Ordinanza n. 41 del 2016

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ORDINANZA N. 41

ANNO 2016

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Marta                           CARTABIA                                     Presidente

-           Giuseppe                     FRIGO                                               Giudice

-           Paolo                           GROSSI                                                   ”

-           Giorgio                        LATTANZI                                              ”

-           Aldo                            CAROSI                                                   ”

-           Mario Rosario              MORELLI                                                ”

-           Giancarlo                     CORAGGIO                                            ”

-           Giuliano                       AMATO                                                   ”

-           Silvana                         SCIARRA                                                ”

-           Daria                            de PRETIS                                               ”

-           Nicolò                          ZANON                                                   ”

-           Franco                         MODUGNO                                            ”

-           Augusto Antonio       BARBERA                                              ”

-           Giulio                          PROSPERETTI                                        ”

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 275, comma 3, secondo periodo, del codice di procedura penale, come modificato dall’art. 2 del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori), convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2009, n. 38, promossi dal Tribunale ordinario di Bari con quattro ordinanze del 17 novembre 2014, rispettivamente iscritte ai nn. 125, 126, 127 e 128 del registro ordinanze 2015 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 26, prima serie speciale, dell’anno 2015.

Udito nella camera di consiglio del 27 gennaio 2016 il Giudice relatore Giuseppe Frigo.

Ritenuto che, con quattro ordinanze di analogo tenore depositate il 17 novembre 2014, il Tribunale ordinario di Bari ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 13, primo comma, e 27, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 275, comma 3, secondo periodo, del codice di procedura penale, come modificato dall’art. 2 del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori), convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2009, n. 38, nella parte in cui – nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, di cui all’art. 260 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari – non fa salva, altresì, l’ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure;

che il giudice a quo riferisce, in ognuno dei casi, di essere investito dell’appello proposto, ai sensi dell’art. 310 cod. proc. pen., avverso un’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bari, con la quale era stata rigettata l’istanza di revoca o di sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere, applicata all’appellante in quanto gravemente indiziato del delitto di cui al citato art. 260 del d.lgs. n. 152 del 2006;

che, ad avviso del rimettente, le esigenze cautelari – pur non essendo cessate – potrebbero essere adeguatamente soddisfatte con la misura meno gravosa degli arresti domiciliari;

che all’accoglimento dell’istanza osterebbe, tuttavia, la norma censurata, che impone di applicare la custodia cautelare in carcere nei confronti della persona raggiunta da gravi indizi di colpevolezza per una serie di delitti, tra cui quello previsto dall’art. 260 del d.lgs. n. 152 del 2006 (evocato tramite il rinvio all’art. 51, comma 3-bis, cod. proc. pen.), salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari: donde la rilevanza della questione;

che, quanto alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo evidenzia come la Corte costituzionale, con una pluralità di sentenze, abbia già dichiarato costituzionalmente illegittima, per violazione degli artt. 3, 13, primo comma, e 27, secondo comma, Cost., la norma censurata, nella parte in cui non consentiva l’adozione di misure cautelari diverse da quella carceraria nei confronti delle persone raggiunte da gravi indizi di colpevolezza per determinati reati;

che tale declaratoria di illegittimità costituzionale è stata pronunciata anche con riferimento a figure criminose di tipo associativo, quali l’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope, di cui all’art. 74 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), e l’associazione per delinquere finalizzata a commettere i delitti previsti dagli artt. 473 e 474 del codice penale: fattispecie oggetto, rispettivamente, delle sentenze n. 231 del 2011 e n. 110 del 2012;

che le considerazioni poste a base di tali decisioni – sinteticamente ripercorse nelle ordinanze di rimessione – varrebbero anche in rapporto al delitto di cui all’art. 260 del d.lgs. n. 152 del 2006, il quale non potrebbe essere assimilato, sotto il profilo che interessa, al delitto di associazione di tipo mafioso (art. 416-bis cod. pen.), in relazione al quale la Corte costituzionale ha ritenuto giustificabile la presunzione assoluta di adeguatezza della sola custodia in carcere a soddisfare le esigenze cautelari, sancita dalla norma censurata;

