Ordinanza n. 116 del 2016

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ORDINANZA N. 116

ANNO 2016

 

Commento alla decisione di

 

Stefano Finocchiaro

Sulla ragionevolezza delle soglie di punibilità previste per i reati tributari: la Corte costituzionale rimanda la decisione sulla legittimità dell'art. 10-quater

 

per g.c. di Diritto Penale Contemporaneo

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Paolo                           GROSSI                                           Presidente

-           Giuseppe                     FRIGO                                               Giudice

-           Alessandro                  CRISCUOLO                                          ”

-           Giorgio                        LATTANZI                                              ”

-           Aldo                            CAROSI                                                   ”

-           Marta                           CARTABIA                                             ”

-           Mario Rosario              MORELLI                                                ”

-           Giancarlo                     CORAGGIO                                            ”

-           Giuliano                       AMATO                                                   ”

-           Silvana                         SCIARRA                                                ”

-           Daria                            de PRETIS                                               ”

-           Nicolò                          ZANON                                                   ”

-           Franco                         MODUGNO                                            ”

-           Augusto Antonio       BARBERA                                              ”

-           Giulio                          PROSPERETTI                                        ”

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 10-quater del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 (Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell’articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205), promossi dal Tribunale ordinario di Lecce con ordinanza del 24 aprile 2015 e dal Tribunale ordinario di Palermo con ordinanza del 21 settembre 2015, iscritte rispettivamente ai nn. 167 e 332 del registro ordinanze 2015 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36, prima serie speciale, dell’anno 2015 e n. 1, prima serie speciale, dell’anno 2016.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 20 aprile 2016 il Giudice relatore Giuseppe Frigo.

Ritenuto che, con ordinanza del 24 aprile 2015 (r.o. n. 167 del 2015), il Tribunale ordinario di Lecce, in composizione monocratica, ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 10-quater del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 (Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell’articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205), nella parte in cui, con riferimento ai fatti commessi sino al 17 settembre 2011, punisce l’omesso versamento delle somme dovute, utilizzando in compensazione, ai sensi dell’art. 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241 (Norme di semplificazione degli adempimenti dei contribuenti in sede di dichiarazione dei redditi e dell’imposta sul valore aggiunto, nonché di modernizzazione del sistema di gestione delle dichiarazioni), crediti non spettanti o inesistenti, per un ammontare superiore ad euro 50.000 per ciascun periodo d’imposta, anziché ad euro 103.291,38;

che il giudice a quo riferisce di essere chiamato a giudicare, con rito abbreviato, una persona imputata del reato previsto dalla norma censurata, per aver omesso di versare – utilizzando in compensazione, ai sensi del citato art. 17 del d.lgs. n. 241 del 1997, «crediti non spettanti e/o inesistenti» – la somma complessiva di euro 60.179,34, in relazione all’anno d’imposta 2008 (fatto commesso il 30 settembre 2009), e la somma complessiva di euro 66.288,61, in relazione all’anno d’imposta 2009 (fatto commesso il 30 settembre 2010);

che la questione sarebbe, dunque, rilevante, in quanto il suo accoglimento comporterebbe il proscioglimento dell’imputato, altrimenti assoggettabile a pena, risultando superata la soglia di rilevanza penale pari a 50.000 euro per ciascun periodo di imposta, prevista dall’art. 10-bis del d.lgs. n. 74 del 2000 e richiamata dal successivo art. 10-quater;

che quanto, poi, alla non manifesta infondatezza, il rimettente osserva come, con la sentenza n. 80 del 2014, la Corte costituzionale abbia dichiarato costituzionalmente illegittimo, in riferimento all’art. 3 Cost., l’art. 10-ter del d.lgs. n. 74 del 2000 nella parte in cui, con riferimento ai fatti commessi sino al 17 settembre 2011, puniva l’omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto (IVA), dovuta in base alla relativa dichiarazione annuale, per importi non superiori, per ciascun periodo di imposta, ad euro 103.291,38;

