SENTENZA N. 194
ANNO 2017
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta
dai signori:
- Paolo GROSSI Presidente
- Giorgio LATTANZI Giudice
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de
PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Franco MODUGNO ”
- Augusto Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
ha
pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 32,
primo comma, della legge
29 aprile 1949, n. 264 (Provvedimenti
in materia di avviamento al lavoro e di assistenza dei lavoratori
involontariamente disoccupati), promosso dal Tribunale ordinario di
Potenza nel procedimento tra N. T. e l’Istituto nazionale della previdenza
sociale (INPS), con ordinanza
del 22 novembre 2013, iscritta al n. 345 del registro ordinanze 2015 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 3, prima serie
speciale, dell’anno 2016.
Visti gli atti di costituzione di N. T. e dell’INPS, nonché
l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 6 giugno 2017 il Giudice
relatore Silvana Sciarra;
uditi gli avvocati Gioia Sacconi per N. T., Antonietta
Coretti per l’INPS e l’avvocato dello Stato Vincenzo Rago
per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.– Il
Tribunale ordinario di Potenza, in funzione di giudice del lavoro, con
ordinanza del 22 novembre 2013 (r.o. n. 345 del
2015), ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, primo comma,
e 38, secondo comma,
della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 32,
primo comma, della legge 29 aprile 1949, n. 264 (Provvedimenti in materia di
avviamento al lavoro e di assistenza dei lavoratori involontariamente
disoccupati), come modificato dall’art. 1, comma 1, del decreto del Presidente
della Repubblica 3 dicembre 1970, n. 1049 (Norme in materia di assicurazione
per la disoccupazione involontaria dei lavoratori agricoli), secondo cui
«L’obbligo dell’assicurazione contro la disoccupazione è esteso: a) ai
lavoratori agricoli che prestano la loro opera retribuita alle altrui
dipendenze, limitatamente alle categorie dei salariati fissi ed assimilati,
obbligati e braccianti fissi, giornalieri di campagna, piccoli coloni e
compartecipanti familiari e individuali, anche se in via sussidiaria esercitano
un’attività agricola in proprio; agli stessi spetta l’indennità di
disoccupazione qualora risultino iscritti negli elenchi di cui all’articolo 12
del regio decreto 24 settembre 1940, n. 1949, e successive modificazioni, per
almeno un anno oltre che per quello per il quale è richiesta l’indennità, ed
abbiano conseguito nell’anno per il quale è richiesta l’indennità e nell’anno
precedente un accredito complessivo di almeno 102 contributi giornalieri. La
durata della corresponsione dell’indennità di disoccupazione è pari, per i
lavoratori agricoli predetti, alla differenza tra il numero di 270 ed il numero
delle giornate di effettiva occupazione prestate nell’anno comprese quelle per
attività agricole in proprio o coperte da indennità di malattie, infortunio,
maternità, e sino ad un massimo di 180 giornate annue; b) agli impiegati, anche
delle pubbliche amministrazioni, cui non sia garantita la stabilità di impiego,
senza limite di retribuzione».
1.1.– Il
giudice rimettente riferisce in punto di fatto di essere investito di un
giudizio concernente la domanda del ricorrente di «riconoscimento
dell’indennità di disoccupazione ordinaria per l’anno 2013». Lo stesso giudice a quo precisa che il ricorrente aveva
«rivestito la qualifica» di lavoratore agricolo a tempo indeterminato, era
stato licenziato dal proprio datore di lavoro il 31 dicembre 2012, a decorrere
dal 1° gennaio 2013, e aveva tempestivamente richiesto all’Istituto nazionale
della previdenza sociale (INPS), in sede amministrativa, sia l’indennità di
disoccupazione ordinaria sia quella agricola.
1.2.– Quanto
alla rilevanza delle questioni, il Tribunale rimettente afferma anzitutto che,
«applicando la normativa di settore», nel caso di specie il ricorrente non
avrebbe diritto «ad alcuna indennità di disoccupazione».
Quanto alle
ragioni di tale affermazione, con riguardo, da un canto, all’indennità di
disoccupazione agricola, il giudice a quo
espone che l’art. 32, primo comma, lettera a),
della legge n. 264 del 1949, limita la prestazione previdenziale ai casi in cui
il lavoratore dipendente abbia maturato «taluni requisiti nell’anno di
richiesta dell’indennità», senza distinguere tra lavoratori agricoli a tempo
determinato e a tempo indeterminato, e che, nel caso oggetto del giudizio principale,
«il ricorrente per l’anno 2012 avrebbe diritto a zero giornate di
disoccupazione, essendo stato licenziato il 31.12.2012 e per l’anno 2013
vedrebbe respinta la domanda per assenza dei contributi».
Con riguardo,
d’altro canto, all’indennità di disoccupazione ordinaria, il giudice a quo asserisce che, ancorché «la
normativa vigente in materia» preveda invece la possibilità, in presenza di
determinati requisiti personali e contributivi, di riconoscerla per i periodi
di effettiva mancanza dell’attività lavorativa «anche nell’anno successivo
all’ultimo per i quali [sic] vi sono
i contributi», detta indennità, tuttavia, «non potrebbe spettare al ricorrente,
in quanto essendo lavoratore agricolo, non potrebbe vantare i 52 contributi
settimanali richiesti nel biennio precedente alla domanda, pur avendoli
maturati in concreto, se la sua prestazione fosse considerata non agricola».
Il rimettente
conclude sul punto affermando di ritenere «che in conseguenza della disciplina
di settore […] dovrebbe rigettare il ricorso».
1.3.– Quanto
alla non manifesta infondatezza delle questioni, il Tribunale ordinario di
Potenza afferma che il censurato art. 32, primo comma, si pone in contrasto sia
con l’art. 3 Cost., sotto due distinti profili, sia con l’art. 38, secondo comma,
Cost.
