 2005, come convertito nella legge n. 248 del 2005. In base a tale disposizione, inoltre, dalla data del trasferimento del ramo di azienda, alle società cessionarie (“scorporate”) è stato precluso di procedere alla riscossione coattiva delle entrate degli enti locali utilizzando il ruolo, potendo operare solo mediante ingiunzione fiscale (cioè «con la procedura indicata dal regio decreto 14 aprile 1910, n. 639»).

Il citato comma 36, lettera d), dell’art. 3 del d.l. n. 203 del 2005 ha rappresentato, quindi, l’ultima proroga “generica”, ovverosia applicabile anche ai concessionari nazionali della riscossione.

4.3.2.– Proprio contestualmente, tuttavia, si è assistito alla nascita di un secondo e parallelo regime di proroghe “specifiche”, in quanto relative ai termini di presentazione delle sole comunicazioni di inesigibilità, che sarebbero altrimenti venute a scadenza, riguardanti i ruoli consegnati dai vecchi concessionari nazionali alle società partecipate dalla Riscossione spa (poi Gruppo Equitalia e, quindi, Agenzia delle entrate-Riscossione), che agli stessi sono subentrate ex lege in mancanza di una diversa determinazione degli enti creditori o di una società “scorporata” (art. 3, comma 25, del d.l. n. 203 del 2005).

Si tratta di uno specifico regime di proroghe, dettato da un evidente favor per i soggetti “pubblici” della riscossione, che ha preso avvio con il comma 12 dell’art. 3 del piú volte citato d.l. n. 203 del 2005, trovando puntuale giustificazione nell’esigenza di tutelare il patrimonio pubblico in conseguenza, peraltro, dell’acquisizione delle società impegnate nella riscossione di entrate locali anche di dubbia e difficile esigibilità. Si è voluto, infatti, evitare che le ben note disfunzioni nell’attività di riscossione risalenti alle gestioni private, rivelatesi spesso inadeguate se non fallimentari, si riverberassero meccanicamente a carico del pubblico erario. Tale esigenza non poteva estendersi anche a quelle imprese private che, liberamente, avessero inteso assumere l’attività di riscossione soggetta a rischio, salvo poi concentrarla in capo ai soggetti costituiti con lo “scorporo” di propri rami d’azienda (in termini analoghi, Corte dei conti, sezione terza giurisdizionale centrale di appello, sentenza 20 dicembre 2016, n. 661).

È, quindi, evidente la diversità di ratio che ha animato i distinti processi di discarico per inesigibilità delle quote iscritte a ruolo: mentre l’ultima proroga “generica” delle comunicazione di inesigibilità di cui all’art. 59 del d.lgs. n. 112 del 1999 è una misura ordinaria che tiene conto della continuità della gestione dell’attività da parte di soggetti direttamente consegnatari dei ruoli, invece la proroga di cui al citato comma 12 dell’art. 3 del d.l. n. 203 del 2005 è una misura straordinaria, assunta nel contesto di una riforma che ha posto al centro la nascita di un nuovo soggetto e che ha tenuto conto del passaggio di tutti i ruoli alle società partecipate da Riscossione spa, poi Gruppo Equitalia (salvo quelli delle società “scorporate”, ai sensi del comma 24, lettera b), dell’art. 3 del d.l. n. 203 del 2005, che appunto restano in capo a esse).

Risulta chiaro il rapporto di genere a specie tra i due commi del citato art. 3 del d.l. n. 203 del 2005: il comma 12, infatti, è riferito esclusivamente alle società partecipate da Riscossione spa (poi Gruppo Equitalia), come peraltro è stato in seguito confermato, in maniera definitiva, con norma di interpretazione autentica, dall’art. 36, comma 4-quinquies, del decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni urgenti in materia finanziaria), convertito, con modificazioni, nella legge 28 febbraio 2008, n. 31.

