Ordinanza n. 65 del 2018

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ORDINANZA N. 65

ANNO 2018

Commento alla decisione di

Alessia Tomo

Legittimità costituzionale degli oneri di riscossione di tributi erariali e locali: ancora nulla cambia nel mutato quadro della riscossione italiana. Nota a ordinanza della Corte costituzionale n. 65 del 29/3/2018

per g.c. di Federalismi.it

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Giorgio                            LATTANZI                         Presidente

-           Aldo                                CAROSI                                Giudice

-           Marta                               CARTABIA                                 ”

-           Mario Rosario                  MORELLI                                    ”

-           Giancarlo                         CORAGGIO                                ”

-           Giuliano                           AMATO                                       ”

-           Silvana                             SCIARRA                                    ”

-           Daria                                de PRETIS                                   ”

-           Nicolò                              ZANON                                       ”

-           Augusto Antonio            BARBERA                                  ”

-           Giulio                              PROSPERETTI                            ”

-           Giovanni                          AMOROSO                                 ”

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 17 del decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112 (Riordino del servizio nazionale della riscossione, in attuazione della delega prevista dalla legge 28 settembre 1998, n. 337), come sostituito dall’art. 32, comma 1, lettera a), del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 (Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale), convertito, con modificazioni, nella legge 28 gennaio 2009, n. 2, promosso dalla Commissione tributaria regionale della Lombardia, nel procedimento vertente tra Dolce & Gabbana Trademarks srl con socio unico ed Equitalia Nord spa, poi incorporata da Equitalia Servizi di riscossione spa, con ordinanza dell’8 giugno 2016, iscritta al n. 264 del registro ordinanze 2016 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 2, prima serie speciale, dell’anno 2017.

Visti gli atti di costituzione di Dolce & Gabbana Trademarks srl con socio unico e di Equitalia Servizi di riscossione spa, quale società incorporante di Equitalia Nord spa, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella udienza pubblica del 6 febbraio 2018 il Giudice relatore Giancarlo Coraggio;

uditi gli avvocati Eugenio Briguglio e Claudio Consolo per Dolce & Gabbana Trademarks srl con socio unico, Marcello Cecchetti e Alfonso Papa Malatesta per Equitalia Servizi di riscossione spa, quale società incorporante di Equitalia Nord spa, e l’avvocato dello Stato Gianni De Bellis per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto che la Commissione tributaria regionale della Lombardia − nel corso di un giudizio di appello avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Milano di rigetto del ricorso proposto per l’annullamento di una cartella di pagamento nella parte riguardante i compensi di riscossione − con ordinanza dell’8 giugno 2016, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 24, primo comma, e 97, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 17 (recte: comma 1) del decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112 (Riordino del servizio nazionale della riscossione, in attuazione della delega prevista dalla legge 28 settembre 1998, n. 337), «nonché» dell’art. 32, comma 1, lettera a), del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 (Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale), convertito, con modificazioni, nella legge 28 gennaio 2009, n. 2;

che il giudice a quo, affermata la rilevanza della questione, ne sostiene la non manifesta infondatezza con riferimento ai predetti parametri costituzionali, posto che, in particolare, sarebbero violati:

− l’art. 3, primo comma, Cost., in quanto la disposizione censurata creerebbe una disparità di trattamento tra il contribuente che paghi tempestivamente la somma quantificata nell’avviso di accertamento e il contribuente che decida di far valere in giudizio le proprie ragioni, il quale, in ipotesi di soccombenza (anche parziale), viene attinto da una cartella di pagamento ed è tenuto al pagamento del compenso di riscossione, ed, inoltre, essa non prevederebbe un ancoraggio della remunerazione al costo del servizio di riscossione effettivamente svolto;

− l’art. 24, primo comma, Cost., in quanto il censurato art. 17 avrebbe l’effetto indiretto di dissuadere il contribuente dal far valere le proprie ragioni davanti all’autorità giudiziaria, posto che, agli inevitabili costi connessi alla scelta della via contenziosa, aggiunge il costo del compenso di riscossione;

