SENTENZA N. 93
ANNO 2018
Commento
alla decisione di
Costanza
Nardocci
Esecuzione
delle sentenze CEDU e intangibilità del giudicato
amministrativo e civile
per g.c. di Federalismi.it
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Giorgio LATTANZI
Presidente
- Aldo CAROSI Giudice
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
-- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Frano MODUGNO ”
- Augusto Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
- Giovanni AMOROSO ”
- Francesco VIGANO’ ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità
costituzionale degli artt. 395 e 396 del codice
di procedura civile, promosso dalla Corte d’appello di Venezia, sezione per
i minorenni, sul ricorso proposto da J. Z., con ordinanza
del 18 luglio 2016, iscritta al n. 55 del registro ordinanze 2017 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 17, prima serie speciale,
dell’anno 2017.
Visto l’atto di costituzione di
J. Z.;
udito nella udienza pubblica del
20 marzo 2018 il Giudice relatore Giancarlo Coraggio;
udito l’avvocato Giulia Perin per
J. Z.
Ritenuto in fatto
1.− La Corte d’appello
di Venezia, sezione per i minorenni, ha sollevato questione di legittimità
costituzionale degli artt. 395 e 396 del codice di procedura civile, nella
parte in cui non prevedono tra i casi di revocazione quello in cui essa «si
renda necessaria per consentire il riesame del merito della sentenza impugnata
per la necessità di uniformarsi alle statuizioni vincolanti rese dalla Corte
europea dei diritti dell’uomo», deducendo la violazione dell’art. 117, primo comma,
della Costituzione, in relazione al parametro interposto dell’art. 46,
paragrafo 1, della Convenzione
per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU),
firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4
agosto 1955, n. 848.
1.1.− Il rimettente espone in punto di fatto che:
− il Tribunale per i
minorenni di Venezia − all’esito di un procedimento radicato dal pubblico
ministero in favore del minore A. T. Z., in ragione dell’assenza di notizie del
padre e della carenza nell’accudimento da parte della madre J. Z. − aveva
dichiarato, con sentenza n. 98 del 19 febbraio 2010, lo stato di adottabilità
del minore medesimo, disponendo l’interruzione dei rapporti con la madre e
nominando un tutore;
− avverso tale
sentenza la madre J. Z. aveva proposto appello, sostenendo l’assenza dei presupposti
per la pronuncia della dichiarazione di adottabilità e lamentando che il
tribunale − in violazione dell’art. 8 della CEDU − non avesse
valutato la possibilità di dare luogo ad un’adozione non legittimante, in
applicazione dell’art. 44 della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore
ad una famiglia), che le avrebbe consentito il mantenimento di un rapporto con
il figlio minore;
− la Corte d’appello
di Venezia, con sentenza n. 126 del 19 novembre 2010, sul presupposto che
l’ordinamento non prevede l’adozione «mite» richiesta dall’appellante, aveva
confermato la sentenza di primo grado;
− la Corte europea
dei diritti dell’uomo, adita dalla madre J. Z., con sentenza del 21 gennaio 2014,
divenuta definitiva il 2 giugno 2014, aveva accertato la violazione lamentata e
condannato lo Stato italiano a pagare alla ricorrente la somma di euro
40.000,00, a titolo di indennizzo per il danno morale subito, oltre alle spese;
− con la citata sentenza la Corte
EDU aveva ritenuto che, a salvaguardia del rispetto della vita familiare da
ingerenze non giustificate, le autorità italiane, prima di disporre
l’affidamento del minore e avviare una procedura di adottabilità, avrebbero
dovuto prendere misure concrete per permettergli di vivere con la madre,
occorrendo preservare, per quanto possibile, il legame tra gli stessi e
favorirne lo sviluppo;
− sulla base di tali
premesse, la ricorrente J. Z. ha agito per la revocazione della citata sentenza
della Corte d’appello, chiedendo, in via principale, che vengano presi contatti
con i genitori adottivi e con i servizi sociali, perché, nel rispetto
dell’interesse del minore, si valutino quali possano essere le forme di
attuazione della sentenza della Corte EDU; e, in via subordinata, qualora a ciò
si consideri ostativa la formulazione dell’art. 395 cod. proc.
civ., di sollevare questione di legittimità costituzionale della stessa
disposizione, nella parte in cui non prevede tra i casi di revocazione quello
in cui tale rimedio sia imposto dalla necessità di dare attuazione ad una
sentenza della Corte EDU;
− si è costituito il
tutore, aderendo alle richieste della ricorrente e chiedendo che i servizi
sociali competenti siano incaricati di predisporre un progetto di recupero
della relazione madre-figlio.
