Sentenza n. 87 del 2017

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SENTENZA N. 87

ANNO 2017

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-          Giorgio                        LATTANZI                                       Presidente

-          Aldo                            CAROSI                                              Giudice

-          Marta                          CARTABIA                                               ”

-          Mario Rosario             MORELLI                                                 ”

-          Giancarlo                    CORAGGIO                                              ”

-          Giuliano                      AMATO                                                    ”

-          Silvana                        SCIARRA                                                 ”

-          Daria                           de PRETIS                                                ”

-          Nicolò                         ZANON                                                    ”

-          Franco                         MODUGNO                                              ”

-          Augusto Antonio         BARBERA                                                ”

-          Giulio                          PROSPERETTI                                         ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 59, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», nella parte in cui sostituisce l’art. 13, comma 5, della legge 9 dicembre 1998, n. 431 (Disciplina delle locazioni e del rilascio degli immobili adibiti ad uso abitativo), promossi dal Tribunale ordinario di Roma con ordinanze del 17 marzo e del 27 maggio 2016, iscritte ai nn. 133 e 219 del registro ordinanze 2016 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 28 e 44, prima serie speciale, dell’anno 2016.

Visti gli atti di costituzione di G. C. V. ed altro, nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 22 marzo 2017 il Giudice relatore Mario Rosario Morelli;

uditi l’avvocato Guido Lanciano per G. C. V. ed altro e l’avvocato dello Stato Massimo Salvatorelli per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.− Nel corso di due distinti giudizi – relativi a contratti di locazione tardivamente registrati su iniziativa dei conduttori ed aventi analogamente ad oggetto la richiesta, delle rispettive parti locatrici, di condanna dei conduttori medesimi al pagamento della differenza tra il canone pattuito e quello autoridottosi dai convenuti in forza dell’art. 3, comma 8, lettera c), del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 (Disposizioni in materia di federalismo Fiscale Municipale), per il quale, in caso di tardiva registrazione del contratto, il conduttore, che ne avesse consentito l’emersione, era autorizzato a corrispondere il corrispettivo locatizio in «misura pari al triplo della rendita catastale» dell’immobile – il Tribunale ordinario di Roma, premessane la rilevanza, ha sollevato, con le due ordinanze in epigrafe, di identico tenore, questione incidentale di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 59, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», nella parte in cui sostituisce l’art. 13, comma 5, della legge 9 dicembre 1998, n. 431 (Disciplina delle locazioni e del rilascio degli immobili adibiti ad uso abitativo), a tenore del quale «per i conduttori che, per gli effetti della disciplina di cui all’articolo 3, commi 8 e 9, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, prorogati dall’art. 5, comma 1-ter, del decreto-legge 28 marzo 2014, n. 47, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 2014, n. 80, hanno versato, nel periodo intercorso dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 23 del 2011 al giorno 16 luglio 2015, il canone annuo di locazione nella misura stabilita dalla disposizione di cui al citato articolo 3, comma 8, del decreto legislativo n. 23 del 2011, l’importo del canone di locazione dovuto ovvero dell’indennità di occupazione maturata, su base annua è pari al triplo della rendita catastale dell’immobile, nel periodo considerato».

Secondo il rimettente, la disposizione denunciata violerebbe l’art. 136 della Costituzione, eludendo il «giudicato (sostanziale)» di cui alla sentenza di questa Corte n. 50 del 2014, dichiarativa della illegittimità costituzionale dei citati commi 8 e 9 dell’art. 3 del d.lgs. n. 23 del 2011, nonostante le «precise ed inequivoche indicazioni», sulla intangibilità di quel decisum, di cui alla successiva sentenza n. 169 del 2015, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale anche del comma 1-ter dell’art. 5 del decreto-legge (di proroga) 28 marzo 2014, n. 47 (Misure urgenti per l’emergenza abitativa, per il mercato delle costruzioni e per Expo 2015), convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 2014, n. 80.

La norma censurata contrasterebbe, altresì, con l’art. 3 Cost., attesa la coesistenza – nel testo dell’art. 13 della legge n. 431 del 1998 (come sostituito dall’art. 1, comma 59, della legge n. 208 del 2015) – della denunciata disposizione sub comma 5 con quella di cui al successivo comma 6, prevedente una più equa e congrua riduzione del canone per l’ipotesi di registrazione del contratto di locazione oltre il prescritto termine di giorni trenta.

