Sentenza n. 27 del 2017

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SENTENZA N. 27

ANNO 2017

 

Commento alla decisione di

 

Giuseppina Barcellona

Quando l’abito non fa il monaco: ciò che l’”omogeneità” non dice e che la “puntualità” rivela

 

per g.c. concessione della Rivista AIC

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Paolo                          GROSSI                                 Presidente

-           Giorgio                       LATTANZI                           Giudice

-           Aldo                           CAROSI                                         ”

-           Marta                          CARTABIA                                  ”

-           Mario Rosario             MORELLI                                     ”

-           Giancarlo                    CORAGGIO                                 ”

-           Giuliano                      AMATO                                        ”

-           Silvana                        SCIARRA                                     ”

-           Daria                           de PRETIS                                     ”

-           Nicolò                         ZANON                                         ”

-           Franco                        MODUGNO                                  ”

-           Augusto Antonio        BARBERA                                    ”

-           Giulio                         PROSPERETTI                             ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

 nel giudizio di ammissibilità, ai sensi dell’art. 2, primo comma, della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1 (Norme integrative della Costituzione concernenti la Corte costituzionale), della richiesta di referendum popolare per l’abrogazione dell’art. 29, comma 2, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 (Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30), limitatamente alle parole «Salvo diversa disposizione dei contratti collettivi nazionali sottoscritti da associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative del settore che possono individuare metodi e procedure di controllo e di verifica della regolarità complessiva degli appalti,» e alle parole «Il committente imprenditore o datore di lavoro è convenuto in giudizio per il pagamento unitamente all’appaltatore e con gli eventuali ulteriori subappaltatori. Il committente imprenditore o datore di lavoro può eccepire, nella prima difesa, il beneficio della preventiva escussione del patrimonio dell’appaltatore medesimo e degli eventuali subappaltatori. In tal caso il giudice accerta la responsabilità solidale di tutti gli obbligati, ma l’azione esecutiva può essere intentata nei confronti del committente imprenditore o datore di lavoro solo dopo l’infruttuosa escussione del patrimonio dell’appaltatore e degli eventuali subappaltatori.», giudizio iscritto al n. 170 del registro referendum.

Vista l’ordinanza del 9 dicembre 2016, con la quale l’Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione ha dichiarato conforme a legge la richiesta;

udito nella camera di consiglio dell’11 gennaio 2017 il Giudice relatore Mario Rosario Morelli;

uditi gli avvocati Vittorio Angiolini e Amos Andreoni per Camusso Susanna Lina Giulia e Baseotto Giovanni Marco Mauro, nella qualità di componenti del comitato promotore del referendum, e l’avvocato dello Stato Vincenzo Nunziata per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.− Con ordinanza pronunciata il 9 dicembre 2016, l’Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 12 della legge 25 maggio 1970, n. 352 (Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo) e successive modificazioni, ha dichiarato conforme alle disposizioni di legge la richiesta di referendum popolare promossa da quattordici cittadini italiani – con annuncio pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 23 marzo 2016, serie generale, n. 69 – (anche) sul seguente quesito:

«Volete voi l’abrogazione dell’art. 29 del d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, recante “Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30” comma 2, limitatamente alle parole “Salvo diversa disposizione dei contratti collettivi nazionali sottoscritti da associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative del settore che possono individuare metodi e procedure di controllo e di verifica della regolarità complessiva degli appalti,” e alle parole “Il committente imprenditore o datore di lavoro è convenuto in giudizio per il pagamento unitamente all’appaltatore e con gli eventuali ulteriori subappaltatori. Il committente imprenditore o datore di lavoro può eccepire, nella prima difesa, il beneficio della preventiva escussione del patrimonio dell’appaltatore medesimo e degli eventuali subappaltatori. In tal caso il giudice accerta la responsabilità solidale di tutti gli obbligati, ma l’azione esecutiva può essere intentata nei confronti del committente imprenditore o datore di lavoro solo dopo l’infruttuosa escussione del patrimonio dell’appaltatore e degli eventuali subappaltatori.”?».