1.2.− Circa la rilevanza della questione, il
rimettente osserva che l’impugnazione proposta è una revocazione straordinaria
per fatti successivi al giudicato, la cui ammissibilità è soggetta al rispetto
del termine di trenta giorni di cui all’art. 325 cod. proc.
civ., termine decorrente, ai sensi dell’art. 326 cod. proc.
civ., dalla data di conoscenza dell’evento considerato causa di revocazione.
Aggiunge il rimettente che
la ricorrente ha giustificato il ritardo dell’impugnazione proposta solo in
data 16 ottobre 2015, invocando un legittimo affidamento nell’ottemperanza, da
parte del Governo italiano, alla pronuncia della Corte EDU (divenuta definitiva
il 2 giugno 2014); solo nel settembre del 2015, infatti, essa aveva appreso che
il Governo si era opposto alla sua richiesta, inoltrata al Comitato dei
ministri in data 3 marzo 2015, di individuazione delle modalità di corretta
attuazione della citata sentenza.
Tali circostanze, secondo
la Corte d’appello di Venezia, evidenzierebbero come la ricorrente non possa
considerarsi decaduta dall’impugnazione straordinaria, non essendo
immediatamente percepibile la necessità di esperire tale rimedio e ricorrendo,
pertanto, i presupposti per escludere «l’imputabilità alla parte di una
eventuale decadenza» e giustificare la rimessione in termini ai sensi dell’art.
153, comma secondo, cod. proc. civ.
L’ipotesi di contrasto
della sentenza interna passata in giudicato con una successiva sentenza della
Corte EDU non rientrerebbe in alcuno dei casi di revocazione previsi dall’art.
395 cod. proc. civ., né
sarebbe possibile una interpretazione estensiva o analogica che renda tale
disposizione compatibile con la necessità, costituzionalmente imposta, di
rispettare la Convenzione: di qui la rilevanza della questione di
costituzionalità, perché solo una eventuale pronuncia additiva della Corte
costituzionale potrebbe rendere ammissibile l’impugnazione proposta.
1.3.− Quanto alla non
manifesta infondatezza, il rimettente osserva che nella sentenza n. 113 del
2011 la Corte costituzionale − nel dichiarare l’illegittimità
costituzionale dell’art. 630 del codice di procedura penale, nella parte in cui
non prevede un diverso caso di revisione della sentenza o del decreto penale di
condanna al fine di consentire la riapertura del processo per conformarsi ad
una sentenza definitiva della Corte EDU − ha valorizzato l’art. 46 della
Convenzione, che impegna gli Stati contraenti a tale conformazione, richiamando
la giurisprudenza della stessa Corte di Strasburgo che assicura alle vittime
delle violazioni convenzionali, oltre alle misure risarcitorie, l’adozione di
misure individuali che valgano ad assicurare la restitutio
in integrum.
Nel caso di specie, la
Corte EDU, nell’accertare la violazione dell’art. 8 della Convenzione, avrebbe
messo in discussione la necessità di procedere ad una adozione legittimante e
di sopprimere il legame famigliare tra ricorrente e figlio, e avrebbe ritenuto
lo Stato italiano inadempiente all’obbligo di adottare misure volte a
preservare e favorire tale legame.
La necessaria esecuzione ed
attuazione della pronuncia sovranazionale postulerebbe, quale unico strumento
idoneo, il riesame nel merito della questione già definita con la sentenza
passata in giudicato.
La mancata previsione nella
elencazione tassativa delle ipotesi di revocazione del conflitto con
sopravvenute sentenze della Corte EDU sarebbe in contrasto con l’esigenza di
tutela dei diritti fondamentali garantiti dalla CEDU e quindi con l’art. 117,
primo comma, Cost.
Infine, secondo il
rimettente, la questione di legittimità costituzionale andrebbe estesa al
disposto dell’art. 396 cod. proc. civ., che completa
la disciplina della revocazione.
