Ordinanza n. 167 del 2017

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ORDINANZA N. 167

ANNO 2017

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-          Paolo                           GROSSI                                            Presidente

-          Giorgio                        LATTANZI                                         Giudice

-          Aldo                            CAROSI                                                    ”

-          Marta                           CARTABIA                                              ”

-          Mario Rosario             MORELLI                                                 ”

-          Giancarlo                    CORAGGIO                                              ”

-          Giuliano                      AMATO                                                    ”

-          Silvana                        SCIARRA                                                 ”

-          Daria                           de PRETIS                                                ”

-          Nicolò                         ZANON                                                    ”

-          Franco                         MODUGNO                                              ”

-          Augusto Antonio         BARBERA                                                ”

-          Giulio                          PROSPERETTI                                         ”

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 275, commi 4 e 4-bis, 276, comma 1-ter, e 299, comma 4-ter, del codice di procedura penale, nonchè dell’art. 42, commi 1 e 2, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), promosso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Lecce, nel procedimento a carico di M. M., con ordinanza del 21 settembre 2016, iscritta al n. 270 del registro ordinanze 2016 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 3, prima serie speciale, dell’anno 2017.

Udito nella camera di consiglio del 7 giugno 2017 il Giudice relatore Nicolò Zanon.

Ritenuto che, con ordinanza del 21 settembre 2016 (r.o. n. 270 del 2016), il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Lecce ha sollevato, in riferimento all’art. 117 della Costituzione, in relazione agli artt. 3, commi 1 e 2, 4 e 6, comma 2, della Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 275, commi 4 e 4-bis, 276, comma 1-ter, e 299, comma 4-ter, del codice di procedura penale, nonchè dell’art. 42, commi 1 e 2, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà);

che l’art. 275, comma 4, cod. proc. pen. è censurato anche per violazione dell’art. 3 Cost.;

che il giudice a quo riferisce di essere chiamato a decidere su un’istanza di concessione degli arresti domiciliari presentata, ai sensi dell’art. 275, comma 4, cod. proc. pen., dal difensore di M. M., già condannato dal medesimo giudice, in data 23 giugno 2016, all’esito di giudizio abbreviato, alla pena di quattordici anni di reclusione per i reati «relativi alla direzione di un’associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, e reati fine»;

che l’istanza è presentata sul presupposto che la convivente di M. M. non sia in grado di prendersi cura dei loro figli, a causa dei suoi impegni di lavoro;

che è altresì rappresentato come, essendo M. M. detenuto presso la casa circondariale di Melfi, le possibilità di colloqui e contatti tra costui e i suoi congiunti risulterebbero compromessi, dal momento che la compagna non avrebbe la disponibilità di un mezzo di trasporto, né mezzi economici sufficienti per affrontare la trasferta, sua e dei figli, a Melfi;

che, a sostegno dell’istanza, è allegata una «relazione/certificazione medica» da cui risulta che la condizione psicologica della figlia di anni quattro, sarebbe compromessa dall’impossibilità di vedere il padre detenuto, aggiungendo il giudice a quo che, peraltro, tale condizione aveva già giustificato l’ampliamento del numero dei colloqui mensili tra l’imputato e i suoi congiunti;

che il rimettente, dopo aver escluso di poter concedere gli arresti domiciliari ai sensi dell’art. 275, comma 4, cod. proc. pen., in quanto la condizione in cui versa la madre non integra il presupposto, richiesto da tale disposizione, dell’assoluta impossibilità di prendersi cura della prole, evidenzia come la detenzione di M. M., per di più in un carcere lontano dal luogo di residenza della famiglia, ponga seri ostacoli al mantenimento di una relazione tra il detenuto e i congiunti, in particolare con la figlia più piccola;