− l’art. 97, primo comma, Cost., in quanto «l’Ufficio procede alla iscrizione a ruolo senza alcuno invito preventivo» ed, inoltre, «ad Equitalia s.p.a., un soggetto di diritto privato, ancorché partecipato dallo Stato […], viene attribuita una posizione di preminenza e di favore nei confronti della platea dei contribuenti e degli stessi concorrenti nell’attività di riscossione, facendolo beneficiare di compensi di tale entità in assenza di una corrispondente attività di impresa (e dei relativi costi) effettivamente svolta», con conseguente difetto di organizzazione secondo criteri di imparzialità della funzione pubblica di riscossione;

che, con atto depositato il 30 gennaio 2017, è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale sostiene la non fondatezza della questione sollevata sulla base delle seguenti considerazioni:

− ragionevole sarebbe la scelta di politica fiscale del legislatore di addossare l’onere della riscossione non sulla fiscalità generale (comprensiva dei contribuenti in regola con gli adempimenti fiscali) ma sui soli soggetti “morosi”, dovendosi includere tra essi anche coloro che, raggiunti da una cartella di pagamento, adempiono nel termine di sessanta giorni dalla sua notifica;

− contrariamente a quanto asserito dal giudice a quo, il contribuente che sceglie di impugnare l’atto di accertamento non dovrebbe necessariamente attendere la notifica della cartella di pagamento per versare quanto dovuto, potendo pagare a seguito della notifica dell’atto impositivo, senza aspettare l’iscrizione a ruolo a titolo provvisorio della frazione di imposta dovuta e la successiva notifica della cartella di pagamento;

− sarebbe del tutto indimostrato che la determinazione del compenso di riscossione determini una sovracompensazione del servizio, in quanto la finalità cui tende la determinazione dell’aggio, e cioè la remunerazione dei costi complessivi sostenuti dall’agente della riscossione, non implica una sua necessaria correlazione con la singola operazione condotta da quest’ultimo;

− nell’esercizio della propria discrezionalità il legislatore ben potrebbe, ragionevolmente, assicurare l’obiettivo di garantire l’equilibrio economico del sistema della riscossione attraverso tecniche di riparto che distribuiscano il costo complessivo del sistema e i fattori di rischio che lo caratterizzano sulla platea dei contribuenti «secondo parametri mutualistico-attuariali», risultando ragionevole la scelta di stabilire l’aggio nella misura rigidamente proporzionale rispetto all’importo del debito, comprensivo degli interessi, che ha dato causa all’esecuzione, mentre, di contro, la fissazione di un limite massimo finirebbe, inevitabilmente e irragionevolmente, per riversare la parte maggiore del costo delle esecuzioni infruttuose sulla platea dei contribuenti il cui inadempimento è minore;

che, in particolare, secondo il Presidente del Consiglio dei ministri la questione sollevata in relazione all’art. 3 Cost., sotto il profilo dell’irragionevolezza, sarebbe infondata, perché sarebbe del tutto indimostrato che il tasso proporzionale applicato su tutte le esecuzioni fruttuose è eccedente rispetto all’obiettivo di remunerazione dell’intero sistema della riscossione; ugualmente infondata sarebbe la questione relativa al medesimo parametro costituzionale sotto il profilo della disparità di trattamento, in quanto si tratterebbe chiaramente di situazioni diverse disciplinate in maniera eterogenea;

che, con atto depositato il 30 gennaio 2017, si è costituita la società Dolce & Gabbana Trademarks srl con socio unico, appellante nel giudizio a quo, sostenendo l’illegittimità costituzionale della norma censurata;

che, con atto depositato il 31 gennaio 2017, si è costituita Equitalia Servizi di riscossione spa, quale società incorporante di Equitalia Nord spa con effetto dal 1° luglio 2016, eccependo l’inammissibilità della questione, sotto i seguenti profili:

− inesatta ed equivoca individuazione del relativo oggetto, in quanto il giudice rimettente, pur censurando l’art. 17, fonderebbe il proprio ragionamento coinvolgendo una disposizione diversa − ovverosia l’art. 29 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, in legge 30 luglio 2010, n. 122, come modificato dalla legge 15 luglio 2011, n. 111 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 recante disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria) −, dalla quale deriverebbero gli effetti asseritamente incostituzionali lamentati dalla Commissione tributaria regionale (sarebbe, infatti, il mancato pagamento a seguito di accertamento e non l’eventuale impugnazione dell’atto di accertamento a determinare l’avvio delle attività di riscossione e quindi l’applicazione del citato art. 17, con la relativa previsione dell’aggio);