2.− Con memoria
depositata nella cancelleria di questa Corte il 15 maggio 2017, si è costituita
J. Z., ricorrente nel giudizio a quo, chiedendo l’accoglimento della questione
di costituzionalità.
Dopo avere ricostruito i
fatti di causa, la parte privata ha aderito alla tesi del rimettente, secondo
cui non sarebbe possibile un’interpretazione costituzionalmente orientata
dell’art. 395 cod. proc. civ., in quanto i casi di
revocazione ivi elencati sarebbero tassativi e di stretta interpretazione, a
tutela del valore fondante della res iudicata.
2.1.− Quanto alla rilevanza della questione di
costituzionalità, la signora J. Z. ha dedotto che solo il suo accoglimento
potrebbe consentire di rimuovere l’ostacolo del giudicato alla sua domanda di
rivedere il figlio o anche solo di averne notizie.
2.2.− In punto di non
manifesta infondatezza, la parte privata ritiene che il caso sottoposto
all’esame della Corte sia del tutto analogo a quello già deciso con la sentenza n. 113 del
2011, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 630 cod. proc. pen., nella parte in cui
non consente la revisione del giudicato penale in caso di contrasto con una
sopravvenuta sentenza della Corte EDU.
Correttamente la Corte
d’appello avrebbe individuato il parametro rilevante nell’art. 117, primo
comma, Cost., che impone il rispetto degli obblighi nascenti dai trattati
internazionali: sarebbe evidente, infatti, che l’assenza di un mezzo per
riparare agli errori commessi dallo Stato italiano costituisce un vulnus agli
artt. 8 e 46 della CEDU.
La giurisprudenza europea
avrebbe chiarito come il pagamento di una somma di denaro non possa mai
considerarsi esaustivo degli obblighi di riparazione gravanti sullo Stato,
dovendosi porre la vittima convenzionale in una situazione quanto più possibile
identica a quella in cui si sarebbe trovata in assenza della violazione.
In particolare, sarebbe
ormai consolidata l’affermazione della Corte EDU secondo cui, in caso di
accertata violazione della Convenzione, lo Stato convenuto ha l’obbligo non
solo di versare agli interessati le somme attribuite a titolo di equa
riparazione ma anche di adottare le misure generali e/o, se del caso,
individuali e necessarie.
Identiche conclusioni si
trarrebbero anche dalla Raccomandazione R(2000)2 sulla riapertura dei processi,
adottata dal Comitato dei ministri il 19 gennaio 2000.
Nel senso della fondatezza
della questione deporrebbe anche un’analisi di diritto comparato, dal momento
che in tutti gli Stati contraenti si riscontrerebbero previsioni normative o
indirizzi giurisprudenziali idonei a consentire la riapertura dei processi
civili e amministrativi.
Né sarebbe d’ostacolo all’accoglimento
della questione la delicatezza del bilanciamento che dovrà essere operato dal
giudice rimettente per determinare, nel caso concreto, le modalità di
esecuzione della sentenza della Corte EDU e per consentire, quindi, di
riallacciare i rapporti tra madre e figlio; in ogni caso, tale aspetto
atterrebbe ad un momento successivo dell’iter logico da seguire nel giudizio di
revocazione.
3.− Con memoria
depositata il 27 febbraio 2018, la parte privata ha ulteriormente illustrato le
ragioni a sostegno della rilevanza e non manifesta infondatezza della questione
di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte d’appello di Venezia.
Secondo la signora J. Z.,
all’accoglimento della questione non osterebbero le conclusioni raggiunte dalla
Corte costituzionale con la sentenza n. 123 del
2017.
Quest’ultima avrebbe
ritenuto non estensibile ai processi civili e amministrativi l’obbligo di
riapertura previsto per i processi penali, in ragione di tre considerazioni: la
diversità di rango dei diritti protetti, la necessità di tutelare i terzi e la
discrezionalità riconosciuta in capo ai singoli Stati contraenti nella scelta
dei mezzi di attuazione delle sentenze della Corte di Strasburgo.
3.1.− Quanto al rango dei diritti fondamentali
protetti, la parte privata osserva che per un genitore «il diritto ad un
rapporto con il figlio, la possibilità di incontrarlo e di continuare quanto
meno ad avere sue notizie, è un diritto di rango superiore a quello della
libertà personale».
