Ordinanza n. 207 del 2016

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ORDINANZA N. 207

ANNO 2016

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Paolo                           GROSSI                                           Presidente

-           Alessandro                  CRISCUOLO                                    Giudice

-           Giorgio                        LATTANZI                                              ”

-           Aldo                            CAROSI                                                   ”

-           Marta                           CARTABIA                                             ”

-           Mario Rosario              MORELLI                                                ”

-           Giancarlo                     CORAGGIO                                            ”

-           Silvana                         SCIARRA                                                ”

-           Daria                            de PRETIS                                               ”

-           Nicolò                          ZANON                                                   ”

-           Franco                         MODUGNO                                            ”

-           Giulio                          PROSPERETTI                                        ”

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 464-bis, comma 2, del codice di procedura penale, aggiunto dall’art. 4, comma 1, lettera a), della legge 28 aprile 2014, n. 67 (Deleghe al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio. Disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili), promosso dal Tribunale ordinario di Brindisi nel procedimento penale a carico di M.L.O., con ordinanza del 17 dicembre 2014, iscritta al n. 94 del registro ordinanze 2015 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 21, prima serie speciale, dell’anno 2015.

         Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

         udito nella camera di consiglio del 15 giugno 2016 il Giudice relatore Giorgio Lattanzi.

Ritenuto che, con ordinanza del 17 dicembre 2014 (r.o. n. 94 del 2015), il Tribunale ordinario di Brindisi ha sollevato, in riferimento all’art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all’art. 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (d’ora in avanti «CEDU»), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848, una questione di legittimità costituzionale dell’art. 464-bis, comma 2, del codice di procedura penale, «nella parte in cui prevede che la richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova “può essere proposta fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento nel giudizio direttissimo”»;

che il giudice a quo premette che l’imputato è stato tratto in arresto il 7 maggio 2012, nella flagranza dei reati di cui agli artt. 336, primo comma, 337 e 81, secondo comma, del codice penale, per aver usato violenza nei confronti dell’assistente della Polizia di Stato impegnato nella ricezione delle prime dichiarazioni orali rese da C.A.M., che era stata appena vittima di una rapina a mano armata, al fine di costringerlo ad omettere quell’atto dell’ufficio (capo A dell’imputazione), nonché dei reati di cui agli artt. 582, primo e secondo comma, 585, primo comma, 576, primo comma, numeri 1) e 5-bis), e 61, numero 2), cod. pen., per aver cagionato, all’agente di polizia nell’atto dell’adempimento delle sue funzioni, contusioni multiple dalle quali derivava una malattia nel corpo guaribile in giorni cinque (capo B dell’imputazione);

che l’arresto è stato convalidato nell’udienza del 9 maggio 2012, all’esito della quale l’imputato ha chiesto un termine a difesa ai sensi dell’art. 558, comma 7, cod. proc. pen.;

che, nella successiva udienza del 3 ottobre 2012, è stato dichiarato aperto il dibattimento e sono state ammesse le prove richieste dalle parti, e che l’istruzione dibattimentale è poi proseguita nelle udienze successive;

che, nell’udienza dell’11 giugno 2014, la prima successiva all’entrata in vigore della legge 28 aprile 2014, n. 67 (Deleghe al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio. Disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili), l’imputato ha chiesto la «sospensione del procedimento con messa alla prova», allegando la richiesta di elaborazione di un programma di trattamento ex art. 168-bis cod. pen. e art. 464-bis cod. proc. pen., indirizzata all’Ufficio di esecuzione penale esterna di Brindisi;

che il Tribunale rimettente, avendo ritenuto di non poter accogliere la richiesta dell’imputato, ha sollevato d’ufficio la questione di legittimità costituzionale dell’art. 464-bis, comma 2, cod. proc. pen., «nella parte in cui prevede che la richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova “può essere proposta fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento nel giudizio direttissimo”»;

che, in punto di rilevanza, il giudice a quo osserva che ricorrono nel caso di specie tutti i presupposti oggettivi e soggettivi per l’ammissione dell’imputato alla messa alla prova;

che, infatti, i reati indicati al capo A) dell’imputazione (artt. 336 e 337 cod. pen.) rientrano tra quelli elencati nell’art. 550, comma 2, cod. proc. pen., per i quali il pubblico ministero esercita l’azione penale con citazione diretta a giudizio, e il reato contestato sub B) dell’imputazione (art. 582 cod. pen.) è punito con pena massima inferiore ai limiti di cui all’art. 168-bis, primo comma, cod. pen.;

