Sentenza n. 233 del 2016

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SENTENZA N. 233

ANNO 2016

 

Commento alla decisione di

 

Giulia Angiolini

Il “nuovo” art. 309 c. 10 c.p.p. supera l’esame di costituzionalità (ma non ancora quello della prassi applicativa)

 

per g.c. di Diritto Penale Contemporaneo

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Paolo                           GROSSI                                           Presidente

-           Alessandro                  CRISCUOLO                                    Giudice

-           Giorgio                        LATTANZI                                              ”

-           Aldo                            CAROSI                                                   ”

-           Mario Rosario              MORELLI                                                ”

-           Giancarlo                     CORAGGIO                                            ”

-           Giuliano                       AMATO                                                   ”

-           Silvana                         SCIARRA                                                ”

-           Daria                            de PRETIS                                               ”

-           Nicolò                          ZANON                                                   ”

-           Franco                         MODUGNO                                            ”

-           Augusto Antonio       BARBERA                                              ”

-           Giulio                          PROSPERETTI                                        ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 309, comma 10, del codice di procedura penale, come sostituito dall’art. 11, comma 5, della legge 16 aprile 2015, n. 47 (Modifiche al codice di procedura penale in materia di misure cautelari personali. Modifiche alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di visita a persone affette da handicap in situazione di gravità), promosso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Nola nel procedimento penale a carico di F.M., con ordinanza del 28 maggio 2015, iscritta al n. 206 del registro ordinanze 2015 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell’anno 2015.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 21 settembre 2016 il Giudice relatore Giorgio Lattanzi.

Ritenuto in fatto

 1.– Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Nola, con ordinanza del 28 maggio 2015 (r.o. n. 206 del 2015), ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 101, secondo comma, e 104, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 309, comma 10, del codice di procedura penale, come sostituito dall’art. 11, comma 5, della legge 16 aprile 2015, n. 47 (Modifiche al codice di procedura penale in materia di misure cautelari personali. Modifiche alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di visita a persone affette da handicap in situazione di gravità), «nella parte in cui prevede che l’ordinanza che dispone una misura coercitiva – diversa dalla custodia in carcere – che abbia perso efficacia non possa essere reiterata salve eccezionali esigenze cautelari specificamente motivate».

Il giudice rimettente, premesso di avere emesso nei confronti di una persona indagata per i reati di cui agli artt. 612-bis, primo e secondo comma, e 609-bis, primo e terzo comma, del codice penale la misura coercitiva del «divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa», misura successivamente dichiarata inefficace, con ordinanza del 22 maggio 2015, «a decorrere dalle ore 24,00 del 25 maggio 2015», dal Tribunale del riesame di Napoli, per «omesso avviso dell’udienza all’indagato a seguito del mancato perfezionamento del procedimento di notificazione dell’avviso», riferisce di essere investito di una richiesta di riemissione della misura cautelare per i reati sopraindicati.

Ricorda il giudice rimettente che secondo un principio che era consolidato, in tema di misure cautelari, l’inefficacia dell’ordinanza che dispone la misura cautelare, determinata dall’inosservanza dei termini stabiliti dall’art. 309 cod. proc. pen. per la fase del riesame, non precludeva la reiterazione del provvedimento coercitivo. Invece la novella di cui alla legge n. 47 del 2015, nel modificare l’art. 309, comma 10, cod. proc. pen., prevede che «[s]e la trasmissione degli atti non avviene nei termini di cui al comma 5 o se la decisione sulla richiesta di riesame o il deposito dell’ordinanza del tribunale in cancelleria non intervengono nei termini prescritti, l’ordinanza che dispone la misura coercitiva perde efficacia e, salve eccezionali esigenze cautelari specificamente motivate, non può essere rinnovata».

Pertanto la disposizione citata imporrebbe, secondo il giudice rimettente, di valutare, ai fini della reiterazione della misura cautelare, l’esistenza di eccezionali esigenze cautelari che giustifichino e rendano necessaria la rinnovazione del titolo.

La categoria delle «eccezionali esigenze cautelari» sarebbe prevista dal codice di rito per legittimare l’adozione della misura carceraria in situazioni del tutto particolari, ricollegabili a condizioni soggettive dell’indagato, «ritenute ostacolo» all’applicazione della misura della custodia in carcere nei casi previsti dall’art. 275, commi 4, 4-bis e 4-ter, cod. proc. pen. o nel caso di persone tossicodipendenti ex art. 89 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza).