3.2.− La necessità di tutelare i terzi non
ricorrerebbe nel caso di specie, poiché i genitori adottivi non sono parti del
procedimento di adottabilità e, in ogni caso, sarebbe preminente l’interesse
del minore.
3.3.− In relazione alla discrezionalità nella
scelta delle modalità di attuazione delle sentenze della Corte EDU, non
andrebbe dimenticato che l’art. 46 della Convenzione impone agli Stati
contraenti di fare quanto possibile per dare attuazione ai diritti fondamentali
da essa tutelati.
Da ciò discenderebbe
l’obbligo di rimettere la ricorrente, per quanto possibile, nella condizione
precedente la violazione convenzionale, il che postulerebbe la necessità di
porre in discussione il divieto, recato dalla sentenza passata in giudicato, di
qualsiasi relazione tra madre naturale e figlio.
Considerato in diritto
1.− La Corte
d’appello di Venezia, sezione per i minorenni, ha sollevato questione di
legittimità costituzionale degli artt. 395 e 396 del codice di procedura
civile, nella parte in cui non prevedono tra i casi di revocazione quello in
cui essa «si renda necessaria per consentire il riesame del merito della
sentenza impugnata per la necessità di uniformarsi alle statuizioni vincolanti
rese dalla Corte europea dei diritti dell’uomo», deducendo la violazione
dell’art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione al parametro
interposto dell’art. 46, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei
diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4
novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848.
2.− Il rimettente è
stato adito per la revocazione della propria sentenza n. 126 del 19 novembre
2010, di conferma di quella resa in primo grado dal Tribunale per i minorenni
di Venezia, che aveva dichiarato l’adottabilità del minore A. T. Z. e disposto
l’interruzione dei rapporti con la famiglia naturale.
Riferisce la Corte
d’appello di Venezia che la domanda di revocazione proposta dalla madre J. Z.
fa seguito alla sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, seconda
sezione, Zhou contro
Italia, 21 gennaio 2014, che ha accertato la violazione, ad opera dello
Stato italiano, dell’art. 8 della CEDU e lo ha condannato al pagamento in
favore della ricorrente della somma di euro 40.000,00, a titolo di indennizzo
per il danno morale subito, oltre alle spese.
Il rimedio revocatorio,
consentendo di riesaminare nel merito la questione già decisa con la sentenza
passata in cosa giudicata, sarebbe l’unico idoneo a consentire l’esecuzione
della pronuncia della Corte EDU, la quale avrebbe ritenuto che, a salvaguardia
del rispetto della vita familiare da ingerenze non giustificate, le autorità italiane
avrebbero dovuto, prima di disporre l’affidamento del minore e avviare una
procedura di adottabilità, prendere misure concrete per permettergli di vivere
con la madre, e, in ogni caso, non recidere il legame con quest’ultima con
un’adozione legittimante.
Ritiene il rimettente che,
qualora l’ordinamento non apprestasse lo strumento della revocazione delle
sentenze passate in giudicato per l’ipotesi di conflitto con sopravvenute
sentenze della Corte EDU, ne risulterebbe violato l’art. 117, primo comma,
Cost., in relazione all’art. 46, paragrafo 1, della CEDU, che impegna gli Stati
contraenti «a conformarsi alle sentenze definitive della Corte [europea dei
diritti dell’uomo] sulle controversie di cui sono parti».
3.− È non implausibile, e per ciò solo non sindacabile da questa
Corte, il giudizio sulla rilevanza operato dal rimettente, il quale afferma di
dover fare applicazione delle norme censurate per decidere, in sede
rescindente, sull’ammissibilità della domanda di revocazione.
La decisione della questione
di costituzionalità, infatti, influisce concretamente sulla prima valutazione
che la Corte d’appello di Venezia è chiamata a fare circa la riconducibilità
del caso di specie ad uno dei motivi revocatori previsti dalla legge (sentenza n. 123 del
2017).
Non incide sulla rilevanza
ogni aspetto estraneo al giudizio di ammissibilità della fase rescindente, ivi
compresa la verifica dell’effettiva esistenza di un contrasto con la sentenza
della Corte EDU, dei suoi esatti termini e, infine, della possibilità attuale e
delle eventuali modalità per rimuoverlo (aspetto, quest’ultimo, che in sede
rescissoria imporrebbe al giudice a quo di verificare, tenendo conto del best interest del minore, la possibilità di riallacciare i
rapporti con la famiglia di origine a notevole distanza di tempo dalla loro
interruzione e in probabile presenza del completo inserimento del minore in una
nuova famiglia in forza di una successiva sentenza di adozione).
