Ordinanza n. 144 del 2017

 CONSULTA ONLINE 

ORDINANZA N. 144

ANNO 2017

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Paolo                           GROSSI                                           Presidente

-           Giorgio                        LATTANZI                                        Giudice

-           Aldo                            CAROSI                                                   ”

-           Marta                           CARTABIA                                             ”

-           Mario Rosario              MORELLI                                                ”

-           Giancarlo                     CORAGGIO                                            ”

-           Giuliano                       AMATO                                                   ”

-           Silvana                         SCIARRA                                                ”

-           Daria                            de PRETIS                                               ”

-           Nicolò                          ZANON                                                   ”

-           Franco                         MODUGNO                                            ”

-           Augusto Antonio       BARBERA                                              ”

-           Giulio                          PROSPERETTI                                        ”

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 5 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 (Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell’articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205), promosso dal Tribunale ordinario di Catania, nel procedimento penale a carico di S. M., con ordinanza del 15 settembre 2015, iscritta al n. 26 del registro ordinanze 2016 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 8, prima serie speciale, dell’anno 2016.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 24 maggio 2017 il Giudice relatore Franco Modugno.

Ritenuto che, con ordinanza del 15 settembre 2015, il Tribunale ordinario di Catania ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 5 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 (Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell’articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205), nella parte in cui, con riferimento ai fatti commessi sino al 17 settembre 2011, «punisce la condotta di chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, non presenta, essendovi obbligato, una delle dichiarazioni annuali relative a tali imposte, quando l’imposta evasa è superiore a 77.468,53 € ma inferiore a 103.291,38 €»;

che il giudice a quo riferisce di essere investito del processo penale nei confronti di una persona imputata del reato previsto dalla norma censurata, per avere omesso, in qualità di titolare di un’impresa individuale, di presentare la dichiarazione annuale relativa all’imposta sul valore aggiunto (IVA) per l’anno 2010, per un ammontare di imposta evasa di 87.428 euro;

che, recependo l’eccezione della difesa, il rimettente dubita della legittimità costituzionale della norma incriminatrice, nella parte in cui, limitatamente ai fatti commessi sino al 17 settembre 2011, punisce l’omessa presentazione della dichiarazione relativa alle imposte sui redditi o sul valore aggiunto anche quando l’imposta evasa è inferiore a 103.291,38 euro;

che, al riguardo, il Tribunale rileva che l’art. 4 del d.lgs. n. 74 del 2000, prima della sua modifica ad opera dell’art. 2, comma 36-vicies semel, lettera f) [recte: lettere d) ed e)], del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con modificazioni, in legge 14 settembre 2011, n. 148 – modifica applicabile ai soli fatti successivi al 17 settembre 2011 – prevedeva, per il delitto di dichiarazione infedele, una soglia di punibilità, riferita all’imposta evasa, di euro 103.291,38: soglia superiore a quella dell’omessa dichiarazione, pari all’epoca ad euro 77.468,53;

che il soggetto che non avesse presentato alcuna dichiarazione, omettendo di versare l’IVA – assoggettato a pena ove l’imposta evasa risultasse superiore a 77,468,53 euro – era trattato, quindi, in modo deteriore rispetto al soggetto che avesse presentato una dichiarazione infedele, omettendo del pari di corrispondere l’IVA, il quale rimaneva esente da pena ove l’imposta evasa non superasse l’importo di euro 103.291,38;

che, ad avviso del rimettente, tale disparità di trattamento violerebbe il principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost., essendo la condotta descritta dall’art. 4 del d.lgs. n. 74 del 2000 più grave di quella prevista dalla disposizione censurata, o quantomeno di gravità analoga;

che i reati di dichiarazione infedele e di omessa dichiarazione sono, infatti, puniti con la medesima pena (reclusione da uno a tre anni) e implicano entrambi, oltre all’evasione d’imposta, un ostacolo all’accertamento tributario;