2.− Nel giudizio iscritto al reg. ord. n. 133 del 2016, si sono costituite le parti convenute nel processo a quo, le quali, nel contestare la fondatezza della questione, hanno, tra l’altro, sostenuto che, con la norma denunciata, il legislatore avrebbe «“premiato” i conduttori che con il loro comportamento hanno svolto un’azione di “cittadinanza attiva” e di contrasto all’evasione, provvedendo a registrare i contratti in vigenza della normativa (dichiarata incostituzionale dalla sentenza n. 50 del 2014 non per un motivo di merito, ma per un mero motivo di errore in procedendo», e a tal fine, appunto, avrebbe inserito una disposizione transitoria che li «salvaguardasse […] da sfratti per morosità o da richieste di pagamento di canoni per il periodo di vigenza della norma». A ciò aggiungendo che la «eventuale dichiarazione di incostituzionalità di tale norma, invece, premierebbe un evasore fiscale che, pur non avendo versato le imposte per gli anni in cui ha percepito il canone di un contratto non registrato, ottiene una sentenza che legittima il suo operato».

2.1.− Successiva memoria delle stesse parti è stata presentata oltre il termine perentorio di cui all’art. 10 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

3.− In entrambi i giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso, a sua volta, per la manifesta infondatezza della questione sollevata.

A suo avviso – posto che, né con la sentenza n. 50 del 2014, né con la successiva sentenza n. 169 del 2015, vi è stato «uno scrutinio della correttezza delle disposizioni censurate quanto agli obiettivi che il Legislatore intendeva conseguire», non vi sarebbe «alcuna preclusione» nella «definizione degli strumenti per fare emergere i contratti di locazione in nero».

La disposizione censurata presenterebbe, comunque, «caratteri d’indubbia novità rispetto a quella recata dal comma 1-ter dell’art. 5 del d.l. n. 47 del 2014 e quella previgente di cui ai commi 8 e 9 dell’art. 3 del d.lgs. n. 23 del 2011, sia in riferimento all’«arco temporale della disciplina retroattiva», limitato al 16 luglio 2015, rispetto a quello del 31 dicembre 2015 in precedenza stabilito, sia per ciò che riguarda l’ammontare dell’importo del canone dovuto, «privo della componente dell’adeguamento pari al 75 per cento degli indici ISTAT dei prezzi al consumo».

Sottolinea ancora la difesa erariale, con memoria successivamente depositata, come la disposizione suddetta sia intesa a «sanare un enorme contenzioso giudiziario insorto tra proprietari e inquilini sfrattati per morosità», introducendo una disciplina «sotto alcuni aspetti analoga» a quella dichiarata illegittima per eccesso di delega, ma con l’effetto di «ridisciplinare la materia con l’intento di chiudere in maniera tombale le controversie pendenti».

Considerato in diritto

1.– La legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», al comma 59 del suo art. 1 − sostituendo l’art. 13 della legge 9 dicembre 1998, n. 431 (Disciplina delle locazioni e del rilascio degli immobili adibiti ad uso abitativo) − testualmente prescrive (sub comma 5 del novellato art. 13) che «per i conduttori che, per gli effetti della disciplina di cui all’articolo 3, commi 8 e 9, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, prorogati dall’art. 5, comma 1-ter, del decreto-legge 28 marzo 2014, n. 47, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 2014, n. 80, hanno versato, nel periodo intercorso dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 23 del 2011 al giorno 16 luglio 2015, il canone annuo di locazione nella misura stabilita dalla disposizione di cui al citato articolo 3, comma 8, del decreto legislativo n. 23 del 2011, l’importo del canone di locazione dovuto ovvero dell’indennità di occupazione maturata, su base annua, è pari al triplo della rendita catastale dell’immobile, nel periodo considerato».

2.− Chiamato ad applicare detta norma (nelle controversie di cui si è detto nel Ritenuto in fatto), il Tribunale ordinario di Roma, con le due ordinanze in epigrafe, di pressocchè identico tenore, ne ha rimesso a questa Corte la verifica di costituzionalità, in riferimento ai parametri di cui agli artt. 136 e 3 della Costituzione.

Il rimettente ricorda, in premessa, che i commi 8 e 9 dell’art. 3 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 (Disposizioni in materia di federalismo Fiscale Municipale) – introduttivi di una disciplina «“premiale” che, a beneficio dei conduttori che avessero denunciato al fisco il contratto non tempestivamente registrato dal locatore, lo integrava d’autorità (artt. 1339, 1419 c.c.) con clausole particolarmente favorevoli all’inquilino, che gli avrebbero assicurato una considerevole stabilità del rapporto locativo, a nummo uno» – sono stati dichiarati costituzionalmente illegittimi per violazione dell’art. 76 Cost., con sentenza di questa Corte n. 50 del 2014, in quanto estranei agli obiettivi ed ai criteri della legge di delega 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione).

