Sentenza n. 147 del 2016

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SENTENZA N. 147

ANNO 2016

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Paolo                             GROSSI                                    Presidente

-           Alessandro                    CRISCUOLO                              Giudice

-           Giorgio                          LATTANZI                                       ”

-           Aldo                              CAROSI                                            ”

-           Marta                            CARTABIA                                      ”

-           Mario Rosario               MORELLI                                         ”

-           Giancarlo                      CORAGGIO                                     ”

-           Giuliano                        AMATO                                            ”

-           Silvana                          SCIARRA                                         ”

-           Daria                             de PRETIS                                         ”

-           Nicolò                           ZANON                                             ”

-           Franco                           MODUGNO                                      ”

-           Giulio                            PROSPERETTI                                 ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 4-bis del decreto-legge 5 gennaio 2015, n. 1 (Disposizioni urgenti per l’esercizio di imprese di interesse strategico nazionale in crisi e per lo sviluppo della città e dell’area di Taranto), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 4 marzo 2015, n. 20, promosso dalla Regione Campania con ricorso spedito per la notifica il 4 maggio 2015, depositato in cancelleria l’11 maggio 2015 ed iscritto al n. 51 del registro ricorsi 2015.

Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 31 maggio 2016 il Giudice relatore Marta Cartabia;

uditi l’avvocato Beniamino Caravita di Toritto per la Regione Campania e l’avvocato dello Stato Sergio Fiorentino per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso depositato nella cancelleria di questa Corte in data 11 maggio 2015 e iscritto al n. 51 del registro ricorsi 2015, la Regione Campania, rappresentata e difesa come indicato in epigrafe, ha promosso questione di legittimità costituzionale dell’art. 4-bis del decreto-legge 5 gennaio 2015, n. 1 (Disposizioni urgenti per l’esercizio di imprese di interesse strategico nazionale in crisi e per lo sviluppo della città e dell’area di Taranto), inserito in sede di conversione dalla legge 4 marzo 2015, n. 20. La disposizione censurata, nell’inserire il comma 9-bis all’art. 43 della legge 24 dicembre 2012, n. 234 (Norme generali sulla partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea), prevede che, al fine di consentire la tempestiva esecuzione delle sentenze di condanna emesse dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, gli oneri finanziari a esse relativi possono essere anticipati, nei limiti delle disponibilità, dal Fondo di rotazione per l’attuazione delle politiche comunitarie; il reintegro delle somme anticipate deve avvenire – secondo la disposizione impugnata – mediante rivalsa nei confronti delle amministrazioni cui sono imputate le violazioni che hanno dato adito alle sentenze di condanna, «sentite le stesse».

La difesa regionale lamenta la violazione degli artt. 77, 97, 114, secondo comma, 117, terzo comma, 118, primo e secondo comma, 119, 120, 121 e 123 della Costituzione.

1.1.– Secondo la difesa regionale, il censurato art. 4-bis lederebbe il principio di buon andamento della pubblica amministrazione, il principio di leale collaborazione e l’autonomia finanziaria riconosciuta alle Regioni, in violazione degli artt. 97, 119 e 120 Cost.

Benché lo Stato possa, nell’esercizio delle competenze in materia di «coordinamento della finanza pubblica» attribuitegli dalla Costituzione, determinare principi fondamentali limitativi dell’autonomia finanziaria regionale, la Regione ritiene, richiamando la giurisprudenza costituzionale, che tali principi non possano privarla della potestà di concorrere alla individuazione degli strumenti e delle modalità di attuazione dei menzionati principi. Il coinvolgimento delle Regioni dovrebbe essere preservato, secondo la ricorrente, anche nei casi in cui il legislatore statale è chiamato ad assicurare l’osservanza dei vincoli economici derivanti dalla partecipazione all’Unione europea.

