Sentenza n. 12 del 2019

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SENTENZA N. 12

ANNO 2019

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

composta dai signori:

 

Presidente: Giorgio LATTANZI;

 

Giudici: Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 23, comma 6, del decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83 (Misure urgenti in materia fallimentare, civile e processuale civile e di organizzazione e funzionamento dell’amministrazione giudiziaria), convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 2015, n. 132, promosso dal Tribunale ordinario di Brescia, nel procedimento vertente tra Banca Valsabbina scpa e G. D.G. e altri, con ordinanza del 30 settembre 2015, iscritta al n. 72 del registro ordinanze 2018 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 20, prima serie speciale, dell’anno 2018.

 

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nella camera di consiglio del 24 ottobre 2018 il Giudice relatore Aldo Carosi.

 

Ritenuto in fatto

 

1.‒ Il Tribunale ordinario di Brescia, in funzione di giudice dell’esecuzione mobiliare, con ordinanza del 30 settembre 2015 (r.o. n. 72 del 2018), ha sollevato, in riferimento all’art. 3, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 23, comma 6, del decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83 (Misure urgenti in materia fallimentare, civile e processuale civile e di organizzazione e funzionamento dell’amministrazione giudiziaria), convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 2015, n. 132, nella parte in cui prevede che le disposizioni di cui al precedente art. 13, comma 1, lettera l), laddove introducono l’ottavo comma dell’art. 545 del codice di procedura civile, si applichino esclusivamente alle procedure esecutive iniziate successivamente alla data di entrata in vigore del predetto d.l. (27 giugno 2015), anziché a tutte le procedure pendenti alla medesima data.

 

Il giudice rimettente riferisce di essere investito di una opposizione all’esecuzione ai sensi dell’art. 615 cod. proc. civ., nel corso della quale il debitore, sul cui conto corrente oggetto di pignoramento veniva accreditato esclusivamente l’assegno sociale mensile, ha eccepito l’illegittimità costituzionale, in riferimento all’art. 3 Cost., dell’art. 13 (recte: 23), comma 6, del d.l. n. 83 del 2015, nella parte in cui prevede che le modifiche apportate dal citato art. 13, comma 1, lettera l), all’art. 545 cod. proc. civ. in materia di pignoramento dei crediti transitati su conto corrente abbiano effetto esclusivamente per le procedure esecutive instaurate successivamente alla data di entrata in vigore del predetto decreto e non anche per quelle a tale data pendenti.

 

Ai fini della rilevanza, il Tribunale a quo espone che il creditore procedente, con atto notificato il 9 dicembre 2014 e iscritto al ruolo il 9 gennaio 2015, aveva pignorato il saldo attivo del conto corrente bancario, intestato all’esecutato, sul quale venivano accreditati i ratei dell’assegno sociale.

 

Infatti, secondo la disciplina all’epoca vigente, nell’interpretazione assurta a “diritto vivente”, le somme erogate a titolo di pensione o altri emolumenti pensionistici o assistenziali, e, dunque, confluite nel patrimonio del percettore, allorché depositate presso istituti di credito e quindi disciplinate dall’art. 1834 del codice civile, erano pienamente assoggettabili a espropriazione forzata.

 

Nel corso del procedimento è entrato in vigore il sopra ricordato d.l. n. 83 del 2015 che, tra l’altro, con l’art. 13, comma 1, lettera l), ha aggiunto all’art. 545 cod. proc. civ. i commi settimo, ottavo e nono, prevedendo, con gli ultimi due, che: «[l]e somme dovute a titolo di stipendio, salario, altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, nonché a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione, o di assegni di quiescenza, nel caso di accredito su conto bancario o postale intestato al debitore, possono essere pignorate, per l’importo eccedente il triplo dell’assegno sociale, quando l’accredito ha luogo in data anteriore al pignoramento; quando l’accredito ha luogo alla data del pignoramento o successivamente, le predette somme possono essere pignorate nei limiti previsti dal terzo, quarto, quinto e settimo comma, nonché dalle speciali disposizioni di legge» (ottavo comma); «[i]l pignoramento eseguito sulle somme di cui al presente articolo in violazione dei divieti e oltre i limiti previsti dallo stesso e dalle speciali disposizioni di legge è parzialmente inefficace. L’inefficacia è rilevata dal giudice anche d’ufficio» (nono comma).

