Sentenza n. 192 del 2016

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SENTENZA N. 192

ANNO 2016

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-          Paolo                           GROSSI                                 Presidente

-          Giuseppe                     FRIGO                                   Giudice

-          Alessandro                  CRISCUOLO                                 ”

-          Giorgio                        LATTANZI                                    ”

-          Aldo                            CAROSI                                         ”

-          Mario Rosario             MORELLI                                      ”

-          Giancarlo                     CORAGGIO                                  ”

-          Giuliano                       AMATO                                         ”

-          Silvana                         SCIARRA                                      ”

-          Nicolò                         ZANON                                         ”

-          Giulio                           PROSPERETTI                              ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 4-quinquies, del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 134 (Disposizioni urgenti per garantire la continuità del servizio scolastico ed educativo per l’anno 2009-2010), aggiunto dalla legge di conversione 24 novembre 2009, n. 167, promosso dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, nel procedimento vertente tra C.P. ed altri ed il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca ed altri, con ordinanza del 2 aprile 2013, iscritta al n. 221 del registro ordinanze 2014 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 51, prima serie speciale, dell’anno 2014.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 22 giugno 2016 il Giudice relatore Giuliano Amato.

Ritenuto in fatto

1.− Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, con ordinanza emessa il 2 aprile 2013, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 4-quinquies, del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 134 (Disposizioni urgenti per garantire la continuità del servizio scolastico ed educativo per l’anno 2009-2010), aggiunto dalla legge di conversione 24 novembre 2009, n. 167, per contrasto con gli artt. 3, primo comma, 4, secondo comma, 35, 51 e 97 della Costituzione.

La disposizione censurata prevede che «A decorrere dall’anno scolastico 2010-2011, non è consentita la permanenza nelle graduatorie ad esaurimento dei docenti che hanno già stipulato contratto a tempo indeterminato per qualsiasi tipologia di posti di insegnamento o classi di concorso».

2.− Il Tribunale rimettente è investito della decisione in ordine ai ricorsi proposti da alcuni docenti, tutti abilitati in più discipline e pertanto già iscritti in più graduatorie di merito per l’insegnamento in diverse classi di concorso, al fine di ottenere l’annullamento del decreto dell’11 marzo 2010, con cui il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca – Dipartimento per l’istruzione, in applicazione della disposizione censurata, ha stabilito la cancellazione dalle graduatorie ad esaurimento del personale docente che già ha stipulato un contratto a tempo indeterminato nella scuola statale, nonché della nota dello stesso Ministero dell’11 marzo 2010, nella parte in cui prevede che tale operazione venga effettuata automaticamente dal gestore del sistema informativo.

I ricorrenti, i quali hanno ottenuto l’immissione in ruolo in relazione ad una delle plurime abilitazioni delle quali sono rispettivamente titolari, lamentano che la cancellazione dalle graduatorie comporterebbe un illegittimo vincolo alla mobilità professionale verso altri posti di ruolo o altra classe di concorso. Infatti, in base alla disciplina prevista dalla contrattazione collettiva nazionale, tale mobilità potrebbe avvenire solo dopo l’espletamento del periodo di prova e comunque non prima di un biennio o triennio dalla nomina (a seconda che si tratti di trasferimento all’interno o all’esterno della Provincia di provenienza). Da ciò deriverebbe loro un trattamento deteriore sia rispetto ai docenti di religione, sia rispetto a quelli con contratto a tempo indeterminato inclusi, per altra disciplina di insegnamento, nelle graduatorie di merito dei concorsi indetti nel 1999, ai quali la compresenza in più graduatorie sarebbe invece assicurata.

In punto di rilevanza, il rimettente ritiene che soltanto l’accoglimento della questione di legittimità costituzionale impedirebbe il rigetto dei ricorsi, volti all’annullamento di un provvedimento meramente applicativo dell’art. 1, comma 4-quinquies, del d.l. n. 134 del 2009.

In relazione alla non manifesta infondatezza, viene richiamata la sentenza n. 41 del 2011 con la quale questa Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 4-ter, del medesimo d.l. n. 134 del 2009, il quale aveva introdotto, per un biennio, una disciplina del trasferimento eccentrica rispetto alla regola dell’inserimento “a pettine” nelle graduatorie, vigente non solo nel periodo anteriore, ma anche in quello posteriore al biennio in questione. In tale occasione, la Corte ha ritenuto irragionevole la disciplina introdotta da tale disposizione, in quanto essa comportava il totale sacrificio del principio del merito, posto a fondamento della procedura di reclutamento dei docenti, nonché della correlata esigenza di assicurare, per quanto più possibile, la migliore formazione scolastica.