In base alla norma novellata, invece, le «eccezionali esigenze cautelari» verrebbero in rilievo non già quale condizione per reiterare la sola misura cautelare della custodia in carcere, bensì per legittimare la rinnovazione di qualsiasi misura cautelare coercitiva, creando in modo irragionevole «una sostanziale area di immunità (cautelare) in favore di soggetti (destinatari di misure diverse da quella della custodia in carcere) nei cui confronti la procedura del riesame non si sia potuta completare entro il termine previsto».

Secondo il giudice a quo, la scelta applicativa di una misura coercitiva meno afflittiva di quella carceraria sarebbe sintomatica dell’assenza di esigenze cautelari eccezionali, mentre l’individuazione di esigenze di tipo eccezionale indurrebbe l’interprete a scegliere, nell’ambito del ventaglio di misure cautelari di cui agli artt. 275 e seguenti cod. proc. pen., la più grave forma di limitazione della libertà personale, ossia la misura della custodia in carcere. Pertanto la norma introdotta dalla citata novella finirebbe per neutralizzare o comunque per restringere eccessivamente la possibilità di reiterare i titoli cautelari nei confronti di persone già destinatarie di ordinanze applicative di misure cautelari diverse dalla custodia in carcere, poi caducate, sacrificando in modo irragionevole le esigenze di tutela della collettvità in favore di quelle di garanzia individuale.

Le ragioni formali che determinano la caducazione delle misure, dovute a carenze verificatesi nel procedimento di riesame, non avrebbero alcuna attinenza con le esigenze cautelari e non consentirebbero di giustificare l’eventuale «rinnovazione del titolo» con l’esistenza di esigenze cautelari di livello eccezionale.

Assoggettare ad un ulteriore più stringente parametro selettivo la possibilità di reiterare il medesimo titolo, a fronte di un compendio indiziario e cautelare che si presume immutato, sarebbe il frutto di una scelta irragionevole e non rispettosa dell’equilibrio raggiunto nell’assetto del codice di rito tra la tutela della collettività, da un lato, e le esigenze di rispetto della libertà personale, dall’altro.

Inoltre, la disposizione impugnata finirebbe per riservare alla caducazione della misura cautelare in sede di riesame un trattamento ingiustificatamente differenziato rispetto a quello previsto dall’art. 302 cod. proc. pen. per l’ipotesi di inefficacia conseguente all’omesso interrogatorio entro il termine previsto dall’art. 294 cod. proc. pen., laddove l’unico requisito richiesto dalla legge, ai fini della reiterazione della misura, sarebbe il previo interrogatorio, alla luce del quale valutare la permanenza delle condizioni indicate negli artt. 273, 274 e 275 cod. proc. pen., non occorrendo in tal caso la motivata presenza di esigenze eccezionali.

Sia nella procedura relativa al mandato di arresto europeo, nel caso di sopravvenuta inefficacia dell’ordinanza restrittiva della libertà personale a causa del mancato invio da parte dell’autorità richiedente degli atti previsti dall’art. 13 della legge 22 aprile 2005, n. 69 (Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri), sia nell’ipotesi della misura disposta da un giudice incompetente e rinnovata ad opera di quello competente, a norma dell’art. 27 cod. proc. pen., la caducazione della misura non comporterebbe alcun irrigidimento delle condizioni richieste per la reiterazione del titolo, «a fronte di una situazione sottostante che evidentemente si presume invariata e tale da non richiedere la ricorrenza di presupposti cautelari di rango eccezionale».

Le conseguenze irragionevoli della modificazione legislativa sarebbero inoltre accentuate nei casi in cui il procedimento riguarda due o più coindagati, laddove la perdita di efficacia del titolo cautelare nei confronti di taluno di essi potrebbe comportare esiti cautelari differenziati a parità di presupposti sottostanti, con conseguente violazione del principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost.

L’art. 309, comma 10, cod. proc. pen. ridimensionerebbe l’esercizio del potere cautelare disattendendo i principi di cui agli artt. 101, secondo comma, e 104, primo comma, Cost., perché il giudice sarebbe soggetto non solo alla legge, «ma anche, come nel caso di specie, alla tempestività e regolarità del sub-procedimento di notificazione dell’avviso all’indagato, di fatto consegnando a soggetti estranei alla giurisdizione il potere di condizionare il fruttuoso esercizio del potere cautelare».