1.3.1.– Secondo
il giudice a quo, l’art. 3 Cost.
sarebbe leso, in primo luogo, perché la disposizione censurata, non
distinguendo tra lavoratori agricoli a tempo determinato e lavoratori agricoli
a tempo indeterminato, sottoporrebbe tali diverse situazioni a un trattamento
irragionevolmente uguale, congruo per i primi, per i quali «vi è
ontologicamente un’alternanza all’interno dello stesso anno di periodi lavorati
e periodi non lavorati», ma non per i secondi, che «si trovano a veder
lesionato il loro diritto al sostegno previdenziale, nelle ipotesi in cui la
cessazione involontaria del loro rapporto di lavoro intervenga a ridosso della
conclusione dell’anno di riferimento».
1.3.2.– Lo
stesso art. 3 Cost. sarebbe violato, in secondo luogo, per l’irragionevole
deteriore trattamento previdenziale riservato dal censurato art. 32, primo
comma, ai lavoratori agricoli a tempo indeterminato rispetto a quello previsto
per la generalità degli altri lavoratori a tempo indeterminato.
Secondo il
rimettente, tale deteriore trattamento non avrebbe giustificazione alcuna,
atteso che le menzionate categorie di lavoratori sarebbero «sostanzialmente
omogenee» in quanto «partecipano dei medesimi elementi (rapporto di lavoro e
tempo indeterminato) e sono esposte ai medesimi rischi di interruzione
involontaria dell’impiego (in particolare il recesso datoriale)»,
distinguendosi solo per la natura dell’attività svolta. Non vi sarebbero quindi
ragioni – sempre ad avviso del giudice a
quo – «per concedere soltanto ad una categoria l’indennità di
disoccupazione, laddove il dipendente appartenente all’altra categoria abbia
maturato tutti i presupposti che la legge (D.L. n. 1827/1935 art. 73 e seg. e
successive modificazioni) prevede per l’indennità di disoccupazione ordinaria».
1.3.3.– Secondo
il Tribunale rimettente, la disposizione impugnata contrasterebbe, infine, con
l’art. 38, secondo comma, Cost., «nel momento in cui» impedisce al lavoratore
dipendente agricolo a tempo indeterminato di «godere di un sostegno» quando
involontariamente si trovi senza lavoro.
L’art. 32,
primo comma, della legge n. 264 del 1949, non prevedrebbe i «mezzi adeguati
alle […] esigenze di vita» del detto lavoratore, ai quali fa riferimento
l’invocato parametro costituzionale, in particolare, «laddove la cessazione del
rapporto di lavoro intervenga in un periodo che annulla i presupposti per la
concessione dell’indennità di disoccupazione agricola».
Il Tribunale
ordinario di Potenza afferma conclusivamente che «la non estensione della
disciplina prevista per la concessione dell’indennità di disoccupazione
ordinaria alle ipotesi di lavoro subordinato agricolo a tempo indeterminato
conduce ad annullare il sostegno per il lavoratore involontariamente cessato
dal lavoro».
2.– Si è
costituito nel giudizio di legittimità costituzionale il ricorrente nel
giudizio principale, chiedendo alla Corte di dichiarare le questioni fondate.
Nel richiamare
quanto esposto nell’ordinanza di rimessione, la parte costituita afferma
anzitutto che l’art. 32, primo comma, lettera a), della legge n. 264 del 1949, non dettando una disciplina
differenziata delle diverse situazioni dei lavoratori agricoli a tempo
determinato e dei lavoratori agricoli a tempo indeterminato, creerebbe «una non
ragionevole disuguaglianza sostanziale tra cittadini davanti alla legge»,
violando sia l’art. 3 Cost. sia l’art. 38, secondo comma, Cost.; ciò in quanto,
applicando detta disposizione, la parte costituita, essendo stata licenziata il
31 dicembre 2012, «avrebbe diritto a 0 (zero) giornate di disoccupazione».
Sotto un
secondo profilo, la difesa della parte costituita afferma che, poiché l’art.
38, secondo comma, Cost., «prefigura una sorta di nucleo minimo di tutela da
riconoscersi universalmente» con riguardo a provvidenze destinate al
sostentamento e alla salvaguardia di condizioni di vita accettabili della
persona, qualsiasi discrimine fra cittadini circa il godimento delle stesse
sarebbe in contrasto con il principio di non discriminazione di cui all’art. 14
della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa
esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848. Il fatto che le due categorie di
lavoratori a tempo indeterminato agricoli e non agricoli, ancorché
«sostanzialmente omogenee», in quanto si distinguono solo per la natura
dell’attività svolta, ricevano tutele previdenziali contro la disoccupazione
involontaria diverse assumerebbe, quindi, il carattere di una discriminazione
irragionevole.
3.– Si è costituito
nel giudizio l’INPS, resistente nel processo principale, chiedendo che le
questioni sollevate siano dichiarate inammissibili o infondate.
