Sentenza n. 250 del 2015

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SENTENZA N. 250

ANNO 2015

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-      Alessandro                  CRISCUOLO                                  Presidente

-      Giuseppe                     FRIGO                                               Giudice

-      Paolo                           GROSSI                                                   ”

-      Giorgio                        LATTANZI                                              ”

-      Aldo                            CAROSI                                                   ”

-      Marta                           CARTABIA                                             ”

-      Mario Rosario              MORELLI                                                ”

-      Giancarlo                     CORAGGIO                                            ”

-      Giuliano                       AMATO                                                   ”

-      Silvana                         SCIARRA                                                ”

-      Daria                            de PRETIS                                               ”

-      Nicolò                          ZANON                                                   ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 496, 497, 498, 499, 500 e 501, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2014), promossi con ricorsi delle Regioni Veneto e Puglia, il primo notificato il 25 febbraio 2014, il secondo spedito per la notifica in pari data, depositati in cancelleria il 7 marzo 2014 ed iscritti rispettivamente ai nn. 21 e 23 del registro ricorsi 2014.

Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 3 novembre 2015 il Giudice relatore Daria de Pretis;

uditi gli avvocati Ezio Zanon e Salvatore Di Mattia per la Regione Veneto, Marcello Cecchetti per la Regione Puglia e Wally Ferrante per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso notificato il 25 febbraio 2014, depositato il 7 marzo 2014 e iscritto al n. 23 del registro ricorsi del 2014, la Regione Puglia ha impugnato l’art. 1, commi 496, lettere b) e c), e 497, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale – Legge di stabilità 2014), in riferimento agli artt. 3, 117, terzo e quarto comma, 118, primo e secondo comma, 119, primo e quinto comma, della Costituzione, nonché ai principi di razionalità, ragionevolezza e leale collaborazione.

L’art. 1, comma 496, della citata legge, modificando il comma 449 dell’unico articolo della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2013), ridefinisce il tetto massimo di spese finali che non può essere superato dal comparto delle regioni a statuto ordinario nel suo complesso, abbassandolo rispetto a quanto indicato dalla normativa previgente (in particolare, stabilisce, per il comparto, che il complesso delle spese finali in termini di competenza eurocompatibile non può essere superiore: per l’anno 2014 a 19.390 milioni di euro, determinando così, rispetto alla legislazione previgente, un risparmio di 700 milioni di euro; per ciascuno degli anni 2015, 2016 e 2017, a 19.099 milioni di euro, determinando un risparmio di 941 milioni di euro).

La medesima disposizione modifica il comma 449 dell’art. 1 della legge n. 228 del 2012 anche nella parte relativa alla procedura per la ripartizione del limite di spesa per ciascuna regione, limitando al solo anno 2013 la procedura ivi prevista (accordo in sede di Conferenza Stato-regioni, da concludersi entro il 31 gennaio, recepito con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze).

Il comma 497 dell’art. 1 della legge n. 147 del 2003 ha inserito all’art. 1 della legge n. 228 del 2012, dopo il comma 449, il nuovo comma 449-bis, recante una tabella che fissa il complesso delle spese finali in termini di competenza eurocompatibile di ciascuna regione a statuto ordinario per ciascuno degli anni dal 2014 al 2017.

1.1. – Con un primo ordine di censure, la ricorrente lamenta che il combinato disposto dell’impugnato art. 1, commi 496 e 497, avendo escluso per gli esercizi successivi al 2013 qualunque partecipazione delle singole regioni alla distribuzione degli importi di spesa complessiva ammissibile ai fini del patto di stabilità interno, si porrebbe in contrasto con gli artt. 117, terzo e quarto comma, 118, primo e secondo comma, 119, primo comma, Cost., nonché con il principio di leale collaborazione, per le seguenti ragioni.

La determinazione del concreto riparto della dotazione di spesa, spettante a ciascuna regione, in termini di competenza eurocompatibile integrerebbe una norma di dettaglio e non già un mero principio di «coordinamento della finanza pubblica», in violazione del riparto verticale di competenza costituzionalmente garantito nelle materie di legislazione concorrente.

Sotto altro profilo, la restrizione dei margini di autonomia a disposizione delle regioni sarebbe irragionevole e sproporzionata rispetto agli obiettivi da perseguire, in quanto al fine di raggiungere l’obiettivo del contenimento della spesa pubblica sarebbe stata assolutamente adeguata la disciplina di principio contenuta nel previgente testo dell’art. 1, comma 449, della legge n. 228 del 2012. Quest’ultimo determinava il limite complessivo di spesa spettante all’intero comparto delle regioni ordinarie, accompagnandola con la specifica previsione di un procedimento concertato volto alla determinazione delle singole quote regionali, aperto alla reciproca collaborazione delle regioni stesse e in grado di garantire il raggiungimento del risultato, all’occorrenza anche mediante l’esercizio di un potere ministeriale “sostitutivo” in caso di mancato accordo tra le regioni entro il termine legislativamente stabilito del 31 gennaio. Incidendo sull’esercizio delle competenze costituzionali delle regioni e sulla loro autonomia di spesa, la determinazione unilaterale dello Stato dei limiti di spesa avrebbe dovuto essere attuata mediante procedimenti rispettosi del principio di leale collaborazione (si citano, al riguardo, le sentenze della Corte costituzionale n. 54 del 2012, n. 251, n. 250 e n. 232 del 2009, n. 88 del 2003).