che la Corte ha ritenuto, in specie, lesiva del principio di eguaglianza la previsione, per il delitto di omesso versamento dell’IVA, di una soglia di punibilità (euro 50.000) inferiore a quelle stabilite per la dichiarazione infedele e l’omessa dichiarazione dagli artt. 4 e 5 del medesimo decreto legislativo (rispettivamente, euro 103.291,38 ed euro 77.468,53), prima della loro modifica in diminuzione ad opera dal decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148; modifica operante, per espressa previsione normativa, in rapporto ai soli fatti commessi dopo il 17 settembre 2011: in questo modo, infatti, veniva riservato un trattamento deteriore a comportamenti di evasione tributaria meno insidiosi e lesivi degli interessi del fisco, attenendo l’omesso versamento a somme di cui lo stesso contribuente si era riconosciuto debitore nella dichiarazione annuale dell’IVA;

che, ad avviso del giudice a quo, tali considerazioni sarebbero estensibili anche al delitto di indebita compensazione, previsto dall’art. 10-quater del d.lgs. n. 74 del 2000, affine a quello di omesso versamento dell’IVA sul piano tanto formale che sostanziale;

che con riguardo, infatti, alla «struttura formale della fattispecie», l’art. 10-quater, al pari dell’art. 10-ter, non indica in modo diretto la misura della pena né la soglia di punibilità del reato, ma rinvia, per la loro determinazione, alla disposizione di cui all’art. 10-bis;

che sul piano sostanziale, d’altro canto, entrambe le figure criminose – congiuntamente introdotte dal decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale), convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248 – rispondono alla medesima ratio di rafforzamento della tutela penale della fase di riscossione dei tributi;

che, d’altra parte, se pure è vero che la condotta incriminata dall’art. 10-quater del d.lgs. n. 74 del 2000 postula la redazione di un modello F24 ideologicamente falso (in quanto rappresentativo di crediti non spettanti o inesistenti) e, dunque, un “tradimento” dell’affidamento riposto dallo Stato nella correttezza dell’«autoliquidazione» del tributo effettuata dal contribuente, la predetta condotta risulta trattata, tuttavia – quanto alla soglia di punibilità – in modo ingiustificatamente più rigoroso di quelle, di uguale gravità, integrative dei delitti di dichiarazione di infedele e di omessa dichiarazione;

che si riscontrerebbe, quindi, in conclusione, in rapporto ai fatti commessi sino al 17 settembre 2011, una violazione dell’art. 3 Cost., sia con riferimento alle soglie di punibilità previste dai citati artt. 4 e 5 per i delitti di infedele e di omessa dichiarazione, sia con riferimento a quella prevista dall’art. 10-ter per l’omesso versamento dell’IVA, a seguito della sentenza n. 80 del 2014;

che analoga questione di legittimità costituzionale è stata sollevata dal Tribunale ordinario di Palermo, in composizione monocratica, con ordinanza del 21 settembre 2015 (r.o. n. 332 del 2015);

che il rimettente premette di essere investito, a seguito di opposizione a decreto penale di condanna, del processo penale nei confronti di una persona imputata del reato di cui all’art. 10-quater del d.lgs. n. 74 del 2000, per aver omesso di versare somme dovute in relazione all’anno d’imposta 2008 per un importo di euro 57.414,29, portando in compensazione, ai sensi dell’art. 17 del d.lgs. n. 241 del 1997, crediti per IVA inesistenti relativi all’anno d’imposta precedente;

che anche secondo il Tribunale palermitano, le considerazioni svolte nella sentenza n. 80 del 2014 con riguardo all’omesso versamento dell’IVA sarebbero riferibili, in pari modo, al delitto di indebita compensazione: si tratterebbe, infatti, di figure criminose analoghe sia sul piano formale, stante il similare rinvio dell’art. 10-quater all’art. 10-bis per l’individuazione della misura della pena e della soglia di punibilità; sia sul piano sostanziale, essendo incriminato, in entrambi i casi, l’omesso versamento alle scadenze stabilite di somme di spettanza del fisco;

che è intervenuto in entrambi i giudizi di legittimità costituzionale il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate manifestamente infondate.