3.1.– L’Istituto
costituito precisa anzitutto, in punto di fatto, di essere stato convenuto nel
giudizio a quo, con ricorso
depositato nella cancelleria del Tribunale ordinario di Potenza il 29 agosto
2013, da N. T., il quale, nell’atto introduttivo del giudizio, esponeva: di
avere lavorato presso una società in qualità di salariato agricolo fisso, cioè
di operaio agricolo a tempo indeterminato, e di essere stato licenziato a
decorrere dal 1° gennaio 2013; di avere presentato all’INPS, presso la sede di
Potenza, il 7 gennaio 2013, la domanda amministrativa diretta a ottenere
l’indennità ordinaria di disoccupazione «(non agricola)»; che l’INPS aveva
rigettato tale domanda per difetto dei requisiti previsti dalla legge, in
particolare, di quello «dei 52 contributi settimanali non agricoli nel biennio
precedente la data di licenziamento», in quanto risultavano accreditati
soltanto contributi versati come lavoratore agricolo; di avere poi presentato
all’INPS, presso la sede competente, il 18 marzo 2013, un’ulteriore domanda
amministrativa diretta a ottenere l’indennità di disoccupazione agricola; che
l’INPS aveva rigettato anche tale domanda «per difetto di giornate
indennizzabili», in quanto il richiedente «aveva lavorato per l’intero anno di
riferimento, cioè l’anno precedente fino al 31 dicembre 2012». L’INPS aggiunge
che il ricorrente nel giudizio a quo,
nel proprio ricorso, chiedeva all’adito Tribunale di accogliere queste
conclusioni: «1) in via principale, dichiarare il diritto del ricorrente al
trattamento ordinario di disoccupazione per l’anno 2013 nella misura e nella
durata corrispondente a quella di tutti i lavoratori a tempo indeterminato, con
condanna dell’INPS al pagamento dei relativi ratei oltre interessi; 2) in via
meramente gradata e subordinata, sospendere il
presente giudizio dichiarando non manifestamente infondata la questione di
costituzionalità dell’art. 32, comma 1°, lett. a, legge n°
264 del 29.04.1949 e successive modificazioni, nella parte in cui richiede per
la corresponsione dell’indennità di disoccupazione per i lavoratori agricoli a
tempo indeterminato un accredito complessivo di 102 contributi giornalieri
nell’anno in cui è richiesta l’indennità e nell’anno precedente (assimilandone,
ope legis, la
disciplina agli operari agricoli a tempo determinato) in relazione agli artt. 3
e 38 della Costituzione».
3.2.–
Dopo avere illustrato il contesto normativo nel quale le questioni proposte si
inquadrano, nonché le caratteristiche dell’indennità ordinaria di
disoccupazione prevista per i lavoratori subordinati agricoli, la difesa
dell’INPS prospetta tre ragioni di inammissibilità delle questioni sollevate.
3.2.1.– Queste
sarebbero inammissibili, in primo luogo, per l’indeterminatezza e l’ambiguità
del petitum,
poiché, da un lato, l’ordinanza di rimessione non indica se alla Corte
costituzionale sia richiesta una pronuncia che cancelli la norma censurata o
una pronuncia additiva, dai contenuti, peraltro, non chiariti; dall’altro,
anche qualora si ritenesse che il giudice rimettente abbia inteso chiedere alla
Corte una pronuncia che estenda ai lavoratori del settore agricolo il
trattamento di disoccupazione previsto per i lavoratori degli altri settori,
egli omette di individuare in modo puntuale e univoco quale tipo di intervento
dovrebbe essere, in concreto, operato ai fini del conseguimento di tale
obiettivo.
3.2.2.– Le
questioni sollevate sarebbero inammissibili, in secondo luogo, per l’erronea
individuazione della disposizione denunciata (cosiddetta aberratio ictus) o, comunque, del quadro normativo, in quanto l’impugnato
art. 32, primo comma, della legge n. 264 del 1949, sarebbe «non pertinente
rispetto all’oggetto delle censure». Poiché queste vertono sull’impossibilità
di riconoscere ai lavoratori agricoli a tempo indeterminato lo stesso
trattamento previdenziale contro la disoccupazione previsto per i lavoratori a
tempo indeterminato di settori non agricoli, le questioni di legittimità
costituzionale avrebbero dovuto avere a oggetto, ratione temporis, l’art. 2, comma 3, della legge
28 giugno 2012, n. 92 (Disposizioni in materia di riforma del mercato del
lavoro in una prospettiva di crescita), che ha escluso gli operai agricoli, a
tempo indeterminato o determinato, dall’ambito di applicazione
dell’assicurazione sociale per l’impiego (ASpI),
istituto che ha sostituito, a decorrere dal 1° gennaio 2013, l’assicurazione
obbligatoria contro la disoccupazione involontaria.
3.2.3.– Ad
avviso dell’INPS, le questioni sollevate sarebbero inammissibili, infine, anche
perché con esse si richiederebbe alla Corte un intervento inevitabilmente
«additivo-manipolativo non ”a rime obbligate” […] ovvero non […]
costituzionalmente obbligato», rientrando nella discrezionalità del legislatore
limitare la tutela contro la disoccupazione involontaria in base alla natura e
alle caratteristiche dell’attività lavorativa espletata, oltre che disciplinare
il connesso regime della contribuzione necessaria e delle prestazioni erogate,
al fine di mantenere l’equilibrio generale del sistema delle gestioni
previdenziali relative alle prestazioni non pensionistiche e in coerenza, quindi,
con il limite delle risorse disponibili nonché con il principio di solidarietà
di cui all’art. 2 Cost.
3.3.– Nel
merito, l’INPS asserisce l’infondatezza delle tre questioni sollevate.
3.3.1.– Quanto
alla prima di esse, la difesa dell’Istituto nega che la previsione di un unico
trattamento di disoccupazione a favore dei lavoratori agricoli, senza
distinguere tra quelli a tempo indeterminato e quelli a tempo determinato,
violi l’art. 3 Cost. sotto il (primo) profilo prospettato dall’ordinanza di
rimessione, dovendosi anzitutto considerare, in senso contrario, che i
lavoratori di entrambe le menzionate categorie, che abbiano lavorato per
l’intero anno al termine del quale sopravviene l’estinzione del rapporto di
lavoro, non maturano alcun diritto alla prestazione previdenziale contro la
disoccupazione.
Da ciò
consegue – sempre secondo l’INPS – che la quantità di lavoro svolto nell’anno
di riferimento costituisce un mero dato fattuale, insuscettibile di incidere
sulla legittimità costituzionale della disciplina denunciata.
La circostanza
che il lavoratore a tempo determinato, di regola, venga a trovarsi privo di
occupazione con maggiore frequenza del lavoratore a tempo indeterminato non
comporta – prosegue ancora la difesa dell’INPS – che questi si possa dolere di
tale mera e accidentale circostanza di fatto, non potendo certo considerarsi
discriminato chi, godendo di una situazione di stabilità del rapporto di
lavoro, più difficilmente incorre nella situazione di bisogno definita dal
legislatore con riguardo alla previdenza nel lavoro agricolo.