In tema di rilevanza, il giudice a quo osserva che la soluzione della questione sarebbe decisiva perchè nel caso in esame non vi sarebbero eccezionali esigenze cautelari, tali da permettere la rinnovazione della misura.

D’altro canto, attraverso l’interrogatorio di garanzia dell’indagato, non sarebbero emersi elementi idonei a neutralizzare il presupposto di gravità indiziaria, costituito dalle numerose denunce-querele sporte dalla persona offesa, né «ad elidere» il pericolo concreto e attuale di ulteriori condotte della stessa specie, considerata la «reiterazione di molestie e comportamenti intimidatori per un rilevante arco temporale».

2.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, e ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata.

L’Avvocatura generale ha rilevato che la questione dovrebbe essere dichiarata inammissibile, essendo l’ordinanza assolutamente carente «in punto di descrizione della fattispecie concreta e di conseguente motivazione sulla rilevanza».

La questione sarebbe comunque infondata perché non è stata preventivamente verificata la possibilità di una lettura della norma denunciata diversa da quella posta a fondamento dei dubbi di legittimità costituzionale sollevati dal giudice a quo.

Inoltre sarebbe discutibile l’assimilazione alle eccezionali esigenze cautelari, menzionate nella norma denunciata, delle esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, che potrebbero essere soddisfatte solo mediante l’emissione della misura della custodia in carcere.

Infine sarebbe possibile concepire l’esistenza di esigenze cautelari eccezionali – come quelle «suscitate, ad esempio, dalla fastidiosa reiterazione delle condotte persecutorie – che [potrebbero] essere soddisfatte mediante l’adozione di una misura coercitiva non detentiva idonea a contenere l’impeto persecutorio dell’agente».

Considerato in diritto

1.– Con ordinanza del 28 maggio 2015 (r.o. n. 206 del 2015), il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Nola ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 101, secondo comma, e 104, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 309, comma 10, del codice di procedura penale, come sostituito dall’art. 11, comma 5, della legge 16 aprile 2015, n. 47 (Modifiche al codice di procedura penale in materia di misure cautelari personali. Modifiche alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di visita a persone affette da handicap in situazione di gravità), «nella parte in cui prevede che l’ordinanza che dispone una misura coercitiva – diversa dalla custodia in carcere – che abbia perso efficacia non possa essere reiterata salve eccezionali esigenze cautelari specificamente motivate».

Ad avviso del giudice rimettente, la normativa impugnata vìola il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., perché sacrifica «in modo del tutto illogico» le esigenze di tutela della collettività in favore di quelle di garanzia individuale e contravviene al principio di uguaglianza sostanziale, prevedendo un trattamento ingiustificatamente differenziato rispetto ad altre situazioni di caducazione della misura, quale ad esempio quella prevista dall’art. 302 cod. proc. pen. per l’ipotesi di inefficacia conseguente all’omesso interrogatorio entro il termine previsto dall’art. 294 cod. proc. pen. Inoltre la disposizione censurata sarebbe in contrasto con gli artt. 101, secondo comma, e 104, primo comma, Cost., in quanto «il Giudice sarebbe soggetto non solo alla legge, ma anche, come nel caso di specie, alla tempestività e regolarità del sub-procedimento di notificazione dell’avviso all’indagato, di fatto consegnando a soggetti estranei alla giurisdizione il potere di condizionare il fruttuoso esercizio del potere cautelare».

2.– L’Avvocatura generale dello Stato ha eccepito l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale, perché sarebbe assolutamente carente «in punto di descrizione della fattispecie concreta e di conseguente motivazione sulla rilevanza».

Nel merito, secondo l’Avvocatura dello Stato, la questione non sarebbe fondata.

3.– L’eccezione di inammissibilità è priva di fondamento perché l’ordinanza di rimessione ha chiarito in termini sintetici, ma sufficienti, la situazione processuale e le ragioni che impongono l’applicazione della norma censurata. Il giudice rimettente infatti ha indicato l’imputazione e descritto gli elementi posti a base della misura cautelare del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, richiamando denunce e querele dalle quali emergevano la gravità indiziaria e le caratteristiche delle esigenze cautelari, ancora perduranti, e ha precisato che nella specie non vi erano «concreti elementi» idonei a costituire quelle «eccezionali esigenze cautelari» che avrebbero potuto giustificare «la rinnovazione della misura». 

4.– La questione dunque è ammissibile ma non è fondata.