che il giudice a quo, assumendo che lo stato di salute del figlio minore che subisca un pregiudizio a causa della detenzione del genitore non trovi tutela nel codice di procedura penale, ritiene che tale lacuna si ponga in contrasto con l’art. 3 della Convenzione sui diritti del fanciullo, che imporrebbe agli Stati di assicurare effettività e concretezza alla protezione degli interessi del fanciullo, e con il successivo art. 4 della medesima Convenzione, con cui gli Stati contraenti si sarebbero assunti l’impegno di dare concreta attuazione a quel dovere;

che il rimettente osserva, anzitutto, come l’interesse del minore debba essere tenuto in conto anche quando la decisione di una pubblica autorità viene assunta non nei confronti del minore stesso, bensì di un soggetto terzo, riportando, sul punto, ampi stralci della sentenza della Corte costituzionale n. 7 del 2013;

che l’interesse del minore sarebbe, invece, pregiudicato da un «sistema processuale» che non assegna al giudice alcun potere di valutare l’opportunità di sottoporre l’imputato alla misura degli arresti domiciliari, bilanciando gli interessi alla cui tutela è finalizzata la misura della custodia cautelare in carcere con l’interesse del fanciullo a mantenere il rapporto con il genitore, affinché l’assenza di quest’ultimo non pregiudichi la salute e lo sviluppo del primo;

che, in secondo luogo, il rimettente osserva che, se è pur vero che l’art. 9, comma 4, della citata Convenzione sui diritti del fanciullo, contempla il caso della separazione del minore dai suoi genitori per effetto della detenzione di questi ultimi, l’art. 6, comma 2, della medesima Convenzione stabilisce che gli Stati «assicurano in tutta la misura del possibile la sopravvivenza e lo sviluppo del fanciullo», con ciò obbligando a rimuovere gli impedimenti allo sviluppo del minore;

che, secondo il giudice a quo, non potrebbero opporsi «problemi di ordine pratico», quali il rischio della agevole sottrazione degli adulti con prole alla misura cautelare carceraria e financo all’esecuzione della pena, in quanto allo stesso giudice penale potrebbe essere consentito di ricorrere all’opera di un perito d’ufficio al fine di verificare se ed in quale misura il minore stia subendo un danno e, sulla base di tale valutazione, operare egli stesso il bilanciamento tra le ricordate e contrapposte esigenze;

che, infine, il rimettente osserva che il disagio della figlia di M. M. sorgerebbe in quanto seri ostacoli al diritto di visita sono causati dalla detenzione di quest’ultimo in un istituto penitenziario situato a circa 300 chilometri di distanza dal luogo di residenza della famiglia;

che il giudice a quo osserva, tuttavia, di non avere alcuna competenza in ordine al trasferimento del detenuto, potendo egli disporlo, o negarlo, solo per motivi di giustizia, ossia per il compimento di atti del processo, ai sensi dell’art. 42, comma 1, della legge n. 354 del 1975 e dell’art. 85 del d.P.R. 30 giugno 2000, n. 230 (Regolamento recante norme sull’ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà);

che, alla luce di quanto osservato, ritenendo di trovarsi «nell’impossibilità – a normativa vigente – di adottare un provvedimento che consenta di bilanciare e conciliare le ragioni cautelari sottese alla custodia del M., con le esigenze di tutela dei suoi figli minori», il giudice a quo rileva «un contrasto tra l’ordinamento giuridico interno e la norma costituzionale» sotto plurimi profili;

che il rimettente solleva, quindi, anzitutto, questione di legittimità costituzionale dell’art. 275, commi 4 e 4-bis, cod. proc. pen., per violazione dell’art. 117 Cost., in relazione agli artt. 3, commi 1 e 2, 4 e 6, comma 2, della Convenzione sui diritti del fanciullo, nella parte in cui non prevede il divieto della custodia cautelare in carcere dell’imputato genitore di prole minorenne, quando dallo stato di detenzione, anche in relazione al luogo di esecuzione ed alle difficoltà che ciò comporta sul mantenimento delle relazioni familiari, possa derivare un rilevante pregiudizio alla salute, all’incolumità o all’equilibrato sviluppo del minore;