1.2.– Con un secondo ordine di censure, la ricorrente invoca l’illegittimità costituzionale del solo comma 497 dell’art. 1 della legge 147 del 2013, nella parte in cui quantifica il complesso delle spese finali in termini di competenza eurocompatibile della Regione Puglia in 1.305 milioni di euro per il 2014 e 1.289 milioni di euro per gli anni 2015-2017, per violazione dell’art. 3 Cost., nonché dei principi di razionalità e ragionevolezza, in riferimento agli artt. 117, terzo e quarto comma, 118, primo e secondo comma, e 119, primo e quinto comma, Cost.

Ad avviso della ricorrente, lo Stato avrebbe operato una quantificazione gravemente discriminatoria, giacché la quota di spesa massima complessiva attribuitale per l’anno 2014, ove rapportata al numero di abitanti della Regione Puglia (4.050.803, dato aggiornato al 31 dicembre 2012) in modo da individuare la spesa pro capite (322,16 euro), sarebbe largamente inferiore a quella attribuita alla stragrande maggioranza delle altre regioni, risultando superiore soltanto a quella della Regione Veneto (310,34 euro pro capite) e della Regione Lombardia (308,95 euro pro capite), le quali, però, dovrebbero imputare su tale spesa, a differenza della Regione Puglia che ricade nell’obiettivo convergenza, una quota significativamente inferiore relativamente agli interventi speciali dello Stato ex art. 119, quinto comma, Cost. La quota assegnata alla Regione Puglia risulterebbe, poi, significativamente inferiore rispetto a quella attribuita, ad esempio, alla Regione Basilicata (935,45 euro pro capite), alla Regione Molise (832,96 euro pro capite) o alla Regione Umbria (618,34 euro pro capite); ma, soprattutto, sarebbe decisamente inferiore rispetto alla quota attribuita a regioni che presentano situazioni ed esigenze di spesa del tutto assimilabili a quelle della Puglia, come nel caso della Calabria (521,90 euro pro capite) o della Campania (403,31 euro pro capite). Tale disparità di trattamento non troverebbe alcun ragionevole fondamento giustificativo, considerato che la Regione Puglia risulta tra le maggiori destinatarie sia di finanziamenti che provengono dai fondi per i programmi di sviluppo dell’Unione europea, sia di interventi speciali statali a destinazione vincolata, erogati a favore delle regioni più svantaggiate ai sensi dell’art. 119, quinto comma, Cost.

Al fine di evidenziare la “ridondanza” delle lamentate violazioni sulle proprie prerogative costituzionali, la Regione Puglia rimarca come il contrasto dell’impugnato art. 1, comma 497, con l’art. 3 Cost. avrebbe prodotto una “lesione indiretta” della propria autonomia legislativa, amministrativa e finanziaria (riconosciuta dagli artt. 117, terzo e quarto comma, 118, primo e secondo comma, e 119, primo e quinto comma, Cost.), dal momento che la quota complessiva di spesa pubblica ad essa concretamente assegnata sarebbe «del tutto insufficiente per esercitare in modo adeguato le funzioni regionali», incidendo «profondamente, senz’altro riducendoli, sugli spazi di autonomia che dovrebbero caratterizzare l’esercizio di quelle funzioni».

1.3.– Il 14 aprile 2014 si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, replicando che le norme contestate sarebbero del tutto coerenti con la giurisprudenza costituzionale. In base ad essa, il legislatore statale potrebbe legittimamente imporre alle regioni vincoli alle politiche di bilancio, anche indirettamente incidenti sull’autonomia regionale di spesa, per ragioni di coordinamento finanziario volte a salvaguardare, proprio attraverso il contenimento della spesa corrente, l’equilibrio unitario della finanza pubblica complessiva, in connessione con il perseguimento di obiettivi nazionali, condizionati anche da obblighi comunitari, purché le norme statali non prevedano in modo esaustivo strumenti o modalità per il perseguimento dei suddetti obiettivi (si cita la sentenza n. 39 del 2014).

La tabella di cui all’art. 1, comma 497, della legge n. 147 del 2013, infatti, avrebbe stabilito gli obiettivi del patto di stabilità interno di ciascuna regione, senza definire gli strumenti con cui debbano essere raggiunti.