Il giudice rimettente censura la norma impugnata perché, «salve eccezionali esigenze cautelari specificamente motivate», impedisce la rinnovazione delle misure coercitive, diverse dalla custodia in carcere, che abbiano perduto efficacia a norma dell’art. 309, comma 10, cod. proc. pen.

Rispetto a queste misure infatti il requisito della “eccezionalità” delle esigenze cautelari sarebbe inconfigurabile e impedirebbe la reiterazione, dato che, secondo il giudice rimettente, «la scelta applicativa di una misura coercitiva meno afflittiva di quella carceraria, in omaggio al principio di gradualità, è sintomatica dell’assenza di esigenze cautelari “eccezionali”, dovendosi viceversa presumere che l’individuazione di esigenze di tipo “eccezionale” condurrebbe l’interprete a presciegliere, nell’ambito del ventaglio di misure cautelari di cui agli artt. 275 e ss. del codice di rito, la più grave forma di limitazione della libertà personale, ossia la misura della custodia in carcere».

È da aggiungere che comunque nel caso in questione, a parere del giudice rimettente, «pur nella perdurante sussistenza delle ragioni giustificatrici dell’intervento cautelare, la misura non [potrebbe] essere reiterata non sussistendo esigenze cautelari “eccezionali” ma unicamente quelle previste in via generale dall’art. 274 lett. c) c.p.p.», e resterebbe così sacrificata in modo irragionevole  la necessaria tutela della collettività.

La tesi del giudice rimettente, secondo cui si potrebbero ravvisare delle esigenze cautelari eccezionali solo quando viene applicata la custodia in carcere, non è condivisibile.

Come è noto, la scelta della misura deve avvenire considerando, oltre al grado, la natura delle esigenze cautelari (art. 275, comma 1, cod. proc. pen.), e la loro natura, quale che ne sia il grado, può essere tale da rendere in ogni caso adeguata una misura diversa da quella carceraria. Inoltre la custodia cautelare in carcere di regola può essere adottata solo quando la misura riguarda «delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni» (art. 274, comma 1, lettera c, cod. proc. pen.) e «ogni altra misura risult[i] inadeguat[a]» (art. 275, comma 3, cod. proc. pen.). 

Perciò, indipendentemente dal “grado” dell’esigenza cautelare e dall’intensità del pericolo, è possibile che venga adottata una misura diversa da quella carceraria, sia perché lo impone la pena comminata per il reato (inferiore nel massimo a cinque anni), sia perché, pur non ostando la pena, la misura prescelta risulta adeguata, cioè idonea a contrastare il pericolo. Il principio di adeguatezza impone infatti al giudice di adottare la misura che comporta per chi la subisce il minor sacrificio necessario per fronteggiare i  pericula libertatis, ed è ipotizzabile l’esistenza di un’eccezionale situazione di pericolo, che, se non fosse contrastata, determinerebbe con elevata probabilità l’evento da prevenire, e tuttavia potrebbe (e dunque dovrebbe) essere efficacemente contrastata con misure diverse dalla custodia cautelare in carcere.

Si pensi ad esempio alle misure dell’allontanamento dalla casa familiare, del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa (che è stato applicato nel procedimento a quo) e del divieto o dell’obbligo di dimora, le quali possono contrastare efficacemente il pericolo, anche elevatissimo, che particolari contatti con luoghi o persone, se non impediti, scatenino comportamenti materialmente o moralmente lesivi.

In casi del genere dunque è possibile che il giudice riscontri quelle esigenze cautelari eccezionali che a norma dell’art. 309, comma 10, cod. proc. pen. giustificano, attraverso una specifica motivazione, l’emissione di un nuovo provvedimento cautelare; negli altri casi, invece, un nuovo provvedimento potrà essere emesso solo se sopravvengono ulteriori elementi indicativi di pericolosità.

La norma impugnata, insomma, intende impedire che «l’ordinanza che dispone la misura coercitiva» sia «rinnovata», cioè che l’ordinanza sia riemessa con la stessa motivazione, nonostante la perdita di efficacia.

Il legislatore, come risulta dai lavori parlamentari, ha ritenuto in modo incensurabile di contemperare l’esigenza di difesa sociale con quella di non frustrare le garanzie della persona raggiunta dal provvedimento coercitivo, evitando che nei casi indicati dall’art. 309, comma 10, cod. proc. pen. si possa «semplicisticamente» provvedere alla rinnovazione della misura caducata.