4.3.3.– I termini previsti dal citato comma 12 sono stati nel tempo oggetto di continue proroghe, ma senza alcuna soluzione di continuità, e dalla versione originaria, nella quale le comunicazioni di inesigibilità dovevano essere presentate entro il 31 ottobre 2008, si è giunti all’ultima versione, nella quale le medesime comunicazioni dovevano essere presentate entro il 31 dicembre 2014, in forza della modifica introdotta dall’art. 1, comma 530, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2013)».

A ridosso della scadenza del 31 dicembre 2014 il legislatore è quindi intervenuto con la normativa di cui all’art. 1, commi da 682 a 689, della legge n. 190 del 2014, introducendo, per il controllo nel tempo delle quote dichiarate inesigibili, un nuovo meccanismo, definito “scalare inverso”, che, se da un lato è innovativo rispetto al sistema delle precedenti proroghe, dall’altro, è intrinsecamente finalizzato alla soluzione della specifica situazione determinata proprio dalla concatenazione delle proroghe e dall’accumularsi di una ingente quantità di arretrati e di un’imponente stratificazione delle partite creditorie da trattare (come conferma la deliberazione della Corte dei conti, sezione centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato, 20 ottobre 2016, n. 11/2016/G, richiamata dai giudici rimettenti).

In altre parole, la scadenza contemporanea di tutte le comunicazioni di debito/credito tra agenti della riscossione e enti creditori ha giustificato un intervento innovativo e straordinario del legislatore, che ha previsto in un’unica riforma, inscindibile nei suoi aspetti: a) la parziale revisione della disciplina delle comunicazioni di inesigibilità e del relativo controllo (artt. 19 e 20 del d.lgs. n. 112 del 1999), con applicazione retroattiva della nuova disciplina alle quote affidate agli agenti della riscossione dal 2000 (comma 688); b) lo scaglionamento in ordine cronologico, inverso a quello dell’affidamento in carico, dei termini di presentazione e controllo delle comunicazioni di inesigibilità (comma 684); c) l’allineamento a queste nuove regole di tutti i rapporti in essere, a tal fine prevedendone l’applicazione anche alle comunicazioni già presentate per le quali è stata prevista l’integrazione (comma 687); d) la diluizione, per un periodo pressoché corrispondente al cronoprogramma, dell’anticipazione – con onere a carico del bilancio dello Stato – del rimborso a favore degli agenti della riscossione, delle spese maturate negli anni 2000 - 2013 per le procedure cautelari ed esecutive esperite per tentare il recupero dei medesimi crediti (comma 685); e) la sottrazione al controllo delle comunicazioni di importo pari o inferiore a 300 euro (comma 688); f) la previsione ex lege (fino alla medesima scadenza del cronoprogramma di cui al comma 684) della legittimazione dell’agente della riscossione a effettuare la riscossione delle somme iscritte a ruolo «anche per le quote relative ai soggetti creditori che hanno cessato o cessano di avvalersi delle società del Gruppo Equitalia» (comma 686).

4.3.4.– Il presupposto interpretativo da cui muovono i giudici rimettenti è quindi errato, poiché una disciplina di straordinaria eccezionalità come quella introdotta con l’art. 1, commi da 682 a 689, della legge n. 190 del 2014 può trovare applicazione, nell’àmbito della stessa complessiva ratio legis desumibile dalla riforma sopra ricordata, solo relativamente a quelle fattispecie ricomprese nelle proroghe “specifiche” disposte dal comma 12 dell’art. 3 del d.l. n. 203 del 2005, per le quali i termini risultavano ancora pendenti alla data di entrata in vigore della riforma e, quindi, non può applicarsi alle società private “scorporate”.

Appare evidente, infatti, che la riforma è stata introdotta nell’intento di rispondere a particolari ed eccezionali esigenze derivanti esclusivamente dall’istituzione di agenti “pubblici” della riscossione, con conseguente irragionevolezza di una interpretazione che, a dispetto del tenore letterale, la estendesse alle suddette società private “scorporate”.

