Ordinanza n. 15 del 2016

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ORDINANZA N. 15

ANNO 2016

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Alessandro                 CRISCUOLO                        Presidente

-           Giuseppe                    FRIGO                                     Giudice

-           Paolo                          GROSSI                                        ”

-           Giorgio                       LATTANZI                                   ”

-           Aldo                           CAROSI                                        ”

-           Marta                          CARTABIA                                  ”

-           Mario Rosario             MORELLI                                     ”

-           Giancarlo                    CORAGGIO                                 ”

-           Giuliano                      AMATO                                        ”

-           Silvana                        SCIARRA                                     ”

-           Daria                           de PRETIS                                     ”

-           Nicolò                         ZANON                                         ”

-           Franco                        MODUGNO                                  ”

-           Augusto Antonio       BARBERA                                    ”

-           Giulio                         PROSPERETTI                             ”

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 147, comma 5, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), promossi dal Tribunale ordinario di Catania, sezione fallimentare, con ordinanza del 27 novembre 2014 e dal Tribunale ordinario di Parma, sezione prima civile, con ordinanza del 13 marzo 2014, rispettivamente iscritte ai nn. 67 e 93 del registro ordinanze 2015 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 17 e 21, prima serie speciale, dell’anno 2015.

Visti gli atti d’intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 13 gennaio 2016 il Giudice relatore Mario Rosario Morelli.

Ritenuto che il Tribunale ordinario di Catania, sezione fallimentare, con ordinanza in data 27 novembre 2014, iscritta al n. 67 del registro ordinanze del 2015, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 24, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 147, comma 5, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa);

che, secondo il rimettente, la norma denunciata – nel ricollegare alla dichiarazione del «fallimento di un imprenditore individuale» la possibilità del fallimento in estensione di altro soggetto (persona fisica o giuridica) che risulti socio (di fatto) dell’originario fallito – contrasterebbe, appunto, con gli evocati parametri costituzionali, nella parte in cui, «nell’ipotesi di fallimento originariamente dichiarato nei confronti di una società di capitali» (nella specie, una società a responsabilità limitata), non ne consentirebbe l’estensione ad altri soci di fatto, siano essi persone fisiche o società, come, nel giudizio a quo invece richiesto dal curatore ricorrente (con riguardo, in particolare, ad una società in accomandita semplice). Dal che l’asserita rilevanza della questione;

che, esclusa la possibilità di una interpretazione analogica della suddetta disposizione, in ragione del suo carattere eccezionale, ne conseguirebbe – come già denunciato con ordinanza in data 13 novembre 2013 del Tribunale ordinario di Bari, cui il rimettente si riporta – la violazione, in primo luogo, del precetto dell’uguaglianza. Ciò sotto il duplice profilo di una disparità di trattamento, per un verso, tra impresa individuale e società di capitali, agli effetti appunto della estensibilità del rispettivo fallimento nei sensi sopra indicati, e, per altro verso, «tra società di fatto, posto che, ove il fallimento venga richiesto immediatamente nei confronti della stessa società di fatto, esso sarebbe ammissibile ex art. 147, comma 1, l. fall., mentre non sarebbe possibile ove venga richiesto in estensione, quando il fallimento originariamente dichiarato riguardi una società di capitali»;

che ulteriore vulnus risulterebbe poi arrecato all’art. 24, primo comma, Cost., per l’ingiustificata maggior tutela che la norma censurata riconoscerebbe ai creditori di società di fatto composte esclusivamente da soci persone fisiche, o, comunque, di società di fatto dichiarate fallite in estensione al fallimento di un imprenditore individuale, rispetto ai creditori di società di fatto allorché l’originario fallimento riguardi una società di capitali socia della società di fatto;

che identica questione è stata sollevata dal Tribunale ordinario di Parma, sezione prima civile, con ordinanza del 13 marzo 2014, iscritta al n. 93 del registro ordinanze del 2015;

che in entrambi i giudizi – che possono di conseguenza riunirsi – è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, il quale ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile o manifestamente infondata, atteso che «come più volte affermato dalla giurisprudenza di merito […], la disposizione in esame non costituisce una regola eccezionale, ma un principio generale applicabile per analogia anche nell’ipotesi in cui la partecipazione alla società di fatto risulti dopo la dichiarazione di fallimento di un imprenditore collettivo, trattandosi di una regola che costituisce specifica espressione del criterio generale sostanziale della spendita di interesse».