Ricorda ancora che la successiva disposizione di cui al comma 1-ter dell’art. 5 del decreto-legge 28 marzo 2014, n. 47 (Misure urgenti per l’emergenza abitativa, per il mercato delle costruzioni e per Expo 2015), convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 2014, n. 80 – con cui erano «fatti salvi, fino alla data del 31 dicembre 2015, gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base dei contratti di locazione registrati ai sensi dell’articolo 3, commi 8 e 9, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23» – è stata, a sua volta, dichiarata costituzionalmente illegittima, per violazione dell’art. 136 Cost., con sentenza n. 169 del 2015, depositata il 16 luglio 2015.

E in ragione di tali premesse, ritiene che anche la disposizione di cui al comma 59 dell’art. 1 della legge n. 208 del 2015 incorra in analoga violazione dell’art. 136 Cost., per «l’elusione del giudicato (sostanziale)» di cui alla sentenza n. 50 del 2014, «e ciò a lume sia dei numerosi arresti della Corte costituzionale, intervenuti sul tema, sia delle precise ed inequivoche indicazioni» contenute nella sentenza n. 169 del 2015, che ha «ribadito l’intangibilità del decisum di cui alla precedente pronuncia n. 50 del 2014».

Reiterando il contenuto precettivo della norma di cui all’art. 3, comma 8, lettera c), del d.lgs. n. 23 del 2011, quanto all’importo del canone annuo dovuto, la disposizione ora denunciata farebbe sì, infatti, che «i conduttori che abbiano beneficiato “degli effetti” delle disposizioni incostituzionali, continueranno a beneficiarne sine die, creando una sorta di “zona franca” dagli effetti delle declaratorie di incostituzionalità sopra nominate, […] cogenti e vincolanti per il resto della platea dei destinatari».

Ciò per di più in contrasto con la diversa e più equa commisurazione del “canone agevolato” che l’inquilino ha il «diritto (potestativo)» di ottenere in conseguenza della registrazione tardiva del contratto, quale prevista nel medesimo contesto normativo dell’art. 13 della legge 9 dicembre del 1998, n. 431 (Disciplina delle locazioni e del rilascio degli immobili adibiti ad uso abitativo), come novellato dall’art. 1, comma 59, della legge n. 208 del 2015.

Dal che, secondo il Tribunale a quo, la violazione anche dell’art. 3 Cost.

3.− I due giudizi – nel primo dei quali si sono costituite le parti convenute nel processo principale (per contestare la prospettazione e le conclusioni dell’ordinanza di rinvio) ed in entrambi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, che ha chiesto dichiararsi la manifesta infondatezza della questione – stante l’identità dell’oggetto e del petitum, possono riunirsi per essere decisi con unica sentenza.

4.− È inammissibile la memoria depositata dalle parti private oltre il termine di cui all’art. 10 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

5.− La censura di violazione dell’art. 136 Cost. non è fondata.

5.1.− I commi 8 e 9 dell’art. 3 del d.lgs. n. 23 del 2011 avevano previsto – in caso di omessa o tardiva registrazione del contratto di locazione, nonché in caso di registrazione di un contratto di comodato fittizio – una rideterminazione legale della durata del rapporto in quattro anni rinnovabili, decorrenti dal momento della registrazione tardiva, e una predeterminazione del canone annuale nella misura del triplo della rendita catastale dell’immobile, oltre l’adeguamento, dal secondo anno, in base al 75% dell’aumento in base agli indici ISTAT, ove inferiore a quello pattuito.

Tali disposizioni assumevano particolare rilievo nel contesto normativo in cui si andavano a collocare, poiché l’art. 1, comma 346, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2005)» – prescrivendo che «i contratti di locazione […], comunque stipulati, sono nulli se, ricorrendone i presupposti, non sono registrati» – aveva così «eleva[to] la norma tributaria al rango di norma imperativa, la violazione della quale determina la nullità del negozio ai sensi dell’art. 1418 cod. civ.» (ordinanza n. 420 del 2007), in aderenza ad un «principio generale di inferenza/interferenza dell’obbligo tributario con la validità del negozio» (Corte di cassazione, sezioni unite, sentenza 17 settembre 2015, n. 18213 e, in senso conforme, sezione terza, 14 luglio 2016, n. 14364 e 13 dicembre 2016 n. 25503).

