Sentenza n. 116 del 2018

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SENTENZA N. 116

ANNO 2018

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-      Giorgio                       LATTANZI                                        Presidente

-      Aldo                           CAROSI                                             Giudice

-      Marta                          CARTABIA                                               ”

-      Mario Rosario            MORELLI                                                  ”

-      Giancarlo                   CORAGGIO                                              ”

-      Giuliano                     AMATO                                                     ”

-      Silvana                       SCIARRA                                                  ”

-      Daria                          de PRETIS                                                 ”

-      Franco                        MODUGNO                                               ”

-      Augusto Antonio        BARBERA                                                ”

-      Giulio                         PROSPERETTI                                         ”

-      Giovanni                    AMOROSO                                               ”

-      Francesco                   VIGANÒ                                                    ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 568-bis, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2014)», come inserito dall’art. 2, comma 1, lettera a-bis), del decreto-legge 6 marzo 2014, n. 16 (Disposizioni urgenti in materia di finanza locale, nonché misure volte a garantire la funzionalità dei servizi svolti nelle istituzioni scolastiche), convertito, con modificazioni, in legge 2 maggio 2014, n. 68, promosso dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, con ordinanza del 28 febbraio 2017, nel procedimento vertente tra Donatella Casini in proprio e nella qualità di legale rappresentante pro tempore di Farmacie di Ferentino srl e il Comune di Ferentino, iscritta al n. 94 del registro ordinanze 2017 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 27, prima serie speciale, dell’anno 2017.

Visti l’atto di costituzione di Donatella Casini in proprio e nella qualità di legale rappresentante pro tempore di Farmacie di Ferentino srl, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella udienza pubblica del 17 aprile 2018 il Giudice relatore Daria de Pretis;

uditi l’avvocato Stefano Vinti per Donatella Casini in proprio e nella qualità di legale rappresentante pro tempore di Farmacie di Ferentino srl e l’avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.‒ Con «sentenza non definitiva» del 28 febbraio 2017 il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 568-bis, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2014)», per contrasto con gli artt. 41 e 47 della Costituzione.

La questione è sorta nel corso di un giudizio promosso da una farmacista, socia privata in una società comunale, denominata Farmacie di Ferentino srl, costituita ai sensi dell’art. 9, primo comma, lettera d), della legge 2 aprile 1968, n. 475 (Norme concernenti il servizio farmaceutico), come sostituito dall’art. 10 della legge 8 novembre 1991, n. 362 (Norme di riordino del settore farmaceutico), che consente la gestione delle farmacie comunali a mezzo di società di capitali costituite tra il comune e i farmacisti che prestino servizio presso tali farmacie e cessino dal rapporto di lavoro dipendente con il comune all’atto della costituzione della società. In applicazione di tale norma era stata costituita una società a responsabilità limitata, con cessione del 49% del capitale sociale alla farmacista ricorrente nel giudizio a quo, la quale, oltre a rinunciare al rapporto di lavoro, aveva conferito circa euro 700.000 per acquisire la partecipazione sociale.

Nel giudizio davanti al TAR rimettente è impugnata la deliberazione con cui il Comune di Ferentino ha stabilito di adottare per la gestione della farmacia comunale il modello della concessione ai sensi dell’art. 30 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE), vigente ratione temporis, e ha disposto la cessione della partecipazione comunale, pari al 51%, mediante procedura ad evidenza pubblica a doppio oggetto, con il contestuale affidamento in concessione della farmacia comunale per la durata di cinque anni, tacitamente rinnovabili per altri cinque.

Il passaggio dalla gestione diretta della farmacia comunale (a mezzo di società di capitali costituita tra il Comune e i farmacisti dipendenti) alla gestione indiretta (mediante concessione a terzi) – motivato in ragione dello squilibrio economico finanziario registrato nei bilanci societari per gli anni dal 2009 al 2013 – è stato disposto dal Comune in applicazione e secondo le modalità previste dall’art. 1, comma 568-bis, lettera b), della legge n. 147 del 2013, come inserito dall’art. 2, comma 1, lettera a-bis), del decreto-legge 6 marzo 2014, n. 16 (Disposizioni urgenti in materia di finanza locale, nonché misure volte a garantire la funzionalità dei servizi svolti nelle istituzioni scolastiche), convertito, con modificazioni, in legge 2 maggio 2014, n. 68 (in vigore dal 20 giugno 2015).

