Sentenza n. 127 del 2016

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SENTENZA N. 127

ANNO 2016

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Paolo                             GROSSI                                    Presidente

-           Alessandro                    CRISCUOLO                              Giudice

-           Giorgio                          LATTANZI                                       ”

-           Aldo                              CAROSI                                            ”

-           Marta                            CARTABIA                                      ”

-           Mario Rosario               MORELLI                                         ”

-           Giancarlo                      CORAGGIO                                     ”

-           Giuliano                        AMATO                                            ”

-           Silvana                          SCIARRA                                         ”

-           Daria                             de PRETIS                                         ”

-           Nicolò                           ZANON                                             ”

-           Franco                           MODUGNO                                      ”

-           Augusto Antonio          BARBERA                                        ”

-           Giulio                            PROSPERETTI                                 ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 400, 401, 403, 405, 415 e 416, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2015), promosso dalla Regione siciliana con ricorso notificato il 27 febbraio 2015, depositato in cancelleria il 6 marzo 2015 ed iscritto al n. 41 del registro ricorsi 2015.

Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 3 maggio 2016 il Giudice relatore Marta Cartabia;

uditi l’avvocato Beatrice Fiandaca per la Regione siciliana e l’avvocato dello Stato Stefano Varone per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso notificato il 27 febbraio 2015 e depositato il successivo 6 marzo, la Regione siciliana ha promosso, fra le altre, questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 400, 401, 403, 405, 415 e 416 della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2015), in riferimento agli artt. 81, 97, primo comma, e 119 della Costituzione, anche in riferimento all’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), nonché agli artt. 36 e 43 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), convertito dalla legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, e all’art. 2, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 luglio 1965, n. 1074 (Norme di attuazione dello Statuto della Regione siciliana in materia finanziaria).

In particolare, l’art. 1, comma 400, impone alle Regioni a statuto speciale (fra le quali la Regione siciliana) un ulteriore concorso agli oneri della finanza pubblica generale, per gli anni 2015, 2016, 2017 e 2018, sia in termini di indebitamento netto, sia in termini di saldo netto da finanziare, determinandolo in una quota annuale che per la ricorrente è pari a 273 milioni di euro. Tale onere è stato quindi inserito, dal successivo comma 401, nel quadro degli obblighi di finanza pubblica di cui all’art. 1, comma 454, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), cioè nell’obiettivo «in termini di competenza eurocompatibile», determinato riducendo il complesso delle spese finali in termini di competenza eurocompatibile risultante dal consuntivo 2011, per gli anni dal 2013 al 2018.

Viene, poi, stabilito al comma 403 che l’onere in parola debba essere soddisfatto nelle forme procedimentali di cui all’art. 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’art. 119 della Costituzione): tuttavia, nelle more dell’approvazione delle misure attuative di tale procedura, si prevede che si proceda con accantonamenti sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali.

Con il successivo comma 405, si statuisce l’obbligo per il Ministero dell’economia e delle finanze di comunicare all’ente regionale, entro il 30 giugno di ogni anno, l’obiettivo rideterminato del patto di stabilità interno per la Regione siciliana, modificando con questa integrazione l’art. 42, comma 5, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 (Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 11 novembre 2014, n. 164, attuativo di tale patto.

I commi 415 e 416 del citato art. 1 prorogano, infine, di un anno (cioè sino al 2018), le forme di concorso regionale alla finanza pubblica già stabilite con le leggi di stabilità 2013 e 2014, rispettivamente dall’art. 1, commi 454 e 455, della legge n. 228 del 2012 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), e dall’art. 1, comma 526, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2014).

La Regione ricorrente ritiene che i contributi finanziari in tal modo richiesti equivalgano ad una riserva statale sul gettito dei tributi erariali di spettanza regionale, effettuata in assenza dei presupposti stabiliti dall’art. 2, primo comma, del d.P.R. n. 1074 del 1965, con conseguente violazione degli artt. 36 e 43 dello statuto della Regione siciliana.

Sotto altro profilo si lamenta che, attraverso la sottrazione delle cospicue entrate di cui sopra, si impedirebbe alla Regione di garantire l’equilibrio dei propri bilanci e i livelli essenziali di assistenza, fino a mettere a repentaglio il corretto svolgimento delle funzioni di competenza regionale, così da determinare, secondo la ricorrente, un vulnus anche sotto questo ulteriore profilo all’art. 43 dello statuto, nonché agli artt. 81, ultimo comma, 97, primo comma, e 119, primo e sesto comma, Cost.