 

Secondo il rimettente, in virtù delle disposizioni del novellato art. 545 cod. proc. civ. e in forza del principio tempus regit actum, egli avrebbe potuto dichiarare l’impignorabilità del saldo attivo del conto corrente bancario intestato al debitore esecutato, alimentato esclusivamente dall’assegno sociale mensile a questi spettante, in quanto all’esiguo saldo attivo presente alla data del pignoramento si erano aggiunti solo due ratei erogati nei mesi successivi. È invece intervenuta la norma transitoria di cui all’art. 23, comma 6, del suddetto d.l. n. 83 del 2015, secondo cui «[l]e disposizioni di cui agli articoli 12 e 13, comma 1, lettere d), l), m), n), si applicano esclusivamente alle procedure esecutive iniziate successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto»; e poiché, in base all’art. 491 cod. proc. civ., l’espropriazione forzata «si inizia col pignoramento», e, nel caso di specie, il pignoramento era stato notificato all’istituto di credito il 9 dicembre 2014 e al debitore il successivo 23 dicembre, il processo esecutivo di cui si tratta risulterebbe instaurato antecedentemente al 27 giugno 2015, data di entrata in vigore del d.l. n. 83 del 2015, e non ricadrebbe, pertanto, nell’ambito applicativo della novella. Alle medesime conclusioni si giungerebbe, peraltro, anche se si volesse far riferimento, per la pendenza della procedura esecutiva, alla data del deposito della nota di iscrizione a ruolo (9 gennaio 2015).

 

In definitiva, secondo la disciplina previgente ‒ come interpretata dal diritto vivente ‒ applicabile al giudizio a quo in virtù della disposizione transitoria, dovrebbe pervenirsi a un provvedimento di assegnazione delle somme erogate a titolo di assegno sociale depositate sul conto corrente e assoggettate al pignoramento.

 

In punto di non manifesta infondatezza, il giudice rimettente ritiene che la disposizione censurata introduca, in violazione dell’art. 3, primo comma, Cost., un irragionevole discrimine temporale tra debitori, che risultano favoriti o meno dal nuovo regime di «impignorabilità relativa» delle somme depositate su conti correnti bancari o postali, alimentati da assegni pensionistici o da altre prestazioni assistenziali o retributive, per il solo fatto che il pignoramento risulti notificato prima o dopo il 27 giugno 2015. Detto discrimine, difatti, non troverebbe giustificazione né in preclusioni formali o, in ogni caso, in limitazioni, anche temporali, all’esercizio di poteri e facoltà processuali, tali da ostacolare l’effettivo esercizio del diritto di difesa sancito dall’art. 24 Cost.; né nell’imposizione, a carico delle parti o degli altri soggetti del processo, di adempimenti che potrebbero determinare un aggravamento della procedura tale da dilatarne i tempi oltre i limiti della ragionevole durata di cui all’art. 111, secondo comma, Cost.; né, infine, nella necessità di tutelare le ragioni creditorie e, in particolare, di evitare che il debitore possa sottrarsi alle proprie responsabilità di natura patrimoniale.