− difetto di motivazione, posto che, secondo quanto sopra rilevato, le argomentazioni svolte dal giudice rimettente riguarderebbero una disposizione legislativa differente da quella censurata, ovverosia l’art. 29 del d.l. n. 78 del 2010, mancando, quindi, un supporto motivazionale con riferimento al denunciato art. 17;

− difetto di motivazione sulla rilevanza, sotto il profilo della carente descrizione della fattispecie, in quanto il giudice rimettente non specificherebbe la data esatta in cui è stato emesso l’avviso di accertamento, con ciò impedendo di verificare se trova applicazione l’art. 29 del d.l. n. 78 del 2010 e, in caso positivo, di individuare quale versione dello stesso (se quella originaria, a norma della quale le prescrizioni ivi contenute si applicano agli atti emessi a partire dal 1° luglio 2011, o quella successiva alla modifica introdotta dal decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, recante «Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria», a norma della quale le prescrizioni ivi contenute si applicano agli atti emessi a partire dal 1° ottobre 2011);

− quanto agli artt. 3 e 24 Cost., difetto assoluto di rilevanza: un’eventuale pronuncia su tali censure − per come formulate dal giudice rimettente − non potrebbe incidere in alcun modo sulla definizione del giudizio dal quale è scaturito l’incidente di costituzionalità, in quanto, mentre esse ruotano intorno alla distinzione tra il contribuente che paga tempestivamente le somme indicate nell’avviso di accertamento e il contribuente che, invece, decide di ricorrere avverso tale avviso, oggetto del giudizio dinanzi alla Commissione tributaria regionale è la cartella di pagamento (e non quindi l’avviso di accertamento);

− omesso tentativo di interpretazione della norma censurata in conformità ai parametri costituzionali evocati, mancando qualsiasi sforzo di una interpretazione costituzionalmente orientata da parte del giudice a quo, rinvenibile, peraltro, in precedenti pronunce di Commissioni tributarie regionali e provinciali;

che, nel merito, la società sostiene l’infondatezza della questione sotto tutti i profili dedotti, rilevando quanto segue:

− con riferimento alla disparità di trattamento, in violazione dell’art. 3, primo comma, Cost., tra il contribuente che paghi tempestivamente le somme indicate nell’avviso di accertamento e il contribuente che, invece, decida di ricorrere avverso tale avviso, il censurato art. 17, occupandosi della misura del compenso di riscossione, nulla direbbe in merito alla decisione del contribuente di far valere le proprie ragioni in giudizio, non determinando quindi alcuna disparità di trattamento nei termini esposti dal giudice rimettente;

− in relazione al medesimo parametro, la pretesa irrazionalità della norma legislativa per mancato ancoraggio della misura dell’aggio all’attività di riscossione in funzione delle specifiche attività svolte nei confronti del singolo debitore non sussisterebbe, atteso che correttamente il compenso sarebbe destinato a remunerare la complessa attività di istituzione e il mantenimento in efficienza del sistema nazionale della riscossione, e, peraltro, sarebbe determinato in base a criteri non arbitrari né irragionevoli e, infine, idonei ad assicurare la necessaria correlazione ai costi effettivi;

− egualmente infondata sarebbe la censura di cui all’art. 24, primo comma, Cost., in quanto non vi sarebbe alcuna correlazione tra l’esercizio del diritto di impugnazione dell’atto impositivo e l’obbligo di corrispondere il compenso di riscossione, dato che l’aggravio cui fa riferimento il giudice a quo non deriverebbe dall’esercizio del diritto di difesa ma esclusivamente dal mancato adempimento spontaneo all’eventuale atto impositivo, adempimento che, peraltro, lascerebbe salvo il diritto alla restituzione di quanto versato nell’ipotesi in cui l’impugnazione venga accolta, ferma restando, inoltre, la previsione della possibilità, su istanza motivata del ricorrente, di sospensione dell’esecuzione degli atti impugnati dinanzi alle Commissioni tributarie ai sensi dell’art. 47 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413);