2.– Con atto depositato il 3 aprile 2015, si è costituito nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che il ricorso venga rigettato.

Più precisamente, in merito alla lamentata violazione degli artt. 36 e 43 dello statuto e dell’art. 2, primo comma, del d.P.R. n. 1074 del 1965, la difesa statale ha rappresentato come il legislatore sia legittimato a imporre agli enti regionali, ivi comprese le Regioni a statuto speciale, di partecipare agli obiettivi di risanamento e di assestamento della finanza pubblica generale, al fine anche di rispettare i vincoli di bilancio imposti dall’Unione europea, come sarebbe riconosciuto dalla giurisprudenza costituzionale (in proposito vengono citate le sentenze n. 193 e n. 148 del 2012). Viene inoltre rimarcato che, con le disposizioni di cui sopra, lo Stato non acquista il diritto a riscuotere il gettito dei tributi erariali spettanti alla Regione siciliana, ma garantisce un contributo, alla medesima legittimamente imposto, mediante accantonamento sulla quota di compartecipazione alle predette entrate e attraverso l’introduzione di un regime temporaneo che assicura in via cautelativa la partecipazione delle Regioni, anche a statuto speciale, agli obiettivi finanziari generali nelle more dell’attuazione della procedura ex art. 27 della legge n. 42 del 2009.

Si ricorda, inoltre, come le condizioni di legittimità di un simile intervento statale siano state già precisate dalla giurisprudenza costituzionale (si citano le sentenze n. 19 del 2015, n. 99 del 2014, n. 193 e n. 118 del 2012), nel senso che esso deve avere carattere transitorio, come appunto avverrebbe nella specie, e deve rispettare il «principio consensualistico»: quest’ultimo principio sarebbe salvaguardato (si cita la sentenza n. 19 del 2015 di questa Corte) anche da margini di negoziabilità successiva alla determinazione unilaterale del contributo, in modo da consentire alle Regioni, in tale fase successiva, di interloquire sull’esatta determinazione del suo ammontare.

Il predetto margine di negoziabilità sarebbe assicurato, in particolare, dalle previsioni dell’art. 1, comma 417, della legge n. 190 del 2014, dove si stabilisce che gli importi dei contributi possono essere modificati mediante accordo che deve essere sancito, entro il 31 gennaio di ciascun anno, in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, da recepire con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze.

Quanto poi alle censure relative all’asserita violazione dell’autonomia finanziaria regionale, che sarebbe stata messa in condizione di non poter finanziare le ordinarie attività di sua competenza, il resistente ricorda la giurisprudenza costituzionale (si citano le sentenze n. 36 del 2014, n. 121 del 2013 e n. 246 del 2012), secondo cui, qualora le Regioni deducano l’illegittimità di norme che prevedono la riduzione di trasferimenti erariali, dovrebbero dimostrare che tale riduzione determini l’insufficienza dei mezzi finanziari per l’adempimento dei propri compiti.

Tale prova, secondo la difesa dello Stato, non sarebbe stata fornita dalla ricorrente, la quale ha solo fatto riferimento a una relazione della Corte dei conti – che si limita a rappresentare lo sviluppo dell’indebitamento regionale – e all’accordo bilaterale stipulato dallo Stato e dalla Regione siciliana il 9 giugno 2014, in cui è lo stesso ente territoriale regionale a concedere la possibilità di introdurre nuove forme di contribuzione a suo carico, circostanza difficilmente compatibile con una situazione di dissesto tale da impedire lo svolgimento delle normali attività.

Considerato in diritto

1.– Con ricorso notificato il 27 febbraio 2015 e depositato il successivo 6 marzo, la Regione siciliana ha promosso, fra le altre, questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 400, 401, 403, 405, 415 e 416 della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2015).

La ricorrente ritiene che le disposizioni di cui sopra violino gli artt. 81, 97, primo comma, e 119 della Costituzione, anche in riferimento all’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), nonché gli artt. 36 e 43 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), convertito dalla legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, e all’art. 2, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 luglio 1965, n. 1074 (Norme di attuazione dello Statuto della Regione siciliana in materia finanziaria).

