Ordinanza n. 39 del 2019

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ORDINANZA N. 39

ANNO 2019

 

Commento alla decisione di

 

Pierdomenico Logroscino, La Corte costituzionale ancora sulla ‘impossibile’ legittimazione del singolo cittadino al conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato per g.c. di Federalismi.it

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Presidente: Giorgio LATTANZI;

Giudici: Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della sentenza della Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per la Lombardia, 7 gennaio 2002, n. 5/2002/M, della sentenza della Corte dei conti, sezione seconda giurisdizionale centrale, 13 giugno 2005, n. 199/2005/A, dell’ordinanza della Corte di cassazione, sezioni unite civili, 20 dicembre 2007, n. 26818, dell’ordinanza della Corte di cassazione, sezioni unite civili, 18 aprile 2013, n. 9406, e della sentenza della Corte di cassazione, sezioni unite civili, 9 novembre 2016, n. 22718, promosso da Gerardo Silvestri con ricorso depositato in cancelleria il 12 luglio 2018 ed iscritto al n. 7 del registro conflitti tra poteri 2018, fase di ammissibilità.

Udito nella camera di consiglio del 23 gennaio 2019 il Giudice relatore Luca Antonini.

Ritenuto che, con ricorso depositato in data 12 luglio 2018, Gerardo Silvestri ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, ai sensi dell’art. 134 della Costituzione, nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro dell’economia e delle finanze (Comando generale della Guardia di finanza) in relazione alla sentenza della Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per la Lombardia, 7 gennaio 2002, n. 5/2002/M, alla sentenza della Corte dei conti, sezione seconda giurisdizionale centrale, 13 giugno 2005, n. 199/2005/A, alla ordinanza della Corte di cassazione, sezioni unite civili, 20 dicembre 2007, n. 26818, alla ordinanza della Corte di cassazione, sezioni unite civili, 18 aprile 2013, n. 9406, e alla sentenza della Corte di cassazione, sezioni unite civili, 9 novembre 2016, n. 22718;

che il ricorrente premette di avere prestato servizio nel Corpo della Guardia di finanza dal 1953 al 1975, anno in cui è stato assunto dall’amministrazione periferica delle dogane e delle imposte indirette, alle cui dipendenze è poi rimasto fino al 1986;

che nel trattamento pensionistico riconosciutogli dalla Guardia di finanza non erano state comprese né la tredicesima mensilità né l’indennità integrativa speciale, in forza del divieto di cumulo allora previsto per il pensionato statale riassunto dallo Stato o da altro ente pubblico, rispettivamente dall’art. 97, primo comma, e dall’art. 99, quinto comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato);

che la domanda giurisdizionale presentata per sentire accertato il diritto a tali somme era stata rigettata con sentenza della Corte dei conti, sezione quarta, 18 luglio 1984, n. 64587, la quale aveva anche ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale delle predette norme, eccepita dal ricorrente (a quella data non era prevista la possibilità di appellare le sentenze di tale giudice in materia pensionistica);

che, successivamente, erano intervenute le sentenze n. 566 del 1989 e n. 232 del 1992 con cui questa Corte ha dichiarato la illegittimità costituzionale, con la prima sentenza, dell’art. 99, quinto comma, e, con la seconda, dell’art. 97, primo comma, del d.P.R. n. 1092 del 1973, «nella parte in cui non determina la misura della retribuzione, oltre la quale non compete la tredicesima mensilità»;

che il ricorrente aveva, quindi, chiesto la revocazione della sentenza emessa nei suoi confronti dalla Corte dei conti nel 1984, ma il ricorso era stato dichiarato inammissibile, non ricorrendo un errore di fatto;

che, con un successivo ricorso, Gerardo Silvestri aveva ripresentato la domanda di accertamento della spettanza in suo favore della tredicesima mensilità e della indennità integrativa ritenendo che su di essa i giudici precedentemente aditi non si fossero pronunciati;

che la Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per la Lombardia, con sentenza n. 5 del 2002/M, aveva dichiarato inammissibile detto nuovo ricorso affermando che sulla questione si era formato il giudicato sostanziale con la sentenza n. 64587 del 1984 e considerando esaurito il relativo rapporto giuridico;

che, ad avviso del ricorrente, tale pronuncia avrebbe illegittimamente omesso di considerare gli effetti delle sentenze di illegittimità costituzionale pronunciate da questa Corte e il fatto che, alla data di pubblicazione delle stesse, non erano ancora decorsi i termini di prescrizione o di decadenza dei diritti azionati dal ricorrente medesimo;

che, pertanto, il potere giudiziario non avrebbe applicato al suo caso gli «effetti di un riconosciuto vizio di legittimità costituzionale», determinando così «un tipico caso di conflitto fra poteri dello Stato»;

che il ricorrente richiama ulteriori provvedimenti giurisdizionali emessi nell’ambito della medesima vicenda giudiziaria e, in particolare: la sentenza della Corte dei conti, seconda sezione giurisdizionale centrale, n. 199 del 2005/A, con la quale è stato rigettato l’appello avverso la citata sentenza n. 5 del 2002; l’ordinanza della Corte di Cassazione, sezioni unite civili, n. 26818 del 2007, con la quale è stato dichiarato inammissibile il ricorso ai sensi dell’art. 111 Cost. avverso la citata sentenza n. 199 del 2005; l’ordinanza della Corte di Cassazione, sezioni unite civili, n. 9406 del 2013, con la quale è stato dichiarato inammissibile il ricorso ai sensi dell’art. 111 Cost. avverso la sentenza della Corte dei conti, sezione seconda giurisdizionale centrale, 14 maggio 2009, n. 255 (a sua volta dichiarativa dell’inammissibilità del ricorso per revocazione avverso la precedente, citata, sentenza n. 199 del 2005); la sentenza della Corte di Cassazione, sezioni unite civili, n. 22718 del 2016, con la quale è stato dichiarato inammissibile il ricorso ai sensi dell’art. 111 Cost. e degli artt. 360, primo e terzo comma, e 362, primo comma, del codice di procedura civile, avverso la precedente ordinanza n. 9406 del 2013;