L’intervento legislativo di cui al d.lgs. n. 23 del 2011 aveva pertanto operato una sorta di convalida di un “contratto nullo per difetto di registrazione”, conformando, però, esso stesso il sottostante rapporto giuridico, quanto a durata e corrispettivo.

5.2.− A seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 3, commi 8 e 9, del d.lgs. n. 23 del 2011, per difetto di delega (art. 76 Cost.) – recata dalla richiamata sentenza n. 50 del 2014 – il comma 1-ter dell’art. 5 del successivo d.l. n. 47 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 80 del 2014, aveva fatto salvi, sino al 31 dicembre 2015, gli effetti prodotti e i rapporti giuridici sorti in virtù dei contratti di locazione registrati, per l’appunto, in base ai commi 8 e 9 dell’art. 3 del d.lgs. n. 23 del 2011.

E, invero, il comma 1-ter citato comportava che il contratto di locazione tardivamente registrato, secondo la previsione dell’art. 3, commi 8 e 9, del d.lgs. n. 23 del 2011, mantenesse i suoi effetti quanto alla durata legale del rapporto ed alla predeterminazione del canone locatizio: per cui, in definitiva, sino al 31 dicembre 2015, i rapporti di locazione convalidati dai richiamati commi 8 e 9 rimanevano, come tali, in vita.

Come rilevato dalla sentenza n. 169 del 2015, il succitato comma 1-ter dell’art. 5 del d.l. n. 47 del 2014 veniva, con ciò, a ripristinare la base legale «per “effetti” e “rapporti” relativi a contratti che, in conseguenza della pronuncia di illegittimità costituzionale, ne sarebbero rimasti privi», prolungando l’efficacia di norme che non potevano più avere applicazione ai sensi dell’art. 30 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sul funzionamento della Corte costituzionale). Operava, dunque, quella disposizione di proroga, nel medesimo senso delle norme caducate dalla sentenza n. 50 del 2014, ossia “convalidando ex lege”, seppure temporaneamente, dei contratti di locazione nulli, dei quali conformava altresì la regolamentazione quanto a durata e corrispettivo: ed è andata, per ciò, a sua volta, incontro a declaratoria di illegittimità costituzionale per violazione del giudicato costituzionale (art. 136 Cost.).

5.3.− Diversamente, il novellato comma 5 dell’art. 13 della legge n. 431 del 1998, ora in esame, non ripristina (né ridefinisce il contenuto relativo a durata e corrispettivo) dei pregressi contratti non registrati, la cui convalida, per effetto delle richiamate disposizioni del 2011 e del 2014, è venuta meno, ex tunc, in conseguenza delle correlative declaratorie di illegittimità costituzionale.

E, pertanto, non replica alcuna forma di sanatoria ex lege di detti contratti affetti da nullità: nullità che lo stesso art. 1, comma 59, della legge n. 208 del 2015 – nella parte in cui sostituisce il comma 1 dell’art. 13 della legge n. 431 del 1998 – ribadisce derivare dalla omessa registrazione del contratto entro il prescritto «termine perentorio di trenta giorni».

L’odierna disposizione prevede, piuttosto, una predeterminazione forfettaria del danno patito dal locatore e/o della misura dell’indennizzo dovuto dal conduttore (Corte di cassazione, sezione terza, sentenza 13 dicembre 2016, n. 25503), in ragione della occupazione illegittima del bene locato, stante la nullità del contratto e, dunque, l’assenza di suoi effetti ab origine.

Tanto è anche testualmente confermato dalla disposizione censurata là dove, in questa, il riferimento al «canone di locazione dovuto» si completa con l’espressione «ovvero» (da intendere in senso specificativo) «l’indennità di occupazione maturata», poiché è proprio (e soltanto) il riferimento a tale indennità che risulta coerente ed armonico rispetto alla invalidità del contratto ed alla caducazione del rapporto ex tunc, correlandosi alla detenzione dell’immobile senza titolo.

In altri termini, una volta che il legislatore del 2015 si è disinteressato del ripristino dei rapporti giuridici di locazione sorti in base a contratti non registrati tempestivamente, la disciplina inerente al pagamento dell’importo annuo «pari al triplo della rendita catastale dell’immobile, nel periodo considerato» non può altrimenti collegarsi che alla pregressa situazione di fatto della illegittima detenzione del bene immobile in forza di titolo nullo e privo di effetti; ed essere dunque propriamente attinente al profilo dell’arricchimento indebito del conduttore, cui è coerente il pagamento di una indennità di occupazione e non di un canone di locazione, non affatto dovuto.

È significativo, in tale contesto, anche il venire meno della previsione dell’adeguamento ISTAT dell’importo dovuto, consentaneo, invero, soltanto al canone quale corrispettivo della locazione in essere.