Non risulterebbe, poi, alcuna incongruenza normativa, in quanto le norme in esame si limiterebbero a modificare le modalità di riparto degli obiettivi a decorrere dall’anno 2014.

1.4.– Con successiva memoria depositata il 12 ottobre 2015, la Regione Puglia ha aggiunto che, nelle more del giudizio, è intervenuta la legge 23 dicembre 2014, n. 190 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2015), il cui art. 1, commi da 460 a 483, ha integralmente sostituito la precedente disciplina del concorso delle regioni a statuto ordinario alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica ai fini del patto di stabilità interno.

In particolare, il comma 460 del richiamato art. 1 prevede: «[l]’articolo 1, commi da 448 a 466, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, e successive modificazioni, e tutte le norme concernenti la disciplina del patto di stabilità interno cessano di avere applicazione per le regioni a statuto ordinario, con riferimento agli esercizi 2015 e successivi, ferma restando l’applicazione, nell’esercizio 2015, delle sanzioni nel caso di mancato rispetto del patto di stabilità interno nel 2014».

In ragione di tale sopravvenuta modifica normativa, l’applicazione della disciplina relativa alle quote di spesa complessiva assegnate alle regioni dall’art. 1, commi 449 (come modificato dall’art. 1, comma 496, lettere b e c, della legge n. 147 del 2013) e 449-bis (introdotto dal comma 497 dell’art. 1 della medesima legge n. 147 del 2013), della legge n. 228 del 2012 è stata dunque espressamente limitata (oltre che all’esercizio finanziario 2013, rispetto al quale, tuttavia, nel presente giudizio non è stata formulata alcuna censura) al solo esercizio finanziario 2014.

Secondo la Regione Puglia, lo ius superveniens non potrebbe condurre ad una pronuncia che dichiari la cessazione della materia del contendere, dal momento che l’intervento modificativo operato dal legislatore statale del 2014 non potrebbe in alcun modo essere ritenuto integralmente satisfattivo delle sue pretese. Le norme censurate, infatti, ancorché non più applicabili per le regioni a statuto ordinario a partire dall’esercizio finanziario 2015, continuerebbero a spiegare piena efficacia in riferimento all’esercizio 2014. Insiste, pertanto, per l’accoglimento delle censure formulate nel ricorso introduttivo avverso l’art. 1, commi 496, lettere b) e c), e 497, della legge n. 147 del 2013.

La ricorrente conclude sostenendo che la declaratoria di illegittimità costituzionale delle norme statali impugnate non inciderebbe sul rispetto dei vincoli complessivi di finanza pubblica discendenti, innanzi tutto, dagli impegni assunti con l’Unione europea. Infatti, il limite di spesa complessivo stabilito dal legislatore statale per il comparto delle Regioni a statuto ordinario (in riferimento, peraltro, al solo esercizio finanziario 2014) rimarrebbe assolutamente invariato (corrispondente a 19.390 milioni di euro, individuato dall’art. 1, comma 496, lettera a, della legge n. 147 del 2013, non impugnato in questa sede). Dall’accoglimento delle questioni deriverebbe soltanto l’esigenza di provvedere in concreto (in prima battuta per il tramite della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e con la garanzia ultima del potere sostitutivo affidato al Ministero dell’economia e delle finanze, così come già espressamente previsto dalla stessa normativa censurata in riferimento all’anno finanziario 2013) alla redistribuzione ex post tra le regioni a statuto ordinario delle quote di spesa finale in termini di competenza eurocompatibile spettanti a ciascuna regione per l’anno finanziario 2014, nel rispetto del sopra menzionato limite complessivo inderogabile stabilito dal legislatore statale. La concreta utilità di tale operazione di rideterminazione deriverebbe dal fatto che il rispetto di quei limiti di spesa (da applicare all’esercizio finanziario 2014) è «pur sempre affidato dalla vigente legislazione a specifici procedimenti di verifica e di controllo, con la conseguenza che a tutt’oggi e nel prossimo futuro è ben possibile che –in plurime sedi (anche giurisdizionali) e sotto molteplici profili – sia fatto oggetto di contestazione a carico della Regione, dei suoi organi e dei suoi agenti contabili».

2.– Con ricorso notificato il 25 febbraio 2014, depositato il 7 marzo 2014 e iscritto al n. 21 del registro ricorsi del 2014, la Regione Veneto ha impugnato diverse disposizioni della già citata legge n. 147 del 2013, fra le quali l’art. 1, commi 496, 497, 498, 499, 500 e 501, in riferimento agli artt. 117, terzo, quarto e quinto comma, 119, primo comma, e 120 Cost., nonché ai principi di ragionevolezza e leale collaborazione.