Più precisamente, oggetto di censura nel presente giudizio sono alcuni commi dell’art. 1 della legge n. 190 del 2014 che impongono alla Regione siciliana un ulteriore concorso agli oneri della finanza pubblica generale, per gli anni 2015, 2016, 2017 e 2018, pari a una quota annuale pari a 273 milioni di euro (comma 400), inserendolo nell’obiettivo «in termini di competenza eurocompatibile» (comma 401): si stabilisce, quindi, che, nelle more di attuazione della procedura di cui all’art. 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’art. 119 della Costituzione), si proceda con accantonamenti sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali (comma 403) e si obbliga il Ministero dell’economia e delle finanze a comunicare all’ente regionale, entro il 30 giugno di ogni anno, l’obiettivo rideterminato del patto di stabilità interno per la Regione siciliana (comma 405).

La ricorrente ritiene che la disciplina di cui sopra violi gli artt. 36 e 43 dello statuto della Regione siciliana e l’art. 2, primo comma, del d.P.R. n. 1074 del 1965, contenente le norme di attuazione finanziaria del medesimo statuto, in quanto riserva allo Stato una quota del gettito dei tributi erariali di spettanza regionale, effettuata in assenza dei presupposti stabiliti dalle richiamate disposizioni dello statuto della Regione siciliana e delle relative norme di attuazione. Inoltre, sarebbero violati gli artt. 43 dello statuto della Regione siciliana e gli artt. 81, 97, primo comma, e 119 Cost., anche in riferimento all’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, in quanto, sottraendo alla Regione una cospicua entità di tributi erariali di sua spettanza, la priva della necessaria autonomia finanziaria per svolgere le ordinarie attività di sua competenza.

Analoghe violazioni sarebbero poi determinate, ad avviso della ricorrente, dai commi 415 e 416 dello stesso art. 1 che, prorogando di un anno (cioè sino al 2018) le forme di concorso regionale alla finanza pubblica già previste nelle leggi di stabilità 2013 e 2014, realizzerebbero un’altrettanto illegittima riserva allo Stato di entrate erariali di competenza della Regione, privandola delle risorse finanziarie necessarie allo svolgimento delle ordinarie attività regionali quali statutariamente stabilite.

2.– In via preliminare deve osservarsi, quanto all’impugnazione dell’art. 1, comma 415, che i motivi di ricorso su questo punto risultano del tutto oscuri, così da determinarne l’inammissibilità.

L’impugnazione, infatti, si basa sul presupposto, privo di qualsiasi sostegno argomentativo, che sia prorogato un trasferimento di risorse dalla Regione allo Stato, mentre l’evidenza del dato letterale è nel senso che si tratti della proroga di una riduzione della spesa regionale già contenuta nell’art. 1, comma 454, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che viene in tal modo modificato.

Quest’ultima disposizione stabilisce che le Regioni a statuto speciale, escluse la Regione autonoma Trentino-Alto Adige e le Province autonome di Trento e di Bolzano, concordano, con il Ministro dell’economia e delle finanze, l’obiettivo in termini di competenza eurocompatibile determinato riducendo il complesso delle spese finali.

A fronte di questa evidenza incombe sulla ricorrente un onere motivazionale, volto a chiarire le ragioni per le quali la Regione siciliana ritiene che, invece di riduzione della spesa, si tratti di una riserva di risorse a favore dello Stato: tale onere non è stato in alcun modo assolto, così da comportare l’inammissibilità della questione sollevata su questo punto, analogamente a quanto già ritenuto da questa Corte con le sentenze n. 40 del 2016 e n. 238 del 2015, che hanno dichiarato inammissibili, per le stesse ragioni, precedenti similari impugnazioni concernenti norme modificative dello stesso art. 1, comma 454, della legge n. 228 del 2012.

Al contrario, deve ritenersi sufficientemente motivata e, quindi, deve essere esaminata nel merito la questione riguardante l’art. 1, comma 416, modificativa dell’art. 1, comma 526, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2014), promossa sulla scorta delle medesime considerazioni già sviluppate dalla Corte con la sentenza n. 40 del 2016 in ordine all’impugnazione di analoga e precedente norma modificativa della stessa disposizione. In questo caso, infatti, la norma modificativa, contenente la proroga, riguarda una disposizione sull’accantonamento di tributi erariali riscossi dalla Regione siciliana.