La nuova disciplina si rivolge, comunque, soltanto alla particolare platea di conduttori individuata alla stregua della situazione di fatto determinatasi in base agli effetti della disciplina di cui all’art. 3, commi 8 e 9, del d.lgs. n. 23 del 2011, prorogati dall’art. 5, comma 1-ter, del d.l. n. 47 del 2014, nel periodo intercorso dalla data di entrata in vigore del suddetto d.lgs. del 2011 a quella (16 luglio 2015) di deposito della sentenza caducatoria n. 169 del 2015. E, per tal profilo, opera una selezione che trova giustificazione nella particolare situazione di diritto, ingenerata dalla normativa poi dichiarata illegittima, sulla quale il conduttore aveva però riposto affidamento (fino alla data, appunto della declaratoria di siffatta illegittimità), essendosi conformato a quanto da essa disposto.

5.4.− La (pur solo) parziale coincidenza dell’importo del parametro indennitario, previsto dalla disposizione censurata, con quello del canone legale, individuato dalle pregresse norme dichiarate costituzionalmente illegittime, non è dunque sufficiente a determinare la violazione del giudicato costituzionale, atteso, appunto, il più ampio e differente assetto disciplinatorio dettato dalle norme dichiarate illegittime — le quali avevano mantenuto intatti gli effetti di un (convalidato) rapporto giuridico locatizio, con tutti i correlativi obblighi (reciproci), legali e convenzionali, e con le eventuali ricadute sul contenzioso concernente l’attuazione del rapporto stesso — rispetto alla disciplina recata dal vigente comma 5 dell’art. 13 della legge n. 431 del 1998, che quel rapporto conferma, invece, essere venuto meno ex tunc, regolandone soltanto le implicazioni indennitarie, in termini di occupazione sine titulo.

6.− Non sussiste neppure l’adombrata violazione dell’art. 3 Cost.

È pur vero, infatti, che l’importo (pari al triplo della rendita catastale), che il comma 5 del novellato art. 13 della legge n. 431 del 1998 riconosce forfettariamente dovuto dai conduttori, per il periodo ivi indicato, è inferiore a quello (non eccedente il «valore minimo» definito dalla contrattazione collettiva territoriale) che il giudice può riconoscere dovuto dal conduttore «Nel giudizio che accerta l’esistenza del contratto di locazione», su azione dello stesso conduttore, ai sensi del comma 6 del medesimo riformulato art. 13.

Ma quelle che il rimettente pone così in comparazione sono situazioni certamente non omogenee, attenendo la prima – in via transitoria – ad una «indennità» dovuta in correlazione ad una pregressa occupazione senza titolo, per di più qualificata dall’affidamento riposto dall’inquilino nel dettato normativo poi dichiarato costituzionalmente illegittimo, e riferendosi, diversamente, la seconda – a regime – ad un «canone» determinabile da parte del giudice «che accerta l’esistenza del contratto» (id est: l’esistenza di un contratto scritto non registrato nel termine prescritto): ipotesi, quest’ultima, che, per un verso, si diversifica da quella in precedenza disciplinata dal comma 5 dell’art. 13 nel testo originario, che aveva riguardo al solo contratto “di fatto” instaurato dal locatore, ossia al contratto verbale e, quindi, nullo per difetto di forma scritta ad substantiam; e per altro verso, ne assume la disciplina, giacché l’azione si concreta nell’“accertamento dell’esistenza” del contratto non registrato, quale operazione consentanea a rendere valido ed efficace un contratto nullo.

Il che, in definitiva, pone tale, pur peculiare, seconda fattispecie sul piano della determinazione del corrispettivo di una locazione (recuperata in termini di validità ed efficacia), mentre la fattispecie disciplinata dalla disposizione scrutinata opera, come detto, sul diverso piano della predeterminazione forfettaria del danno patito dal locatore e/o della misura dell’utilizzo dovuto dal conduttore per l’occupazione di un immobile senza un valido titolo locativo.

Da ciò, dunque, la non fondatezza anche della censura di violazione dell’art. 3 Cost.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 59, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», nella parte in cui sostituisce l’art. 13, comma 5, della legge 9 dicembre 1998, n. 431 (Disciplina delle locazioni e del rilascio degli immobili adibiti ad uso abitativo), sollevata, in riferimento agli artt. 136 e 3 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Roma, con le due ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 marzo 2017.

F.to:

Giorgio LATTANZI, Presidente

Mario Rosario MORELLI, Redattore

Carmelinda MORANO, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 13 aprile 2017.