3.3.2.– Quanto
alla seconda questione sollevata, la difesa dell’INPS asserisce che la
denunciata discriminazione dei lavoratori agricoli a tempo indeterminato
rispetto alla generalità degli altri lavoratori a tempo indeterminato è esclusa
in radice dalla non omogeneità dei due termini posti a raffronto, sussistendo
una diversità strutturale dei rapporti di lavoro delle due categorie di
lavoratori e non essendo, quindi, comparabili, in quanto eterogenee, le diverse
situazioni di quelli assunti da imprese del settore agricolo e di quelli
assunti da imprese di altri settori.
Infatti –
prosegue la difesa dell’INPS – la vigente normativa di tutela contro la
disoccupazione nel settore agricolo è distinta da quella prevista per gli altri
comparti produttivi perché fa parte di un corpus
di norme di favore per i datori di lavoro agricoli storicamente giustificata
dalle differenze di sistemi produttivi e di organizzazione aziendale, collegati
anche all’incidenza delle stagioni e degli eventi meteorologici a esse
connessi. La diversità e la specificità del lavoro nel settore agricolo
rispetto a quello prestato in altri settori – che si riflette anche nel diverso
inquadramento ai fini previdenziali e assistenziali ai sensi dell’art. 49 della
legge 9 marzo 1989, n. 88 (Ristrutturazione dell’Istituto nazionale della
previdenza sociale e dell’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli
infortuni sul lavoro) – comporterebbe e giustificherebbe le specificità
riguardanti la misura e la riscossione dei contributi, l’individuazione e
l’accertamento dei soggetti protetti, nonché la disciplina sostanziale delle
prestazioni previdenziali in agricoltura, in specie, dello statuto previdenziale
della disoccupazione involontaria (con riguardo alla disciplina della
contribuzione, dei requisiti di attribuzione, del periodo indennizzato, delle
modalità e dei tempi di erogazione e degli ulteriori aspetti).
L’Istituto
costituito afferma conclusivamente sul punto che le diversità e peculiarità
delle due categorie di lavoratori a tempo indeterminato poste a raffronto
giustificano le diverse modalità di tutela contro la disoccupazione per esse
previste dalla legge.
3.3.3.– La
difesa dell’INPS nega infine che la disposizione impugnata violi l’art. 38,
secondo comma, Cost.
Come
evidenziato anche a proposito delle prime due questioni sollevate – si sostiene
– la prevista prestazione previdenziale contro la disoccupazione in agricoltura
è incentrata esclusivamente sulla tutela dallo stato di bisogno che consegue
alla cessazione, non dipendente dalla volontà del lavoratore, del rapporto di
lavoro nel corso dell’anno, tutela costruita per reintegrare ex post il reddito mancante nell’anno di
riferimento, che è quello anteriore all’anno della richiesta e dell’erogazione
del trattamento previdenziale.
Ciò detto, la
difesa dell’INPS cita il punto 4.2. (in particolare, il terzo, quarto e quinto
capoverso di tale punto) del Considerato
in diritto della sentenza della Corte
costituzionale n. 215 del 2014, là dove è ricostruita la portata dell’art.
38, secondo comma, Cost.
4.– È
intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni
sollevate siano dichiarate inammissibili o manifestamente infondate.
4.1.– Anche
l’Avvocatura generale dello Stato prospetta diverse ragioni di inammissibilità
delle questioni sollevate.
4.1.1.– Queste
sarebbero inammissibili, anzitutto, per irrilevanza, in quanto la domanda del
ricorrente nel giudizio principale di riconoscimento dell’indennità di
disoccupazione ordinaria per l’anno 2013 avrebbe dovuto essere rigettata dal
giudice a quo «senza la necessità di
sollevare la questione di legittimità costituzionale». Infatti, era richiesta
una prestazione che, per l’anno cui essa si riferisce, non era più prevista
dall’ordinamento, essendo stata sostituita, a norma dell’art. 2, comma 1, della
legge n. 92 del 2012, dall’ASpI.
4.1.2.– Le
questioni sollevate sarebbero inammissibili – e comunque infondate – in secondo
luogo, perché il rimettente avrebbe omesso di esplorare la possibilità di dare
un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 32, primo comma,
lettera a), della legge n. 264 del 1949,
tale da escludere la necessità di sollevarle. In particolare,
un’interpretazione che intendesse il requisito per ottenere l’indennità di
disoccupazione agricola dell’avere «conseguito nell’anno per il quale è
richiesta l’indennità e nell’anno precedente un accredito complessivo di almeno
102 contributi giornalieri», nel senso che tali contributi non debbano essere
necessariamente «suddivisi» tra i detti due anni – come mostra di ritenere il
giudice rimettente – ma possano essere accreditati anche in uno solo di essi.
4.1.3.–
Secondo la difesa dello Stato, le questioni sollevate sarebbero inammissibili,
infine, per difetto di motivazione sulla rilevanza. Ciò in quanto, posta la
necessità di interpretare la disposizione impugnata nel senso che i 102 contributi
giornalieri necessari per ottenere l’indennità di disoccupazione agricola
possono essere accreditati anche in uno solo dei due anni di riferimento
(quello «per il quale è richiesta l’indennità» o quello «precedente»),
l’ordinanza di rimessione non indica quanti contributi giornalieri fossero
stati accreditati al ricorrente nel giudizio a quo nell’anno precedente a quello per il quale è richiesta
l’indennità (in particolare, nell’anno 2012, l’unico nel quale il ricorrente
nel giudizio a quo aveva conseguito
l’accredito di contributi).