La disposizione così prevede: «Le pubbliche amministrazioni locali indicate nell’elenco di cui all’articolo 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, e successive modificazioni, e le società da esse controllate direttamente o indirettamente possono procedere: a) allo scioglimento della società, consorzio o azienda speciale controllata direttamente o indirettamente. Se lo scioglimento è in corso ovvero è deliberato non oltre ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, gli atti e le operazioni posti in essere in favore di pubbliche amministrazioni in seguito allo scioglimento della società, consorzio o azienda speciale sono esenti da imposizione fiscale, incluse le imposte sui redditi e l’imposta regionale sulle attività produttive, ad eccezione dell’imposta sul valore aggiunto. Le imposte di registro, ipotecarie e catastali si applicano in misura fissa. In tal caso i dipendenti in forza alla data di entrata in vigore della presente disposizione sono ammessi di diritto alle procedure di cui ai commi da 563 a 568 del presente articolo. Ove lo scioglimento riguardi una società controllata indirettamente, le plusvalenze realizzate in capo alla società controllante non concorrono alla formazione del reddito e del valore della produzione netta e le minusvalenze sono deducibili nell’esercizio in cui sono realizzate e nei quattro successivi; b) all’alienazione, a condizione che questa avvenga con procedura a evidenza pubblica deliberata non oltre dodici mesi ovvero sia in corso alla data di entrata in vigore della presente disposizione, delle partecipazioni detenute alla data di entrata in vigore della presente disposizione e alla contestuale assegnazione del servizio per cinque anni a decorrere dal 1º gennaio 2014. In caso di società mista, al socio privato detentore di una quota di almeno il 30 per cento alla data di entrata in vigore della presente disposizione deve essere riconosciuto il diritto di prelazione. Ai fini delle imposte sui redditi e dell’imposta regionale sulle attività produttive, le plusvalenze non concorrono alla formazione del reddito e del valore della produzione netta e le minusvalenze sono deducibili nell’esercizio in cui sono realizzate e nei quattro successivi».

Su questa premessa in fatto, il rimettente ha respinto innanzitutto il primo motivo di gravame – con cui si contestava in radice l’utilizzabilità del modello della concessione per la gestione del servizio farmaceutico comunale – in adesione all’orientamento giurisprudenziale secondo cui i comuni possono ricorrere a modalità di gestione diverse da quelle previste dall’art. 9 della legge n. 475 del 1968, purché l’esercizio della farmacia avvenga nel rispetto delle regole e dei vincoli imposti a tutela dell’interesse pubblico.

In relazione al secondo motivo di ricorso ‒ incentrato sulla violazione dei principi costituzionali di tutela del lavoro, del risparmio, degli investimenti e della libera iniziativa economica ‒ il giudice a quo ritiene invece rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 568-bis, della legge n. 147 del 2013.

La rilevanza discenderebbe dal fatto che il provvedimento impugnato nel giudizio a quo è direttamente applicativo di quest’ultima disposizione, in attuazione della quale l’amministrazione comunale ha ritenuto di dismettere la propria partecipazione societaria mediante procedura ad evidenza pubblica e di concedere contestualmente il servizio, per un tempo limitato, alla società che si intende privatizzare.