2.– L’Ufficio centrale ha attribuito al quesito il seguente titolo: «abrogazione disposizioni limitative della responsabilità solidale in materia di appalti».

3.– Il Presidente di questa Corte, ricevuta comunicazione dell’ordinanza, ha fissato, per la conseguente deliberazione, la camera di consiglio dell’11 gennaio 2017, dandone regolare comunicazione ai sensi dell’art. 33 della legge n. 352 del 1970.

4.– In data 5 gennaio 2017, i presentatori della richiesta e la Presidenza del Consiglio dei ministri, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, avvalendosi della facoltà di cui all’art. 33, terzo comma, della citata legge n. 352 del 1970, hanno depositato, ciascuno, una propria memoria, con la quale, rispettivamente, i primi illustrano le ragioni di ammissibilità del quesito referendario, mentre la seconda ne sostiene l’inammissibilità, sia per la «condizione di incertezza normativa» che deriverebbe dal ripristino della antinomia tra le discipline recate dall’art. 29, comma 2, del d.lgs. n. 276 del 2003 e dall’art. 1676 del codice civile, sia per il contrasto della normativa di risulta con gli artt. 3, 41, 42 e 97 Cost., venendo meno l’equilibrio sinallagmatico garantito dalla vigente formulazione dal citato art. 29, comma 2, in relazione, sempre, alla portata della regolamentazione dettata dall’art. 1676 cod. civ.

5.– Nella camera di consiglio dell’11 gennaio 2017, la difesa dei presentatori ha insistito per una pronuncia di ammissibilità della richiesta di referendum popolare e, pur non opponendosi alla replica orale dell’Avvocatura generale dello Stato, ha affermato di ritenerne non rituale l’intervento. Ciò in ragione del fatto (rimesso alla valutazione in sentenza di questa Corte) che tale intervento risulterebbe richiesto con atto sottoscritto (e che si assume, quindi, proveniente) dal Sottosegretario di Stato presso la Presidenza del Consiglio dei ministri e non dal Presidente del Consiglio stesso.

Considerato in diritto

1.– Preliminarmente, va esclusa l’irritualità dell’intervento, in questo giudizio, dell’Avvocatura generale dello Stato: irritualità che i promotori del referendum hanno prospettato per il profilo della provenienza della correlativa richiesta da parte del Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri e non dal Presidente di detto Consiglio, come invece prescritto dalla legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri).

È pur vero, infatti, che, come dedotto dalla difesa dei promotori, ai sensi dell’art. 5, lettera f), della richiamata legge n. 400 del 1988, «le attribuzioni di cui alla legge 11 marzo 1953, n. 87», relative all’intervento o alla costituzione nei giudizi di legittimità costituzionale, sono direttamente attribuite al Presidente del Consiglio dei ministri, che le esercita a nome del Governo.

Questa disposizione, però, non rileva nel presente giudizio, sia perché l’intervento dell’Avvocatura dello Stato è in questo caso richiesto con delibera del Consiglio dei ministri adottata ai sensi (non già del citato art. 5 della legge n. 400 del 1988, ma) dell’art. 33 della legge 25 marzo 1970, n. 352 (Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo), in materia, quindi, ricompresa nella delega generale di firma al Sottosegretario (perché non rientrante tra le ipotesi di correlativa esclusione), sia perché l’atto sottoscritto dal Sottosegretario, del quale qui si discute, non altro è che la mera comunicazione all’Avvocatura (che al Sottosegretario comunque compete) del contenuto della delibera del Consiglio dei ministri «favorevole alla presentazione di memoria in merito alla inammissibilità del referendum abrogativo n. 170/2016».

