Sentenza n. 23 del 2018

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SENTENZA N. 23

ANNO 2018

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

-           Paolo                           GROSSI                                            Presidente

-           Giorgio                       LATTANZI                                        Giudice  

-           Aldo                           CAROSI                                                   ”

-           Marta                          CARTABIA                                             ”

-           Mario Rosario             MORELLI                                                ”

-           Giancarlo                    CORAGGIO                                              ”

-           Giuliano                      AMATO                                                    ”

-           Silvana                        SCIARRA                                                ”

-           Daria                           de PRETIS                                               ”

-           Nicolò                         ZANON                                                   ”

-           Augusto Antonio       BARBERA                                                ”

-           Giulio                         PROSPERETTI                                         ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, della legge 2 agosto 1990, n. 233 (Riforma dei trattamenti pensionistici dei lavoratori autonomi), e dell’art. 1, comma 18, della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare), promosso dal Tribunale ordinario di Trento, sezione per le controversie di lavoro, nel procedimento vertente tra G. M. e l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), con ordinanza del 6 ottobre 2015, iscritta al n. 59 del registro ordinanze 2016 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 13, prima serie speciale, dell’anno 2016.

Visti l’atto di costituzione dell’INPS, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella udienza pubblica del 7 novembre 2017 il Giudice relatore Giulio Prosperetti;

uditi l’avvocato Luigi Caliulo per l’INPS e l’avvocato dello Stato Federico Basilica per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.– Il Tribunale ordinario di Trento, sezione per le controversie di lavoro, con ordinanza del 6 ottobre 2015, solleva, in riferimento all’art. 3, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, della legge 2 agosto 1990, n. 233 (Riforma dei trattamenti pensionistici dei lavoratori autonomi), e dell’art. 1, comma 18, della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare), nelle parti in cui individuano, rispettivamente le ultime 520 settimane e 780 settimane coperte da contribuzione – cui si riferiscono i redditi da computare per la determinazione del reddito medio annuo costituente la base di calcolo del trattamento pensionistico – in quelle anteriori alla data di insorgenza del diritto alla decorrenza della pensione, anziché in quelle anteriori alla data di maturazione dei requisiti per l’accesso al pensionamento.

In particolare: l’art. 5, comma 1, della legge n. 233 del 1990, prevede: «La misura dei trattamenti pensionistici da liquidare, con effetto dal 1° luglio 1990, in favore degli iscritti alle gestioni di cui all’articolo 1 è pari, per ogni anno di iscrizione e contribuzione alle rispettive gestioni, al 2 per cento del reddito annuo d’impresa determinato, per ciascun soggetto assicurato, ai sensi dell’articolo 1, quale risulta dalla media dei redditi relativi agli ultimi dieci anni coperti da contribuzione o al minor numero di essi, anteriori alla decorrenza della pensione»; l’art. 1, comma 18, della legge n. 335 del 1995, stabilisce: «Per i lavoratori autonomi iscritti all’INPS che al 31 dicembre 1992 abbiano avuto un’anzianità contributiva pari o superiore ai 15 anni, gli incrementi di cui al comma 17 ai fini della determinazione della base pensionabile trovano applicazione nella stessa misura e con la medesima decorrenza e modalità di computo ivi previste, entro il limite delle ultime 780 settimane di contribuzione antecedenti la decorrenza della pensione».

1.1.– Il rimettente espone che, con ricorso depositato in data 29 aprile 2014, G. M. ha proposto nei confronti dell’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) domanda di accertamento del diritto alla pensione di anzianità nella gestione artigiani, a decorrere dal 1° giugno 2013, avendo maturato, alla data del 31 dicembre 2011, un numero di contributi settimanali superiore a quello richiesto per conseguire il diritto al trattamento pensionistico.

Dopo aver illustrato alcuni aspetti della questione e le fasi del procedimento, il rimettente rappresenta, in particolare, che in ottemperanza all’ordinanza pronunciata nel corso del giudizio le parti avevano depositato conteggi coincidenti in ordine alla decorrenza del trattamento (1° giugno 2013), ma difformi in ordine all’entità del trattamento: per il ricorrente, il rateo mensile di pensione di anzianità alla data del 1° giugno 2013 ammonterebbe ad euro 2.703,62 mentre, secondo l’INPS, il trattamento corrisponderebbe ad euro 2.462,85.