Ad avviso del rimettente, anche la disposizione dell’art. 1, comma 4-quinquies, del d.l. n. 134 del 2009, come convertito, ponendosi in controtendenza rispetto a quanto stabilito dallo stesso Ministero sino al biennio 2007/2009, sarebbe servita a dare copertura normativa al medesimo decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca 8 aprile 2009, n. 42 (Integrazione e aggiornamento delle graduatorie ad esaurimento per il personale docente ed educativo). Essa costituirebbe, infatti, il corollario del meccanismo del trasferimento “in coda” nelle graduatorie di altre province, già ritenuto illegittimo dalla citata sentenza n. 41 del 2011.

In particolare, tale d.m. n. 42 del 2009 stabiliva, all’art. 9, comma 3, che l’accettazione di una proposta di assunzione a tempo indeterminato in una Provincia per un posto o classe di concorso avrebbe comportato la cancellazione, con effetto immediato, dalle graduatorie ad esaurimento per il medesimo posto o classe di concorso di tutte le altre Province in cui il candidato fosse iscritto, salvo che non appartenesse alla prima fascia.

Osserva il giudice a quo che l’art. 1, comma 4-quinquies, riguarda non solo i docenti interessati a permanere in graduatorie della stessa Provincia, sebbene per altri insegnamenti, ma riguarda anche, e soprattutto, quanti vengono cancellati dalle graduatorie delle altre Province prescelte, con conseguente impossibilità di rientrare nella sede di provenienza prima di un triennio.

Ad avviso del rimettente, la disposizione censurata sarebbe in contrasto, sia con quanto stabilito dalla stessa amministrazione nelle precedenti occasioni di inserimento e di aggiornamento delle graduatorie permanenti, sia con la giurisprudenza del TAR.

Il giudice a quo ripercorre l’evoluzione della disciplina delle graduatorie permanenti, la quale prevedeva la possibilità, oltre che dell’aggiornamento e dell’inserimento, anche del trasferimento da una graduatoria all’altra. Pur essendo prevista la cancellazione dalla graduatoria di provenienza, ciò non riguardava tutte le altre graduatorie nelle quali il docente era inserito e per le quali non avesse ottenuto un incarico. Sino all’anno scolastico 2006/2007, infatti, la richiesta di trasferimento ad altra Provincia comportava il trasferimento automatico in tutte le graduatorie nelle quali l’aspirante era iscritto e conseguentemente la cancellazione dalla graduatoria provinciale di provenienza. Con il trasferimento, il docente sarebbe stato immesso in tutte le graduatorie per le quali egli aveva l’abilitazione, ulteriori rispetto a quella per cui aveva chiesto il trasferimento.

Il TAR Lazio evidenzia che anche a seguito della trasformazione delle graduatorie da permanenti ad esaurimento (per effetto dell’art. 1, comma 605, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007»), la disciplina dell’inserimento e del trasferimento delle graduatorie non subiva cambiamenti.

È stato infatti previsto che − per gli anni scolastici 2007/08 e 2008/09 − la richiesta di trasferimento ad altra Provincia avrebbe comportato, automaticamente, il trasferimento di tutte le graduatorie in cui l’aspirante è iscritto e, conseguentemente, la cancellazione da tutte le graduatorie della Provincia da cui lo stesso proviene.

Con il successivo d.m. n. 42 dell’8 aprile 2009 è stato invece previsto che l’accettazione di una proposta di assunzione a tempo indeterminato in una Provincia per un posto o classe di concorso comporta la cancellazione, con effetto immediato, dalle graduatorie ad esaurimento per il medesimo posto o classe di concorso di tutte le altre Province, in cui il candidato è iscritto. In definitiva, quindi, il docente che accetti l’incarico di insegnamento a tempo indeterminato non viene cancellato dalle sole graduatorie da cui proviene, ma anche da tutte quelle delle Province verso cui ha chiesto la mobilità, a differenza di quanto accadeva durante il decennio precedente.

In sede di conversione in legge del d.l. n. 134 del 2009, viene quindi prevista la cancellazione dalle graduatorie ad esaurimento dei docenti che hanno già stipulato contratto a tempo indeterminato.