che l’art. 275, comma 4, cod. proc. pen. è censurato anche per violazione dell’art. 3 Cost., in quanto prevederebbe un’irragionevole disparità di trattamento tra situazioni asseritamente uguali, vietando l’applicazione della misura cautelare in carcere nei confronti del padre di minore di anni sei in caso di impossibilità a prestare dette cure da parte dell’altro genitore, e non anche nel caso in cui la salute del minore e il suo equilibrato sviluppo siano direttamente pregiudicate dalla custodia cautelare in carcere del genitore o dalle modalità di esecuzione della custodia carceraria in luogo non vicino a quello di residenza della sua famiglia;

che, in subordine rispetto alle precedenti questioni di legittimità costituzionale, il rimettente censura l’art. 299, comma 4-ter, cod. proc. pen. – ancora per violazione dell’art. 117 Cost., in relazione agli artt. 3, commi 1 e 2, 4 e 6, comma 2, della citata Convenzione sui diritti del fanciullo – in quanto tale disposizione, che disciplina gli accertamenti che il giudice può disporre sull’imputato, non prevede che il giudice possa ordinare una perizia anche in ordine agli effetti della detenzione del genitore sulla salute e sull’incolumità del figlio minore e sul suo equilibrato sviluppo;

che il giudice a quo solleva, inoltre, «in subordine», questione di legittimità costituzionale, ancora per violazione dell’art. 117 Cost., in relazione agli artt. 3, commi 1 e 2, 4 e 6, comma 2, della Convenzione sui diritti del fanciullo, dell’art. 42, comma 1, della legge n. 354 del 1975, nella parte in cui non include, tra le esigenze di giustizia che legittimano il potere di disporre il trasferimento dell’imputato, quelle relative alla risoluzione di rilevanti problemi alla salute, all’incolumità o all’equilibrato sviluppo del figlio minorenne dell’imputato detenuto, derivanti dalla sua detenzione in luogo non vicino a quello di residenza della sua famiglia, nonché dell’art. 42, comma 2, della medesima legge, nella parte in cui consente il trasferimento dell’imputato in luoghi di detenzione non prossimi a quelli di residenza della famiglia, anche in presenza di figli minori;

che, ad avviso del rimettente, la rilevanza delle questioni prospettate sarebbe manifesta, in quanto, in assenza di una pronuncia di accoglimento della Corte costituzionale, egli sarebbe obbligato a rigettare l’istanza presentata dal difensore di M. M., in ragione del grado delle esigenze cautelari e al titolo di reato per cui il detenuto si trova soggetto alla misura della custodia cautelare in carcere, tanto più che quest’ultimo risulta aver già violato la misura degli arresti domiciliari precedentemente concessa e che proprio per tale ragione egli si trova ora ristretto in carcere;

che ciò comporta – ad avviso del giudice a quo – il promovimento di un’ulteriore questione di legittimità costituzionale, avente ad oggetto l’art. 276, comma 1-ter, cod. proc. pen., ancora per violazione dell’art. 117 Cost., in relazione agli artt. 3, commi 1 e 2, 4 e 6, comma 2, della Convenzione sui diritti del fanciullo, in quanto la disposizione censurata impone la revoca della misura degli arresti domiciliari e impedisce che tale ultima misura possa essere nuovamente concessa, anche nel caso in cui essa sia stata violata da un soggetto la cui prole sarebbe danneggiata dalla detenzione carceraria del genitore;

che il Presidente del Consiglio di ministri non è intervenuto in giudizio.