che la dichiarazione infedele richiede, peraltro, anche la creazione di una «situazione di apparenza falsa» finalizzata ad occultare il debito reale nei confronti dell’erario, tramite l’indicazione di elementi attivi inferiori a quelli effettivi o di elementi negativi fittizi;

che il rimettente ritiene, quindi, costituzionalmente necessario allineare la soglia di punibilità dell’omessa dichiarazione a quella, più elevata, prevista – quanto ai fatti commessi sino al 17 settembre 2011 – per la dichiarazione infedele;

che la questione sarebbe, altresì, rilevante, giacché nel caso di specie l’imputato avrebbe omesso – secondo l’ipotesi accusatoria – di presentare la dichiarazione annuale a fini IVA per l’anno 2010 per un importo inferiore a 103.291,38 euro;

che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata.

Considerato che il Tribunale ordinario di Catania dubita della legittimità costituzionale dell’art. 5 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 (Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell’articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205), nella parte in cui, con riferimento ai fatti commessi sino al 17 settembre 2011, punisce l’omessa presentazione di una delle dichiarazioni annuali relative alle imposte sui redditi o sul valore aggiunto quando l’imposta evasa è superiore ad euro 77.468,53, anziché ad a euro 103.291,38;

che il rimettente lamenta che la fattispecie dell’omessa dichiarazione sia trattata, sotto il profilo considerato, in modo deteriore rispetto alla fattispecie della dichiarazione infedele, prevista dall’art. 4 del medesimo d.lgs. n. 74 del 2000 – a suo avviso, di gravità maggiore, o quantomeno analoga – denunciando, di conseguenza, la violazione del principio di eguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione;

che, successivamente all’ordinanza di rimessione, è intervenuto il decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 158 (Revisione del sistema sanzionatorio, in attuazione dell’articolo 8, comma 1, della legge 11 marzo 2014, n. 23), i cui artt. 5 e 4 hanno modificato – rispettivamente – tanto la disposizione censurata, quanto quella evocata dal rimettente quale tertium comparationis;

che la riforma ha inciso, anzitutto, sulla descrizione delle condotte incriminate, ma in direzioni opposte: la sfera applicativa del delitto di omessa dichiarazione è stata, infatti, ampliata (in particolare, tramite l’inclusione in essa delle dichiarazioni non annuali e delle dichiarazioni del sostituto d’imposta); quella del delitto di dichiarazione infedele è stata, invece, ristretta (segnatamente, tramite l’esclusione o la limitazione del rilievo penale delle operazioni a carattere lato sensu valutativo);

che anche le soglie di punibilità riferite alle imposte evase sono state modificate: quella dell’omessa dichiarazione, dagli originari 77.468,53 euro – scesi medio tempore a 30.000 euro per effetto del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con modificazioni, in legge 14 settembre 2011, n. 148 – è stata portata a 50.000 euro; quella della dichiarazione infedele è stata innalzata in modo ben più marcato, passando dagli originari 103.291,38 euro – scesi a 50.000 euro per effetto della citata novella del 2011 – a 150.000 euro: dunque, ad una cifra superiore a quella che il rimettente ha assunto come parametro ai fini dell’operazione di allineamento richiesta a questa Corte;

che, da ultimo, mentre la pena della dichiarazione infedele è rimasta invariata (reclusione da uno a tre anni), quella dell’omessa dichiarazione è stata aumentata sia nel minimo sia nel massimo (reclusione da un anno e sei mesi a quattro anni): il trattamento sanzionatorio delle due fattispecie non è, dunque, più omogeneo – come alla data dell’ordinanza di rimessione – essendo l’omessa dichiarazione punita in modo più severo;

che va, quindi, disposta la restituzione degli atti al giudice a quo, per un nuovo esame della rilevanza e della non manifesta infondatezza della questione sollevata, alla luce del mutato quadro normativo.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 1, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

ordina la restituzione degli atti al Tribunale ordinario di Catania.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 maggio 2017.

F.to:

Paolo GROSSI, Presidente

Franco MODUGNO, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 21 giugno 2017.