 

D’altronde, il vaglio di tali esigenze sarebbe già stato compiuto da questa Corte nella sentenza n. 85 del 2015, ove è stato affermato che l’interesse del ceto creditorio va contemperato con gli altri interessi costituzionalmente protetti, tra i quali quello, presidiato dall’art. 38 Cost., di assicurare al pensionato i mezzi minimi di sostentamento: la responsabilità patrimoniale del debitore di cui all’art. 2740 cod. civ. dovrebbe dunque trovare «il limite della sua sostenibilità umana, soprattutto nei confronti di chi versa in situazioni svantaggiate quali quelle descritte nel citato art. 38». Questa Corte, nella menzionata sentenza, avrebbe già sottolineato l’urgenza e l’indifferibilità di un intervento normativo che, salva la discrezionalità del legislatore nel delineare le concrete modalità di tutela, ponesse rimedio alla violazione dell’art. 38 Cost., acuita dall’introduzione delle limitazioni all’uso del contante e dalla conseguente necessità di ricorrere all’apertura del conto corrente bancario per movimentare somme, anche di modesto importo.

 

In definitiva, secondo il rimettente, con la disposizione censurata, il legislatore, anziché sanare − ovviamente in riferimento ai rapporti ancora non esauriti – il vulnus ai principi costituzionali, l’avrebbe perpetuato.

 

Infine, questa Corte nella più volte menzionata sentenza n. 85 del 2015, rilevando il contrasto con l’art. 38 Cost., avrebbe essa stessa escluso la possibilità di un’interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione in esame.

 

2.‒ È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, eccependo innanzitutto l’inammissibilità della questione.

 

A suo avviso, il rimettente erroneamente riterrebbe di dover dichiarare, in virtù del principio tempus regit actum e del novellato art. 545 cod. proc. civ., la totale impignorabilità delle somme sottoposte a esecuzione, in quanto l’atto rilevante per il passaggio dal previgente al nuovo regime processuale non sarebbe rappresentato dal provvedimento che dispone l’assegnazione dei beni bensì dal pignoramento che segna l’inizio del procedimento esecutivo.

 

La disposizione censurata non sarebbe quindi una norma retroattiva, da sottoporre al rigoroso vaglio di costituzionalità richiesto dal rimettente o al rispetto dell’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848.

 

Inoltre, la questione sarebbe inammissibile perché il giudice a quo non specificherebbe in quali date sono stati accreditati i ratei dell’assegno sociale successivi al pignoramento.

 

Infine, il giudice rimettente avrebbe comunque omesso il doveroso tentativo di interpretazione conforme degli artt. 545 e 546 cod. proc. civ., nella formulazione successiva al d.l. n. 83 del 2015.

 

La questione ‒ anche a voler superare i profili di inammissibilità ‒ sarebbe infondata.

 

Nella sentenza n. 85 del 2015 questa Corte avrebbe difatti chiarito che i casi di impignorabilità dei crediti costituiscono deroga al principio generale della responsabilità patrimoniale del debitore e che comunque essi sono il frutto del bilanciamento degli interessi del creditore e del debitore. Con l’art. 13, comma 1, lettera l), del d.l. n. 83 del 2015, il legislatore sarebbe intervenuto in materia e, in coerenza con l’eccezionalità della disciplina dell’impignorabilità, avrebbe fissato un ragionevole limite temporale alla relativa disciplina. L’applicabilità anche alle procedure in corso comporterebbe difatti la sottrazione del bene pignorato alla procedura esecutiva, con pregiudizio del creditore che correttamente aveva agito per la tutela del proprio credito.

 

In conclusione, l’individuazione del contestato limite temporale rientrerebbe nella discrezionalità del legislatore nell’operare il menzionato bilanciamento.

 

Considerato in diritto

 

1.− Il Tribunale ordinario di Brescia, in funzione di giudice dell’esecuzione mobiliare, ha sollevato, in riferimento all’art. 3, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 23, comma 6, del decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83 (Misure urgenti in materia fallimentare, civile e processuale civile e di organizzazione e funzionamento dell’amministrazione giudiziaria), convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 2015, n. 132, nella parte in cui prevede che le disposizioni di cui al precedente art. 13, comma 1, lettera l), laddove introducono l’ottavo comma dell’art. 545 del codice di procedura civile, si applichino esclusivamente alle procedure esecutive iniziate successivamente alla data di entrata in vigore del predetto d.l. (27 giugno 2015), anziché a tutte le procedure pendenti alla medesima data.

