Ordinanza n. 57 del 2017

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ORDINANZA N. 57

ANNO 2017

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Paolo                           GROSSI                                           Presidente

-           Alessandro                  CRISCUOLO                                    Giudice

-           Giorgio                        LATTANZI                                              ”

-           Aldo                            CAROSI                                                   ”

-           Marta                           CARTABIA                                             ”

-           Mario Rosario              MORELLI                                                ”

-           Giancarlo                     CORAGGIO                                            ”

-           Giuliano                       AMATO                                                   ”

-           Silvana                         SCIARRA                                                ”

-           Daria                            de PRETIS                                               ”

-           Franco                         MODUGNO                                             ”

-           Augusto Antonio        BARBERA                                              ”

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito degli artt. 1, 2, 3, 4, 5, 6 e 6-bis del Regolamento per la tutela giurisdizionale dei dipendenti, approvato con deliberazione dell’Ufficio di Presidenza della Camera dei deputati 28 aprile 1988, modificato dalla deliberazione dell’Ufficio di Presidenza della Camera dei deputati 6 ottobre 2009, n. 77, promosso dal Tribunale ordinario di Roma, sezione seconda lavoro, con ordinanza-ricorso notificata il 13 giugno 2016, depositato in cancelleria il 9 settembre 2016 ed iscritto al n. 4 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2015, fase di merito.

Visto l’atto di costituzione della Camera dei deputati e gli atti di intervento del Senato della Repubblica e di I. A. ed altri;

udito nella camera di consiglio dell’8 febbraio 2017 il Giudice relatore Giuliano Amato.

Ritenuto che il Tribunale ordinario di Roma, in funzione di giudice del lavoro, con ordinanza-ricorso del 26 ottobre 2015, ha promosso conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti della Camera dei deputati, in relazione alla deliberazione degli articoli da 1 a 6-bis del Regolamento per la tutela giurisdizionale dei dipendenti 28 aprile 1988, secondo il testo coordinato con le modifiche approvate dall’Ufficio di Presidenza con deliberazione 6 ottobre 2009, n. 77, resa esecutiva con decreto del Presidente della Camera dei deputati 15 ottobre 2009, n. 781;

che i richiamati articoli disciplinano la costituzione degli organi giurisdizionali interni di primo e secondo grado ed il procedimento dinanzi ad essi;

che tali disposizioni vengono contestate nella parte in cui, violando gli artt. 3, primo comma, 24, primo comma, 102, secondo comma, quest’ultimo in combinato disposto con la VI disposizione transitoria, 108, secondo comma, e 111, primo e secondo comma, della Costituzione, precludono ai dipendenti l’accesso alla tutela giurisdizionale in riferimento alle controversie di lavoro insorte con la Camera dei deputati;

che il Tribunale ordinario di Roma premette di essere investito della decisione in ordine al ricorso proposto da 175 dipendenti della Camera dei deputati, al fine di ottenere l’accertamento dell’illegittimità del comportamento dell’amministrazione che ha introdotto limiti alle progressioni di carriera, oltreché della nullità o dell’illegittimità sia della deliberazione dell’Ufficio di Presidenza del 30 settembre 2014, n. 102, con cui sono state approvate le disposizioni volte a introdurre tali limiti, sia del decreto della Presidente della Camera dei deputati del 6 ottobre 2014, n. 824, che ha reso esecutiva tale delibera;

che al Tribunale ricorrente vengono altresì richieste la disapplicazione di entrambi i richiamati atti, la condanna della Camera dei deputati all’esatto adempimento delle obbligazioni contrattuali assunte, ai sensi dell’art. 1372 del codice civile, nonché ogni altro provvedimento che si renda necessario, ai sensi dell’art. 63, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), per assicurare il pieno rispetto delle posizioni soggettive dei dipendenti;

che il Tribunale ordinario di Roma riferisce che i ricorrenti hanno ritenuto sussistere la competenza del giudice ordinario, e, in particolare, del giudice del lavoro, ai sensi dell’art. 409, quinto comma, del codice di procedura civile; essi ritengono che, da un lato, l’art. l del Regolamento per la tutela giurisdizionale dei dipendenti della Camera dei deputati preveda una mera facoltà di adire gli organi giurisdizionali interni per la tutela di diritti ed interessi legittimi dei lavoratori; dall’altro che, sulla scorta degli argomenti esposti dalla Corte di cassazione, sezioni unite civili, nell’ordinanza 6 maggio 2013, n. 10400, nonché dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 120 del 2014, sia da escludere la competenza della Camera dei deputati ad adottare provvedimenti giurisdizionali nella materia dei rapporti di lavoro con i propri dipendenti;

che la Camera dei deputati, invece, ha sollevato eccezione di difetto di giurisdizione, affermando che i propri organi giurisdizionali hanno competenza esclusiva in relazione alle controversie insorte con i dipendenti;