4.2.– «Sotto
altro profilo» la difesa dello Stato rappresenta che l’accoglimento delle
questioni sollevate, comportando l’ampliamento della platea dei beneficiari
dell’indennità di disoccupazione agricola, determinerebbe nuovi o maggiori
oneri per la finanza pubblica.
4.3.– Secondo
l’Avvocatura generale dello Stato, le sollevate questioni sarebbero
manifestamente infondate «del pari» in base alla considerazione che l’art. 32,
primo comma, della legge n. 264 del 1949 non introduce alcuna disparità di
trattamento tra lavoratori agricoli a tempo determinato e lavoratori agricoli a
tempo indeterminato, né prevede requisiti per ottenere l’indennità di
disoccupazione agricola che possano essere «molto più facilmente» soddisfatti dai
primi che non dai secondi.
In proposito,
la difesa dello Stato osserva conclusivamente che, quand’anche il ricorrente
nel giudizio a quo avesse lavorato
fino al 31 dicembre 2012 in virtù di un rapporto di lavoro a tempo determinato,
anziché, come nella fattispecie oggetto del giudizio principale, a tempo
indeterminato, egli non avrebbe parimenti titolo, nella prospettiva adottata
dal rimettente, per ottenere la richiesta indennità di disoccupazione agricola.
5.– In
prossimità dell’udienza pubblica, l’INPS, il ricorrente nel giudizio principale
e il Presidente del Consiglio dei ministri hanno depositato memorie con le
quali, nel ribadire le conclusioni già rassegnate nei loro precedenti scritti
difensivi, illustrano ulteriormente le proprie rispettive posizioni.
Considerato in diritto
1.– Nel corso di un giudizio promosso da un lavoratore agricolo a tempo indeterminato licenziato il
31 dicembre 2012, con decorrenza dal 1° gennaio 2013, al fine di ottenere il
«riconoscimento dell’indennità di disoccupazione ordinaria per l’anno 2013», il
Tribunale ordinario di Potenza, in funzione di giudice del lavoro, ha
sollevato, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 38, secondo comma, della
Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 32, primo comma,
della legge 29 aprile 1949, n. 264 (Provvedimenti in materia di avviamento al
lavoro e di assistenza dei lavoratori involontariamente disoccupati).
La disposizione censurata,
nell’estendere ai lavoratori agricoli l’obbligo dell’assicurazione contro la
disoccupazione involontaria, prevede che l’indennità di disoccupazione agricola
è riconosciuta a tali lavoratori alla duplice condizione che essi risultino
iscritti negli elenchi nominativi dei lavoratori dell’agricoltura per almeno un
anno oltre che per quello per il quale è richiesta l’indennità e «abbiano conseguito nell’anno per il quale è
richiesta l’indennità e nell’anno precedente un accredito complessivo di almeno
102 contributi giornalieri».
A proposito della rilevanza delle
questioni, il rimettente afferma che,
«applicando la normativa di settore», il ricorrente non avrebbe diritto «ad
alcuna indennità di disoccupazione».
In
particolare, quanto all’indennità di disoccupazione agricola, «il ricorrente
per l’anno 2012 avrebbe diritto a zero giornate di disoccupazione, essendo
stato licenziato il 31.12.2012 e per l’anno 2013 vedrebbe respinta la domanda
per assenza dei contributi».
Quanto,
invece, all’indennità di disoccupazione ordinaria, essa «non potrebbe spettare
al ricorrente, in quanto essendo lavoratore agricolo, non potrebbe vantare i 52
contributi settimanali richiesti nel biennio precedente alla domanda, pur
avendoli maturati in concreto, se la sua prestazione fosse considerata non
agricola».
Il Tribunale
di Potenza conclude affermando « che in conseguenza della disciplina di settore
[…] dovrebbe rigettare il ricorso».
Lo stesso
Tribunale ritiene però che il censurato art. 32, primo comma, si ponga in
contrasto sia con l’art. 3, primo comma, Cost., sotto due distinti profili, sia
con l’art. 38, secondo comma, Cost.
L’art. 3 Cost.
sarebbe leso, in primo luogo, in quanto la disposizione denunciata prevedrebbe
un trattamento irragionevolmente uguale delle diverse situazioni dei lavoratori
agricoli a tempo determinato e dei lavoratori agricoli a tempo indeterminato,
che si rivelerebbe congruo per i primi, ma non per i secondi, che «si trovano a
veder lesionato il loro diritto al sostegno previdenziale, nelle ipotesi in cui
la cessazione involontaria del loro rapporto di lavoro intervenga a ridosso
della conclusione dell’anno di riferimento».
Lo stesso art.
3 Cost. sarebbe violato, in secondo luogo, perché la suddetta disposizione
prevedrebbe un trattamento irragionevolmente deteriore dei lavoratori agricoli
a tempo indeterminato rispetto alla generalità degli altri lavoratori a tempo
indeterminato, non essendovi «ragioni per concedere soltanto ad una categoria
[quella della generalità dei lavoratori a tempo indeterminato] l’indennità di
disoccupazione, laddove il dipendente appartenente all’altra categoria [dei
lavoratori agricoli a tempo indeterminato] abbia maturato tutti i presupposti
che la legge […] prevede per l’indennità di disoccupazione ordinaria».
L’art. 32,
primo comma, della legge n. 264 del 1949 contrasterebbe, infine, con l’art. 38,
secondo comma, Cost., in quanto non prevedrebbe mezzi adeguati alle esigenze di
vita del lavoratore agricolo a tempo indeterminato in caso di sua
disoccupazione involontaria «laddove la cessazione del rapporto di lavoro
intervenga in un periodo che annulla i presupposti per la concessione
dell’indennità di disoccupazione agricola».
2.–
Preliminarmente, devono essere esaminate le sei eccezioni di inammissibilità
prospettate, tre per ciascuno, dall’Istituto nazionale della previdenza sociale
(INPS) e dal Presidente del Consiglio dei ministri.