Considerato che il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Lecce ha sollevato, in riferimento all’art. 117 della Costituzione, in relazione agli artt. 3, commi 1 e 2, 4 e 6, comma 2, della Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 275, commi 4 e 4-bis, 276, comma 1-ter, e 299, comma 4-ter, del codice di procedura penale, nonchè dell’art. 42, commi 1 e 2, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà);

che l’art. 275, comma 4, cod. proc. pen. è censurato anche per violazione dell’art. 3 Cost.;

che il rimettente riferisce di essere chiamato a decidere su un’istanza di concessione degli arresti domiciliari presentata, ai sensi dell’art. 275, comma 4, cod. proc. pen., dal difensore di M. M., già condannato dal medesimo giudice, in data 23 giugno 2016, all’esito di giudizio abbreviato, alla pena di quattordici anni di reclusione per i reati «relativi alla direzione di un’associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, e reati fine»;

che l’istanza è presentata sul presupposto che la convivente di M. M. non sia in grado di prendersi cura dei loro figli, a causa dei suoi impegni di lavoro;

che il rimettente, al fine di poter valutare le conseguenze della detenzione del genitore sullo stato di salute della figlia minore, solleva plurime questioni di legittimità costituzionale;

che, in primo luogo, egli censura l’art. 275, commi 4 e 4-bis, cod. proc. pen., per violazione dell’art. 117 Cost., in relazione agli artt. 3, commi 1 e 2, 4 e 6, comma 2, della Convenzione sui diritti del fanciullo, nella parte in cui non prevede il divieto della custodia cautelare in carcere dell’imputato che sia genitore di prole minorenne, quando dal suo stato di detenzione, in relazione anche al luogo di esecuzione ed alle difficoltà che ciò comporta all’esercizio del diritto di visita ed al mantenimento delle relazioni familiari, possa derivare un rilevante nocumento alla salute, all’incolumità o all’equilibrato sviluppo del minore;

che il rimettente censura il solo comma 4 dell’art. 275 cod. proc. pen. anche per violazione dell’art. 3 Cost., in quanto prevederebbe un’irragionevole disparità di trattamento tra situazioni asseritamente uguali, vietando l’applicazione della misura cautelare in carcere nei confronti del padre di minore di anni sei in caso di impossibilità a prestare dette cure da parte della madre, e non anche nel caso in cui la salute del minore e il suo equilibrato sviluppo siano direttamente pregiudicate dalla custodia cautelare in carcere del genitore o dalle modalità di esecuzione della custodia carceraria in luogo non vicino a quello di residenza della sua famiglia;

che, in subordine rispetto a tali questioni, il giudice a quo promuove questione di legittimità costituzionale anche dell’art. 299, comma 4-ter, cod. proc. pen., sempre per violazione dell’art. 117 Cost., in relazione agli artt. 3, commi 1 e 2, 4 e 6, comma 2, della Convenzione sui diritti del fanciullo, nella parte in cui tale disposizione, che disciplina gli accertamenti che il giudice può disporre sull’imputato, non prevede che il giudice possa disporre accertamenti peritali anche sul minore, al fine di valutare gli effetti che la detenzione del genitore può produrre sulla sua salute, sulla sua incolumità e sul suo equilibrato sviluppo;

che, in ulteriore subordine, il rimettente chiede a questa Corte di dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 276, comma 1-ter, cod. proc. pen., sempre per violazione dell’art. 117 Cost., in relazione agli artt. 3, commi 1 e 2, 4 e 6, comma 2, della Convenzione sui diritti del fanciullo, in quanto tale disposizione impone la revoca della misura degli arresti domiciliari e impedisce – come nel caso al suo esame – che tale ultima misura possa essere nuovamente concessa, anche nell’ipotesi in cui essa sia stata violata da un soggetto la cui prole sarebbe danneggiata dalla detenzione carceraria del genitore;