Di qui discenderebbe l’illegittimità costituzionale della disposizione impugnata che limita la partecipazione della Regione a una intesa in senso debole («sentite le stesse»), essendo al contrario doverosa «[un’]intesa in senso forte, con la quale si stabiliscano le modalità di restituzione degli importi nonché i termini per l’adempimento». A ragionare diversamente, argomenta la ricorrente, le Regioni «si vedrebbero spogliate autoritativamente di risorse finanziarie destinate allo svolgimento di propri compiti istituzionali», con conseguente lesione anche del principio di buon andamento nella amministrazione.

Tale interpretazione sarebbe avvalorata dalla lettura sistematica del complesso normativo nel quale la disposizione censurata è collocata: complesso normativo dal quale rileverebbe la scelta del legislatore statale a favore di una procedura per il recupero di importi a titolo di rivalsa improntata al coinvolgimento dell’ente territoriale. La peculiare previsione censurata determinerebbe, altresì, una violazione del principio di leale collaborazione.

1.2.– Secondo la difesa regionale, il censurato art. 4-bis violerebbe, altresì, l’art. 77 Cost., essendo stato introdotto in sede di conversione dalla l. n. 20 del 2015, con un emendamento «del tutto disomogeneo con il contenuto e le finalità» del decreto convertito. La ricorrente ricorda, menzionando la giurisprudenza costituzionale in materia, che le Regioni possono promuovere questioni di legittimità costituzionale in riferimento a parametri diversi da quelli che stabiliscono il riparto di competenze tra Stato e Regioni «quando la violazione ridondi su tali competenze o in generale sull’autonomia regionale». La Regione prosegue, poi, osservando che la facoltà di emendamento, in sede di conversione di un decreto-legge, incontra un «preciso limite nella impossibilità di interrompere la sequenza tipica prevista dall’art. 77, secondo comma, Cost.», con la conseguente illegittimità costituzionale della disposizione, inserita in sede di conversione, disomogenea rispetto al contenuto e alle finalità del decreto convertito.

In riferimento al caso di specie, la Regione osserva che attraverso lo strumento del decreto-legge lo Stato «pregiudica la possibilità per le regioni di rappresentare le proprie esigenze nel corso del procedimento legislativo»; inoltre, la disciplina di carattere generale sul diritto di rivalsa del Fondo di rotazione per l’attuazione delle politiche comunitarie è stata inserita in un decreto-legge avente tutt’altro scopo e tutt’altro oggetto, occupandosi prevalentemente di stabilimenti industriali adiacenti la zona di Taranto.

2.– Con atto depositato in data 15 giugno 2015, si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che il ricorso sia dichiarato infondato.

2.1.– In primo luogo, l’Avvocatura generale dello Stato ricostruisce la ratio sottesa alla l. n. 234 del 2012, all’interno del cui art. 43 è inserita la norma oggetto della presente censura. La legge mira a salvaguardare il bilancio dello Stato «attraverso la “responsabilizzazione” degli enti territoriali e degli altri enti pubblici». Lette in tale prospettiva, le disposizioni impugnate sono espressione della competenza statale tanto in materia di determinazione dei principi fondamentali del «coordinamento della finanza pubblica», quanto in materia di «ordinamento civile», specie nella parte in cui disciplina un particolare caso di rivalsa, «che in assenza della norma speciale rientrerebbe nelle previsioni dell’art. 2055, comma secondo, cod. civ. e sarebbe regolata dal diritto civile».

2.2.– In secondo luogo, la difesa statale chiarisce che la disposizione censurata è stata introdotta al fine di «rimediare a una carenza della versione originaria dell’art. 43, che non si occupava dell’individuazione delle risorse statali cui attingere» in caso di condanna per violazione del diritto dell’Unione europea: la disposizione prevede una anticipazione provvisoria a carico del Fondo di rotazione, nelle more dell’accertamento delle specifiche responsabilità a carico degli enti interessati, con precipuo scopo di evitare ulteriori sanzioni. La previsione del diritto di rivalsa, afferma ancora l’Avvocatura generale dello Stato, ha quale obiettivo «la salvaguardia dell’integrità della dotazione del Fondo di rotazione, attraverso una procedura di certo e tempestivo reintegro delle somme anticipate, onde evitare che il Fondo medesimo possa trovarsi nell’impossibilità di assolvere alla propria funzione istituzionale, che è quella di assicurare il cofinanziamento degli interventi UE».