 

Secondo il giudice rimettente, la disposizione transitoria censurata introdurrebbe un irragionevole discrimine temporale per l’applicazione del nuovo regime di pignorabilità delle somme accreditate su conto corrente bancario o postale intestato al debitore a titolo di pensione o di altre prestazioni assistenziali o retributive, previste dall’ottavo comma dell’art. 545 cod. proc. civ., aggiunto dal richiamato art. 13, comma 1, lettera l). In tal modo permarrebbe, per le procedure pendenti alla data di entrata in vigore del predetto d.l. n. 83 del 2015, un regime contrario ai principi costituzionali richiamati nella sentenza n. 85 del 2015.

 

2.− In via preliminare, devono essere disattese le eccezioni di inammissibilità della questione sollevate dal Presidente del Consiglio dei ministri.

 

2.1.‒ Innanzitutto, non è fondata l’eccezione di inammissibilità per erroneità del presupposto, secondo cui l’atto in base al quale andrebbe identificata la normativa applicabile non sarebbe il provvedimento che dispone l’assegnazione dei crediti (art. 553 cod. proc. civ.), bensì il pignoramento ai sensi dell’art. 543 cod. proc. civ., che segna l’inizio del procedimento esecutivo. È di tutta evidenza che l’eventuale accoglimento della questione con una pronuncia che renda applicabile il suddetto nuovo regime di pignorabilità a tutte le procedure pendenti consentirebbe al giudice a quo di dichiarare impignorabili, nei limiti fissati da detta disposizione, le rimesse sul conto corrente bancario a titolo di assegno sociale.

 

2.2.‒ Quanto all’ulteriore eccezione di inammissibilità basata sulla mancata indicazione delle date di accreditamento dei ratei, va osservato che l’ottavo comma dell’art. 545 cod. proc. civ. – introdotto, come detto, dall’art. 13, comma 1, lettera l), del d.l. n. 83 del 2015 – diversifica la soglia della pignorabilità dei crediti in questione a seconda che le rimesse siano anteriori o successive al pignoramento. La mancata specificazione delle date degli accrediti non inficia dunque l’ammissibilità della questione per carente descrizione della fattispecie, essendo sufficiente, ai fini della rilevanza, l’indicazione della anteriorità o posteriorità dell’accredito rispetto al pignoramento.

 

2.3.‒ Infine, l’ultima eccezione di inammissibilità sollevata dall’Avvocatura generale dello Stato, secondo la quale il giudice a quo non avrebbe adeguatamente vagliato la possibilità alternativa di interpretare la disposizione censurata in modo conforme a Costituzione, è destituita di fondamento poiché il rimettente esclude tale possibilità in considerazione sia della sentenza di questa Corte n. 85 del 2015, sia del tenore letterale della disposizione.

 

A quest’ultimo riguardo, occorre ribadire che, «[a] fronte di adeguata motivazione circa l’impedimento ad un’interpretazione costituzionalmente compatibile, dovuto specificamente al “tenore letterale della disposizione”, […] “la possibilità di un’ulteriore interpretazione alternativa, che il giudice a quo non ha ritenuto di fare propria, non riveste alcun significativo rilievo ai fini del rispetto delle regole del processo costituzionale, in quanto la verifica dell’esistenza e della legittimità di tale ulteriore interpretazione è questione che attiene al merito della controversia, e non alla sua ammissibilità” (sentenza n. 221 del 2015). Si tratta di orientamento ormai consolidato, in virtù del quale può ben dirsi che “se l’interpretazione prescelta dal giudice rimettente sia da considerare la sola persuasiva, è profilo che esula dall’ammissibilità e attiene, per contro, al merito” (sentenze nn. 95 e 45 del 2016, n. 262 del 2015; nonché, nel medesimo senso, sentenza n. 204 del 2016)» (sentenza n. 42 del 2017).