che il programma di trattamento elaborato dall’Ufficio di esecuzione penale esterna di Brindisi sarebbe «conforme al modello legale del “contenuto della prova” indicato negli artt. 168 bis cod. pen. e 464 bis, 464 ter e 464 quater c.p.p. e ne soddisfa i requisiti»;

che l’imputato si è altresì concretamente attivato per il risarcimento dei danni cagionati alla persona offesa, come sarebbe dimostrato dal verbale di remissione della querela dell’11 giugno 2014;

che non sussisterebbero, nè le condizioni ostative previste dall’art. 168-bis, quarto e quinto comma, cod. pen., non avendo l’imputato mai fruito in precedenza della sospensione del procedimento con messa alla prova e non ricorrendo alcuna delle ipotesi previste dagli artt. 102, 103, 104, 105 e 108 cod. pen., nè le condizioni per la pronuncia di una sentenza ex art. 129 cod. proc. pen.;

che, infine, sulla base dei parametri indicati dall’art. 133 cod. pen., sarebbe possibile formulare «un giudizio di idoneità del programma di trattamento presentato, nonché una prognosi favorevole circa il pericolo di recidiva nel reato da parte dell’imputato; tanto anche in considerazione del proprio stato di incensuratezza e delle stesse modalità dei fatti contestati, connotati da dolo d’impeto e, perciò, da ritenersi del tutto occasionali (C.A.M., ossia la vittima della rapina che gli agenti della Polizia di Stato erano intenti ad ascoltare per assumere le prime informazioni sull’accaduto, è coniuge del M.)»;

che l’imputato, in conclusione, avrebbe potuto ottenere la messa alla prova per tutti i delitti oggetto di imputazione, se alla data dell’entrata in vigore della legge n. 67 del 2014 (17 maggio 2014) non fosse già stato superato il termine di decadenza stabilito dall’art. 464-bis, comma 2, cod. proc. pen., con riferimento al giudizio direttissimo;

che l’art. 464-bis, comma 2, cod. proc. pen. «introduce, quindi, un limite all’applicabilità retroattiva della nuova e più favorevole disciplina della “messa alla prova” per gli imputati adulti, allorché, al momento dell’introduzione dell’istituto premiale, sia stata superata la fase processuale entro la quale la sospensione del procedimento con la messa alla prova può essere richiesta dall’imputato»;

che, in punto di non manifesta infondatezza della questione, il Tribunale rimettente richiama la giurisprudenza costituzionale e quella della Corte europea dei diritti dell’uomo in tema di retroattività della legge penale più favorevole, ricordando come il principio di retroattività in mitius – riconosciuto anche dal diritto internazionale (art. 15, comma 1, del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, adottato a New York il 16 dicembre 1966, ratificato e reso esecutivo con la legge 25 ottobre 1977, n. 881) ed europeo (art. 49, comma 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e, in una versione adattata, il 12 dicembre 2007 a Strasburgo) – abbia «assunto una propria autonomia e, attraverso l’art. 117, comma 1° Cost., [abbia] acquistato un nuovo fondamento con l’interposizione dell’art. 7 CEDU come interpretato dalla Corte di Strasburgo (C. Cost. n. 393/2006)»;

che le «sentenze “Scoppola” e “Del Rio Prada” […] hanno considerato irrilevante la qualifica come “processuale” attribuita dal diritto interno a norme in realtà idonee ad incidere sul trattamento sanzionatorio»;

che il nuovo istituto della sospensione con messa alla prova cumulerebbe connotazioni di carattere processuale e sostanziale, perché sarebbe al contempo una causa di estinzione del reato e un modulo di definizione alternativa al giudizio;

che, dal «rango convenzionale e costituzionale assegnato [al principio della retroattività della lex mitior] non può non farsi discendere la conseguenza […] che eventuali deroghe a detto principio potrebbero giustificarsi solo in ragione della tutela di “controinteressi di rango omogeneo al diritto fondamentale cui si intende eccettuare”», tra cui non possono farsi rientrare «istanze quali “l’efficienza del processo”, “la tutela dei destinatari della giurisdizione”, “la dispersione delle attività processuali già compiute”, “la ragionevole durata del processo”»;