I dubbi di legittimità costituzionale sollevati con riferimento agli artt. 41 e 47 Cost. vengono giustificati innanzitutto in ragione del fatto che, secondo il giudice a quo, la norma censurata, per quanto ispirata dalle condivisibili finalità di contenimento della spesa e di tutela della concorrenza, nel prefigurare le modalità di perseguimento di tali interessi comprometterebbe irragionevolmente l’affidamento e l’interesse del privato che, prima della sua entrata in vigore, ha aderito al progetto di partenariato pubblico-privato per la gestione del servizio pubblico. Nel caso al suo esame, l’affidamento della ricorrente – che aveva operato importanti scelte, quale la rinuncia ad un rapporto di pubblico impiego e il versamento di un’ingente somma di denaro, prefigurandosi un assetto di interessi destinato a valere per un lungo periodo di tempo (quasi secolare) – sarebbe ingiustamente sacrificato dall’applicazione retroattiva della previsione denunciata. Essa infatti, pur consentendo che il servizio farmaceutico sia affidato alla società risultante dalla procedura di privatizzazione, limita la durata della concessione a soli 5 anni, eventualmente prorogabili per altri 5, e addossa al socio farmacista privato un ulteriore impegno economico nell’ipotesi in cui egli decida di esercitare il diritto di prelazione per acquisire, a titolo oneroso, la quota pubblica aggiudicata con gara.

La violazione dei canoni costituzionali di ragionevolezza e tutela del legittimo affidamento, cui soggiace qualunque intervento legislativo diretto a regolare situazioni pregresse, deriverebbe inoltre dal fatto che la normativa sospettata di illegittimità costituzionale non prevede alcuna disposizione transitoria o derogatoria per situazioni specifiche del tipo di quella oggetto del giudizio a quo, né alcuna forma di indennizzo per il sacrificio imposto al socio privato.

Secondo il rimettente sarebbe stato più rispondente ai canoni costituzionali evocati lasciare ai comuni l’alternativa fra disporre unicamente lo scioglimento della società controllata, con ogni conseguenza quanto alla liquidazione delle quote a ciascuno spettanti, o prevedere la mera alienazione delle quote con procedura ad evidenza pubblica, lasciando inalterato il precedente assetto societario.

Intervenendo d’autorità in senso riduttivo sul valore dell’investimento sostenuto dal socio privato, la disposizione emanata sarebbe inoltre venuta meno alla finalità di tutela del risparmio, in tutte le sue forme, imposta dall’art. 47 Cost.

2.‒ Con atto depositato il 19 luglio 2017 la ricorrente nel giudizio a quo, dott.ssa Donatella Casini, in proprio e nella qualità di legale rappresentante della società Farmacie di Ferentino srl, si è costituita in giudizio, insistendo ‒ soprattutto con la memoria depositata in vista dell’udienza pubblica ‒ perché sia dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 568-bis, lettera b), della legge n. 147 del 2013, per le motivazioni indicate dal TAR rimettente.

3.‒ Con atto depositato il 25 luglio 2017 è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato.

Secondo l’interveniente la norma censurata ‒ la quale s’inquadra nell’ambito di una serie di interventi normativi diretti a razionalizzare il settore delle società a partecipazione pubblica ‒ avrebbe equamente contemperato i principi costituzionali di tutela della concorrenza e buon andamento della pubblica amministrazione con il principio di tutela del legittimo affidamento nella sicurezza giuridica. In particolare, la facoltà in essa prevista per le amministrazioni locali di alienare le proprie partecipazioni societarie sarebbe bilanciata dal diritto di prelazione accordato al socio privato da esercitare sull’offerta presentata dall’aggiudicatario.

La norma censurata non si porrebbe in contrasto con l’art. 41 Cost., dal momento che, secondo la giurisprudenza costituzionale, non sarebbe configurabile una lesione della libertà d’iniziativa economica quando i limiti apposti al suo esercizio, oltre a corrispondere all’utilità sociale, non appaiono arbitrari e non vengono perseguiti mediante misure palesemente incongrue (è citata, tra le altre, la sentenza di questa Corte n. 203 del 2016), condizioni di non arbitrarietà e non palese incongruenza che risulterebbero entrambe rispettate dalla norma oggetto di censura.