che, inoltre, il rimettente, «in subordine», solleva anche questione di legittimità costituzionale dell’art. 42, comma 1, della legge n. 354 del 1975, per asserita violazione dell’art. 117 Cost., in relazione agli artt. 3, commi 1 e 2, 4 e 6, comma 2, della Convenzione sui diritti del fanciullo, in quanto tale disposizione non include, tra le esigenze di giustizia che legittimano il potere di disporre il trasferimento dell’imputato, quelle relative alla risoluzione di rilevanti problemi alla salute, all’incolumità o all’equilibrato sviluppo del figlio minorenne dell’imputato detenuto, derivanti dalla sua detenzione in luogo non vicino a quello di residenza della sua famiglia;

che, per asserita violazione dei medesimi parametri, il giudice a quo censura anche il comma 2 dell’art. 42 della legge n. 354 del 1975, in quanto consentirebbe il trasferimento dell’imputato in luoghi di detenzione non prossimi a quelli di residenza della famiglia, allorché vi sia presenza di figli minori;

che, a prescindere dai profili problematici relativi a ciascuna questione di legittimità costituzionale, singolarmente considerata, le censure risultano tutte manifestamente inammissibili per l’assorbente ragione che il giudice a quo non delimita correttamente il thema decidendum sottoposto a questa Corte;

che, infatti, il rimettente individua due distinti rimedi alla condizione di disagio della figlia minore del soggetto detenuto (dalla quale deriverebbe la lesione degli evocati parametri costituzionali): da un lato, la concessione al padre degli arresti domiciliari, perseguita attraverso la rimessione di plurime questioni di legittimità costituzionale relative a disposizioni del codice di procedura penale; dall’altro, il trasferimento del padre in un carcere vicino al nucleo familiare, da ottenere attraverso la dichiarazione di illegittimità costituzionale di norme dell’ordinamento penitenziario;

che la irrisolta scelta tra i due diversi rimedi è percepibile già nella formulazione delle questioni relative all’art. 275, commi 4 e 4-bis, cod. proc. pen., dei quali il rimettente chiede la dichiarazione di illegittimità costituzionale nelle parti in cui non prevedono il divieto della custodia cautelare in carcere dell’imputato genitore di prole minorenne, quando dal suo stato di detenzione, «in relazione anche al luogo di […] esecuzione», «non vicino a quello di residenza della sua famiglia», possa derivare un rilevante nocumento alla salute e all’equilibrato sviluppo del fanciullo;

che, infatti, il luogo di esecuzione della detenzione carceraria è aspetto disciplinato dalle norme di ordinamento penitenziario, e non da quelle del codice di procedura penale;

che il rimettente solleva, dunque, due gruppi di questioni di legittimità costituzionale relativi a disposizioni del tutto diverse, in vista dell’ottenimento di risultati eterogenei;

che, inoltre, tali due gruppi risultano non già in rapporto di subordinazione logica, ma affiancati in una condizione di alternatività non risolta (ordinanza n. 4 del 2016, ma anche, ex plurimis, sentenze n. 22 del 2016 e n. 248 del 2014; ordinanze n. 46 e n. 18 del 2016, n. 207 e n. 41 del 2015);

che, infatti, mentre tra le varie questioni sollevate, in via gradata, sulle disposizioni del codice di procedura penale è predicabile un rapporto di subordinazione logica, tale rapporto non sussiste tra queste ultime e quelle riferite alle norme di ordinamento penitenziario;

che, in definitiva, il giudice a quo, non delimitando il thema decidendum sottoposto a questa Corte, attribuisce impropriamente ad essa la scelta dell’oggetto del giudizio di legittimità costituzionale.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 1, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 275, commi 4 e 4-bis, 276, comma 1-ter, e 299, comma 4-ter, del codice di procedura penale, nonché dell’art. 42, commi 1 e 2, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 117 della Costituzione, quest’ultimo in relazione agli artt. 3, commi 1 e 2, 4 e 6, comma 2, della Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Lecce, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 giugno 2017.

F.to:

Paolo GROSSI, Presidente

Nicolò ZANON, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 12 luglio 2017.