Considerato che i Tribunali ordinari di Lecce e di Palermo dubitano, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 10-quater del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 (Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell’articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205), nella parte in cui, con riferimento ai fatti commessi sino al 17 settembre 2011, punisce l’omesso versamento delle somme dovute, utilizzando in compensazione, ai sensi dell’art. 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241 (Norme di semplificazione degli adempimenti dei contribuenti in sede di dichiarazione dei redditi e dell’imposta sul valore aggiunto, nonché di modernizzazione del sistema di gestione delle dichiarazioni), crediti non spettanti o inesistenti, per un ammontare superiore ad euro 50.000 per ciascun periodo d’imposta, anziché ad euro 103.291,38;

che i rimettenti chiedono, in sostanza, a questa Corte di reiterare, con riguardo al delitto di indebita compensazione, la declaratoria di illegittimità costituzionale parziale pronunciata con la sentenza n. 80 del 2014 in rapporto al delitto di omesso versamento dell’IVA (art. 10-ter del d.lgs. n. 74 del 2000): ciò, al fine di rimuovere la disparità di trattamento riscontrabile sia rispetto ai delitti di infedele e omessa dichiarazione (artt. 4 e 5 del d.lgs. n. 74 del 2000), sia rispetto allo stesso delitto di omesso versamento dell’IVA, quale risultante a seguito della citata sentenza n. 80 del 2014;

che le ordinanze di rimessione sollevano la medesima questione, sicché i relativi giudizi vanno riuniti per essere definiti con unica decisione;

che successivamente alle ordinanze di rimessione è intervenuto il decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 158 (Revisione del sistema sanzionatorio, in attuazione dell’articolo 8, comma 1, della legge 11 marzo 2014, n. 23), che ha apportato un ampio complesso di modifiche al sistema sanzionatorio tributario, tanto penale che amministrativo;

che, nel quadro degli interventi di revisione del sistema sanzionatorio penale, l’art. 9 del citato decreto legislativo ha sostituito la norma censurata, scindendo la figura criminosa dell’indebita compensazione – in precedenza unitaria – in due ipotesi delittuose distinte: la prima, inerente all’utilizzazione in compensazione di «crediti non spettanti», tuttora punita con la pena della reclusione da sei mesi a due anni; la seconda, concernente l’utilizzazione di «crediti inesistenti», punita con pena sensibilmente più severa (reclusione da un anno e sei mesi a sei anni);

che – diversamente da quanto è avvenuto per altre fattispecie, e in particolare per quelle di omesso versamento di ritenute dovute o certificate e di omesso versamento dell’IVA (artt. 10-bis e 10-ter del d.lgs. n. 74 del 2000) – la novella legislativa non ha innalzato la soglia di punibilità del delitto in esame, la quale è rimasta fissata nella somma di euro 50.000 (intesa, peraltro, quale «importo annuo» dei crediti indebitamente utilizzati, e non più ragguagliata al «periodo d’imposta», come in precedenza);

che a prescindere, tuttavia, dai possibili riflessi indiretti dell’avvenuta scissione della figura criminosa sulla verifica del superamento della soglia di punibilità (in termini di impedimento della sommatoria, a tal fine, dell’importo dei «crediti non spettanti» a quello dei «crediti inesistenti», in precedenza certamente ammesso), il d.lgs. n. 158 del 2015 ha comunque inciso in modo significativo sul quadro normativo di riferimento;

che, a seguito della novella, è venuta, anzitutto, chiaramente meno la “gemellarità strutturale” tra le figure dell’omesso versamento dell’IVA e dell’indebita compensazione, sulla quale i giudici rimettenti fondano in modo precipuo le loro censure;