2.1.– Secondo
l’INPS, le questioni sollevate sarebbero inammissibili, in primo luogo, per
l’indeterminatezza e l’ambiguità del petitum atteso che, da un lato, l’ordinanza di rimessione
non indica se alla Corte venga richiesta una pronuncia che cancelli la norma
censurata o una pronuncia additiva, dai contenuti, peraltro, non chiariti;
dall’altro, anche qualora si ritenesse che il giudice rimettente abbia inteso
chiedere una pronuncia che estenda ai lavoratori del settore agricolo il
trattamento di disoccupazione previsto per i lavoratori degli altri settori,
egli omette di individuare quale tipo di intervento dovrebbe essere, in
concreto, operato ai fini del conseguimento di tale obiettivo.
L’eccezione
non è fondata.
Dal passaggio
conclusivo dell’ordinanza di rimessione – là dove si lamenta, specificamente,
«la non estensione della disciplina prevista per la concessione dell’indennità
di disoccupazione ordinaria alle ipotesi di lavoro subordinato agricolo a tempo
indeterminato» – e dal tenore complessivo della stessa ordinanza risulta con
sufficiente chiarezza come il rimettente Tribunale ordinario di Potenza miri a
una pronuncia, di tipo manipolativo, che estenda ai lavoratori a tempo
indeterminato del settore agricolo il trattamento comune di disoccupazione
previsto dalla legge per i lavoratori degli altri settori. Tanto basta al fine
di comprendere sia l’obiettivo perseguito dal giudice a quo sia il tipo di intervento che questa Corte dovrebbe operare
per conseguirlo.
2.2.– Secondo
lo stesso INPS, le questioni sollevate sarebbero inammissibili, in secondo
luogo, per l’erronea individuazione della disposizione denunciata (cosiddetta aberratio ictus). Ciò in quanto l’impugnato art.
32, primo comma, sarebbe «non pertinente rispetto all’oggetto delle censure»,
dato che, poiché queste vertono, in effetti, sull’impossibilità di riconoscere
ai lavoratori agricoli a tempo indeterminato lo stesso trattamento contro la
disoccupazione previsto per i lavoratori a tempo indeterminato di settori non
agricoli, le questioni avrebbero dovuto avere a oggetto, ratione temporis, l’art. 2, comma 3, della legge
28 giugno 2012, n. 92 (Disposizioni in materia di riforma del mercato del
lavoro in una prospettiva di crescita), che ha escluso gli operai agricoli, a
tempo indeterminato o determinato, dall’ambito di applicazione del nuovo
istituto dell’assicurazione sociale per l’impiego (ASpI).
L’eccezione
non è fondata.
Come si è
detto al punto 2.1., il Tribunale ordinario di Potenza auspica l’estensione ai
lavoratori a tempo indeterminato del settore agricolo del trattamento comune di
disoccupazione previsto dalla legge per i lavoratori degli altri settori.
Rispetto a tale petitum,
la denuncia di illegittimità costituzionale dell’art. 32, primo comma, della
legge n. 264 del 1949, appare senz’altro conferente. Infatti, il contenuto
normativo di tale disposizione, secondo cui ai lavoratori agricoli a tempo
indeterminato spetta uno speciale trattamento di disoccupazione, comporta, già
di per se stesso, l’esclusione dei menzionati lavoratori dall’ambito di
applicazione del comune trattamento di disoccupazione che il rimettente
vorrebbe fosse loro esteso. Ciò è sufficiente per ritenere la non fondatezza dell’eccezione
di inammissibilità, dovendosi escludere che sia stata sottoposta a scrutinio di
legittimità costituzionale una disposizione non pertinente rispetto all’oggetto
delle censure.
2.3.– In terzo luogo, sempre ad avviso dell’INPS, le questioni sarebbero inammissibili in
quanto con esse verrebbe richiesto alla
Corte costituzionale un intervento inevitabilmente «additivo-manipolativo non
”a rime obbligate” […] ovvero non […] costituzionalmente obbligato», atteso che
rientra nella discrezionalità del legislatore limitare la tutela contro la
disoccupazione involontaria in base alla natura e alle caratteristiche
dell’attività lavorativa espletata, oltre che disciplinare il connesso regime
della contribuzione necessaria e delle prestazioni erogate.
L’eccezione
non è fondata.
La possibilità
che il legislatore disciplini variamente la tutela contro la disoccupazione, al
fine di adeguarla alla natura delle diverse attività lavorative (sentenza n. 160 del
1974), non esclude che le differenze di trattamento tra le varie categorie
di lavoratori debbano essere «razionalmente giustificabili», in quanto fondate
su «valide e sostanziali ragioni», e che la scelta compiuta dal legislatore
debba «essere tale da costituire piena garanzia, per i lavoratori, al conseguimento
delle previdenze alle quali hanno diritto» (sentenza n. 160 del
1974). Ne consegue che la sussistenza della discrezionalità legislativa
invocata dall’INPS non esclude la necessità di verificare nel merito le scelte
operate dal legislatore con riguardo al peculiare trattamento di disoccupazione
previsto per i lavoratori (a tempo indeterminato) del settore agricolo.
2.4.– Passando
a esaminare le eccezioni sollevate dal Presidente del Consiglio dei ministri,
questi ha eccepito l’inammissibilità delle questioni, in primo luogo, per
irrilevanza, in quanto la domanda del ricorrente nel giudizio principale di
riconoscimento dell’indennità di disoccupazione ordinaria per l’anno 2013
avrebbe dovuto essere rigettata dal giudice a
quo «senza la necessità di sollevare la questione di legittimità
costituzionale», atteso che, con la detta domanda, era stata richiesta una
prestazione non più prevista dall’ordinamento, per l’anno cui si riferisce,
essendo stata sostituita, a norma dell’art. 2, comma 1, della legge n. 92 del
2012, dall’ASpI.
L’eccezione
non è fondata.