Considerato che entrambi i Tribunali rimettenti – nel sollevare l’identica questione di legittimità costituzionale dell’art. 147, comma 5, del regio decreto n. 267 del 1942 – omettono del tutto di valutare se le circostanze di fatto rappresentate dai ricorrenti nei rispettivi giudizi siano espressive di una affectio societatis che riveli l’effettiva esistenza di una società occulta costituita con la partecipazione della società originaria fallita: dal che la rilevanza meramente eventuale della questione di estensibilità del fallimento ad una società di fatto di cui non è stata previamente accertata l’esistenza;

che inoltre − come rilevato nella sentenza n. 276 del 2014, con riguardo alla precedente già richiamata ordinanza del Tribunale di Bari, il cui schema argomentativo è sostanzialmente riprodotto dalle due ordinanze in esame − «il rimettente [e, cioè, ora, sia il Tribunale di Catania, sia il Tribunale di Parma] non si è preliminarmente interrogato sulla possibilità per una società di capitali di partecipare ad una società di fatto», a fronte del disposto del novellato art. 2361, comma 2, del codice civile, che – nel consentire alle società per azioni di assumere partecipazioni in imprese comportanti la responsabilità illimitata − stabilisce che tale assunzione sia deliberata dall’assemblea dei soci e che gli amministratori ne diano specifica informazione nella nota integrativa di bilancio. Con la conseguenza che «il giudice a quo non ha verificato la compatibilità di tale previsione con la possibilità per le società di capitali di partecipare a società di fatto la cui costituzione avviene per facta concludentia, prescindendo, dunque, da qualunque formalità. In particolare […] non ha preso posizione in ordine alla discussa questione concernente le conseguenze del mancato rispetto degli adempimenti previsti dall’art. 2361, comma 2, cod. civ., se, cioè, l’assunzione di partecipazioni in società di persone sia comunque efficace, rilevando eventualmente solo sul piano interno alla società ai fini della configurabilità di una responsabilità degli amministratori, ovvero se tale mancanza precluda la stessa possibilità per una società par azioni di partecipare ad una società di fatto»;

che, per di più, nel giudizio innanzi al Tribunale ordinario di Catania, introdotto dal curatore di una società a responsabilità limitata, il rimettente non ha nemmeno accertato se la disciplina relativa all’assunzione di partecipazione in società a responsabilità illimitata, testualmente riferita alle società per azioni, cui ha specificamente riguardo l’art. 2361 cod. civ., possa estendersi anche alle società a responsabilità limitata per le quali manca una analoga previsione espressa;

che tutto ciò evidenzia ulteriori aspetti di carenza della motivazione sulla rilevanza nelle due ordinanze di rimessione;

che, infine, come eccepito dalla difesa dello Stato, il Tribunale di Parma ha del tutto omesso di verificare previamente – e il Tribunale di Catania ha in modo sostanzialmente immotivato escluso – la possibilità di una interpretazione costituzionalmente adeguata della norma censurata, pur condivisa da altri giudici di merito;

che la questione identicamente sollevata dai due Tribunali rimettenti è, pertanto, sotto più profili manifestamente inammissibile.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, commi 1 e 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 147, comma 5, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa) sollevata, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 24, primo comma, della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Catania, sezione fallimentare, e dal Tribunale ordinario di Parma, sezione prima civile, con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 gennaio 2016.

F.to:

Alessandro CRISCUOLO, Presidente

Mario Rosario MORELLI, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 29 gennaio 2016.