Ad avviso del TAR rimettente, il comma 4-quinquies, oltre ad introdurre una disciplina illogica ed incongrua con il quadro normativo e giurisprudenziale, determinerebbe lo svilimento delle abilitazioni conseguite dagli interessati anche in più materie.

Viene denunciato, in primo luogo, il contrasto con l’art. 3, primo comma, Cost. perché la permanenza dei docenti nella graduatoria ad esaurimento sarebbe condizionata dalla stipula di un contratto a tempo indeterminato, introducendo così una distinzione – tra coloro che non hanno stipulato il contratto e coloro che lo hanno stipulato – alla quale l’ordinamento costituzionale non attribuisce alcun rilievo.

La disposizione in esame contrasterebbe, inoltre, con l’art. 51 Cost., in base al quale tutti i cittadini possono accedere agli uffici pubblici in condizioni di eguaglianza e secondo i requisiti stabiliti dalla legge. A questo riguardo, il TAR Lazio evidenzia che il requisito previsto per l’inserimento nelle graduatorie ad esaurimento è l’abilitazione, la quale costituisce il risultato di un percorso di studi e di formazione. Essa costituisce l’unico strumento attraverso il quale il docente può esercitare la professione.

Ad avviso del giudice a quo, la preclusione della possibilità di spostarsi di graduatoria nell’ambito delle materie nelle quali il docente ha conseguito l’abilitazione pregiudicherebbe le competenze conseguite e l’esperienza professionale maturata, le quali costituiscono le uniche condizioni che consentono l’inserimento nelle graduatorie ad esaurimento.

La mobilità dei docenti non verrebbe più affidata all’inserimento nella graduatoria in relazione alle classi di materie per le quali essi possiedono le abilitazioni, ma a criteri del tutto aleatori e non rispondenti ai requisiti in base ai quali il docente è inserito nella stessa.

In ciò viene ravvisata quindi la violazione degli artt. 3, primo comma, e 51 Cost., nonché dell’art. 4, secondo comma, Cost., il quale individua nel lavoro un diritto-dovere. Esso costituisce il fine cui lo Stato deve tendere ed un dovere morale cui ciascuno deve adempiere, nel rispetto della libertà della persona. La cancellazione indiscriminata da tutte le graduatorie sia per materia, sia per Provincia, impedirebbe la realizzazione del dovere civico di contribuire al progresso della comunità nazionale in relazione alle conoscenze acquisite nel percorso di studi e all’esperienza professionale maturata e comprimerebbe il valore dei titoli abilitativi legittimamente conseguiti.

Viene, inoltre, denunciata la violazione dell’art. 35 Cost., in quanto l’impossibilità di utilizzare l’abilitazione conseguita per trasferire le conoscenze con essa acquisite le mortificherebbe o le renderebbe comunque inutili.

Sarebbe, inoltre, infondato l’assunto del Ministero dell’istruzione laddove sostiene che l’abilitazione posseduta dagli insegnanti di ruolo che sono stati cancellati non verrebbe affatto vanificata, essendo sempre possibile ricorrere alla mobilità professionale.

Osserva il TAR Lazio che, sebbene l’art. 3 del contratto collettivo nazionale del 16 febbraio 2010 consenta la mobilità professionale, si tratterebbe tuttavia di un passaggio di ruolo per il quale è necessario lo svolgimento dell’anno di prova. Inoltre, tale mobilità sarebbe rivolta, con priorità, al personale appartenente a classi di concorso, aree disciplinari, ruoli, aree e profili professionali in situazione di esubero. Pertanto, il docente che abbia ottenuto il posto di lavoro per una determinata materia e che intenda recarsi in un’altra Provincia sarebbe costretto a rimanere in quella Provincia fino a quando non trovino sistemazione i precari in esubero, così vanificandosi la collocazione in graduatoria in base a criteri meritocratici.

In conclusione, ad avviso del TAR rimettente, il comma 4-quinquies completa il disegno che era sotteso anche all’art. 4-ter, già dichiarato incostituzionale con la sentenza n. 41 del 2011 e partecipa degli stessi vizi in esso rinvenuti dall’ordinanza con cui è stata sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 4-ter, del medesimo d.l. n. 134 del 2009.

3.− Nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile, ovvero infondata.