La norma ha lo scopo di contrastare prassi distorsive, verificatesi in passato, come quella dell’adozione di una nuova ordinanza cautelare prima ancora della scarcerazione dell’interessato o quella della successione di “ordinanze-fotocopia”, caducate e non controllate. 

L’innovato testo, come è stato osservato in dottrina, ha «inteso affrontare in maniera unitaria la tematica delle impugnazioni cautelari, in modo da rendere più certa la tempistica del giudizio di riesame (anche in sede di rinvio) ed effettiva la previsione della perdita di efficacia conseguente all’inosservanza dei termini perentori fissati», facendo salve, nei limiti considerati congrui dal legislatore, le esigenze di tutela.

In conclusione la censura di irragionevolezza mossa dal giudice rimettente nei confronti dell’art. 309, comma 10, cod. proc. pen. è priva di fondamento.

5.– Priva di fondamento è anche la censura relativa alla differenza tra il trattamento della perdita di efficacia della misura cautelare previsto dalla norma impugnata e quello previsto dall’art. 302 cod. proc. pen., nel caso di omissione dell’interrogatorio entro il termine stabilito dall’art. 294 cod. proc. pen.; dall’art. 13, comma 3, della legge 22 aprile 2005, n. 69 (Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri), nel caso in cui non pervenga il mandato d’arresto europeo; dall’art. 27 cod. proc. pen., nel caso di misura disposta dal giudice incompetente.

I casi disciplinati dagli articoli indicati in comparazione sono completamente diversi da quello regolato dall’art. 309, comma 10, cod. proc. pen., che concerne la perdita di efficacia della misura coercitiva all’esito di un procedimento di riesame. In questo caso il procedimento si è concluso, anche se per ragioni formali, con un esito favorevole alla persona che lo ha attivato, e la norma impugnata è diretta a evitare che tale esito sia frustrato attraverso la reiterazione del provvedimento cautelare caducato e la necessità per l’interessato di promuovere un nuovo procedimento di riesame, identico al precedente. Se potesse avvenire ciò, infatti, la perdita di efficacia della misura coercitiva si risolverebbe in un danno per l’interessato, che vedrebbe solo rinviato il momento della decisione sulla richiesta di riesame e il suo eventuale accoglimento.

Va inoltre rilevato che anche l’art. 302 cod. proc. pen., impropriamente messo in comparazione, non consente che la misura sia immediatamente reiterata. Essa infatti «può essere nuovamente disposta», ma solo «previo interrogatorio, allorché, valutati i risultati di questo, sussistono le condizioni indicate negli artt. 273, 274 e 275».

6.– È stata pure censurata la disparità di trattamento tra coindagati, quando soltanto per alcuni di essi il titolo cautelare abbia perduto efficacia, ma la censura non considera che è il mancato rispetto delle cadenze temporali stabilite dall’art. 309 cod. proc. pen. a differenziare una vicenda cautelare dall’altra, sicché situazioni cautelari differenti vengono naturalmente a ricevere trattamenti diversi.

7.– Infine non sussiste neppure la violazione degli artt. 101, secondo comma, e 104, primo comma, Cost., denunciata perché, secondo il giudice rimettente, «l’art. 309 comma 10 c.p.p. [fa] dipendere significativamente la configurazione ed il rinnovato esercizio del potere cautelare da circostanze, del tutto casuali e fuori dal controllo diretto dell’Autorità Giudiziaria».

La legge infatti ben può ricollegare particolari effetti ad accadimenti processuali sottratti al totale controllo dell’autorità giudiziaria, senza che ciò possa menomare la posizione del giudice, che rimane soggetto «soltanto alla legge» (art. 101, secondo comma, Cost.), o incidere sulla sua indipendenza e autonomia (art. 104, primo comma, Cost.).

È vero che l’inosservanza dei termini stabiliti dall’art. 309 cod. proc. pen. può anche non dipendere da un comportamento del giudice, ma la norma che ricollega a quell’inosservanza gli effetti processuali censurati non menoma le sue prerogative e non comporta ingerenze estranee sulla sua attività.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 309, comma 10, del codice di procedura penale, «nella parte in cui prevede che l’ordinanza che dispone una misura coercitiva – diversa dalla custodia in carcere – che abbia perso efficacia non possa essere reiterata salve eccezionali esigenze cautelari specificamente motivate», sollevata, in riferimento agli artt. 3, 101, secondo comma, e 104, primo comma, della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Nola, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 settembre 2016.

F.to:

Paolo GROSSI, Presidente

Giorgio LATTANZI, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 3 novembre 2016.