che il citato art. 260 del d.lgs. n. 152 del 2006 punisce, infatti, «Chiunque, al fine di conseguire un ingiusto profitto, con più operazioni e attraverso l’allestimento di mezzi e attività continuative organizzate, cede, riceve, trasporta, esporta, importa, o comunque gestisce abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti»;

che si tratterebbe, dunque, di una fattispecie criminosa molto ampia, ai fini della cui integrazione rileva unicamente la predisposizione di una struttura organizzata finalizzata alla gestione abusiva dei rifiuti, struttura che potrebbe essere delle più varie dimensioni: l’aggettivo «ingenti» – che compare nella formula descrittiva dell’illecito – deve ritenersi, infatti, riferito al quantitativo di rifiuti globalmente gestito attraverso una pluralità di operazioni, le quali, isolatamente considerate, potrebbero anche attenere a quantitativi modesti;

che, in ogni caso, la struttura in questione non parteciperebbe delle peculiari caratteristiche dell’associazione di tipo mafioso – in termini di radicamento nel territorio, intensità dei collegamenti personali tra gli associati e forza intimidatrice – che conferiscono alla stessa connotati di accentuata pericolosità atti a legittimare, secondo le indicazioni della Corte, la presunzione assoluta di cui si discute, la quale sottrae al giudice il potere di adeguare la misura al caso concreto;

che, nell’estendere detta presunzione anche al delitto di cui all’art. 260 del d.lgs. n. 152 del 2006, la norma censurata violerebbe quindi l’art. 3 Cost., parificando posizioni soggettive tra loro eterogenee, quali quelle del partecipe alle attività organizzate per il traffico illecito dei rifiuti e del partecipe all’associazione di tipo mafioso, e assoggettando, altresì, irrazionalmente al medesimo regime cautelare le diverse ipotesi concrete riconducibili al paradigma punitivo che interessa;

che sarebbero violati, altresì, l’art. 13, primo comma, Cost., quale referente fondamentale del regime ordinario delle misure cautelari limitative della libertà personale, e l’art. 27, secondo comma, Cost., a fronte dell’attribuzione al regime cautelare di funzioni tipiche della pena.

Considerato che il Tribunale ordinario di Bari, con quattro ordinanze di rimessione, dubita, in riferimento agli artt. 3, 13, primo comma, e 27, secondo comma, della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 275, comma 3, secondo periodo, del codice di procedura penale, come modificato dall’art. 2 del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori), convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2009, n. 38, nella parte in cui – nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, di cui all’art. 260 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari – non fa salva, altresì, l’ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure;

che le ordinanze sollevano questioni identiche, onde i relativi giudizi vanno riuniti per essere definiti con unica decisione;

che, successivamente alle ordinanze di rimessione, è intervenuta la legge 16 aprile 2015, n. 47 (Modifiche al codice di procedura penale in materia di misure cautelari personali. Modifiche alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di visita a persone affette da handicap in situazione di gravità), il cui art. 4, comma 1, ha modificato la norma censurata in senso pienamente conforme al petitum del giudice rimettente;

che la novella legislativa ha, infatti, limitato la presunzione assoluta di adeguatezza esclusiva della custodia carceraria a soddisfare le esigenze cautelari ai soli delitti di cui agli artt. 270, 270-bis e 416-bis del codice penale;

che in relazione ad una serie di altri delitti – tra cui quello previsto dall’art. 260 del d.lgs. n. 152 del 2006 (evocato tramite il rinvio alla disposizione processuale dell’art. 51, comma 3-bis, cod. proc. pen.) – la presunzione è divenuta invece relativa, essendo stabilito che alla persona gravemente indiziata dei delitti in parola «è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari o che, in relazione al caso concreto, le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure»;

che – conformemente a quanto è già avvenuto per una questione similare (ordinanza n. 190 del 2015, concernente il trattamento cautelare del delitto di cui all’art. 416, sesto comma, cod. pen.) – va quindi disposta la restituzione degli atti al giudice a quo, per una nuova valutazione in ordine alla rilevanza e alla non manifesta infondatezza della questione alla luce del mutato quadro normativo.

Visto l’art. 9, commi 1 e 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti giudizi,

ordina la restituzione degli atti al Tribunale ordinario di Bari.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 gennaio 2016.

F.to:

Marta CARTABIA, Presidente

Giuseppe FRIGO, Redattore

Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 25 febbraio 2016.