che, diversamente da quanto avveniva in precedenza, infatti, né l’art. 10-ter né l’art. 10-quater del d.lgs. n. 74 del 2000 fanno più rinvio al precedente art. 10-bis per la determinazione della pena e della soglia di punibilità, ma le individuano in modo autonomo e disallineato;

che la soglia di punibilità dell’indebita dichiarazione risulta ora nettamente più bassa di quella dell’omesso versamento dell’IVA (innalzata dall’art. 8 del d.lgs. n. 158 del 2015 ad euro 250.000), mentre l’equiparazione delle pene dei due reati permane solo in rapporto all’ipotesi dell’utilizzazione in compensazione di «crediti non spettanti», essendo l’utilizzazione di «crediti inesistenti» punita in modo assai più severo: tutto ciò a dimostrazione di una valutazione legislativa di maggiore disvalore dell’indebita compensazione rispetto al tertium comparationis;

che il recente provvedimento legislativo di riforma ha modificato, altresì, i rapporti tra il delitto di indebita compensazione e quelli di infedele e di omessa dichiarazione;

che la pena prevista per l’indebita compensazione concernente crediti inesistenti è divenuta, infatti, più elevata, sia nel minimo che nel massimo, di quella del delitto di dichiarazione infedele (reclusione da uno a tre anni) e più elevata, altresì, nel massimo, anche di quella del delitto di omessa dichiarazione (reclusione da un anno e sei mesi a quattro anni, a seguito dell’aumento operato dall’art. 5 del d.lgs. n. 158 del 2015);

che le modifiche normative sopravvenute hanno reso “inattuale” lo stesso petitum dei giudici rimettenti;

che la soglia di punibilità dell’omesso versamento dell’IVA è stata innalzata, infatti, come detto, a 250.000 euro per ciascun periodo d’imposta, mentre quella della dichiarazione infedele è stata elevata a 150.000 euro (art. 4 del d.lgs. n. 158 del 2015);

che – secondo quanto già più volte affermato dalla Corte di cassazione (per tutte, con riguardo all’omesso versamento dell’IVA, Corte di cassazione, sezione terza, 11 novembre 2015-1° aprile 2016, n. 13217; con riguardo alla dichiarazione infedele, Corte di cassazione, sezione terza, 11 novembre 2015-13 gennaio 2016, n. 891)– il predetto aumento delle soglie di punibilità, traducendosi in una modifica di segno favorevole al reo, è destinata ad operare, ai sensi dell’art. 2 del codice penale, anche in rapporto ai fatti antecedenti alla riforma (compresi quelli commessi sino al 17 settembre 2011);

che, di conseguenza – ove pure, in ipotesi, le censure del giudici a quibus fossero fondate – il richiesto innalzamento della soglia di punibilità dell’indebita compensazione alla minor somma di euro 103.291,38 non varrebbe ad assicurare l’omologazione del trattamento della fattispecie considerata a quello previsto per i tertia comparationis;

che, nella suddetta prospettiva, la stessa limitazione del petitum ai fatti commessi sino al 17 settembre 2011 perderebbe di senso, valendo le nuove e più elevate soglie di punibilità dell’omesso versamento dell’IVA e della dichiarazione infedele per tutti gli illeciti, sia antecedenti che successivi alla novella del 2015;

che, alla luce di quanto precede, va quindi disposta la restituzione degli atti ai giudici a quibus, per una nuova valutazione in ordine alla rilevanza e alla non manifesta infondatezza delle questioni sollevate alla luce del mutato quadro normativo.

Visto l’art. 9, commi 1 e 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

ordina la restituzione degli atti ai Tribunali ordinari di Lecce e di Palermo.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 aprile 2016.

F.to:

Paolo GROSSI, Presidente

Giuseppe FRIGO, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 20 maggio 2016.