Al pari di quanto esposto in relazione all’art. 1, commi 400, 401, 403 e 405 – che ugualmente contengono disposizioni relative all’accantonamento di risorse – la Regione siciliana ha argomentato con sufficiente chiarezza che simili accantonamenti, a suo avviso, dissimulano una illegittima riserva allo Stato di quelle medesime risorse, così da consentire la comprensione delle ragioni per le quali la ricorrente ritiene sussistenti i vizi lamentati e da permetterne l’esame.

3.– Nel merito, riservata a separate pronunce la decisione sulle ulteriori disposizioni impugnate dalla ricorrente con il medesimo ricorso, le questioni di legittimità costituzionale riguardanti l’art. 1, commi 400, 401, 403, 405 e 416 della l. n. 190 del 2014 non sono fondate.

3.1.– La ricorrente lamenta due diversi vizi. In primo luogo si censura l’accantonamento delle quote di compartecipazione ai tributi erariali come metodo per assicurare la compartecipazione della Regione al risanamento della finanza pubblica, in quanto rappresenterebbe una forma di riserva allo Stato di tributi spettanti alla Regione, effettuata in assenza delle condizioni, in primis quella della novità del tributo, stabilite ex artt. 36 e 43 dello statuto della Regione siciliana ed ex art. 2, primo comma, del d.P.R. n. 1074 del 1965. In secondo luogo si denuncia che l’onere finanziario, in tal modo imposto alla Regione, attenterebbe alla sua autonomia finanziaria, finendo per impedire l’esercizio delle funzioni di competenza della Regione medesima, in violazione dell’art. 43 dello statuto della Regione siciliana e degli artt. 81, 97, primo comma, e 119 Cost.

Su entrambi i punti la Corte costituzionale ha già avuto modo di affermare principi applicabili anche al caso di specie, che portano a ritenere non fondate le questioni promosse.

3.2.– Quanto alla prima censura, la Corte ha già precisato, nella sentenza n. 77 del 2015, la distinzione tra gli istituti della riserva e dell’accantonamento.

Attraverso la prima, lo Stato, ove sussistano le condizioni previste dallo statuto e dalle norme di attuazione, sottrae definitivamente all’ente territoriale una quota di compartecipazione ai tributi erariali che ad esso sarebbe spettata, e se ne appropria a tutti gli effetti allo scopo di soddisfare specifiche finalità (ex plurimis, sentenze n. 239 del 2015, n. 145 del 2014, n. 97 del 2013 e n. 198 del 1999).

Per mezzo dell’accantonamento, invece, le poste attive che spettano alla Regione in forza degli statuti e della normativa di attuazione permangono nella titolarità della Regione (sentenze n. 239 del 2015 e n. 23 del 2014), ma sono temporaneamente sottratte alla sua disponibilità, per indurre l’autonomia speciale a contenere di un importo corrispondente il livello delle spese.

Una volta verificato che il concorso della Regione al risanamento della finanza pubblica è legittimamente imposto, l’accantonamento transitorio delle quote di compartecipazione, in attesa che sopraggiungano le norme di attuazione di cui all’art. 27 della legge n. 42 del 2009, costituisce il mezzo procedurale con il quale l’autonomia speciale, senza essere privata definitivamente di quanto le compete, partecipa a quel risanamento, restando congelate a tal fine le risorse che lo Stato trattiene.

Le quote accantonate rimangono, in tal modo, nella titolarità della Regione e sono strumentali al tempestivo ed effettivo assolvimento di un obbligo legittimamente imposto dallo Stato alla Regione. In particolare, questa Corte ha già avuto modo di precisare (sentenza n. 239 del 2015) che, nell’attuale contesto, ove continua ad essere particolarmente forte l’esigenza di coinvolgere le Regioni nel contenimento delle spese pubbliche, la tecnica dell’accantonamento si risolve nell’omessa erogazione, in via transitoria, di somme che la Regione a statuto speciale non avrebbe comunque potuto impiegare.

Tuttavia, affinché l’accantonamento non si tramuti in una definitiva sottrazione e appropriazione di risorse regionali da parte dello Stato, occorre che esso non si protragga senza limite; diversamente, al di là della qualificazione formale, l’accantonamento si tramuterebbe di fatto in riserva, e perciò in illegittima appropriazione, da parte dello Stato, di quote di entrate spettanti alla Regione (sentenze n. 239 e n. 77 del 2015).

3.3.– Nella specie sono rispettati i principi di cui alla giurisprudenza ora ricordata.