Secondo la ricorrente, «le nuove disposizioni hanno modificato il precedente assetto che attraverso lo strumento della legge fissava il limite di spesa euro compatibile solo in via cumulativa, assegnando alle regioni a statuto ordinario, nel loro insieme, l’importo da rispettare e demandando a una apposita concertazione, da svolgersi in sede di raccordo istituzionale tra Stato e Regioni, la determinazione dei limiti individuali per ciascun ente sulla base dei comuni parametri predefiniti per legge». Invece, l’impugnato art. 1, comma 497, «determina, […] in modo cogente e predeterminato nel tempo, il limite di spesa» delle singole regioni.

Inoltre, la Regione Veneto riferisce che, il 14 novembre 2013, la Conferenza unificata aveva espresso – in relazione al disegno di legge di stabilità per il 2014 – un parere favorevole condizionato ad alcuni emendamenti: con uno di essi si chiedeva di ripristinare il metodo dell’accordo per la determinazione del limite di spesa di ciascuna regione e, inoltre, si auspicava «un diverso criterio di identificazione del limite di spesa, correlato a una sua più congrua determinazione in riferimento a un riparto del limite di spesa pro capite». Poiché tale emendamento non è stato accolto, la Regione Veneto osserva che il parere della Conferenza unificata sul disegno di legge è stato «nella sostanza negativo».

Ancora, la ricorrente rileva che «il limite di spesa eurocompatibile varia da regione a regione in maniera particolarmente sperequata». La Regione utilizza il criterio demografico, dal quale risulterebbe che «il limite di spesa per il Veneto è di 312 euro pro capite», mentre altre regioni avrebbero una disponibilità di spesa pro capite ben più ampia.

2.1.– Premesse queste considerazioni, la Regione Veneto passa ad articolare le questioni di costituzionalità. Esse sono divise in tre punti (3.5, 3.6 e 3.7). Il punto 3.5 è a sua volta diviso in tre parti (lettere a, b e c), nelle quali sono individuabili due distinte censure.

Nel punto 3.5, lettera a), la Regione Veneto impugna i commi 496 e 497 dell’art. 1 della legge n. 147 del 2013 per «[v]iolazione del principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 della Costituzione in relazione agli art. 117, quinto comma, e 119, primo comma, della stessa». In primo luogo, la determinazione legislativa unilaterale, da parte dello Stato, del limite di spesa di ciascuna regione violerebbe il principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 Cost. Il diritto delle regioni di partecipare alla individuazione del limite di spesa di ciascuna di esse deriverebbe anche dall’art. 119, primo comma, Cost. in base al quale le regioni «concorrono ad assicurare l’osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea». Infine, viene invocato l’art. 117, quinto comma, Cost. in base al quale «[l]e Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di loro competenza, partecipano alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi comunitari e provvedono all’attuazione e all’esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell’Unione europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite da legge dello Stato, che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza». L’art. 1, comma 449, della legge n. 228 del 2012 sarebbe una disposizione «direttamente applicativa del Patto di stabilità imposto dalla Comunità europea e recepito […] a mezzo della L. 448/1998»: «[p]oiché, dunque, le norme che impongono i limiti di spesa provengono dal rispetto dei vincoli di appartenenza all’Unione europea, si pone il problema del rispetto della partecipazione delle singole regioni all’attuazione e all’esecuzione degli atti dell’Unione europea, come previsto dal menzionato comma 5 dell’art. 117».

In sostanza, sotto questo primo profilo la Regione Veneto contesta il contenuto dei commi 496, lettere b) e c), e 497 dell’art. 1, della legge n. 147 del 2013, in quanto, in relazione agli anni 2014-2017, sostituiscono il previgente modulo pattizio con la determinazione unilaterale del limite di spesa.

Nel punto 3.5, lettera b), invece, la ricorrente evidenzia un vizio procedurale delle disposizioni legislative in questione, affermando che «la formulazione per legge del limite di spesa, sia individuale che cumulativo, non solo non è avvenuto nell’ambito del processo collaborativo previsto dalle disposizioni Costituzionali e nella originaria versione del comma 449, ma con uno strumento costituzionalmente incompatibile». Infatti, la legge n. 147 del 2013 è stata approvata previo parere della Conferenza unificata ai sensi dell’art. 9, comma 2, lettera a), numero 1), del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 (Definizione ed ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali), mentre, «[p]er l’attività di concorrenza prevista in capo alle regioni e per i contenuti dell’art. 117, comma quinto, si ritiene invece che necessitasse, sulla determinazione dei limiti individuali in capo a ciascuna regione, lo strumento dell’intesa» previsto alla successiva lettera c) del comma 2 dell’art. 9 del decreto legislativo.

In conclusione, «i commi 496, 497, 498, 499, 500 e 501, dell’art. 1 della L. 147/2013, che hanno imposto limiti all’autonomia regionale nella determinazione dei limiti di spesa euro compatibile», sarebbero «incostituzionali nella loro integrità perché in violazione del combinato parametro dettato dagli artt. 119, comma 1, 117, comma 5 e 120 della Costituzione».