che è stato richiamato, in proposito, l’orientamento della Corte costituzionale (sentenza n. 154 del 1985) e della Corte di cassazione (sezioni unite civili, sentenze 27 maggio 1999, n. 317 e 10 giugno 2004, n. 11019), secondo cui i regolamenti parlamentari, sui quali si fonda l’autodichia, sono fonti normative di rango primario e dunque sostanzialmente parificate alle leggi ordinarie, in quanto dispiegano la loro efficacia nella sfera di azione interna alle assemblee legislative, riservata alla loro autonomia per ragioni di garanzia dell’indipendenza delle assemblee stesse;

che il Tribunale ordinario di Roma richiama, invece, l’ordinanza 19 dicembre 2014, n. 26934, con cui le sezioni unite civili della Corte di cassazione hanno sollevato conflitto di attribuzione tra i poteri dello Stato, chiedendo dichiararsi che non spettava al Senato della Repubblica deliberare gli artt. da 72 a 84 del Titolo II (Contenzioso) del testo unico delle norme regolamentari dell’Amministrazione riguardanti il personale del Senato della Repubblica;

che, ad avviso del ricorrente, le ampie e condivisibili argomentazioni esposte dalla Corte di cassazione a sostegno della citata ordinanza sarebbero sostanzialmente sovrapponibili alla fattispecie al suo esame;

che anche per la Camera dei deputati, infatti, non sarebbe dubitabile che nell’attuale assetto ordinamentale gli organi giurisdizionali interni abbiano competenza esclusiva sulle controversie affidate alla loro cognizione;

che l’argomento letterale in senso contrario addotto dai ricorrenti, secondo cui la formulazione dell’art. l del Regolamento per la tutela giurisdizionale prevederebbe soltanto una mera facoltà per ciascun dipendente di adire l’organo giurisdizionale, ove ritenga lesi i propri diritti o interessi legittimi, sarebbe alquanto labile;

che, infatti, nell’interpretazione ormai consolidata, gli organi di giustizia costituiti all’interno delle Camere hanno non solo natura giurisdizionale, ma anche competenza esclusiva nelle materie loro riservate (sentenze n. 154 del 1985 e n. 120 del 2014; nonché Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza n. 317 del 1999);

che, pertanto, nel presente giudizio non sarebbe possibile procedere all’esame della controversia nel merito, giacché la competenza giurisdizionale spetterebbe, in via esclusiva, agli organi giurisdizionali interni della Camera dei deputati;

che l’autodichia della Camera dei deputati ha fondamento nell’art. 12, comma 3, lettere d) ed f), del suo Regolamento, ai sensi del quale sono emanati i regolamenti subprimari, tra i quali quello per la tutela giurisdizionale dei dipendenti;

che, dunque, competente a decidere in primo grado sui ricorsi presentati dai dipendenti della Camera dei deputati è la Commissione giurisdizionale per il personale;

che di tale Commissione il regolamento per la tutela giurisdizionale disciplina composizione e modalità di formazione (art. 3); procedimento (art. 4); modalità di decisione (art. 5); impugnazione delle sentenze (art. 6);

che tale complesso di disposizioni, ad avviso del Tribunale, costituisce un sistema del tutto autonomo ed interno per la risoluzione delle controversie insorte con il personale dipendente, al punto da non consentire non solo il ricorso al giudice, ma neppure il controllo generale di legittimità che la Costituzione affida alla Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 111, settimo comma, Cost.;

che il Tribunale ordinario di Roma richiama, in particolare, l’ordinanza della Corte di cassazione, sezioni unite civili, 19 dicembre 2014, n. 26934, evidenziando che la disciplina della competenza giurisdizionale della Camera dei deputati presenterebbe i medesimi profili di illegittimità che hanno giustificato la proposizione del conflitto di attribuzione, da parte della Corte di cassazione, nei confronti del Senato della Repubblica;

che anche l’autodichia della Camera dei deputati, infatti, sarebbe in contrasto con il principio di eguaglianza (art. 3, primo comma, Cost.), di cui è espressione il diritto di ognuno di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi (art. 24, primo comma, Cost.);

che, pertanto, non essendo possibile un’interpretazione delle richiamate disposizioni subprimarie tale da fugare ogni dubbio circa il contrasto con principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale, posto che il sistema giurisdizionale della Camera dei deputati esclude, per unanime interpretazione, ogni possibilità di ricorso all’autorità giudiziaria (ordinaria o amministrativa), il Tribunale ritiene necessario sollevare conflitto di attribuzione nei confronti della Camera dei deputati;