Sarebbe infondata anche la lesione dell’art. 47 Cost. La norma costituzionale proteggerebbe solo il risparmio che si traduce in una «componente del ciclo economico» e non il «puro e semplice accantonamento di moneta». La tutela del risparmio, in altre parole, verrebbe sostanzialmente a coincidere con la tutela del risparmiatore inteso come consumatore di prodotti e servizi bancari, finanziari e assicurativi, e questi sarebbero i mercati alla cui regolamentazione la norma costituzionale offre copertura.

Con memoria depositata in vista dell’udienza pubblica l’interveniente ha ribadito e ulteriormente sviluppato i medesimi argomenti.

Considerato in diritto

1.– Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio dubita della legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 568-bis, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2014)», come inserito dall’art. 2, comma 1, lettera a-bis), del decreto-legge 6 marzo 2014, n. 16 (Disposizioni urgenti in materia di finanza locale, nonché misure volte a garantire la funzionalità dei servizi svolti nelle istituzioni scolastiche), convertito, con modificazioni, in legge 2 maggio 2014, n. 68, per contrasto con gli artt. 41 e 47 della Costituzione.

1.1.‒ Secondo il rimettente la disposizione ‒ applicata in via retroattiva, nel caso sottoposto al suo giudizio, alla società costituita per la gestione del servizio farmaceutico, ai sensi dell’art. 9, primo comma, lettera d), della legge 2 aprile 1968, n. 475 (Norme concernenti il servizio farmaceutico) ‒ violerebbe l’art. 41 Cost, in quanto, pur consentendo che il servizio farmaceutico sia affidato alla società risultante dalla procedura di privatizzazione, limita tuttavia la durata della concessione a soli cinque anni.

La norma censurata, pur ispirata dalle condivisibili finalità di contenimento della spesa e di tutela della concorrenza, nel prefigurare le modalità di perseguimento di tali interessi, avrebbe irragionevolmente compromesso l’affidamento del farmacista dipendente che, prima della sua entrata in vigore, abbia aderito al progetto di partenariato pubblico-privato per la gestione del servizio farmaceutico, rinunciando al rapporto di pubblico impiego e conferendo un’ingente somma di denaro, sul presupposto che il pattuito assetto di interessi fosse destinato a valere per un lungo periodo di tempo (nella specie, la società era stata costituita il 3 febbraio 2005, con la previsione statutaria di una durata centenaria sino al 31 dicembre 2104, cui era correlata analoga durata dell’affidamento concessorio).

L’irragionevolezza della disposizione censurata e la lesione del principio di tutela del legittimo affidamento vengono evocate unicamente in relazione all’art. 41 Cost., senza che, né nel dispositivo, né nella motivazione, sia menzionato il parametro costituzionale dell’art. 3. Si può ritenere, tuttavia, che il riferimento all’art. 3 Cost. emerga in modo sufficientemente chiaro, ancorché implicito, dal contesto dell’ordinanza di rimessione, la quale richiama, fra l’altro, pronunce di questa Corte (sentenze n. 209 e n. 124 del 2010) che, proprio in relazione a tale parametro, hanno statuito i principi che il giudice a quo vorrebbe far valere in relazione alla fattispecie normativa che è chiamato ad applicare.

1.2.‒ Sotto altro profilo, la norma denunciata, intervenendo d’autorità e in senso riduttivo sul valore dell’investimento sostenuto dal socio privato, violerebbe anche l’art. 47 Cost., in quanto si porrebbe in contrasto con la finalità di tutela del risparmio, in tutte le sue forme, imposta dalla Costituzione.

2.‒ È opportuno precisare preliminarmente che la forma di sentenza non definitiva, anziché di ordinanza, dell’atto di promovimento non comporta l’inammissibilità delle questioni, dal momento che «il giudice a quo – dopo la positiva valutazione concernente la rilevanza e la non manifesta infondatezza della stessa – ha disposto la sospensione del procedimento principale e la trasmissione del fascicolo alla cancelleria di questa Corte; sicché a tali atti, anche se assunti con la forma di sentenza, deve essere riconosciuta sostanzialmente natura di ordinanza, in conformità a quanto previsto dall’art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87» (sentenza n. 256 del 2010; nello stesso senso sentenze n. 275 del 2013, n. 151 del 2009 e n. 452 del 1997).