2.2.– Nel punto 3.6 la Regione Veneto rappresenta che, «alla luce delle stesse norme di rango costituzionale (per la precisione degli art. 117, commi 3 e 4, 119, comma 1) si è determinata una indebita limitazione della competenza amministrativa della regione», la quale, «per effetto dei commi 496, 497, 498, 500 e 501 ha anche subito una invasione esterna delle proprie competenze essendole stato imposto dallo Stato una riduzione della propria funzione amministrativa, in termini di etero imposizione di un limite di spesa, altrimenti riconosciuta come espressione dell’autonomia costituzionale della regione medesima».

2.3.– Infine, nel punto 3.7 la ricorrente avanza l’ultima censura, collegata allo «scarso coordinamento del testo normativo del comma 449 e dei successivi, in conseguenza dell’applicazione dei commi 496 e seguenti della L. 147/2013». La novella avrebbe «introdotto, in modo contraddittorio e irragionevole, una doppia disciplina per il governo della stessa attività, che è stata diversificata a seconda degli anni di riferimento». Infatti, «con riferimento al 2013 l’attuale disposizione prevede, per la determinazione del limite della spesa eurocompatibile il conseguimento di un’intesa nell’ambito della Conferenza Unificata Stato – Regioni», mentre da tale intesa «il legislatore nazionale ha inteso prescindere predeterminando per legge il limite di spesa per gli anni successivi». Sarebbe «evidente l’irrazionalità e l’irragionevolezza di una simile disposizione».

2.4.– Il Presidente del Consiglio dei ministri si è costituito in giudizio, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con atto depositato il 4 aprile 2014, ma le difese in esso svolte non riguardano i commi da 496 a 501 dell’art. 1 della legge n. 147 del 2013.

L’Avvocatura generale dello Stato ha depositato un’ulteriore memoria l’8 agosto 2014, ma anch’essa non ha ad oggetto le questioni concernenti gli impugnati commi da 496 a 501.

Considerato in diritto

1.– La Regione Puglia ha impugnato l’art. 1, commi 496, lettere b) e c), e 497, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale – Legge di stabilità 2014), articolando due ordini di censure di illegittimità costituzionale.

Il combinato disposto dei commi 496, lettere b) e c), e 497, nella parte in cui determina unilateralmente le quote – spettanti a ciascuna Regione – della complessiva dotazione di spesa assegnata in termini di competenza eurocompatibile al comparto delle regioni a statuto ordinario per l’esercizio 2014, sopprimendo la previsione che fino all’anno precedente rimetteva, ancorché solo in via preferenziale, ad un accordo da raggiungere annualmente in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, il riparto di tale complessiva dotazione, violerebbe gli artt. 117, terzo e quarto comma, 118, primo e secondo comma, 119, primo comma, della Costituzione, nonché il principio di leale collaborazione. Ciò in quanto integrerebbe un precetto di «coordinamento della finanza pubblica» non qualificabile come principio e restringerebbe irragionevolmente i margini di autonomia legislativa, amministrativa e finanziaria a disposizione delle Regioni, senza prevedere alcuna forma di leale collaborazione con le stesse.

Il solo comma 497 dell’art. 1 della legge n. 147 del 2013, nella parte in cui quantifica la quota del limite complessivo di spesa eurocompatibile spettante alla Regione Puglia in 1.305 milioni di euro per il 2014 e in 1.289 milioni di euro per gli anni 2015-2017, violerebbe l’art. 3 Cost., nonché i principi di razionalità e ragionevolezza, in riferimento agli artt. 117, terzo e quarto comma, 118, primo e secondo comma, e 119, primo e quinto comma, Cost., in quanto, senza alcuna ragione giuridicamente plausibile, riserverebbe alla Regione Puglia un trattamento deteriore e discriminatorio rispetto a quello della quasi totalità delle altre regioni. In particolare, la quota di spesa massima complessiva attribuita alla Regione Puglia, ove valutata in rapporto al numero di abitanti, sarebbe largamente inferiore rispetto alla quota attribuita alle regioni che presentano situazioni ed esigenze di spesa del tutto assimilabili a quelle della Puglia, come nel caso della Regione Calabria o della Regione Campania. A ciò aggiungendosi che la quota di spesa pubblica concretamente attribuitale sarebbe del tutto insufficiente per esercitare in modo adeguato le funzioni regionali.

1.1.– La Regione Veneto ha impugnato, tra le altre disposizioni, l’art. 1, commi 496, 497, 498, 499, 500 e 501, della legge n. 147 del 2013, in riferimento agli artt. 117, terzo, quarto e quinto comma, 119, primo comma, e 120 Cost., nonché ai principi di ragionevolezza e leale collaborazione.

Benché la ricorrente dichiari di impugnare l’art. 1, commi da 496 a 501, della citata legge, le censure da essa avanzate riguardano in realtà solo i commi 496, lettere b) e c), e 497; le altre disposizioni non sono oggetto di censure (i commi 499 e 500, in particolare, sono inconferenti, in quanto sono rivolti alle autonomie speciali).