In particolare, da un lato, va sottolineato che, come già accennato, alla data di entrata in vigore della censurata disciplina, i termini per la presentazione delle comunicazioni di inesigibilità da parte della società private “scorporate”, in relazione ai ruoli a queste consegnati dall’ente creditore, erano rimasti fissati dall’ultima proroga “generica” (secondo quanto precisato supra, al punto 4.3.1. di questo Considerato in diritto). L’estensione del nuovo meccanismo “scalare inverso” anche alle società private “scorporate” sortirebbe, perciò, l’inammissibile effetto di riaprire termini ormai scaduti da molti anni (fattispecie che non si verifica per i ruoli affidati ai soggetti del sistema “pubblico” della riscossione), prorogando in un futuro abnormemente lontano i termini per il controllo da parte degli enti creditori.

Dall’altro, va ribadito che la nuova disciplina trova specifica ragione nell’ingresso, disposto a suo tempo ex lege, dei soggetti “pubblici” nell’attività di riscossione degli enti territoriali, chiamati anche a supplire, più o meno obtorto collo, alle disfunzioni nell’attività di riscossione risalenti alle precedenti gestioni private. Risulterebbe, pertanto, senz’altro irragionevole l’estensione di tale disciplina a quelle imprese private che (come detto, non facendo parte del sistema “pubblico” della riscossione) a suo tempo liberamente avevano assunto l’attività di riscossione, concentrata poi nelle società scorporate.

4.4.– In conclusione, le disposizioni censurate, data la loro ratio e la loro formulazione letterale (in quanto fanno espresso riferimento agli «agenti della riscossione» e riguardano solo i ruoli da questi assunti in carico), sono riferibili esclusivamente a determinate società di riscossione a partecipazione pubblica.

Le stesse disposizioni non sono, quindi, applicabili a società come SOGET spa, società privata di riscossione, nata a seguito dello “scorporo” del ramo di azienda da parte di un concessionario nazionale della riscossione. I giudizi di impugnazione instaurati da SOGET spa avverso i provvedimenti con cui il Comune di Teramo ha rifiutato il discarico per inesigibilità sono pertanto regolati a norma dell’art. 3, comma 24, lettera b), del d.l. n. 203 del 2005, come convertito nella legge n. 248 del 2005 (riguardando «ruoli consegnati fino alla data del trasferimento» del ramo d’azienda effettuato dal concessionario nazionale), non dalla normativa censurata ma dalla disciplina ordinariamente prevista negli artt. 19 e 20 del d.lgs. n. 112 del 1999, salva, in quanto ancora applicabile ratione temporis, la deroga disposta dall’art. 59, commi 4-quater e 4-quinquies, del medesimo decreto.

Ne consegue l’inammissibilità, per difetto di rilevanza, delle questioni prospettate, non dovendo i rimettenti fare applicazione, neppure indirettamente, delle norme censurate (ex plurimis, per casi simili, sentenze n. 22 del 2017, n. 257 del 2010 e n. 46 del 2010, ordinanze n. 259, n. 92 e n. 36 del 2016, e n. 23 del 2004), che impongono un lungo differimento temporale per l’esercizio del potere di controllo degli enti creditori sulle quote di cui i soggetti “pubblici” sono affidatari per la riscossione.

Resta fermo che una riscossione ordinata e tempestivamente controllabile delle entrate è elemento indefettibile di una corretta elaborazione e gestione del bilancio, inteso come «bene pubblico» funzionale «alla valorizzazione della democrazia rappresentativa» (sentenza n. 184 del 2016; nello stesso senso, sentenze n. 247 e n. 80 del 2017), mentre meccanismi comportanti una «lunghissima dilazione temporale» (sentenza n. 18 del 2019) sono difficilmente compatibili con la sua fisiologica dinamica. In tale prospettiva deve essere sottolineata l’esigenza che per i crediti di minore dimensione il legislatore predisponga sistemi di riscossione più efficaci, proporzionati e tempestivi di quelli fin qui adottati.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 687, secondo periodo, e 688, secondo periodo, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015)», sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24, 53, 81, 97, 103, 111 e 119, primo, secondo e quarto comma, della Costituzione, dalla Corte dei conti - sezione giurisdizionale per la Regione Abruzzo, con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 febbraio 2019.

F.to:

Giorgio LATTANZI, Presidente

Luca ANTONINI, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 15 marzo 2019.