La prestazione
richiesta, per l’anno 2013, dal ricorrente nel giudizio principale – che, in
base a quanto riportato dall’ordinanza di rimessione, era stato licenziato il
31 dicembre 2012, con decorrenza dal 1° gennaio 2013 – è costituita, secondo la
stessa ordinanza, dalla «indennità di disoccupazione ordinaria». Tale locuzione
ben può essere riferita alla prestazione, definita «indennità mensile di
disoccupazione», fornita dall’ASpI che, «[a]
decorrere dal 1° gennaio 2013 e in relazione ai nuovi eventi di disoccupazione
verificatisi a decorrere dalla predetta data» (art. 2, comma 1, della legge n.
92 del 2012), ha sostituito l’assicurazione obbligatoria contro la
disoccupazione involontaria prevista dagli articoli da 73 a 75 del regio
decreto-legge 4 ottobre 1935, n. 1827 (Perfezionamento e coordinamento
legislativo della previdenza sociale), convertito, con modificazioni, dalla
legge 6 aprile 1936, n. 1155. Da ciò l’infondatezza dell’eccezione, atteso che
la domanda del ricorrente nel giudizio principale deve intendersi riferita al
trattamento di disoccupazione previsto, per il 2013, dalla menzionata
disciplina dell’ASpI.
2.5.– In
secondo luogo, le questioni sollevate sarebbero altresì inammissibili perché il
rimettente avrebbe omesso di esplorare la possibilità di dare
un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’impugnato art. 32, primo
comma, tale da intendere il requisito per ottenere l’indennità di
disoccupazione agricola dell’avere «conseguito nell’anno per il quale è
richiesta l’indennità e nell’anno precedente un accredito complessivo di almeno
102 contributi giornalieri», nel senso che tali contributi non debbano essere
necessariamente «suddivisi» tra i due anni – come implicitamente ritenuto dal
giudice rimettente – ma possano essere accreditati anche in uno solo di essi.
L’eccezione
non è fondata.
L’affermazione
del Tribunale ordinario di Potenza, già riportata al punto 1., secondo cui il
ricorrente, per l’anno 2013 (cui la sua richiesta si riferisce), «vedrebbe
respinta la domanda per assenza dei contributi» presuppone chiaramente che,
secondo lo stesso Tribunale, il censurato art. 32, primo comma, della legge n.
264 del 1949, debba essere interpretato nel senso che i 102 contributi giornalieri
complessivamente accreditati non possono essere conseguiti tutti in uno solo
dei due anni di riferimento (quello «per il quale è richiesta l’indennità» e
quello «precedente») – in tale caso, infatti, il citato ricorrente, ancorché
privo di contributi accreditati nell’anno 2013, ben avrebbe potuto conseguire
tutti i necessari 102 contributi nell’anno 2012 – ma devono essere
necessariamente conseguiti in parte nell’uno e in parte nell’altro dei detti
anni.
Tuttavia, il
fatto che il rimettente abbia consapevolmente reputato che il tenore letterale
della disposizione censurata imponga quest’ultima interpretazione e ne
impedisca altre, eventualmente conformi a Costituzione, non rileva ai fini del
rispetto delle regole del processo costituzionale, dato che – come questa Corte
ha già avuto modo di affermare – la verifica dell’esistenza e della legittimità
di interpretazioni alternative, che il rimettente abbia ritenuto di non poter
fare proprie, è questione che attiene al merito del giudizio e non alla sua
ammissibilità (ex plurimis,
da ultimo, sentenze n. 69, n. 53 e n. 42 del 2017,
n. 95 del 2016).
2.6.– Sempre
ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri, le questioni sarebbero, infine, inammissibili, per difetto di motivazione sulla rilevanza.
Posta la necessità di interpretare la disposizione impugnata nel senso,
costituzionalmente orientato, che i 102 contributi giornalieri necessari per
ottenere l’indennità di disoccupazione agricola possono essere accreditati
anche in uno solo dei due anni «per il quale è richiesta l’indennità» (nella
specie, il 2013) e «precedente» (nella specie, il 2012), l’ordinanza di
rimessione non indica quanti contributi giornalieri fossero stati accreditati
al ricorrente nel giudizio a quo in
quest’ultimo anno, l’unico nel quale egli aveva conseguito l’accredito di
contributi.
Neppure tale
eccezione è fondata.
Premesso che
essa è formulata sul presupposto della necessità di dare dell’impugnato art.
32, primo comma, l’interpretazione costituzionalmente orientata di cui si è detto
al precedente punto 2.5. – ed è quindi logicamente dipendente dall’eccezione di
inammissibilità, prospettata dallo stesso Presidente del Consiglio dei
ministri, esaminata in tale punto – deve in ogni caso rammentarsi che il
rimettente, nel motivare sulla rilevanza delle questioni, afferma che il
ricorrente nel giudizio principale «per l’anno 2012 avrebbe diritto a zero
giornate di disoccupazione, essendo stato licenziato il 31.12.2012». Da tale
affermazione del giudice a quo si
ricava che, avendo il ricorrente nel giudizio principale lavorato per l’intero
2012, gli devono essere stati certamente accreditati contributi giornalieri in
numero di «almeno 102».
Ne consegue
che, ancorché il rimettente non indichi espressamente quanti contributi fossero
stati accreditati al ricorrente nell’anno 2012, essendo tale dato
implicitamente, ma chiaramente, desumibile dall’ordinanza di rimessione,
l’eccezione deve ritenersi infondata.
3.– Nel
merito, le questioni non sono fondate per l’erroneità del presupposto interpretativo,
a fondamento delle stesse.
Come si è
detto al punto 1., il Tribunale rimettente ritiene che il lavoratore
ricorrente, per l’anno 2013 (cui la sua richiesta si riferisce), non avrebbe
diritto all’indennità di disoccupazione agricola «per assenza dei contributi».