2.– La Corte è chiamata a pronunciarsi sull’ammissibilità della su menzionata richiesta di referendum popolare per l’abrogazione dell’art. 29, comma 2, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 (Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30), limitatamente alle parole «Salvo diversa disposizione dei contratti collettivi nazionali sottoscritti da associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative del settore che possono individuare metodi e procedure di controllo e di verifica della regolarità complessiva degli appalti» e alle parole «Il committente imprenditore o datore di lavoro è convenuto in giudizio per il pagamento unitamente all’appaltatore e con gli eventuali ulteriori subappaltatori. Il committente imprenditore o datore di lavoro può eccepire, nella prima difesa, il beneficio della preventiva escussione del patrimonio dell’appaltatore medesimo e degli eventuali subappaltatori. In tal caso il giudice accerta la responsabilità solidale di tutti gli obbligati, ma l’azione esecutiva può essere intentata nei confronti del committente imprenditore o datore di lavoro solo dopo l’infruttuosa escussione del patrimonio dell’appaltatore e degli eventuali subappaltatori».

3.– La richiesta è stata dichiarata legittima, con ordinanza del 9 dicembre 2016, dall’Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione, che ha attribuito al quesito il seguente titolo: «abrogazione disposizioni limitative della responsabilità solidale in materia di appalti».

4.– L’art. 29 del d.lgs. n. 276 del 2003, nella sua attuale formulazione – frutto di numerosi, e anche recentissimi, interventi novellatori, tra cui quello dettato dalla legge 28 giugno 2012, n. 92 (Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita), che ne segna essenzialmente la portata attinta dal quesito referendario – disciplina il regime di tutela della complessiva posizione giuridica dei lavoratori impiegati in appalti di opere o di servizi.

In particolare, il comma 2, interessato dalla richiesta di abrogazione referendaria, reca la disciplina della responsabilità solidale di committente, appaltatore ed eventuali subappaltatori (ma rispetto a questi ultimi soltanto nel limite, decadenziale, di due anni dalla cessazione dell’appalto) per i crediti retributivi, previdenziali e assicurativi dei lavoratori impiegati in appalti di opere o di servizi.

Disciplina, questa, che può essere derogata da disposizioni della contrattazione collettiva nazionale che individuino «metodi e procedure di controllo e di verifica della regolarità complessiva degli appalti».

Inoltre, sempre in forza della norma dettata dal citato comma 2, la responsabilità solidale grava sul committente imprenditore o datore di lavoro, con esclusione, quindi, delle ipotesi in cui il committente sia una persona fisica che non esercita attività di impresa o professionale (come disposto dal successivo comma 3-ter).

Deve, poi, trattarsi di “appalto privato”, giacché – come precisato dall’art. 9, comma 1, del decreto-legge 28 giugno 2013, n. 76, recante «Primi interventi urgenti per la promozione dell’occupazione, in particolare giovanile, della coesione sociale, nonché in materia di Imposta sul valore aggiunto (IVA) e altre misure finanziarie urgenti», convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 99 – il comma 2 dell’art. 29 non è applicabile in relazione ai contratti di appalto stipulati dalle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche).

Peraltro, l’art. 9 del citato d.l. n. 76 del 2013 ha esteso il regime della solidarietà anche in relazione ai compensi e agli obblighi di natura previdenziale e assicurativa nei confronti dei lavoratori con contratto di lavoro autonomo.

Il comma 2 dell’art. 29 detta, poi, la disciplina processuale della solidarietà, per le obbligazioni anzidette, di committente e appaltatore, i quali devono essere convenuti «unitamente» in giudizio, con la facoltà del committente di eccepire, nella prima difesa, il beneficium excussionis in relazione al patrimonio dell’appaltatore (o degli eventuali subappaltatori).

Ove l’eccezione sia tempestiva, il giudice accerta la responsabilità di tutti gli obbligati, ma il lavoratore non potrà agire in executivis contro il committente prima di aver escusso infruttuosamente il patrimonio dell’appaltatore (e degli eventuali subappaltatori).

Infine, l’ultima parte del comma 2 – non interessata dalla richiesta referendaria regola, in base ai principi generali, l’assolvimento degli obblighi del sostituto di imposta da parte del committente che ha eseguito il pagamento, nonché l’azione di regresso in suo favore.

5.– Il quesito, che investe la deroga al regime di responsabilità solidale che può essere apportata dalla contrattazione collettiva e la disciplina processuale sopra richiamata, è ammissibile.