3.‒ Nel merito le questioni di legittimità costituzionale proposte in relazione agli artt. 41 e, implicitamente, 3 Cost., da un lato, e all’art. 47 Cost., dall’altro, non sono fondate.

3.1.‒ L’art. 1, comma 568-bis, della legge n. 147 del 2013 ‒ non toccato dall’entrata in vigore del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175 (Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica), che, all’art. 20, comma 6, lo fa espressamente salvo ‒ ha introdotto alcuni incentivi per sollecitare lo scioglimento delle società controllate o l’alienazione delle partecipazioni detenute da pubbliche amministrazioni locali. Si tratta di una misura di razionalizzazione che mira a provocare la dismissione delle società a partecipazione pubblica la cui attività non sia strettamente necessaria per il perseguimento delle finalità istituzionali dell’ente, ovvero di quelle scarsamente redditizie o in perdita.

In relazione alla fattispecie descritta nell’ordinanza di rimessione, le censure di illegittimità costituzionale devono intendersi limitate alla lettera b), dell’art. 1, comma 568-bis, citato, secondo cui le pubbliche amministrazioni locali e le società da esse controllate possono procedere: «all’alienazione, a condizione che questa avvenga con procedura a evidenza pubblica deliberata non oltre dodici mesi ovvero sia in corso alla data di entrata in vigore della presente disposizione, delle partecipazioni detenute alla data di entrata in vigore della presente disposizione e alla contestuale assegnazione del servizio per cinque anni a decorrere dal 1º gennaio 2014. In caso di società mista, al socio privato detentore di una quota di almeno il 30 per cento alla data di entrata in vigore della presente disposizione deve essere riconosciuto il diritto di prelazione. Ai fini delle imposte sui redditi e dell’imposta regionale sulle attività produttive, le plusvalenze non concorrono alla formazione del reddito e del valore della produzione netta e le minusvalenze sono deducibili nell’esercizio in cui sono realizzate e nei quattro successivi».

La norma persegue l’obiettivo di favorire l’alienazione delle partecipazioni societarie di pubbliche amministrazioni attraverso la previsione di un duplice ordine di vantaggi per i soggetti della potenziale operazione di vendita: alla pubblica amministrazione locale alienante è riconosciuto un beneficio fiscale, consistente nel fatto che, «ai fini delle imposte sui redditi e dell’imposta regionale sulle attività produttive, le plusvalenze non concorrono alla formazione del reddito e del valore della produzione netta e le minusvalenze sono deducibili nell’esercizio in cui sono realizzate e nei quattro successivi»; al privato acquirente – di un bene che può essere di scarsa attrattività nel mercato – è concesso l’affidamento del servizio per cinque anni; nel caso di società mista, inoltre, al socio privato che già detenga una quota di almeno il 30 per cento viene assegnato il diritto di prelazione per acquistare la quota pubblica.

3.2.‒ Sulla scia di quanto ritenuto dall’amministrazione resistente nel giudizio principale, il giudice rimettente muove dal presupposto che la norma censurata preveda un’ipotesi di alienazione riferibile anche al caso delle società di gestione delle farmacie comunali costituite ai sensi dell’art. 9, primo comma, lettera d), della legge n. 475 del 1968, che l’atto amministrativo adottato dal comune e impugnato nel giudizio a quo costituisca dunque corretta applicazione di tale disposizione e che questa a sua volta violi i sopra richiamati parametri costituzionali.

Ciò ritenendo, tuttavia, lo stesso rimettente erra, giacché non considera, come invece avrebbe dovuto, che alla disposizione censurata non poteva e non doveva essere riconosciuto un tale ambito di applicazione. Correttamente interpretata, infatti, la previsione dell’art. 1, comma 568-bis, lettera b), della legge n. 147 del 2013 non può estendere il proprio campo di riferimento alla fattispecie della società comunale partecipata ex art. 9, primo comma, lettera d), della legge n. 475 del 1968.