3.1.− In via preliminare, la difesa statale ha eccepito l’inammissibilità della questione sollevata dal TAR Lazio, evidenziando l’indeterminatezza delle censure, incentrate sull’irragionevolezza della disciplina in questione.

3.2.− Nel merito, con riferimento alla denunciata violazione dell’art. 3 Cost., l’Avvocatura generale dello Stato osserva che la normativa vigente è strutturata sulla base di distinte tipologie di rapporto, caratterizzate da una disciplina differenziata in funzione di situazioni oggettivamente non comparabili. La cancellazione dalle graduatorie è, infatti, prevista solo per i docenti immessi in ruolo diversi dagli insegnanti di religione cattolica. Per questi ultimi la ragionevolezza di una disciplina differenziata è già stata riconosciuta dalla Corte (sentenza n. 146 del 2013), in relazione alla loro diversa ed instabile condizione rispetto agli altri docenti, in quanto solo gli insegnanti di religione sono sottoposti alla condizione del gradimento dell’autorità ecclesiastica: il mantenimento in altra graduatoria – garantito dalla norma ora censurata – consente così agli stessi di poter insegnare altra e diversa materia rispetto a quella eventualmente preclusa a causa del mancato gradimento.

Per quanto attiene poi ai docenti non di ruolo, l’Avvocatura generale dello Stato ritiene che le situazioni poste a raffronto dal TAR (quella dei docenti immessi in ruolo e quelli che non lo siano) non siano comparabili, in quanto la posizione dell’insegnante a tempo determinato è strutturalmente caratterizzata dalla necessità preminente di assicurare il tempestivo assorbimento del precariato. Tale obiettivo viene, quindi, realizzato anche tramite la possibilità, per i precari, di ottenere una valutazione attraverso una graduatoria relativa ad altra classe di concorso per la quale sia stata ottenuta l’abilitazione. L’esclusione dal “depennamento” sarebbe quindi giustificata dalla finalità di tutela del diritto ad un’occupazione lavorativa e non costituirebbe una condizione di ingiustificato privilegio.

Quanto alle ulteriori censure, la difesa statale ritiene che le stesse risultino infondate alla luce della disciplina degli istituti della mobilità professionale e territoriale e dell’utilizzazione a titolo provvisorio. Si evidenzia, a questo riguardo, che il contratto collettivo nazionale integrativo, concernente la mobilità del personale (sottoscritto per l’anno scolastico 2013/2014 il 6 dicembre 2012) consente ogni anno, a tutti docenti di ruolo, purché in possesso del titolo di studio e dell’abilitazione specifica richiesta, di fare domanda di mobilità territoriale o professionale, transitando così in altri ordini di scuola ed in altre classi di concorso. La contrattazione collettiva riconosce, infatti, che la mobilità professionale del personale scolastico ha come fine non solo di superare o prevenire il soprannumero, ma anche di valorizzare le esperienze acquisite dal personale, sostenere lo scambio di esperienze nel sistema scolastico e del lavoro pubblico. Questa previsione varrebbe proprio a contemperare le legittime aspettative alla mobilità di tutti i docenti e quindi ad escludere l’illegittimità della disposizione impugnata.

La previsione della cancellazione dalle altre graduatorie cui il docente, divenuto di ruolo, sia iscritto non precluderebbe affatto la possibilità di valorizzare le proprie capacità professionali o le aspirazioni ad esercitare tali capacità in un ambito professionale o territoriale diverso. D’altra parte, sarebbe del tutto indimostrato l’assunto del rimettente secondo il quale la mobilità stessa favorirebbe il ricollocamento dei docenti in esubero, rispetto alle restanti categorie di aspiranti al trasferimento.

Occorrerebbe, d’altra parte, tenere presente che le aspirazioni alla mobilità esigono un contemperamento tra le esigenze del sistema scolastico statale e le legittime aspettative del docente.

La disposizione censurata sarebbe coerente anche con il criterio costituzionale dell’efficiente organizzazione dei servizi pubblici di cui all’art. 97 Cost., in quanto con l’applicazione dell’istituto della mobilità previsto dalla contrattazione collettiva verrebbe riportata ad unità la tematica del trasferimento di tutto il personale di ruolo (con l’eccezione degli insegnanti di religione).