6.– Nessuna preclusione proviene dai divieti posti dall’art. 75, secondo comma, Cost., né da profili attinenti a disposizioni legislative ordinarie a contenuto costituzionalmente obbligato.

Non colgono nel segno neppure i rilievi di inammissibilità sollevati dall’Avvocatura generale dello Stato, giacché, in sede di controllo di ammissibilità dei referendum, il relativo giudizio non può investire profili di illegittimità costituzionale della legge oggetto della richiesta referendaria o della normativa di risulta (tra le altre, sentenza n. 13 del 2012), là dove, peraltro, proprio la normativa di risulta, nel caso della richiesta abrogativa in esame, manterrebbe intatta la sua specialità rispetto alla disciplina dell’art. 1676 del codice civile, già solo considerando (tra i vari aspetti di diversificazione) che tale ultima norma trova applicazione anche negli appalti pubblici.

7.– Il quesito risponde, poi, ai requisiti di chiarezza, univocità e omogeneità, anche se formulato con la cosiddetta tecnica del ritaglio (sentenze n. 26 e n. 28 del 2011).

Esso si incentra su un medesimo istituto (quello della responsabilità solidale negli appalti a tutela della posizione dei lavoratori in essi impiegati) interamente disciplinato all’interno dello stesso comma 2 dell’art. 29 del d.lgs. n. 276 del 2003, proponendo l’ablazione di due (corpi di) disposizioni autonome, in esso presenti, rispetto a quella che persiste di risulta.

In altri termini, l’ablazione riguarda la deroga al regime di responsabilità solidale consentita alla contrattazione collettiva nazionale e la articolata disciplina processuale dell’azione esperibile dal lavoratore; mentre, ciò che rimane in vita, secondo il quesito, è la disciplina sostanziale della responsabilità solidale negli appalti, comprensiva degli obblighi tributari e dell’azione di regresso del committente.

Sicché, l’elettore è chiaramente posto nell’alternativa di mantenere ferma l’attuale disciplina del comma 2 dell’art. 29, ovvero depurarla, “seccamente”, dei profili anzidetti, per lasciare intatta soltanto la disciplina sostanziale sulla responsabilità solidale di committente (imprenditore o datore di lavoro) e appaltatore e eventuali subappaltatori, ristabilendo, sostanzialmente, il testo della norma come scritto dalla legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)», poi rimodulato dai successivi interventi novellatori.

Dunque, il quesito – che incide su profili accessori e non connaturati o essenziali rispetto alla disciplina della solidarietà per le obbligazioni relative a crediti maturati dal prestatore impiegato nell’appalto (che risponde alle regole generali di cui agli artt. 1292 e seguenti cod. civ.) – palesa una matrice razionalmente unitaria ed evidenzia i caratteri della chiarezza ed omogeneità.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara ammissibile la richiesta di referendum popolare per l’abrogazione dell’art. 29, comma 2, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 (Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30), limitatamente alle parole «Salvo diversa disposizione dei contratti collettivi nazionali sottoscritti da associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative del settore che possono individuare metodi e procedure di controllo e di verifica della regolarità complessiva degli appalti,» e alle parole «Il committente imprenditore o datore di lavoro è convenuto in giudizio per il pagamento unitamente all’appaltatore e con gli eventuali ulteriori subappaltatori. Il committente imprenditore o datore di lavoro può eccepire, nella prima difesa, il beneficio della preventiva escussione del patrimonio dell’appaltatore medesimo e degli eventuali subappaltatori. In tal caso il giudice accerta la responsabilità solidale di tutti gli obbligati, ma l’azione esecutiva può essere intentata nei confronti del committente imprenditore o datore di lavoro solo dopo l’infruttuosa escussione del patrimonio dell’appaltatore e degli eventuali subappaltatori.», richiesta dichiarata legittima, con ordinanza pronunciata il 9 dicembre 2016, dall’Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’11 gennaio 2017.

F.to:

Paolo GROSSI, Presidente

Mario Rosario MORELLI, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 27 gennaio 2017.