2.3.– Con riferimento alle censure mosse dalla Regione ricorrente in riferimento all’art. 77 Cost., la difesa statale ritiene la non estraneità della disposizione censurata dall’oggetto del d.l. n. 1 del 2015, in quanto con tale provvedimento d’urgenza, destinato a incidere sulla particolare situazione dello stabilimento ILVA s.p.a. di Taranto, «si intendevano anche porre le premesse per corrispondere alle contestazioni formulate dalla Commissione europea nel contesto della procedura di infrazione n. 2177/2013», procedura riferita, appunto, allo stabilimento ILVA.

La difesa statale sottolinea, poi, che il diritto di rivalsa attiene alla materia dell’«ordinamento civile», di esclusiva competenza statale, e che l’esigenza, pur non vincolante, che sia garantito il principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni è comunque soddisfatta dal fatto che la norma censurata stabilisce che la rivalsa sia esercitata «sentite» le amministrazioni responsabili delle violazioni.

3.– Nelle more del giudizio, la disposizione censurata è stata più volte modificata.

L’art. 43, comma 9-bis, della l. n. 234 del 2012, come introdotto dall’art. 4-bis del d.l. n. 1 del 2015 in sede di conversione, è stato dapprima modificato con l’art. 9, comma 8, del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78 (Disposizioni urgenti in materia di enti territoriali. Disposizioni per garantire la continuità dei dispositivi di sicurezza e di controllo del territorio. Razionalizzazione delle spese del Servizio sanitario nazionale nonché norme in materia di rifiuti e di emissioni industriali), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 6 agosto 2015, n. 125, e successivamente sostituito con l’art. 1, comma 813, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato ( legge di stabilità 2016). La prima modifica ha sostituito la formula «sentite le stesse» [le Regioni] con la formula «d’intesa con»; la seconda ha integralmente sostituito la normativa precedentemente in vigore, disponendo che «Ai fini della tempestiva esecuzione delle sentenze di condanna rese dalla Corte di giustizia dell’Unione europea ai sensi dell’articolo 260, paragrafi 2 e 3, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, al pagamento degli oneri finanziari derivanti dalle predette sentenze si provvede a carico del fondo di cui all’articolo 41-bis, comma 1, della presente legge, nel limite massimo di 50 milioni di euro per l’anno 2016 e di 100 milioni di euro annui per il periodo 2017-2020. A fronte dei pagamenti effettuati, il Ministero dell’economia e delle finanze attiva il procedimento di rivalsa a carico delle amministrazioni responsabili delle violazioni che hanno determinato le sentenze di condanna, anche con compensazione con i trasferimenti da effettuare da parte dello Stato in favore delle amministrazioni stesse».

4.– In conseguenza del descritto ius superveniens sono state depositate memorie da parte sia della Regione Campania, sia del Presidente del Consiglio dei ministri.

4.1.– Con memoria depositata in data 10 maggio 2016, la Regione ricorrente insiste per la declaratoria di illegittimità costituzionale con riferimento alla formulazione introdotta con la l. n. 208 del 2015, a meno di non interpretare la novella unitamente al comma 7 dello stesso art. 43, il quale prevede la previa intesa con gli enti interessati per la determinazione delle modalità e dei termini di recupero delle somme anticipate dallo Stato quando l’ente interessato sia un ente territoriale. La Regione osserva, inoltre, che l’introduzione dell’inciso finale ( ai sensi del quale il diritto di rivalsa può essere esercitato «anche con compensazione con i trasferimenti da effettuare da parte dello Stato in favore delle amministrazioni stesse» – mantenga una ambiguità rispetto al coinvolgimento o alla estromissione degli enti territoriali dalla procedura.