Viene imposto, infatti, un periodo minimo di permanenza nell’ambito professionale o territoriale in relazione al quale si è costituito un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, a tutela della continuità didattica del servizio scolastico e del diritto all’educazione dei fruitori del servizio pubblico. Viene, al contempo, perseguito l’obiettivo di razionalizzare il sistema di reclutamento, eliminando la compresenza di docenti, ormai impiegati stabilmente, da un sistema di graduatorie che per la sua gestione richiede un notevole impiego di pubbliche risorse, umane, strumentali e finanziarie.

Considerato in diritto

1.− Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, con ordinanza emessa il 2 aprile 2013, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 4-quinquies, del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 134 (Disposizioni urgenti per garantire la continuità del servizio scolastico ed educativo per l’anno 2009-2010), aggiunto dalla legge di conversione 24 novembre 2009, n. 167, per contrasto con gli artt. 3, primo comma, 4, secondo comma, 35, 51 e 97 della Costituzione.

La disposizione censurata prevede che «A decorrere dall’anno scolastico 2010-2011, non è consentita la permanenza nelle graduatorie ad esaurimento dei docenti che hanno già stipulato contratto a tempo indeterminato per qualsiasi tipologia di posti di insegnamento o classi di concorso».

2.− L’eccezione di inammissibilità della questione, sollevata dall’Avvocatura generale dello Stato, non è fondata.

La difesa statale ha eccepito, in particolare, l’indeterminatezza delle censure incentrate sull’irragionevolezza della disciplina in esame.

Tuttavia, nel caso in esame, il rimettente non si limita ad affermare l’irragionevolezza della disposizione censurata, ma – dopo avere fornito una descrizione della fattispecie concreta dalla quale emerge con chiarezza la rilevanza della questione – offre un’interpretazione non manifestamente implausibile della disposizione contestata, chiarendo il quadro precettivo costituzionale in ordine al quale, a suo avviso, affiorerebbe il contrasto. Il giudice a quo richiama, in particolare, la precedente decisione di questa Corte (la sentenza n. 41 del 2011) e le argomentazioni – già illustrate dal medesimo TAR – a sostegno dell’illegittimità costituzionale di altra disposizione del medesimo d.l. n. 134 del 2009.

Risultano, quindi, individuate chiaramente le ragioni che inducono il rimettente a dubitare della legittimità costituzionale della norma censurata.

3.− La questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 4-quinquies, del d.l. n. 134 del 2009, formulata in riferimento all’art. 97 Cost., è inammissibile.

Va al riguardo rilevato il difetto di motivazione in ordine alle ragioni del denunciato contrasto con l’art. 97 Cost. Il parametro risulta evocato mediante il mero riferimento numerico nel solo dispositivo dell’ordinanza di rimessione, mentre la parte motiva è del tutto sfornita di argomentazioni a sostegno del denunciato contrasto.

Questa Corte ha più volte affermato che si configura un’ipotesi di inammissibilità della questione, qualora il giudice non fornisca una motivazione adeguata sulla non manifesta infondatezza della stessa, limitandosi a evocarne i parametri costituzionali, senza argomentare in ordine alla loro violazione (ex plurimis, sentenza n. 70 del 2015, ordinanze n. 36 del 2015 e n. 158 del 2011). Nel caso in esame, tale omissione inibisce lo scrutinio nel merito della questione, con conseguente inammissibilità della stessa.

4.− Nel merito, la questione non è fondata.

4.1.– Viene denunciata l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 4-quinquies, del d.l. n. 134 del 2009, il quale esclude la permanenza nelle graduatorie ad esaurimento dei docenti che hanno già stipulato contratto a tempo indeterminato per qualsiasi tipologia di posti di insegnamento o classi di concorso.

Il parametro di cui all’art. 3 Cost. viene invocato dal giudice rimettente sotto il duplice aspetto dell’intrinseca irragionevolezza della norma impugnata e della violazione del principio di eguaglianza, con profili che involgono anche la violazione degli artt. 4, 35 e 51 Cost., in quanto la disparità di trattamento comporterebbe, altresì, la compressione del diritto al lavoro e alla elevazione professionale del lavoratore e contrasterebbe con la garanzia della parità nell’accesso ai pubblici uffici.

Con riferimento al principio di uguaglianza, il giudice a quo ritiene che la norma riservi ai docenti immessi nei ruoli un trattamento deteriore rispetto a quello dei docenti che non lo siano e fondi tale diversità sulla base della “mera” circostanza della stipula di un contratto di lavoro a tempo indeterminato.