1.2.– Il rimettente afferma che la difformità riscontrata fra il conteggio effettuato dal ricorrente e quello effettuato dall’Istituto previdenziale deriva «pacificamente» dalla diversa individuazione ad opera delle parti della data da cui individuare retroattivamente le ultime 520 settimane coperte da contribuzione, ai fini del computo della cosiddetta quota A (afferente, ai sensi dell’art. 5, comma 1, della legge n. 233 del 1990, la contribuzione versata dall’interessato alla gestione speciale per gli artigiani fino al 31 dicembre 1992), e le ultime 780 settimane coperte da contribuzione, ai fini del computo della cosiddetta quota B (inerente, ai sensi dell’art. 1, comma 18, della legge n. 335 del 1995, la contribuzione versata alla medesima gestione previdenziale dal 1° gennaio 1993).

Secondo il ricorrente, tali settimane vanno individuate in quelle antecedenti la data di maturazione dei requisiti per l’accesso al pensionamento (30 novembre 2011). Diversamente, l’INPS individua le ultime 520 settimane e le ultime 780 coperte da contribuzione, in quelle antecedenti al 1° giugno 2013, data di insorgenza del diritto alla decorrenza della pensione. Ciò in quanto l’art. 12, comma 2, lettera b), del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, ha separato i due momenti, prevedendo un intervallo di diciotto mesi, cosiddetta “finestra mobile”, fra la data di maturazione dei requisiti e la data di insorgenza del diritto alla pensione.

Pertanto, il rimettente assume che il contrasto concerne la questione se, ai fini dell’individuazione delle 520 settimane, ovvero delle 780 coperte da contribuzione (alle quali si riferiscono i redditi da computare per la determinazione del reddito medio annuo costituente la base di calcolo del trattamento pensionistico), debba essere considerato o meno il predetto intervallo di tempo previsto dalla “finestra mobile”.

Ad avviso del rimettente, la littera legis delle disposizioni scrutinate, facendo espresso riferimento alla «decorrenza della pensione», conduce a ritenere che le predette settimane debbano essere computate decorso il periodo di diciotto mesi, ma ciò determinerebbe conseguenze irragionevoli nell’ipotesi in cui il lavoratore, come nel caso di specie, una volta maturati i requisiti di accesso al pensionamento, anziché cessare l’attività lavorativa, la prosegua nel periodo di attesa per conseguire il diritto alla decorrenza della pensione, producendo, però, redditi inferiori a quelli dichiarati nei diciotto mesi precedenti la maturazione dei requisiti.

1.3.– Ciò posto, il giudice rimettente solleva d’ufficio questione di legittimità costituzionale delle disposizioni di cui all’art. 5, comma 1, della legge n. 233 del 1990, e all’art. 1, comma 18, della legge n. 335 del 1995, assumendo che esse si pongono in contrasto con il precetto di cui all’art. 3, primo comma, Cost.

1.4.– Il rimettente deduce che, stante la separazione fra momento di maturazione del requisito per l’accesso al pensionamento (30 novembre 2011) e data di conseguimento del diritto alla decorrenza della pensione (1° giugno 2013), il lavoratore interessato riceverebbe, a tale data, un trattamento quantitativamente inferiore a quello in precedenza spettante (ma non esigibile) all’epoca della maturazione dei requisiti per l’accesso al pensionamento.

Secondo il rimettente sarebbe «contraria al principio di razionalità, insito nel precetto ex art. 3 comma 1 Cost., sia nel senso di razionalità pratica, sia nel senso di razionalità formale, cioè del principio logico di non contraddizione (in questo senso Corte cost. n. 113 del 2015 e n. 172 del 1996), una norma che determini in presenza di ulteriore contribuzione un trattamento pensionistico inferiore a quello che sarebbe stato attribuito in mancanza di quella stessa contribuzione». Per il rimettente sarebbe evidente che un lavoratore, una volta maturati i requisiti per l’accesso al pensionamento, non può subire una diminuzione del suo trattamento pensionistico per il solo fatto di aver maturato una maggiore contribuzione, essendo illogico che il versamento di una ulteriore contribuzione determini una riduzione delle prestazioni.

2.– Con atto depositato il 19 aprile 2016, l’INPS si è costituito nel giudizio incidentale, chiedendo di dichiarare manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata.

Ad avviso dell’INPS, il giudice rimettente «sembra muovere da un duplice presupposto palesemente errato: il calcolo della pensione può essere piegato alle esigenze del singolo assicurato e dunque registrare variazioni nelle modalità di svolgimento e di esecuzione; esiste un momento di perfezionamento dei requisiti diverso da quello di maturazione del diritto a ricevere la pensione».