− infondata, infine, sarebbe la censura di cui all’art. 97, primo comma, Cost., perché, da un lato, il principio di imparzialità sul versante dell’organizzazione degli uffici delle amministrazioni pubbliche non riguarderebbe né il «principio della collaborazione e della buona fede» invocato dal giudice rimettente, né il fatto che venga assegnato ad un soggetto privato l’esercizio della funzione di riscossione, né, infine, la circostanza che tale funzione sia remunerata con i compensi disciplinati dalla norma oggetto di censura, e, dall’altro lato, non si comprenderebbe in che termini il censurato art. 17 porrebbe l’agente della riscossione in una «posizione di preminenza» rispetto ai contribuenti;

che in data 5 gennaio 2018 la società Dolce & Gabbana Trademarks srl ha depositato documenti reputati rilevanti ai fini della definizione del giudizio;

che in data 16 gennaio 2018 l’Agenzia delle entrate - Riscossione, ente subentrato ex art. 1, comma 3, del decreto-legge 22 ottobre 2016, n. 193 (Disposizioni urgenti in materia fiscale e per il finanziamento di esigenze indifferibili), convertito, con modificazioni, in legge 1° dicembre 2016, n. 225, nei rapporti giuridici, anche processuali, della società Equitalia Servizi di riscossione spa, ha depositato memoria, ripercorrendo le argomentazioni già sviluppate nell’atto di costituzione e sostenendo l’opportunità di disporre quantomeno una limitazione della retroattività degli effetti di una eventuale declaratoria di incostituzionalità in considerazione delle «esigenze dettate dal ragionevole bilanciamento tra i diritti e i principi coinvolti» (sentenza n. 10 del 2015);

che in data 16 gennaio 2018 la società Dolce & Gabbana Trademarks srl ha depositato memoria, ribadendo la rilevanza della questione sollevata;

che, in particolare, sviluppa le proprie argomentazioni incentrate sui seguenti profili preliminari:

− manifesta infondatezza dell’eccezione di inammissibilità sollevata per insufficiente descrizione della fattispecie: la data di emissione dell’avviso di accertamento sarebbe irrilevante, in quanto, in base alla normativa vigente al momento dell’emissione della cartella impugnata, il contribuente sarebbe tenuto comunque a pagare l’aggio, anche in ipotesi di pagamento tempestivo, ed inoltre dall’ordinanza di rimessione risulterebbe che il debito tributario iscritto a ruolo concerne l’imposta sulle persone giuridiche (IRPEG) e l’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) per i periodi d’imposta 2004 e 2005, mentre l’art. 29 del d.l. n. 78 del 2010 si applica solo alle attività di riscossione inerenti quelli «ancora in corso al 31 dicembre 2007»;

− manifesta infondatezza dell’eccezione di inammissibilità sollevata per difetto assoluto di rilevanza delle censure riferite agli artt. 3, primo comma, e 24, primo comma, Cost., in quanto, nonostante alcune argomentazioni del giudice rimettente si sviluppino intorno alla posizione del contribuente destinatario di un avviso di accertamento, la fattispecie in esame riguarda una cartella di pagamento con la quale viene imposto il compenso per l’agente della riscossione;

− manifesta infondatezza dell’eccezione di inammissibilità sollevata per difetto di tentativo di interpretazione costituzionalmente orientata;

− manifesta infondatezza dell’eccezione di inammissibilità sollevata per imprecisa individuazione della norma censurata, in quanto la disposizione censurata sarebbe proprio l’art. 17 del d.lgs. n. 112 del 1999, come novellato dall’art. 32 del d.l. n. 185 del 2008, mentre l’art. 29 del d.l. n. 78 del 2010 verrebbe menzionato dalla Commissione tributaria regionale rimettente al solo scopo di illustrare le censure attraverso un raffronto con la disciplina sopravvenuta;

− manifesta infondatezza dell’eccezione di inammissibilità sollevata per difetto di motivazione delle censure, essendo individuati in maniera puntuale i parametri di legittimità evocati e gli specifici vizi;

che, nel merito, viene affermata la fondatezza della censura di cui all’art. 97, comma primo, Cost., sulla base di quanto affermato nella sentenza n. 480 del 1993 della Corte costituzionale, dalla quale si ricaverebbero alcuni principi cui dovrebbe uniformarsi la disciplina sui compensi degli agenti di riscossione (la possibilità di imporre costi al contribuente solo ove costui vi abbia dato causa con il suo inadempimento dell’obbligo tributario; l’imprescindibile ancoraggio al costo del servizio; la necessità della previsione di un tetto minimo e un tetto massimo), nonché delle censure riferite agli artt. 3, primo comma, e 24, primo comma, Cost., posto che il contribuente in buona fede che scelga di proporre ricorso contro l’avviso di accertamento, e che non si sottrae all’imposizione tributaria parziale da onorare in corso di giudizio, si troverebbe a dover necessariamente corrispondere su tali somme anche l’aggio;