Occorre ricordare che quest’ultimo tipo di società costituisce un modello specialissimo di società a partecipazione mista per la gestione di servizi pubblici locali (rispetto agli ordinari tipi previsti dalla normativa vigente) e un modello altrettanto eccezionale di gestione da parte del comune del servizio farmaceutico. La specialità sta innanzitutto nel fatto che, sebbene non si tratti di società interamente pubblica, e sebbene in essa i soci privati non vengano scelti con gara secondo procedure di evidenza pubblica, la società partecipata ai sensi dell’art. 9, primo comma, lettera d), citato, è diretta affidataria del servizio: ogni scelta circa l’opportunità di coinvolgere altri soggetti nella compagine societaria e circa i caratteri soggettivi dei privati da coinvolgere è già operata a priori dalla legge, in maniera vincolante per l’amministrazione. In secondo luogo, la stessa posizione del socio farmacista presenta caratteri di specialità rispetto all’ordinaria partecipazione del socio privato a una società comunale di gestione del servizio, giacché con essa il legislatore valorizza una peculiare categoria di dipendenti dell’ente locale, i farmacisti, che vengono con ciò resi compartecipi dell’impresa pubblica. In tale contesto, nel quale la società mista rappresenta, in sostanza, la nuova veste gestionale di un servizio pubblico che il comune già svolgeva sotto altra forma, l’affidamento non ha limiti temporali di durata e al socio privato è consentito di disporre delle sue quote perfino in sede testamentaria.

Nell’ambito di questo peculiare modello societario con predeterminazione legislativa dei soci, l’ammissibilità dell’affidamento diretto del servizio alla società ‒ pur in presenza della partecipazione di un soggetto privato, che in via ordinaria lo escluderebbe ‒ è solitamente giustificata in ragione della piena comunanza di interessi fra l’amministrazione locale titolare del servizio e i farmacisti dipendenti. Questo consente di escludere che la partecipazione di privati alla compagine sociale determini, in tale caso, quel vulnus alla possibilità che la società persegua pienamente l’interesse pubblico dell’ente locale titolare del servizio, che – in particolare nella giurisprudenza della Corte di giustizia, formatasi anteriormente all’entrata in vigore delle direttive 23/2014/UE, 24/2014/UE e 25/2014/UE, in tema di affidamento a società in house (ex plurimis, Corte di giustizia dell’Unione europea, sentenze 19 giugno 2014, C-574/12, Centro Hospitalar de Setúbal EPE e altro, paragrafi 36 e 38, e 11 gennaio 2005, C-26/03, Stadt Halle e altro, paragrafi 49 e 50) – è ricondotto alla presenza di un privato nel capitale sociale.

3.3.‒ Ciò premesso sulla specialità del modello – societario e di gestione del servizio – della società prevista all’art. 9, primo comma, lettera d), della legge n. 475 del 1968, e sulla peculiare condizione, in essa, del socio privato farmacista ex dipendente, è agevole comprendere le ragioni per le quali tale tipo di società esuli necessariamente dall’ambito oggettivo di applicazione della disposizione censurata.

In primo luogo, si deve osservare che l’applicazione del meccanismo in essa prefigurato alla società partecipata da farmacisti ex dipendenti determinerebbe la creazione di un nuovo modello del tutto “spurio” di gestione dei servizi pubblici locali rispetto a quelli tipici previsti dal legislatore in materia. All’interno della società privatizzata secondo le modalità dell’art. 1, comma 568-bis, lettera b), della legge n. 147 del 2013, verrebbero infatti a convivere un socio selezionato senza gara (il farmacista ex dipendente) e uno selezionato con gara, e la stessa società originariamente affidataria diretta del servizio per la durata, di norma pluridecennale, fissata statutariamente, si vedrebbe ridotta alla condizione di concessionaria dello stesso servizio per il limitato periodo di cinque anni.