Secondo il costante orientamento della giurisprudenza costituzionale, la violazione del principio di eguaglianza sussiste solo qualora situazioni sostanzialmente identiche siano disciplinate in modo ingiustificatamente diverso, ma non quando la diversità di disciplina corrisponda ad una diversità di situazioni, sempre con il limite generale dei principî di proporzionalità e ragionevolezza (ex plurimis, sentenze n. 79 del 2016 e n. 85 del 2013).

Nel caso in esame, il giudice a quo pone a raffronto situazioni non omogenee e oggettivamente non comparabili. Il petitum del rimettente appare, infatti, volto ad annullare il differente trattamento riservato ai docenti di ruolo per effetto della cancellazione dalle graduatorie rispetto a quello riservato ai docenti non immessi in ruolo, che non subiscono analoga esclusione. Si vorrebbe, in definitiva, conservare la medesima disciplina che accompagna lo status dei docenti in attesa di ottenere una stabile occupazione anche in capo a coloro che la abbiano già ottenuta.

Diversamente da quanto accadeva nella questione decisa da questa Corte con la sentenza n. 41 del 2011, richiamata dal rimettente, le fattispecie poste a raffronto nel caso ora in esame non sono, tuttavia, omogenee e la posizione dei docenti non di ruolo che rimangono inseriti nelle graduatorie non è, quindi, correttamente utilizzabile quale tertium comparationis a sostegno dell’asserita disparità di trattamento rispetto ai docenti ai quali si applica la disposizione censurata.

Va infatti rilevato che, solo con riferimento alla posizione dei primi, l’obiettivo prioritario del legislatore è rappresentato dall’esigenza di assicurare il tempestivo assorbimento del precariato. In considerazione di tale preminente esigenza, non può essere ritenuta irragionevole la scelta legislativa di prevedere la cancellazione dalle graduatorie dei docenti immessi in ruolo. Tale scelta risponde, infatti, ad una logica organizzativa volta al bilanciamento delle esigenze di piena realizzazione della professionalità dei docenti di ruolo con quelle volte a consentire il più ampio accesso possibile ai ruoli dell’amministrazione.

Tale obiettivo viene, quindi, realizzato riconoscendo ai soli docenti non di ruolo la possibilità di conservare l’inserimento in graduatorie relative a tutte le classi di concorso per le quali sia stata ottenuta l’abilitazione. Che solo i docenti non di ruolo siano inseriti in tali graduatorie è giustificato dalla finalità di tutela del diritto ad un’occupazione stabile, da riconoscersi con priorità in favore di chi ancora ne sia privo.

Va, inoltre, rilevato che dalla considerazione complessiva del quadro normativo non emerge una compressione delle aspettative dei docenti di ruolo alla piena realizzazione professionale. Tali aspettative possono trovare soddisfazione attraverso forme e modalità diverse dalla conservazione dell’inserimento nelle graduatorie ad esaurimento. In particolare, va richiamato a questo riguardo l’istituto della mobilità professionale previsto dalla contrattazione collettiva nazionale, cui fa riferimento lo stesso rimettente. Tale disciplina riconosce ai docenti di ruolo – sia pure a determinate condizioni e secondo particolari modalità – la possibilità di rivolgersi verso incarichi per altre classi di concorso, per le quali gli stessi possiedano le necessarie abilitazioni.

Da ultimo, si osserva che la legge 13 luglio 2015, n. 107 (Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti), all’art. 1, comma 79, prevede che il dirigente scolastico possa «utilizzare i docenti in classi di concorso diverse da quelle per le quali sono abilitati, purché posseggano titoli di studio validi per l’insegnamento della disciplina e percorsi formativi e competenze professionali coerenti con gli insegnamenti da impartire e purché non siano disponibili nell’ambito territoriale docenti abilitati in quelle classi di concorso».

Alla luce di tali argomenti, deve quindi concludersi che la questione di legittimità costituzionale sollevata dal TAR per il Lazio è priva di fondamento.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 4-quinquies, del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 134 (Disposizioni urgenti per garantire la continuità del servizio scolastico ed educativo per l’anno 2009-2010), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 24 novembre 2009, n. 167, sollevata, in riferimento all’art. 97 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, con l’ordinanza indicata in epigrafe;

2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 4-quinquies, del d.l. n. 134 del 2009, sollevata, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 4, primo comma, 35 e 51 Cost., dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 giugno 2016.

F.to:

Paolo GROSSI, Presidente

Giuliano AMATO, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 20 luglio 2016.