Il concorso al risanamento della finanza pubblica, infatti, è legittimamente imposto, in quanto inquadrato nel patto di stabilità interno per il rispetto degli obblighi in termini di competenze eurocompatibili, come risulta dall’impugnato art. 1, comma 401, che richiama l’art. 1, comma 454, della legge n. 228 del 2012.

Inoltre, l’accantonamento rispetta anche il requisito della transitorietà, in quanto temporalmente limitato al 2018. Tale termine riflette l’orizzonte temporale già previsto dal legislatore (art. 1, comma 454, della legge n. 228 del 2012) per il raggiungimento di obiettivi in termini di competenza eurocompatibile, ai quali le disposizioni impugnate si ricollegano (art. 1, comma 401, della legge n. 190 del 2014).

3.4.– Quanto al pregiudizio recato, in tesi, all’esercizio delle funzioni regionali per sottrazione di risorse finanziarie, va anzitutto ricordato che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (sentenze n. 239, n. 188 e n. 89 del 2015, n. 26 e n. 23 del 2014, n. 121 e n. 97 del 2013, n. 246 e n. 241 del 2012, n. 298 del 2009, n. 145 del 2008, n. 256 del 2007 e n. 431 del 2004), sono legittime le riduzioni delle risorse regionali, a condizione che non comportino uno squilibrio tale da compromettere le complessive esigenze di spesa e, in definitiva, da pregiudicare l’adempimento dei compiti affidati alla Regione.

La giurisprudenza costituzionale, tuttavia, è altrettanto ferma nel precisare che grava sul deducente l’onere probatorio circa l’irreparabile pregiudizio lamentato, da soddisfarsi dimostrando, anche attraverso dati quantitativi, l’entità dell’incidenza negativa delle riduzioni di provvista finanziaria sull’esercizio delle proprie funzioni (ex plurimis, sentenze n. 239 del 2015, n. 26 e n. 23 del 2014).

3.5.– Nel caso di specie, l’asserito squilibrio non risulta dimostrato.

La Regione siciliana, infatti, si è limitata ad indicare l’importo complessivo del contributo impostole, senza peraltro stabilire quantitativamente quali sarebbero gli importi necessari per lo svolgimento delle sue funzioni e in che termini le medesime sarebbero compromesse dall’imposizione del contributo in parola. Né tale carenza è colmata dal riferimento alla relazione delle sezioni riunite della Corte dei conti in sede di parifica del rendiconto, in cui si rappresenta solo lo sviluppo dell’indebitamento regionale; peraltro, la relazione si riferisce a esercizi finanziari diversi da quello in esame nella presente sede.

L’ulteriore riferimento in atti è all’accordo bilaterale stipulato dallo Stato e dalla Regione siciliana il 9 giugno 2014, in cui è lo stesso ente territoriale regionale ad ammettere la possibilità di introdurre nuove forme di contribuzione a suo carico, circostanza che in effetti, come sostenuto dalla difesa dello Stato, è difficilmente compatibile con una situazione di dissesto tale da impedire lo svolgimento delle normali attività della Regione.

3.6.– Conclusivamente, in base a tutte le considerazioni di cui sopra, devono quindi ritenersi infondate tutte le censure sollevate in relazione all’art. 1, commi 400, 401, 403, 405 e 416 della legge n. 190 del 2014.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riservata a separate pronunce la decisione sulle altre questioni promosse dalla ricorrente con il medesimo ricorso;

1) dichiara l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 415, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2015), promossa, in riferimento agli artt. 81, 97, primo comma, e 119 della Costituzione, anche in riferimento all’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), nonché agli artt. 36 e 43 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), convertito dalla legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, e all’art. 2, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 luglio 1965, n. 1074 (Norme di attuazione dello Statuto della Regione siciliana in materia finanziaria), dalla Regione siciliana con il ricorso indicato in epigrafe;

2) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 400, 401, 403, 405 e 416 della legge n. 190 del 2014, promosse, in riferimento agli artt. 81, 97, primo comma, e 119 Cost., anche in riferimento all’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, nonché agli artt. 36 e 43 del r.d.lgs. n. 455 del 1946 e all’art. 2, primo comma, del d.P.R. n. 1074 del 1965, dalla Regione siciliana con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 maggio 2016.

F.to:

Paolo GROSSI, Presidente

Marta CARTABIA, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria l'1 giugno 2016.