4.2.– Con memoria depositata nella stessa data, l’Avvocatura generale dello Stato insiste per il rigetto del ricorso regionale. Con riferimento alla violazione dell’art. 77 Cost., la difesa statale chiede che sia dichiarata la cessazione della materia del contendere, potendosi ritenere venute meno le ragioni di contrasto «posto che la norma denunciata, nella formulazione introdotta dalla legge di conversione del decreto-legge n. 1 del 2015, non ha pacificamente avuto attuazione».

Con riferimento al mancato coinvolgimento delle Regioni nelle forme di una “intesa forte”, la difesa statale osserva, in primo luogo, che la Regione Campania si è limitata a incentrare le sue doglianze sull’inciso finale della disposizione introdotta con l’art. 1, comma 813, della l. n. 208 del 2015, fondando il giudizio di legittimità costituzionale su elementi innovativi «che avrebbero potuto formare oggetto di specifica censura da parte della Regione». In secondo luogo, ritiene che la norma denunciata, disciplinando il diritto di rivalsa nei rapporti intersoggettivi (fra Stato e Regioni, o altri enti diversi dallo Stato), «costituisce esercizio della competenza esclusiva statale nella materia dell’ordinamento civile». Inoltre, la disposizione non priverebbe in alcun modo l’ente territoriale del diritto di contestare, dinanzi al giudice competente, l’esistenza e la misura della propria responsabilità per la violazione degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea.

5.– Nell’udienza del 31 maggio 2016, l’Avvocatura generale dello Stato, d’accordo con la Regione ricorrente, afferma la sussistenza delle condizioni perché sia dichiarata la cessazione della materia del contendere, in virtù della modifica apportata alla disposizione censurata dall’art. 1, comma 813, della l. n. 208 del 2015. Ritiene, infatti, – come risulta dalla documentazione depositata in udienza – che il censurato comma 9-bis, nella formulazione novellata, debba essere interpretato congiuntamente al comma 7 del medesimo art. 43, il quale prevede che, qualora l’interessato sia un ente territoriale, la determinazione del credito dello Stato e le modalità di recupero avvengono previa intesa con gli enti obbligati. Inoltre, la prassi consolidatasi nel senso di invitare l’ente territoriale interessato a comunicare le modalità attraverso cui provvedere al reintegro testimonierebbe la non applicazione medio tempore della norma impugnata.

Considerato in diritto

1.– Con ricorso depositato nella cancelleria di questa Corte in data 11 maggio 2015 e iscritto al n. 51 del registro ricorsi 2015, la Regione Campania ha promosso questione di legittimità costituzionale dell’art. 4-bis del decreto-legge 5 gennaio 2015, n. 1 (Disposizioni urgenti per l’esercizio di imprese di interesse strategico nazionale in crisi e per lo sviluppo della città e dell’area di Taranto), inserito, in sede di conversione, dall’art. 1, comma 1, della legge 4 marzo 2015, n. 20. La disposizione censurata interviene sull’art. 43 della legge 24 dicembre 2012 n. 234 (Norme generali sulla partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea), il quale disciplina il diritto di rivalsa dello Stato nei confronti di Regioni o di altri enti pubblici responsabili di violazioni del diritto dell’Unione europea, introducendo il comma 9-bis, ai sensi del quale, al fine di consentire la tempestiva esecuzione delle sentenze di condanna emesse dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, «il fondo di rotazione per l’attuazione delle politiche comunitarie di cui all’articolo 5 della legge 16 aprile 1987, n. 183, è autorizzato ad anticipare, nei limiti delle proprie disponibilità, gli oneri finanziari derivanti dalle predette sentenze, entro i termini di scadenza fissati dalle Istituzioni europee. Il fondo di rotazione provvede al reintegro delle somme anticipate mediante rivalsa a carico delle amministrazioni responsabili delle violazioni che hanno determinato le sentenze di condanna, sentite le stesse […]».

Le censure insistono, anzitutto, sull’inciso «sentite le stesse», che prefigurerebbe un coinvolgimento degli enti regionali nelle forme dell’intesa “in senso debole” anziché “in senso forte”, in violazione del principio di leale collaborazione, di buon andamento della pubblica amministrazione e dell’autonomia finanziaria regionale, complessivamente garantiti dagli artt. 97, 114, secondo comma, 117, terzo comma, 118, primo e secondo comma, 119, 120, 121 e 123 della Costituzione.