che, nel corpo dell’atto introduttivo, il ricorrente dichiara di proporre «ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato in relazione a tutte le decisioni di giudici contabili [e] di Cassazione» in ordine alla mancata applicazione delle sentenze di questa Corte n. 566 del 1989 e n. 232 del 1992, con conseguente richiesta di annullamento delle sentenze e ordinanze emesse;

che, a sostegno di tali richieste, afferma la natura del ricorso azionato quale «rimedio ulteriore esercitabile dopo che sono state sperimentate invano le altre forme di tutela previste» e che l’attività della Corte costituzionale si estenderebbe «all’accertamento della legalità costituzionale dell’intera vicenda conflittuale, che si conclude con una dichiarazione sulla spettanza di una “competenza in concreto”, quando vi è stata disapplicazione delle pronunzie di illegittimità costituzionale»;

che, infine, constata che «il resistente Comando Generale della Guardia di Finanza» non avrebbe ancora eseguito a suo favore la disapplicazione delle disposizioni dichiarate costituzionalmente illegittime con le sentenze n. 566 del 1989 e n. 232 del 1992 e che tale omissione avrebbe «causato una diretta e concreta lesione delle sue attribuzioni costituzionali»;

che, pertanto, il ricorrente conclude sollevando il conflitto nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro dell’economia e delle finanze (Comando generale della Guardia di finanza) e chiedendo di dichiarare che quest’ultimo sia obbligato a disapplicare le norme dichiarate illegittime da questa Corte, in relazione alle rate di pensione corrispostegli tra il marzo 1975 e il 29 gennaio 1986; di dichiarare altresì l’illegittimità degli atti di pagamento delle predette rate di pensione, perché non comprensive degli importi della tredicesima mensilità e dell’indennità integrativa speciale, e, infine, di annullare le sentenze e ordinanze emesse dalla Corte dei conti o dalla Corte di Cassazione, sopra indicate.

Considerato che, in questa fase del giudizio, la Corte è chiamata a deliberare, in camera di consiglio e senza contraddittorio, sulla sussistenza dei requisiti soggettivo e oggettivo prescritti dall’art. 37, primo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), ossia a decidere se il conflitto insorga tra organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengono e per la delimitazione della sfera di attribuzioni delineata per i vari poteri da norme costituzionali;

che, ai fini della ammissibilità del ricorso per conflitto tra poteri, sotto il profilo soggettivo, «occorre che il ricorrente individui con chiarezza la sfera di potere asseritamente lesa, avendo cura di motivare la ridondanza delle asserite violazioni dei principi costituzionali invocati sulla propria sfera di attribuzioni costituzionali, a difesa della quale questa Corte è chiamata a pronunciarsi» (ex plurimis, ordinanza n. 181 del 2018);

che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il singolo cittadino non è legittimato a sollevare conflitto di attribuzione, «non essendogli conferita, in quanto singolo, alcuna attribuzione costituzionalmente rilevante» (ordinanza n. 277 del 2017; nello stesso senso, ordinanze n. 256 del 2016, n. 121 del 2011 e n. 85 del 2009);

che il ricorrente, anziché prospettare la lesione di attribuzioni costituzionali, lamenta esclusivamente la lesione di situazioni giuridiche soggettive proprie, dal momento che afferma di agire perché le sentenze e ordinanze dallo stesso individuate all’origine del conflitto non avrebbero riconosciuto in suo favore diritti patrimoniali derivanti dalle sentenze n. 566 del 1989 e n. 232 del 1992 di questa Corte;

che quindi è insussistente non solo il requisito soggettivo, ma anche quello oggettivo, in quanto, come questa Corte ha più volte precisato, «i conflitti aventi ad oggetto atti di natura giurisdizionale non possono risolversi in mezzi impropri di censura del modo di esercizio della funzione giurisdizionale, giacché avverso gli errori in iudicando di diritto sostanziale o processuale valgono i rimedi consueti riconosciuti dagli ordinamenti processuali delle diverse giurisdizioni» (ordinanza n. 284 del 2008; nello stesso senso, sentenze n. 290, n. 222, n. 150 e n. 2 del 2007);

che, anche sotto il profilo della legittimazione passiva, il ricorso si rivolge cumulativamente avverso una pluralità di soggetti e di atti, per cui la prospettazione «è resa incerta dal carattere cumulativo e congiunto del ricorso e dalla circostanza che le censure in esso contenute sono presentate senza considerazione della diversità delle rispettive qualificazioni» (ordinanze n. 181 del 2018 e n. 277 del 2017);

che, conseguentemente, il ricorso proposto da Gerardo Silvestri deve essere dichiarato inammissibile.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 gennaio 2019.

F.to:

Giorgio LATTANZI, Presidente

Luca ANTONINI, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 6 marzo 2019.