che, infine, viene evidenziato che, contrariamente a quanto sostenuto dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, dall’accoglimento della questione sollevata non potrebbe derivare alcun vulnus alla finanza pubblica, in quanto, in primo luogo, la disciplina in esame sarebbe rimasta in vigore per un periodo particolarmente limitato, ed, in secondo luogo, non vi sarebbe alcuna conseguenza sul bilancio dello Stato, poiché il beneficiario del compenso è l’agente della riscossione.

Considerato che la Commissione tributaria regionale della Lombardia dubita della legittimità costituzionale dell’art. 17 (recte: comma 1) del decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112 (Riordino del servizio nazionale della riscossione, in attuazione della delega prevista dalla legge 28 settembre 1998, n. 337), «nonché» dell’art. 32, comma 1, lettera a), del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 (Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale), convertito, con modificazioni, nella legge 28 gennaio 2009, n. 2, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 24, primo comma, e 97, primo comma, della Costituzione;

che la questione sollevata dal giudice a quo presenta plurimi profili di inammissibilità;

che, con riferimento all’ultimo dei parametri costituzionali evocati (art. 97 Cost.), manca una adeguata motivazione a supporto della relativa censura, la quale risulta formulata in maniera confusa ed oscura;

che, quanto alle altre censure, sussiste un’assoluta indeterminatezza ed ambiguità del petitum;

che, nella prospettazione incentrata sulla disparità di trattamento nonché sulla violazione dell’art. 24 Cost., l’ordinanza di rimessione, nella sua laconicità, sembra tesa ad incidere sulla disciplina dell’aggio, ma non è chiaro se si invochi senz’altro la sua eliminazione ovvero se si intenda colpire la disposizione che autorizza l’emissione della cartella di pagamento pur in presenza di impugnazione dell’avviso di accertamento, disposizione che tuttavia non è indicata né espressamente censurata dalla Commissione tributaria regionale;

che, in relazione alla presunta irrazionalità del sistema, invece, sembra che il giudice rimettente si dolga dell’aggio non in quanto tale ma solo perché non ancorato al costo effettivo dell’attività di riscossione e sembra, quindi, invocare un intervento non totalmente caducatorio ma teso a ridisegnare la disciplina del compenso dell’agente di riscossione in maniera tale da garantire tale ancoraggio;

che, d’altro canto, a volere così intendere la richiesta del giudice a quo, residua un insuperabile margine di ambiguità poiché – in mancanza dell’indicazione dei criteri da seguire per la quantificazione dell’aggio – la prospettazione dell’ordinanza di rimessione si presta ad una duplice lettura della asserita sproporzione del compenso: rispetto ai costi complessivi dell’attività svolta dall’agente della riscossione oppure rispetto al costo della specifica procedura esecutiva;

che tale indeterminatezza e oscurità del petitum non è risolta neanche nelle conclusioni dell’ordinanza, che si limitano ad una generica richiesta di declaratoria di incostituzionalità dell’art. 17, comma 1, del d.lgs. n. 112 del 1999;

che pertanto, secondo la costante giurisprudenza costituzionale, sussiste la manifesta inammissibilità della questione sollevata (ex plurimis, ordinanze n. 227 del 2016 e n. 269 del 2015).

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 17, comma 1, del decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112 (Riordino del servizio nazionale della riscossione, in attuazione della delega prevista dalla legge 28 settembre 1998, n. 337), come sostituito dall’art. 32, comma 1, lettera a), del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 (Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale), convertito, con modificazioni, nella legge 28 gennaio 2009, n. 2, sollevata, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 24, primo comma, e 97, primo comma, della Costituzione, dalla Commissione tributaria regionale della Lombardia, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 febbraio 2018.

F.to:

Giorgio LATTANZI, Presidente

Giancarlo CORAGGIO, Redattore

Filomena PERRONE, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 29 marzo 2018.