Rileva, in particolare, l’Istituto previdenziale che, ai sensi dell’art. 22, quinto comma, della legge 30 aprile 1969, n. 153 (Revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale), la pensione di anzianità, oggetto della controversia, decorreva normalmente dal primo giorno del mese successivo a quello di presentazione della domanda a seguito del perfezionamento dei requisiti assicurativi, contributivi e ferma la cessazione dell’attività. Il sistema, tuttavia, ha subito una serie di modifiche, per effetto di norme che hanno differito il tempo di decorrenza del trattamento, a partire dall’art. 1, comma 1, del decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384 (Misure urgenti in materia di previdenza, di sanità e di pubblico impiego, nonché disposizioni fiscali), convertito, con modificazioni, dalla legge 14 novembre 1992, n. 438.

Evidenzia l’INPS che in tale contesto si colloca l’art. 12, comma 2, lettera b), del d.l. n. 78 del 2010, stabilendo che, per i lavoratori autonomi iscritti alla specifica gestione previdenziale, il trattamento pensionistico decorra dopo diciotto mesi dalla maturazione dei relativi requisiti. Secondo l’Istituto, il legislatore ha così ritenuto non più sufficiente il requisito contributivo per la sussistenza del diritto, prevedendo il decorso di un ulteriore segmento temporale ai fini della concessione del trattamento. Afferma, in proposito, l’INPS che tale valenza costitutiva del fattore tempo «si fonda sulla valorizzazione della natura di tale elemento quale ulteriore integrazione, con riferimento alla pensione di anzianità, dell’età anagrafica: il diritto dunque si perfeziona solo una volta che è completamente trascorso tale ulteriore lasso temporale indicato dalla legge (cfr. Cass. sez. lav. 24 agosto 2007 n. 18041)».

Aggiunge, inoltre, l’Istituto che elementi accidentali come una temporanea flessione degli incassi non «può indurre ad accreditare una lettura delle disposizioni che “adatti” la determinazione della quota alle particolari esigenze dell’assicurato, anche in considerazione del fatto che tali eventi si verificano prima che siano perfezionati i requisiti per la maturazione del diritto al momento della decorrenza della pensione».

3.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto nel presente giudizio, con atto depositato il 19 aprile 2016, chiedendo di dichiarare infondata la questione.

Assume l’interveniente che la modalità di attuazione del principio sancito dall’art. 38 Cost. compete alla discrezionalità del legislatore, nella quale rientrano «le mutevoli scelte politiche che via via orientano la disciplina del periodo di riferimento per la determinazione della retribuzione pensionabile, nel senso della semplificazione del sistema ovvero di garantire al lavoratore una più favorevole base di calcolo oppure al contrario di attenuare il disavanzo del sistema».

Rileva l’Avvocatura generale dello Stato che le cosiddette “finestre mobili”, previste dall’art. 12 del d.l. n. 78 del 2010, sono finalizzate al contenimento della spesa, differendo il pagamento della prestazione in un momento successivo a quello nel quale sono maturati i requisiti per il pensionamento e che, conseguentemente, l’impostazione sostenuta dal giudice rimettente condurrebbe ad un aumento della spesa pubblica.

3.1.– Con memoria depositata il 17 ottobre 2017, la difesa erariale, nel ribadire le considerazioni già formulate nell’atto di intervento, insiste per la dichiarazione di infondatezza della questione di legittimità costituzionale.

Considerato in diritto

1.– Il Tribunale ordinario di Trento, sezione per le controversie di lavoro, con ordinanza del 6 ottobre 2015, solleva questione di legittimità costituzionale, per violazione dell’art. 3, primo comma, della Costituzione, dell’art. 5, comma 1, della legge 2 agosto 1990, n. 233 (Riforma dei trattamenti pensionistici dei lavoratori autonomi), e dell’art. 1, comma 18, della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare), nelle parti in cui individuano, rispettivamente le ultime 520 settimane e 780 settimane coperte da contribuzione – cui si riferiscono i redditi da computare per la determinazione del reddito medio annuo costituente la base di calcolo del trattamento pensionistico – in quelle anteriori alla data di insorgenza del diritto alla decorrenza della pensione, anziché in quelle anteriori alla data di maturazione dei requisiti per l’accesso al pensionamento.