Inoltre, sarebbe violato l’art. 77 Cost., essendo la modifica stata introdotta in sede di conversione, con un emendamento «del tutto disomogeneo con il contenuto e le finalità» del decreto-legge convertito.

2.– Si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri per richiedere che la questione sia dichiarata infondata, affermando, in primo luogo, che l’intervento normativo inerisce alla materia del«coordinamento della finanza pubblica», la definizione dei cui principi spetta alla competenza dello Stato; in secondo luogo, il Governo osserva che, trattandosi di una disciplina che regola un particolare diritto di rivalsa, la disposizione impugnata attiene, altresì, alla materia di «ordinamento civile», di competenza legislativa esclusiva dello Stato. Con riferimento alla lamentata lesione dell’art. 77 Cost., poi, l’Avvocatura contesta l’estraneità della disposizione censurata all’oggetto e alle finalità del d.l. n. 1 del 2015, in quanto con tale provvedimento d’urgenza, destinato a incidere sulla particolare situazione dello stabilimento ILVA s.p.a. di Taranto, «si intendevano anche porre le premesse per corrispondere alle contestazioni formulate dalla Commissione europea nel contesto della procedura di infrazione n. 2177/2013», procedura riferita, appunto, allo stabilimento ILVA.

3.– La questione promossa in riferimento all’art. 77 Cost. è inammissibile.

Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, «le Regioni possono evocare parametri di legittimità diversi da quelli che sovrintendono al riparto di attribuzioni solo quando la violazione denunciata sia potenzialmente idonea a determinare una lesione delle attribuzioni costituzionali delle Regioni (sentenze n. 8 del 2013 e n. 199 del 2012) e queste abbiano sufficientemente motivato in ordine ai profili di una possibile ridondanza della predetta violazione sul riparto di competenze, assolvendo all’onere di operare la necessaria indicazione della specifica competenza regionale che ne risulterebbe offesa e delle ragioni di tale lesione» (sentenza n. 89 del 2015; nello stesso, sentenze n. 29 del 2016, n. 251 e n. 218 del 2015).

Tali condizioni, che legittimerebbero una valutazione nel merito della questione che lamenta la disomogeneità della disposizione censurata rispetto al contenuto e alle finalità del decreto-legge in cui è stata inserita in sede di conversione, non sussistono nel caso di specie, dato che la regione non adduce sufficienti argomentazioni in ordine alle ripercussioni che la asserita violazione dell’art. 77 Cost. potrebbe determinare sull’esercizio delle competenze regionali.

In proposito, infatti, la Regione Campania si limita ad affermare che «l’approvazione di una disposizione attraverso la corsia accelerata della legge di conversione pregiudica la possibilità delle regioni di rappresentare le proprie esigenze nel corso del procedimento legislativo».

Del tutto silente è il ricorso quanto alla individuazione della specifica competenza regionale che si assume lesa e quanto alle ragioni della lesione. Tali carenze comportano l’inammissibilità della questione.

4.– Con riguardo alle questioni promosse per violazione degli artt. 97, 114, secondo comma, 117, terzo comma, 118, primo e secondo comma, 119, 120, 121 e 123 Cost. deve essere dichiarata la cessazione della materia del contendere, come del resto richiesto anche dalle parti nel corso della udienza pubblica del 31 maggio 2016.

4.1.– Nelle more del giudizio, il censurato art. 43, comma 9-bis, della l. n. 234 del 2012, come risultante dall’impugnato art. 4-bis del d.l. n. 1 del 2015, è stato oggetto di modifica.

L’art. 9, comma 8, del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78 (Disposizioni urgenti in materia di enti territoriali. Disposizioni per garantire la continuità dei dispositivi di sicurezza e di controllo del territorio. Razionalizzazione delle spese del Servizio sanitario nazionale nonché norme in materia di rifiuti e di emissioni industriali), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 6 agosto 2015, n. 125, ha sostituito la formula censurata «sentite» con la formula «d’intesa con» le Regioni.