La prima questione sollevata dalla Regione Veneto corrisponde, nel suo nucleo centrale, alla prima censura avanzata dalla Regione Puglia. In sintesi, i commi 496, lettere b) e c), e 497 dell’art. 1 della legge n. 147 del 2013 sono impugnati per «violazione del principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 della Costituzione in relazione agli art. 117, quinto comma, e 119, primo comma, della stessa». La Regione contesta la determinazione legislativa unilaterale, da parte dello Stato, del limite di spesa di ciascuna regione, invocando l’assetto precedente, cioè l’individuazione del limite di spesa delle singole regioni tramite accordo in sede di Conferenza Stato-regioni, poi recepito con decreto ministeriale.

Con una seconda questione la Regione Veneto evidenzia un vizio procedurale delle disposizioni legislative in questione, in quanto, in virtù dell’art. 119, primo comma, e dell’art. 117, quinto comma, Cost., la legge n. 147 del 2013 avrebbe dovuto essere approvata, non previo parere della Conferenza unificata, ma previa intesa con essa ai sensi dell’art. 9, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 (Definizione ed ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali).

Con una terza questione, la Regione Veneto lamenta la violazione degli artt. 117, terzo e quarto comma, e 119, primo comma, Cost. in quanto le norme impugnate determinerebbero una indebita compressione della competenza amministrativa della Regione tramite l’imposizione di un limite di spesa.

Infine, la ricorrente solleva una quarta questione. Le norme impugnate violerebbero il principio di ragionevolezza per avere introdotto una doppia disciplina, diversificata a seconda degli anni di riferimento. Infatti, con riferimento al 2013 è rimasto il modello pattizio per la determinazione del limite di spesa delle singole regioni, mentre per gli anni successivi il legislatore nazionale ha proceduto ad una individuazione unilaterale del limite in questione.

2.– I ricorsi vertono sulle medesime disposizioni e pongono problematiche analoghe, sicché ne appare opportuna la riunione ai fini di una decisione congiunta.

2.1.– In via preliminare, si osserva che la disciplina introdotta dall’art. 1, commi da 448 a 466, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2015), ha inciso solo parzialmente sulle disposizioni statali oggetto di censura nel giudizio in esame. Poiché i precetti impugnati sono stati rimossi soltanto a partire dal 2015, la pretesa delle regioni ricorrenti – le quali hanno ancora motivo di dolersi della loro applicazione per l’anno 2014 – non può ritenersi pienamente soddisfatta. Non è, dunque, venuta meno la necessità di una pronuncia di questa Corte.

3.– È infondato il primo ordine di censure, con le quali le Regioni Puglia e Veneto contestano la natura di principio di «coordinamento della finanza pubblica» della definizione unilaterale – ad opera dello Stato (per l’anno 2014) – del complesso delle spese finali in termini di competenza eurocompatibile di ciascuna regione a statuto ordinario, l’irragionevole restrizione dei margini della loro autonomia legislativa, amministrativa e finanziaria e la mancata previsione di adeguate forme di leale collaborazione.

3.1.– Secondo la giurisprudenza di questa Corte, i vincoli di coordinamento finanziario imposti dallo Stato possono considerarsi rispettosi dell’autonomia delle regioni e degli enti locali quando stabiliscono un limite complessivo che lasci agli enti stessi ampia libertà di allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa (sentenze n. 236 del 2013, n. 182 del 2011, n. 297 del 2009, n. 289 del 2008, n. 169 del 2007) e sempre alla condizione che la disciplina dettata dal legislatore statale non leda il canone generale della ragionevolezza e proporzionalità dell’intervento normativo rispetto all’obiettivo prefissato (sentenze n. 236 del 2013 e n. 326 del 2010).

Nella specie, queste condizioni sussistono. Le norme censurate, infatti, si limitano a prescrivere un limite complessivo alla spesa in via transitoria ed in vista di specifici obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica, senza prescrivere strumenti o modalità per il loro perseguimento.

3.2.– Dalle considerazioni appena svolte discende anche l’infondatezza della invocata lesione dei margini di autonomia legislativa, amministrativa e finanziaria delle regioni. I principi fondamentali della legislazione statale in materia di «coordinamento della finanza pubblica» sono diretti a preservare l’equilibrio economico-finanziario del complesso delle amministrazioni pubbliche, in riferimento a parametri costituzionali (artt. 81, 119 e 120 Cost.) e ai vincoli derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea (artt. 11 e 117, primo comma, Cost.), equilibrio e vincoli che risultano ancor più pregnanti alla luce del primo comma dell’art. 97 Cost., che impegna il complesso delle pubbliche amministrazioni ad assicurare, in coerenza con l’ordinamento dell’Unione europea, l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico (sentenza n. 60 del 2013). Questa Corte ha più volte ritenuto legittima l’incidenza dei predetti principi statali di coordinamento, sia sull’autonomia di spesa delle regioni (ex plurimis, sentenze n. 91 del 2011, n. 27 del 2010, n. 456 e n. 244 del 2005), sia su ogni tipo di potestà legislativa regionale (sentenza n. 151 del 2012). L’eventuale impatto sull’autonomia finanziaria (art. 119 Cost.) e organizzativa (artt. 117, comma quarto, e 118 Cost.) delle regioni si traduce in una «circostanza di fatto come tale non incidente sul piano della legittimità costituzionale» (sentenze n. 40 del 2010, n. 169 del 2007 e n. 36 del 2004).