3.4.‒ Se già queste considerazioni portano a escludere che, correttamente interpretata, la disposizione censurata possa estendere il suo ambito di applicazione alle società di gestione del servizio farmaceutico costituite con farmacisti ex dipendenti in base dall’art. 9, primo comma, lettera d), della legge n. 475 del 1968, le medesime conclusioni sono rafforzate dagli stessi argomenti esposti nell’ordinanza di rimessione a sostegno del prospettato contrasto della disposizione, come interpretata dal rimettente, in particolare con gli artt. 41 e 3 Cost.: la norma stessa, invero, non può che essere interpretata in modo costituzionalmente compatibile, presentandosi così immune dai lamentati effetti contrari a Costituzione.

Mettendone in evidenza il preteso contrasto – per le conseguenze che comporterebbe la sua applicazione al caso del citato, particolare tipo di società di gestione della farmacia comunale – con il principio costituzionale di tutela dell’affidamento, e più in generale la sua pretesa irragionevolezza, anche in relazione al principio di tutela della concorrenza ex art. 41 Cost., il rimettente rappresenta efficacemente le inaccettabili conseguenze della propria (errata) interpretazione della disposizione censurata ma, al contempo, ritiene di non poterle attribuire una portata costituzionalmente conforme (sentenza n. 83 del 2017).

Non c’è dubbio, infatti, che, utilizzata nel caso delle società partecipate affidatarie dirette del servizio farmaceutico – come è accaduto nella vicenda oggetto del giudizio a quo – la disposizione presenterebbe effettivamente i gravi dubbi di legittimità costituzionale paventati dal rimettente, sia sotto il profilo della lesione del legittimo affidamento, sia sotto quello della sua intrinseca irragionevolezza.

In un primo senso, infatti, come prospettato nell’atto di rimessione, essa finirebbe per autorizzare l’amministrazione a incidere unilateralmente mediante una drastica riduzione della durata del servizio e senza indennizzo – in contrasto quindi, fra l’altro, con quanto previsto in via generale dall’art. 11, comma 4, della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), e dall’art. 176, comma 4, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici) – sull’esercizio in atto di servizio pubblico comunale assegnato per un periodo pluridecennale, in base a un’espressa previsione di legge e a fronte dell’assunzione da parte del privato di oneri alquanto gravosi (pagamento della quota e rinuncia all’impiego dipendente).

In un secondo senso, letta nel modo prospettato dal rimettente, la disposizione censurata presenterebbe ulteriori, autonomi profili di intrinseca irragionevolezza, in quanto, non favorendo, e anzi tendenzialmente scoraggiando, possibili compratori, si porrebbe in contraddizione con la sua stessa ratio, che è, come visto, quella di valorizzare il patrimonio pubblico, incentivando la sua immissione nel mercato.

In definitiva, è evidente che solo un’interpretazione della disposizione sospettata di illegittimità costituzionale che escluda dal suo ambito di applicazione le società partecipate dai farmacisti ex dipendenti è idonea a sventare il rischio di un suo contrasto con i citati principi costituzionali.

3.5.‒ Per tutte queste ragioni si deve dunque concludere che, correttamente interpretato alla luce della sua ratio e in conformità con la Costituzione, il censurato art. 1, comma 568-bis, lettera b), della legge n. 147 del 2013 presenta un significato diverso da quello ad esso attribuito dal giudice a quo e che, di conseguenza, tutte le questioni di legittimità costituzionale prospettate devono ritenersi non fondate.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 568-bis, lettera b), della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2014)», come inserito dall’art. 2, comma 1, lettera a-bis), del decreto-legge 6 marzo 2014, n. 16 (Disposizioni urgenti in materia di finanza locale, nonché misure volte a garantire la funzionalità dei servizi svolti nelle istituzioni scolastiche), convertito, con modificazioni, in legge 2 maggio 2014, n. 68, sollevate dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, in riferimento agli artt. 3, 41, e 47, della Costituzione, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 aprile 2018.

F.to:

Giorgio LATTANZI, Presidente

Daria de PRETIS, Redattore

Filomena PERRONE, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 31 maggio 2018.