Lo stesso
rimettente denuncia quindi, in primo luogo, la violazione dell’art. 3, primo
comma, Cost., in quanto l’uguale disciplina dell’indennità di disoccupazione
agricola dettata dall’impugnato art. 32, primo comma, per i lavoratori agricoli
a tempo determinato e per quelli a tempo indeterminato si tradurrebbe in un
trattamento incongruo per questi ultimi, che «si trovano a veder lesionato il
loro diritto al sostegno previdenziale, nelle ipotesi in cui la cessazione
involontaria del loro rapporto di lavoro intervenga a ridosso della conclusione
dell’anno di riferimento». Da ciò la violazione anche dell’art. 38, secondo
comma, Cost., atteso che, in queste stesse ipotesi, il censurato art. 32, primo
comma, non prevedrebbe mezzi adeguati
alle esigenze di vita del lavoratore agricolo a tempo indeterminato in caso di
sua disoccupazione involontaria. Inoltre, la disposizione denunciata violerebbe l’art. 3, primo comma, Cost., anche
sotto il profilo che essa prevedrebbe un trattamento irragionevolmente
deteriore dei lavoratori agricoli a tempo indeterminato rispetto alla
generalità degli altri lavoratori a tempo indeterminato, poiché ai primi non
spetterebbe alcun trattamento di disoccupazione pur quando «abbia[no] maturato
[…] i presupposti che la legge prevede per l’indennità di disoccupazione
ordinaria».
Si è anche visto (al punto 2.5.) che,
nel sollevare tali questioni, il giudice a
quo muove dal presupposto che il censurato art. 32, primo comma, della
legge n. 264 del 1949, deve essere
interpretato nel senso che l’«accredito complessivo di almeno 102 contributi
giornalieri» – il cui conseguimento costituisce condizione necessaria per il
riconoscimento dell’indennità di disoccupazione agricola – non può essere
conseguito in uno solo dei due anni di riferimento (quello «per il quale è
richiesta l’indennità» e quello «precedente»), ma deve essere necessariamente
conseguito in parte nell’uno e in parte nell’altro di tali anni.
Tale presupposto
– comune a tutte le questioni sollevate – è, tuttavia, erroneo.
Contrariamente
all’assunto del giudice rimettente, il tenore letterale dell’art. 32, primo
comma, della legge n. 264 del 1949, non solo non preclude l’opposta
interpretazione secondo cui i menzionati 102 contributi giornalieri possono
essere accreditati al lavoratore anche in uno solo dei due anni «per il quale è
richiesta l’indennità e nell’anno precedente», ma, al contrario, la conferma
come quella corretta. La disposizione censurata, infatti, richiedendo un
accredito «complessivo» di 102 contributi giornalieri, esige soltanto che
l’insieme dei contributi accreditati nei due anni di riferimento sia di 102
unità, ma non che queste siano suddivise tra tali due anni. Questa conclusione
appare confermata dalla giurisprudenza della Corte di cassazione che, a
proposito del requisito dei 102 contributi giornalieri, ha ritenuto che essi
devono essere accreditati «nel […] biennio» (Cassazione, sezione lavoro,
sentenza n. 3617 del 2003; sezione seconda, sentenze n. 1226 del 1972 e n. 2066
del 1967), considerando, quindi, lo stesso in modo unitario.
Alla stessa
conclusione – fondata su comuni canoni ermeneutici – si giunge, del resto,
anche considerando che, tra le possibili interpretazioni della disposizione
censurata, deve essere preferita quella che, escludendo la violazione degli
invocati artt. 3, primo comma, e 38, secondo comma, Cost., risulta conforme a
Costituzione.
Attribuendo
all’art. 32, primo comma, della legge n. 264 del 1949 il corretto significato
ora prospettato, deve in effetti escludersi che la disciplina dell’indennità di
disoccupazione da esso dettata per i lavoratori agricoli a tempo indeterminato
si traduca in un trattamento incongruo per questi ultimi, tale da privarli, «nelle
ipotesi in cui la cessazione involontaria del loro rapporto di lavoro
intervenga a ridosso della conclusione dell’anno di riferimento», del diritto
al sostegno previdenziale, e che essa, per tale privazione, discrimini i detti
lavoratori agricoli rispetto alla generalità degli altri lavoratori a tempo
indeterminato. In situazioni analoghe a quella oggetto del giudizio a quo – che sono all’origine del dubbio
di legittimità costituzionale del rimettente – il lavoratore agricolo a tempo
indeterminato potrà infatti ottenere l’indennità di disoccupazione agricola per
l’anno «per il quale [essa] è richiesta» (nel caso del giudizio a quo, il 2013), dato che, pur in
mancanza di contributi accreditati in tale anno, avendo lavorato per l’intero
anno «precedente» (nel caso del giudizio a
quo, il 2012), ha senz’altro conseguito, in tale solo anno, il necessario
accredito «complessivo» di almeno 102 contributi giornalieri.
Non è
superfluo ribadire che il regime peculiare del trattamento di disoccupazione
per i lavoratori agricoli prevede l’erogazione dell’indennità nell’anno
successivo a quello in cui si è verificato l’evento della cessazione del
rapporto di lavoro (sentenza n. 53 del
2017).
La disciplina
denunciata si sottrae, pertanto, alle censure di violazione sia dell’art. 3,
primo comma, Cost. – sotto entrambi i profili prospettati dall’ordinanza di
rimessione – sia dell’art. 38, secondo comma, Cost.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondate le questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 32, primo comma, della legge 29 aprile 1949, n. 264
(Provvedimenti in materia di avviamento al lavoro e di assistenza dei
lavoratori involontariamente disoccupati), sollevate dal Tribunale ordinario di Potenza, in funzione
di giudice del lavoro, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 38,
secondo comma, della Costituzione, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della
Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 giugno 2017.
F.to:
Paolo GROSSI, Presidente
Silvana SCIARRA, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 14 luglio 2017.