4.− Nel merito la
questione non è fondata.
Con la citata sentenza n. 123 del
2017, questa Corte, dopo avere esaminato la giurisprudenza della Corte EDU
e valorizzato, in particolare, l’importante pronuncia della Grande camera, 5
febbraio 2015, Bochan contro Ucraina (n. 2), ha ritenuto che l’art.
46, paragrafo 1, della CEDU, come letto dalla Corte di Strasburgo cui spetta la
funzione di interprete «eminente» (sentenze n. 49 del
2015 e n.
348 del 2007) del diritto convenzionale, allo stato non imponga un obbligo
di riapertura dei processi civili e amministrativi.
La Corte EDU, infatti,
nell’interpretare l’art. 46, paragrafo 1, si limita ad incoraggiare
l’introduzione della misura ripristinatoria della riapertura dei processi non
penali, lasciando, tuttavia, la relativa decisione agli Stati contraenti, e ciò
in considerazione della necessità di tutelare i soggetti, diversi dal
ricorrente a Strasburgo e dallo Stato, che, pur avendo preso parte al giudizio
interno, non sono parti necessarie del giudizio convenzionale.
Nella stessa sentenza n. 123 del
2017, tuttavia, questa Corte, data l’importanza del tema dell’esecuzione
delle sentenze della Corte EDU anche al di fuori della materia penale, ha
auspicato sia un sistematico coinvolgimento dei terzi nel processo
convenzionale (invocato anche in una opinione concorrente riportata in calce
alla citata sentenza Bochan) sia un intervento del legislatore che permetta
di conciliare il diritto di azione delle parti vittoriose a Strasburgo con
quello di difesa dei terzi (su entrambi gli aspetti questa Corte è già tornata
con la sentenza
n. 6 del 2018).
5.− Ad oggi la
giurisprudenza della Corte di Strasburgo non è mutata, come dimostra la
sentenza della Grande camera, 11 luglio 2017, Moreira
Ferreira contro Portogallo (n. 2), ove si è nuovamente sottolineata la
differenza tra processi penali e civili e la necessità, con riferimento a
questi ultimi, di tutelare i terzi, la cui posizione processuale non è
assimilabile a quella delle vittime dei reati nei procedimenti penali
(paragrafi 66 e 67).
La sentenza, anzi, si
segnala per l’affermazione, ripresa da diverse angolazioni nelle opinioni
dissenzienti, secondo cui la riapertura dei processi interni, finanche penali, a
seguito di sopravvenute sentenze della Corte EDU di accertamento della
violazione di diritti convenzionali, non è un diritto assicurato dalla
Convenzione (paragrafo 60, lettera a).
L’assenza di novità nella
lettura, ad opera della Corte di Strasburgo, dell’art. 46, paragrafo 1, della
CEDU in relazione all’obbligo di riapertura dei processi civili e
amministrativi, del resto neanche affermato nel caso di specie, esaurisce,
dunque, l’esame dell’odierno thema decidendum e comporta il rigetto della questione di
legittimità costituzionale, sollevata dal rimettente esclusivamente sotto il
profilo della violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione al
citato parametro interposto.
6.− Per le ragioni
già esposte in punto di rilevanza, fuoriesce dall’alveo della presente
questione di legittimità costituzionale il dibattito giurisprudenziale e
dottrinale, in cui si inserisce la stessa pronuncia della Corte EDU posta a
fondamento dell’istanza di revocazione nel giudizio a quo, sulla opportunità o
meno di favorire in via interpretativa o di introdurre in via legislativa forme
di adozione che consentano il mantenimento dei rapporti del minore con la
famiglia di origine.
per
questi motivi
LA
CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di
legittimità costituzionale degli artt. 395 e 396 del codice di procedura
civile, sollevata, in riferimento all’art. 117, primo comma, della
Costituzione, dalla Corte d’appello di Venezia, sezione per i minorenni, con
l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella
sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 marzo 2018.
F.to:
Giorgio LATTANZI,
Presidente
Giancarlo CORAGGIO,
Redattore
Filomena PERRONE,
Cancelliere
Depositata in Cancelleria
il 27 aprile 2018.