Il giudizio a quo concerne la determinazione del trattamento pensionistico di anzianità di un lavoratore autonomo che ha maturato i requisiti anagrafici e contributivi il 30 novembre 2011, ma ha conseguito il diritto alla decorrenza della pensione diciotto mesi dopo, cioè dal 1° giugno 2013, per effetto della “finestra mobile”, introdotta dall’art. 12, comma 2, lettera b), del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122.

Espone il rimettente che il ricorrente nel giudizio principale, pur avendo continuato a prestare attività lavorativa nei diciotto mesi intercorrenti fra la maturazione dei requisiti anagrafici e contributivi per la pensione e la sua decorrenza, e aver quindi conseguito ulteriore contribuzione, si vedrebbe tuttavia attribuito, a causa della flessione nel reddito conseguito nel predetto periodo, che ha inciso negativamente sulla base di computo del trattamento, un rateo pensionistico inferiore a quello determinabile qualora le settimane da prendere in considerazione siano computate dal conseguimento del requisito anagrafico e contributivo.

Il giudice rimettente ritiene che le disposizioni scrutinate siano irragionevoli e, come tali, contrarie all’art. 3 Cost., nel far decorrere dalla data di accesso al pensionamento le settimane coperte da contribuzione cui riferire i redditi da computare, qualora ciò determini, come avvenuto nel caso in esame, un trattamento deteriore rispetto a quello calcolabile al momento del conseguimento del requisito pensionistico, nonostante l’ulteriore attività lavorativa, con correlata contribuzione, espletata nel periodo di attesa imposto dal sistema della “finestra mobile”. Ad avviso del rimettente, una volta maturati il requisito anagrafico e quello contributivo previsti dall’ordinamento per accedere al pensionamento di anzianità, il lavoratore, difatti, non potrebbe subire una riduzione del trattamento determinabile a tale data, pur avendo conseguito una ulteriore contribuzione.

2.– La questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Trento va dichiarata inammissibile.

2.1.– Il rimettente evidenzia l’irragionevolezza di una successiva contribuzione, conseguita per l’attività lavorativa espletata durante il periodo della “finestra”, che invece di determinare un incremento del trattamento pensionistico calcolabile alla data di maturazione dei suoi requisiti, ne comporta, come nel caso di specie, una riduzione. Tuttavia, l’effetto così segnalato dal rimettente non è determinato dalle disposizioni scrutinate.

È, difatti, l’art. 12, comma 2, lettera b), del d.l. n. 78 del 2010, a distinguere tra maturazione dei requisiti e conseguimento del diritto alla decorrenza del trattamento pensionistico, stabilendo che la pensione si consegue «trascorsi diciotto mesi dalla data di maturazione dei previsti requisiti» e, conseguentemente, a porre il reale thema decidendum dell’odierna questione, costituito dal rilievo e dalla qualificazione giuridica del periodo di attesa della cosiddetta “finestra”, allorché l’assicurato prosegua l’attività lavorativa e quindi la contribuzione, ai fini della determinazione dell’entità del trattamento pensionistico de quo.

In proposito, si rileva che la coincidenza fra momento di maturazione dei requisiti e decorrenza del trattamento è stata ripristinata per i lavoratori che maturino, a decorrere dal 1° gennaio 2012, i requisiti per la pensione anticipata prevista dall’art. 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214. Difatti, la predetta disposizione, nel sostituire per tali lavoratori l’istituto della pensione di anzianità con quello della pensione anticipata, stabilendo per essa più elevati requisiti, non prevede più (comma 5) per tale nuova forma pensionistica l’applicazione della disciplina della “finestra mobile”, di cui all’art. 12, commi 1 e 2, del d.l. n. 78 del 2010, come convertito. Tale circostanza conferma che l’effetto censurato dal rimettente non sarebbe determinato dalle sole disposizioni censurate.

2.2.– Pertanto, va dichiarata la inammissibilità della questione in esame, per non corretta individuazione della norma denunciata (ex plurimis, sentenze n. 85 del 2015, n. 59 del 2013, n. 241 del 2012 e n. 47 del 2008; ordinanza n. 335 del 2010).

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, della legge 2 agosto 1990, n. 233 (Riforma dei trattamenti pensionistici dei lavoratori autonomi), e dell’art. 1, comma 18, della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare), sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Trento, sezione per le controversie di lavoro, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 gennaio 2018.

F.to:

Paolo GROSSI, Presidente

Giulio PROSPERETTI, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 9 febbraio 2018.