3.3.– Sulla prospettata violazione del principio di leale collaborazione, che avrebbe imposto al legislatore ordinario di rimettere, ancorché solo «in prima battuta», ad un accordo tra le parti e le regioni il riparto della complessiva dotazione di spesa in termini di competenza eurocompatibile, si osserva che il principio stesso – effettivamente in grado di imporre momenti di necessario coordinamento istituzionale tra i livelli di governo statale e regionale (ex plurimis, sentenze n. 179 del 2012, n. 165, n. 33 del 2011, n. 194 del 2007, n. 383, n. 62 e n. 50 del 2005, n. 88 del 2003) – non risulta congruamente evocato con riferimento alle fattispecie in esame.

A sostegno della loro tesi le ricorrenti sembrano configurare una sorta di riserva costituzionale di procedimento amministrativo concertato, aperto alla partecipazione dei diversi livelli di governo interessati dal coordinamento finanziario, ma a tale prospettazione deve replicarsi che, né le norme invocate come parametro, né la giurisprudenza costituzionale sorreggono tale tesi. Invero, il principio di leale collaborazione è stato richiamato da questa Corte in ipotesi particolari, e principalmente in presenza di materie di diversa attribuzione inestricabilmente “commiste” senza possibilità di rinvenirne una prevalente (ex plurimis, sentenze n. 213 e n. 133 del 2006, n. 431, n. 231 n. 219 e n. 50 del 2005, n. 308 del 2003), ovvero nei casi di “attrazione in sussidiarietà” statale di funzioni pertinenti a materie di competenza regionale residuale o concorrente (sentenze n. 383 del 2005 e n. 303 del 2003); nei casi, dunque, di «concorrenza di competenze» (sentenza n. 219 del 2005) e non (come avviene nel caso di specie) di competenze chiaramente distinte.

3.4.– La Regione Veneto invoca, in particolare, a sostegno del proprio “diritto” a una determinazione amministrativa concertata del limite di spesa, l’art. 119, primo comma, e l’art. 117, quinto comma, Cost. Tali disposizioni, però, risultano inidonee allo scopo.

La prima, là dove prevede che «le Regioni […] concorrono ad assicurare l’osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea», fa riferimento alla partecipazione delle regioni alle politiche di contenimento della spesa in attuazione dei vincoli europei, non a una necessaria partecipazione delle regioni alle decisioni statali di coordinamento finanziario.

Quanto alla seconda, la Regione Veneto riconduce l’art. 1, comma 449, della legge n. 228 del 2012 al «Patto di stabilità imposto dalla Comunità europea» e afferma che l’art. 117, quinto comma, attribuisce alle regioni il potere «di partecipare alle decisioni dirette a dare attuazione ed esecuzione agli accordi presi in sede comunitaria dallo stato nazionale». Tuttavia, a parte la genericità del richiamo operato dalla ricorrente agli obblighi europei, è evidente che la norma costituzionale si riferisce alla partecipazione delle regioni «alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi comunitari» e riconosce alle regioni stesse il potere di attuare gli atti dell’Unione europea nelle materie di loro competenza. Non si vede, dunque, come l’art. 117, quinto comma, Cost. possa fondare la necessità costituzionale di un riparto concordato del limite di spesa.

4.– La seconda questione sollevata dalla Regione Puglia, avente ad oggetto l’art. 1, comma 497, della legge n. 147 del 2013, è inammissibile.

La Regione contesta la concreta determinazione della sua quota di spesa, per violazione dell’art. 3 Cost., in quanto la spesa pro capite ad essa concessa sarebbe largamente inferiore a quella di altre regioni.

La ricorrente argomenta in modo sufficiente la ridondanza di tale vizio sulle sue competenze costituzionali. Infatti, osserva che la quota di spesa individuata dall’impugnato art. 1, comma 497, «incide profondamente, senz’altro riducendoli, sugli spazi di autonomia che dovrebbero caratterizzare l’esercizio» delle funzioni regionali e, dunque, la violazione dell’art. 3 Cost. «si trasforma automaticamente in un grave vulnus a carico delle norme costituzionali che riconoscono tali funzioni, ossia agli artt. 117, terzo e quarto comma, e 118, primo e secondo comma, Cost., nonché alla relativa autonomia finanziaria garantita dall’art. 119 Cost.».

