Ordinanza n. 226 del 2016

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ORDINANZA N. 226

ANNO 2016

 

Commento alla decisione di

 

Gugliemo Leo

La Consulta conferma: i reati del giudice di pace non si prescrivono in tre anni, ma secondo i termini ordinari

 

per g.c. di Diritto Penale Contemporaneo

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-          Paolo                           GROSSI                                           Presidente

-          Alessandro                  CRISCUOLO                                    Giudice

-          Giorgio                        LATTANZI                                              ”

-          Aldo                            CAROSI                                                   ”

-          Mario Rosario              MORELLI                                                ”

-          Giancarlo                     CORAGGIO                                            ”

-          Giuliano                       AMATO                                                    ”

-          Silvana                         SCIARRA                                                ”

-          Daria                            de PRETIS                                               ”

-          Nicolò                          ZANON                                                   ”

-          Franco                         MODUGNO                                            ”

-          Augusto Antonio       BARBERA                                              ”

-          Giulio                          PROSPERETTI                                        ”

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 157, quinto comma, del codice penale, come sostituito dall’art. 6 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale ed alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), promossi dal Tribunale ordinario di Barcellona Pozzo di Gotto, con ordinanze del 14 e del 18 dicembre 2007, rispettivamente iscritte ai numeri 76 e 77 del registro ordinanze 2016 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 16, prima serie speciale, dell’anno 2016.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 21 settembre 2016 il Giudice relatore Alessandro Criscuolo.

Ritenuto che il giudice del Tribunale ordinario di Barcellona Pozzo di Gotto, con due ordinanze di identico contenuto, rispettivamente, del 14 dicembre 2007 (r.o. n. 76 del 2016) e del 18 dicembre 2007 (r.o. n. 77 del 2016), pervenute alla Corte costituzionale il 5 aprile 2016, ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 157, quinto comma, del codice penale, come sostituito dall’art. 6 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale ed alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), nella parte in cui prevede «che quando per il reato la legge stabilisce pene diverse da quella detentiva e da quella pecuniaria, si applica il termine di prescrizione di anni tre»;

che il rimettente, con riferimento ad entrambi i giudizi principali, riferisce di procedere per il reato di cui all’art. 582 cod. pen. e di non poter pervenire ad una pronunzia di proscioglimento;

che, ad avviso del giudice a quo, la questione sarebbe rilevante in quanto trattandosi di una fattispecie punibile con sanzione «paradetentiva», cui deve applicarsi il termine triennale di prescrizione di cui all’art. 157, comma 5, cod. pen., il delitto risulterebbe estinto già prima della adozione della sentenza appellata;

che, in punto di non manifesta infondatezza, il rimettente osserva come un sistema normativo che «in un caso del genere impone» il termine di prescrizione più breve di tre anni, mentre per fattispecie incriminatrici obiettivamente meno gravi (sempre di competenza del giudice di pace) che non consentono l’irrogazione di pene paradetentive prevede il maggior termine di cinque anni, se il fatto è anteriore alla legge n. 251 del 2005, o quello di anni sei, sarebbe in contrasto con l’art. 3 Cost.;

che, in particolare, sarebbe violato il principio di uguaglianza poiché il responsabile dei reati più gravi, tra quelli rimessi alla competenza del giudice di pace, sarebbe trattato più favorevolmente di colui che ponga in essere condotte criminose meno rilevanti;

che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con due atti di identico contenuto, entrambi depositati presso la cancelleria della Corte costituzionale il 10 maggio 2016, è intervenuto nei sopra indicati giudizi, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o non fondate;

che, in primo luogo, la difesa dello Stato eccepisce, con riferimento ad entrambe le ordinanze, l’assoluto difetto di descrizione delle fattispecie oggetto dei giudizi a quibus, così impedendo alla Corte di valutare la rilevanza della questione,  avendo il rimettente omesso di descrivere le modalità di realizzazione della condotta contestata, l’epoca di consumazione del reato, la natura e l’entità della pena inflitta;

che, nel merito, la difesa dello Stato ricorda come la Corte costituzionale abbia più volte affrontato la questione posta dal rimettente (sono citate la sentenza n. 2 del 2008 e l’ordinanza n. 223 del 2008), dichiarandola infondata o manifestamente infondata;

che, comunque, l’Avvocatura generale dello Stato ripropone gli argomenti già svolti nei precedenti giudizi incidentali secondo cui, data l’autonomia del sistema sanzionatorio complessivamente introdotto per i reati di competenza del giudice di pace, il riferimento della norma censurata ai reati puniti con pene diverse da quella detentiva e pecuniaria dovrebbe considerarsi pertinente all’intero complesso dei reati in questione;

che, dunque, secondo la difesa dello Stato, per quanto sanzionabili con una «pena pecuniaria» anche i meno gravi, tra gli illeciti di competenza del giudice di pace, si prescriverebbero in tre anni.

Considerato che il giudice del Tribunale ordinario di Barcellona Pozzo di Gotto, con due ordinanze di identico contenuto, rispettivamente, del 14 dicembre 2007 (r.o. n. 76 del 2016)  e del 18 dicembre 2017 (r.o. n. 77 del 2016), pervenute alla Corte costituzionale il 5 aprile 2016, ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 157, quinto comma, del codice penale, come sostituito dall’art. 6 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale ed alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), nella parte in cui prevede «che quando per il reato la legge stabilisce pene diverse da quella detentiva e da quella pecuniaria, si applica il termine di prescrizione di anni tre»;

che risulta opportuno disporre, in forza della sostanziale identità di oggetto delle questioni proposte, la riunione dei relativi giudizi;

che i dubbi prospettati dal rimettente in punto di legittimità costituzionale della norma censurata sono manifestamente infondati, in quanto espressi sulla base di un erroneo presupposto interpretativo;

che questa Corte, dichiarando non fondate «nei sensi di cui in motivazione» questioni analoghe a quelle odierne, poste con riguardo al primo ed al quinto comma dell’art. 157 cod. pen. (sentenza n. 2 del 2008), ha già chiarito come debba essere esclusa l’attuale vigenza di un termine triennale di prescrizione per i reati di competenza del giudice di pace punibili mediante le cosiddette sanzioni paradetentive;

che con la citata pronuncia è stata negata, in particolare, la riferibilità della norma contenuta nel quinto comma dell’art. 157 cod. pen. a fattispecie incriminatrici che non prevedano in via diretta ed esclusiva pene diverse da quelle pecuniarie o detentive, ed è stata altresì rilevata la perdurante equiparazione, «per ogni effetto giuridico», tra le pene dell’obbligo di permanenza domiciliare e del lavoro socialmente utile, irrogabili dal giudice di pace in alternativa alle pene pecuniarie, e le sanzioni detentive originariamente previste per i reati che le contemplano (art. 58, comma 1, del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, recante «Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468») (ordinanza n. 45 del 2012);

che l’opzione appena descritta è stata confermata, da questa Corte, in occasione del vaglio di ulteriori questioni sollevate con riguardo alla disciplina della prescrizione per i reati di competenza del giudice di pace (ordinanze nn. 135 del 2009 e 223, 381 e 433 del 2008);

che non si rinvengono, nella motivazione dei provvedimenti dai quali originano i presenti giudizi, argomenti che inducano a modificare le valutazioni appena richiamate;

Visti gli articoli 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

 riuniti i giudizi,

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 157, quinto comma, del codice penale, come sostituito dall’art. 6 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), sollevate in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Barcellona Pozzo di Gotto, con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 settembre 2016.

F.to:

Paolo GROSSI, Presidente

Alessandro CRISCUOLO, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 20 ottobre 2016