che peraltro le richiamate istanze «non risulterebbero significativamente frustrate per effetto dell’applicazione retroattiva [ossia ai procedimenti che, al momento dell’entrata in vigore della legge n. 67 del 2014, abbiano superato la fase processuale della dichiarazione di apertura del dibattimento] della nuova disciplina della “sospensione del procedimento con messa alla prova per imputati maggiorenni”»;

che la scelta legislativa di individuare «il momento della dichiarazione di apertura del dibattimento come discrimine temporale per l’accesso alla “messa alla prova” nel giudizio direttissimo non risulterebbe conforme a ragionevolezza, poichè l’attività processuale in ipotesi compiuta non sarebbe del tutto vanificata da un eventuale accesso all’istituto premiale»;

che il contrasto tra la norma censurata e l’art. 7 della CEDU non sarebbe superabile in via interpretativa, in quanto «[l]’effetto sostanziale che l’istituto premiale è suscettibile di produrre risulta rigidamente vincolato a termini processuali espressi e tassativi»;

che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, e ha chiesto che le questioni siano dichiarate inammissibili e comunque non fondate;

che la difesa dello Stato sottolinea come, in base al principio di diritto processuale “tempus regit actum”, l’esclusione dell’applicazione del nuovo istituto ai procedimenti pendenti nei quali sia già avvenuta l’apertura del dibattimento costituirebbe il frutto di una scelta riservata al legislatore, nel ragionevole esercizio della sua discrezionalità in materia processuale.

Considerato che, con ordinanza del 17 dicembre 2014 (r.o. n. 94 del 2015), il Tribunale ordinario di Brindisi ha sollevato, in riferimento all’art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all’art. 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (d’ora in avanti «CEDU»), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848, una questione di legittimità costituzionale dell’art. 464-bis, comma 2, del codice di procedura penale, «nella parte in cui prevede che la richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova “può essere proposta fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento nel giudizio direttissimo”»;

che la questione è manifestamente infondata;

che, con la sentenza n. 240 del 2015, questa Corte ha già dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 464-bis, comma 2, cod. proc. pen., sollevata, in riferimento, tra gli altri, all’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 7 della CEDU, dal Tribunale ordinario di Torino, con ordinanza del 28 ottobre 2014 (r.o. n. 260 del 2014);

che la citata sentenza ha osservato che «[i]l termine entro il quale l’imputato può richiedere la sospensione del processo con messa alla prova è collegato alle caratteristiche e alla funzione dell’istituto, che è alternativo al giudizio ed è destinato ad avere un rilevante effetto deflattivo. Consentire, sia pure in via transitoria, la richiesta nel corso del dibattimento, anche dopo che il giudizio si è protratto nel tempo, eventualmente con la partecipazione della parte civile (che avrebbe maturato una legittima aspettativa alla decisione), significherebbe alterare in modo rilevante il procedimento»;

che l’inapplicabilità dell’istituto in esame ai processi in corso, in cui sia stata già dichiarata l’apertura del dibattimento, prosegue la sentenza, «è conseguenza non della mancanza di retroattività della norma penale ma del normale regime temporale della norma processuale, rispetto alla quale il riferimento all’art. 7 della CEDU risulta fuori luogo»;

che, infatti, «[i]l principio di retroattività si riferisce al rapporto tra un fatto e una norma sopravvenuta, di cui viene in questione l’applicabilità, e nel caso in oggetto, a ben vedere, l’applicabilità e dunque la retroattività della sospensione del procedimento con messa alla prova non è esclusa, dato che la nuova normativa si applica anche ai reati commessi prima della sua entrata in vigore»;

che l’art. 464-bis cod. proc. pen., nella parte impugnata, riguarda esclusivamente il processo ed è espressione del principio “tempus regit actum”;

che tale principio ben potrebbe essere derogato da una diversa disciplina transitoria, ma la sua mancanza non è certo censurabile in forza dell’art. 7 della CEDU;

che pertanto la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale ordinario di Brindisi è manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, commi 1 e 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 464-bis, comma 2, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento all’art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all’art. 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848,  dal Tribunale ordinario di Brindisi, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 giugno 2016.

F.to:

Paolo GROSSI, Presidente

Giorgio LATTANZI, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria l'8 settembre 2016.