che il ricorrente chiede dunque a questa Corte di dichiarare che non spettava alla Camera dei deputati deliberare gli articoli da 1 a 6-bis del Regolamento per la tutela giurisdizionale dei dipendenti, nella parte in cui, violando gli artt. 3, primo comma, 24, primo comma, 102, secondo comma, quest’ultimo in combinato disposto con la VI disposizione transitoria, 108, secondo comma, e 111, primo e secondo comma, Cost., precludono l’accesso dei dipendenti della Camera dei deputati alla tutela giurisdizionale in riferimento alle controversie di lavoro insorte con la Camera stessa;

che questa Corte, con ordinanza n. 91 del 2016, ha dichiarato, a norma dell’art. 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l’ammissibilità del conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, rilevando, sotto il profilo del requisito soggettivo, che il conflitto è sollevato da un organo giurisdizionale, in posizione di indipendenza costituzionalmente garantita, competente a dichiarare definitivamente, nell’esercizio delle funzioni attribuitegli, la volontà del potere cui appartiene e che, parimenti, è legittimata ad essere parte la Camera dei deputati, nei cui confronti il conflitto medesimo è stato sollevato, quale organo competente a dichiarare in modo definitivo la volontà del potere cui appartiene;

che, per quanto attiene al profilo oggettivo, sussiste la materia del conflitto, dal momento che il Tribunale ricorrente lamenta la lesione della propria sfera di attribuzioni, costituzionalmente garantita, in conseguenza della mancanza, per inesistenza dei relativi presupposti, del potere della Camera dei deputati di deliberare norme regolamentari che precludano l’accesso dei propri dipendenti alla tutela giurisdizionale in riferimento alle controversie di lavoro;

che, in questa fase di giudizio, si è costituita la Camera dei deputati ed è intervenuto il Senato della Repubblica, chiedendo che il conflitto sia dichiarato inammissibile o comunque infondato;

che sono altresì intervenute alcune parti private ricorrenti nel giudizio dinanzi al Tribunale di Roma, chiedendo l’accoglimento delle conclusioni formulate nell’ordinanza introduttiva del presente giudizio.

Considerato che questa Corte, con la citata ordinanza n. 91 del 2016, in base all’art. 24, comma 3, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, ha assegnato al Tribunale ricorrente il termine di sessanta giorni, a decorrere dalla comunicazione della stessa ordinanza (avvenuta il 22 aprile 2016), per notificare alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica il ricorso e l’ordinanza dichiarativa dell’ammissibilità, e il successivo termine di trenta giorni dall’ultima notificazione per il deposito degli stessi atti nella cancelleria della Corte;

che, in attuazione della predetta ordinanza, il ricorrente, in data 30 maggio 2016, ha provveduto a spedire i suindicati atti per la notificazione alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica, che li hanno ricevuti, rispettivamente, in data 1° giugno 2016 e in data 13 giugno 2016, dunque nel rispetto del primo termine, di sessanta giorni, assegnato da questa Corte;

che, tuttavia, l’ulteriore adempimento assegnato al ricorrente, costituito dal deposito degli atti notificati presso la cancelleria di questa Corte, è avvenuto fuori termine;

che, infatti, il Tribunale di Roma ha spedito per mezzo del servizio postale a questa Corte le copie notificate del ricorso e dell’ordinanza di ammissione soltanto in data 7 settembre 2016, come risulta dal timbro postale sulla busta, e tali copie sono pervenute in cancelleria il successivo 9 settembre;

che, ai sensi dell’art. 28, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, nel caso di deposito effettuato avvalendosi del servizio postale, ai fini dell’osservanza dei termini per il deposito, vale la data di spedizione postale;

che, dunque, il prescritto deposito risulta effettuato oltre il termine di trenta giorni stabilito dall’art. 24, comma 3, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale;

che, infatti, secondo la giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis, sentenze n. 88 del 2005 e n. 172 del 2002 ed ordinanze n. 211 e n. 168 del 2015, n. 317 del 2011, n. 41 del 2010, n. 188 del 2009, n. 430 del 2008, n. 253 del 2007 e n. 304 del 2006), tale termine – al pari di quello per la notificazione del ricorso e della relativa ordinanza di ammissibilità – ha carattere perentorio e deve essere osservato a pena di decadenza, perché da esso decorre l’intera catena degli ulteriori termini stabiliti per la prosecuzione del giudizio, con la fase procedurale destinata a concludersi con la decisione definitiva sul merito;

che, pertanto, non può procedersi allo svolgimento della fase di merito del giudizio sul conflitto di attribuzione, non risultando rispettato il termine perentorio per il deposito degli atti notificati nella cancelleria di questa Corte.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara improcedibile il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato promosso dal Tribunale ordinario di Roma, sezione seconda lavoro, nei confronti della Camera dei deputati, indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’8 febbraio 2017.

F.to:

Paolo GROSSI, Presidente

Giuliano AMATO, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 17 marzo 2017.