 

2.4.– Ancora in via preliminare occorre precisare che il presente giudizio riguarda l’intangibilità dell’assegno sociale mensile in ordine alla cui integrale pignorabilità prevista dal regime antecedente questa Corte aveva rilevato un contrasto con il principio espresso dall’art. 38, secondo comma, Cost.

 

L’ordinanza in esame richiama tuttavia l’art. 3 Cost. sotto il profilo del principio di eguaglianza ed è, pertanto, in riferimento a tale parametro che dovrà essere risolta la questione posta dal rimettente.

 

3.− La questione è fondata con riguardo alla pignorabilità della prestazione pensionistica relativamente alle procedure iniziate antecedentemente all’entrata in vigore del d.l. n. 83 del 2015.

 

3.1.− Premesso che «il quadro normativo e giurisprudenziale del regime delle impignorabilità dei crediti afferenti a redditi esigui si presenta complesso a causa di molteplici fattispecie riferibili a situazioni giuridiche diverse, tra loro difficilmente comparabili e sostanzialmente disomogenee» (sentenza n. 248 del 2015), per quel che riguarda gli emolumenti dovuti a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione o di altri assegni, l’orientamento di questa Corte è nel senso che debba essere sottratta al regime generale di pignorabilità la parte necessaria per assicurare mezzi adeguati alle esigenze di vita del pensionato (ex plurimis, sentenza n. 506 del 2002).

 

Come è noto, la pensione sociale è stata sostituita, ai sensi dell’art. 3, comma 6, della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare), dall’assegno sociale – il cui accredito sul conto corrente è oggetto di pignoramento nel giudizio a quo – definito da questa Corte come nuova prestazione assistenziale, erogata agli ultrasessantacinquenni, istituita in attuazione dell’art. 38 Cost. per far fronte «al particolare stato di bisogno derivante dall’indigenza, risultando altre prestazioni − assistenza sanitaria, indennità di accompagnamento − preordinate a soccorrere lo stato di bisogno derivante da grave invalidità o non autosufficienza, insorte in un momento nel quale non vi è più ragione per annettere significato alla riduzione della capacità lavorativa, elemento che, per contro, caratterizza le prestazioni assistenziali in favore dei soggetti infrasessantacinquenni» (sentenza n. 400 del 1999). In virtù del rinvio disposto dall’art. 3, comma 7, della legge n. 335 del 1995 alle «disposizioni in materia di pensione sociale di cui alla legge 30 aprile 1969, n. 153», l’assegno sociale «non è cedibile, né sequestrabile, né pignorabile» (art. 26, dodicesimo comma, della legge 30 aprile 1969, n. 153, recante «Revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale»).

 

Ai sensi del settimo comma dell’art. 545 cod. proc. civ., aggiunto dall’art. 13, comma 1, lettera l), del d.l. n. 83 del 2015, la misura massima dell’assegno sociale, aumentato della metà, è attualmente parametro per la quantificazione della parte di pensione necessaria in base all’art. 38, secondo comma, Cost., per assicurare ai lavoratori mezzi adeguati alle esigenze di vita.

 

3.2.− Il diverso regime temporale previsto per le procedure pendenti alla data di entrata in vigore del d.l. n. 83 del 2015, benché sia ispirato all’esigenza di salvaguardare l’affidamento nella certezza giuridica di chi ha avviato il pignoramento nella piena vigenza della disciplina antecedente che lo consentiva, non supera il vaglio di costituzionalità.

 

Per tale esigenza prevale, infatti, nel bilanciamento tra valori costituzionalmente protetti, la tutela del pensionato, la cui necessità era già stata affermata da questa Corte, pur in un contesto che non le consentiva l’adozione di una pronuncia a rime obbligate.