La questione, tuttavia, risulta inammissibile in quanto non adeguatamente argomentata sotto un altro profilo. La Regione contesta il carattere «discriminatorio» della norma impugnata valutando la quota di spesa ad essa riservata in proporzione alla popolazione ivi residente e osservando, sia nel ricorso che nella memoria integrativa, che tale «disparità di trattamento» non trova alcuna ragionevole giustificazione. Il riferimento al criterio della ripartizione della spesa sulla base della popolazione residente, tuttavia, non è sorretto da alcuna indicazione di elementi o ragioni per i quali si dovrebbe ritenere che quello sia il criterio utilizzato dal legislatore né del resto la stessa ricorrente considera altri aspetti della scelta operata dallo stesso legislatore, che potrebbero giustificare l’attribuzione di una disponibilità di spesa pro capite differenziata tra le diverse regioni. Ad esempio, lo stesso art. 1, comma 449, della legge n. 228 del 2012 prevede, nell’ultimo periodo, per il caso di mancata deliberazione della Conferenza Stato-regioni, un criterio diverso da quello della popolazione residente al fine del riparto tra le regioni dell’obiettivo complessivo di spesa.

L’argomentazione contenuta nel ricorso, dunque, risulta insufficiente perché afferma la violazione dell’art. 3 Cost. su una base del tutto ipotetica.

5.– La seconda questione sollevata dalla Regione Veneto è infondata.

La Regione contesta un vizio procedurale delle norme legislative impugnate, attinente al fatto che esse sono state adottate previo parere della Conferenza unificata anziché previa intesa con essa, ai sensi dell’art. 9, comma 2, lettera c) del d.lgs. n. 281 del 1997. Il riferimento a quest’ultima disposizione è inconferente, dato che il coinvolgimento delle regioni e degli enti locali nel procedimento di formazione della legge di stabilità è espressamente regolato dall’art. 9, comma 2, lettera a), numero 1). In ogni caso, la giurisprudenza costituzionale è costante nel ritenere che «l’esercizio dell’attività legislativa sfugge alle procedure di leale collaborazione» (sentenze n. 112 del 2010, n. 249 del 2009, n. 159 del 2008). Meccanismi cooperativi potrebbero applicarsi ai procedimenti legislativi solo in quanto la loro osservanza fosse prevista da una fonte costituzionale, in grado di vincolare il legislatore statale, evenienza che qui certamente non ricorre.

6.– La terza e la quarta questione sollevate dalla Regione Veneto sono inammissibili.

Infatti, esse sono state svolte solo nel ricorso introduttivo senza che a loro sostegno sussista la volontà della Giunta di promuoverle, in quanto la delibera con la quale l’organo esecutivo della Regione ha disposto la proposizione del ricorso non fa cenno alle questioni stesse (ex plurimis, sentenze n. 309 e n. 220 del 2013, n. 27 del 2008 e n. 275 del 2007).

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riservata a separate pronunce la decisione delle ulteriori questioni promosse dalla Regione Veneto con il ricorso in epigrafe;

riuniti i giudizi,

1) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 496, lettere b) e c), e 497, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale – Legge di stabilità 2014), promossa, in riferimento agli artt. 117, terzo e quarto comma, 118, primo e secondo comma, 119, primo comma, della Costituzione, nonché al principio di leale collaborazione, dalla Regione Puglia con il ricorso indicato in epigrafe;

2) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 497, della legge n. 147 del 2013, promossa, in riferimento all’art. 3 Cost., nonché ai principi di razionalità e ragionevolezza e agli artt. 117, terzo e quarto comma, 118, primo e secondo comma, e 119, primo e quinto comma, Cost., dalla Regione Puglia con il ricorso indicato in epigrafe;

3) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 496, lettere b) e c), e 497, della legge n. 147 del 2013, promossa, in riferimento agli artt. 117, quinto comma, 119, primo comma, e al principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 Cost., dalla Regione Veneto con il ricorso indicato in epigrafe;

4) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 496, lettere b) e c), e 497, della legge n. 147 del 2013, promossa, in riferimento all’art. 119, primo comma, e all’art. 117, quinto comma, Cost., dalla Regione Veneto con il ricorso indicato in epigrafe;

5) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 496, lettere b) e c), e 497, della legge n. 147 del 2013, promossa, in riferimento all’art. 117, terzo e quarto comma, e all’art. 119, primo comma, Cost., dalla Regione Veneto con il ricorso indicato in epigrafe;

6) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 496, lettere b) e c), e 497, della legge n. 147 del 2013, promossa, in riferimento al principio di ragionevolezza, dalla Regione Veneto con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 novembre 2015.

F.to:

Alessandro CRISCUOLO, Presidente

Daria de PRETIS, Redattore

Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 3 dicembre 2015.