Tale intervento normativo integra le due condizioni che la giurisprudenza costituzionale costantemente richiede perché sia dichiarata la cessazione della materia del contendere: che la nuova disciplina possa ritenersi satisfattiva delle pretese del ricorrente e che le norme previgenti non abbiano ricevuto medio tempore applicazione (ex plurimis, sentenze n. 149 e n. 32 del 2015, n. 165 del 2014).

Quanto alla prima condizione, basti osservare che la previsione dell’«intesa» con le amministrazioni responsabili delle violazioni, in luogo della mera consultazione delle stesse, risponde evidentemente alle richieste avanzate dalla difesa regionale. La modifica deve, dunque, ritenersi senz’altro satisfattiva delle pretese della ricorrente.

Quanto alla seconda condizione, circa la mancata applicazione medio tempore di tale disposizione, è sufficiente notare che la permanenza in vigore della disposizione contestata è assai limitata nel tempo. La modifica satisfattiva è intervenuta con il decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78, mentre la disposizione, nella formulazione censurata – introdotta, in sede di conversione, con la legge 4 marzo 2015, n. 20 – è entrata in vigore il 6 marzo 2015. Il lasso di tempo intercorrente tra le due discipline è, dunque, decisamente ridotto.

4.2.– L’art. 4, comma 9-bis, come modificato dalla l. n. 125 del 2015, è stato poi ulteriormente emendato. L’art. 1, comma 813, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2016) ha integralmente sostituito la precedente normativa, disponendo che «Ai fini della tempestiva esecuzione delle sentenze di condanna rese dalla Corte di giustizia dell’Unione europea ai sensi dell’articolo 260, paragrafi 2 e 3, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, al pagamento degli oneri finanziari derivanti dalle predette sentenze si provvede a carico del fondo di cui all’articolo 41-bis, comma 1, della presente legge, nel limite massimo di 50 milioni di euro per l’anno 2016 e di 100 milioni di euro annui per il periodo 2017-2020. A fronte dei pagamenti effettuati, il Ministero dell’economia e delle finanze attiva il procedimento di rivalsa a carico delle amministrazioni responsabili delle violazioni che hanno determinato le sentenze di condanna, anche con compensazione con i trasferimenti da effettuare da parte dello Stato in favore delle amministrazioni stesse».

La menzionata modifica avvalora ulteriormente la cessazione della materia del contendere, poiché – come riconosciuto dalla difesa regionale nella memoria depositata in data 10 maggio 2016 e dalla difesa statale nella udienza pubblica del 31 maggio 2016 – tale intervento normativo può essere letto unitamente al comma 7 dello stesso art. 43, il quale prevede che i decreti ministeriali emanati al fine di stabilire la misura degli importi dovuti allo Stato a titolo di rivalsa, «qualora l’obbligato sia un ente territoriale, sono emanati previa intesa sulle modalità di recupero con gli enti obbligati».

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara cessata la materia del contendere della questione di legittimità costituzionale dell’art. 4-bis del decreto-legge 5 gennaio 2015, n. 1 (Disposizioni urgenti per l’esercizio di imprese di interesse strategico nazionale in crisi e per lo sviluppo della città e dell’area di Taranto), inserito in sede di conversione dalla legge 4 marzo 2015, n. 20, promossa, in riferimento agli artt. 97, 114, secondo comma, 117, terzo comma, 118, primo e secondo comma, 119, 120, 121 e 123 della Costituzione, dalla Regione Campania con il ricorso indicato in epigrafe;

2) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4-bis del d.l. n. 1 del 2015, introdotto in sede di conversione dalla l. n. 20 del 2015, promossa, in riferimento all’art. 77 della Costituzione, dalla Regione Campania con ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 31 maggio 2016.

F.to:

Paolo GROSSI, Presidente

Marta CARTABIA, Redattore