 

In quella pronuncia fu, infatti, comunque precisato che «[n]on può […] sostenersi, come sembra ritenere il rimettente, che le ipotesi di impignorabilità dei crediti da pensione possano estendersi, attraverso l’interpretazione giuridica o un’eventuale pronuncia additiva di questa Corte, alla disciplina del pignoramento sul conto corrente. Ciò per due distinti ordini di motivi: i limiti alla pignorabilità dei beni del debitore sono deroghe al principio generale della responsabilità patrimoniale, tassativamente previste dalla legge e, per questo motivo, non suscettibili di estensione analogica; un’eventuale pronuncia additiva di questa Corte non potrebbe essere a “rime obbligate”, dal momento che il credito da pensione è situazione giuridica profondamente diversa dal credito di conto corrente e che, conseguentemente, l’indefettibile principio costituzionale di tutela del fine solidaristico (di garantire l’emancipazione dal bisogno del pensionato) non può trovare soluzione obbligata attraverso l’automatica riproduzione di una norma appartenente ad un contesto giuridico diverso. […] Il vulnus riscontrato e la necessità che l’ordinamento si doti di un rimedio effettivo per assicurare condizioni di vita minime al pensionato, se non inficiano – per le ragioni già esposte – la ritenuta inammissibilità delle questioni e se non pregiudicano la “priorità di valutazione da parte del legislatore sulla congruità dei mezzi per raggiungere un fine costituzionalmente necessario” (sentenza n. 23 del 2013), impongono tuttavia di sottolineare la necessità che lo stesso legislatore dia tempestiva soluzione al problema individuato nella presente pronuncia» (sentenza n. 85 del 2015).

 

Nel contesto in cui il legislatore – ottemperando al monito di questa Corte – ha effettivamente esercitato la sua discrezionalità al fine di garantire la necessaria tutela al pensionato che fruisce dell’accredito sul proprio conto corrente, risulta irragionevole che tale tutela non sia estesa alle situazioni pendenti al momento dell’entrata in vigore della novella legislativa.

 

Ancorché il rimettente non abbia direttamente evocato l’art. 38, secondo comma, Cost., la questione posta in esplicito riferimento alla pronuncia di questa Corte con la sentenza n. 85 del 2015 deve essere accolta in riferimento al principio di eguaglianza, che è strettamente collegato – nella fattispecie in esame – al principio dell’impignorabilità parziale dei trattamenti pensionistici. Quest’ultima «è posta a tutela dell’interesse di natura pubblicistica consistente nel garantire al pensionato i mezzi adeguati alle proprie esigenze di vita» (ex multis, Corte di cassazione, sezione terza civile, sentenza n. 23 marzo 2011, n. 6548).

 

Alla luce delle precedenti considerazioni, deve dunque essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 23, comma 6, del d.l. n. 83 del 2015, convertito, con modificazioni, nella legge n. 132 del 2015, nella parte in cui non prevede che l’ottavo comma dell’art. 545 cod. proc. civ., introdotto dall’art. 13, comma 1, lettera l), del medesimo d.l., si applichi anche alle procedure esecutive aventi ad oggetto prestazioni pensionistiche pendenti alla data di entrata in vigore del predetto decreto.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 23, comma 6, del decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83 (Misure urgenti in materia fallimentare, civile e processuale civile e di organizzazione e funzionamento dell’amministrazione giudiziaria), convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 2015, n. 132, nella parte in cui non prevede che l’ottavo comma dell’art. 545 del codice di procedura civile, introdotto dall’art. 13, comma 1, lettera l), del medesimo decreto-legge, si applichi anche alle procedure esecutive aventi ad oggetto prestazioni pensionistiche pendenti alla data di entrata in vigore di detto decreto-legge.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 dicembre 2018.

 

F.to:

 

Giorgio LATTANZI, Presidente

 

Aldo CAROSI, Redattore

 

Roberto MILANA, Cancelliere

 

Depositata in Cancelleria il 31 gennaio 2019.