Sentenza n. 197 del 2015

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SENTENZA N. 197

ANNO 2015

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Alessandro                 CRISCUOLO                                   Presidente

-           Giuseppe                    FRIGO                                                Giudice

-           Paolo                          GROSSI                                                    ”

-           Giorgio                       LATTANZI                                               ”

-           Aldo                           CAROSI                                                    ”

-           Marta                          CARTABIA                                              ”

-           Mario Rosario             MORELLI                                                 ”

-           Giancarlo                    CORAGGIO                                             ”

-           Giuliano                      AMATO                                                    ”

-           Silvana                        SCIARRA                                                 ”

-           Daria                           de PRETIS                                                ”

-           Nicolò                         ZANON                                                    ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 1 e 2, della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 9 marzo 2012, n. 3 (Norme urgenti in materia di autonomie locali), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 14-17 maggio 2012, depositato in cancelleria il 21 maggio 2012 ed iscritto al n. 78 del registro ricorsi 2012.

Visto l’atto di costituzione della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia;

udito nell’udienza pubblica del 22 settembre 2015 il Giudice relatore Nicolò Zanon;

uditi l’avvocato dello Stato Paolo Gentili per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Giandomenico Falcon per la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso spedito per la notifica il 14 maggio 2012 e depositato nella cancelleria di questa Corte il successivo 21 maggio 2012 (reg. ric. n. 78 del 2012), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, in riferimento all’art. 117, terzo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 1 e 2, della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 9 marzo 2012, n. 3 (Norme urgenti in materia di autonomie locali).

La disposizione impugnata interviene in materia di autonomie locali, dettando norme sulla competenza della Regione a proposito di legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali degli enti locali. Essa stabilisce, al comma 1, che in conformità all’art. 4, primo comma, numero 1-bis), della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia), e agli artt. 2 e 8 del decreto legislativo 2 gennaio 1997, n. 9 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Friuli-Venezia Giulia in materia di ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni), al fine di valorizzare gli strumenti di autonomia normativa e le forme di rappresentanza delle comunità locali, perseguendo il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nella Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia si applica – nelle more dell’attuazione della riforma dell’ente Provincia nell’ambito dell’ordinamento costituzionale – la legislazione regionale in materia elettorale, sugli organi di governo e sulle funzioni fondamentali dei Comuni, delle Province e delle Città metropolitane. Al comma 2, aggiunge che, fino al recepimento nell’ordinamento regionale della riforma costituzionale appena ricordata, sono confermate le vigenti modalità di elezione, la formazione e la composizione degli organi di governo dei Comuni e delle Province del Friuli-Venezia Giulia, nonché le funzioni comunali e provinciali e le relative modalità di esercizio.

1.1.– Ad avviso del ricorrente, le norme impugnate, disponendo, «nelle more dell’attuazione della riforma dell’ente Provincia», l’applicazione della legislazione regionale in materia elettorale, nonché di organi di governo e funzioni fondamentali dei Comuni, delle Province e delle Città metropolitane, e confermando le vigenti modalità di elezione, formazione e composizione degli organi di governo e la legislazione in materia di funzioni comunali e provinciali, si porrebbero in contrasto con i principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica posti dall’art. 23, commi da 16 a 20-bis, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214, violando conseguentemente l’art. 117, terzo comma, Cost.

Osserva infatti l’Avvocatura generale dello Stato che il richiamato art. 23 del d.l. n. 201 del 2011, come convertito, dispone, tra l’altro, la riduzione dei costi di finanziamento delle Province, fissando limiti al numero dei consiglieri provinciali (comma 16), disciplinando le modalità di elezione degli organi con rinvio alla legge statale (commi 16 e 17). La stessa norma prevedeva che, per gli organi provinciali da rinnovare entro il 31 dicembre 2012, si procedesse, in attesa della legislazione statale sulle relative modalità di elezione, alla nomina di un commissario straordinario in applicazione dell’art. 141 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), disponendo, nel contempo, una proroga degli organi provinciali da rinnovare in data successiva al 31 dicembre 2012. Il comma 20-bis del richiamato art. 23 prevede, infine, che le Regioni a statuto speciale adeguassero i propri ordinamenti alle disposizioni summenzionate entro sei mesi dall’entrata in vigore del decreto-legge in questione.

Da ciò – ad avviso del ricorrente – seguirebbe che, nel configurare la trasformazione delle amministrazioni provinciali in enti di secondo livello, l’art. 23 del d.l. n. 201 del 2011, come convertito, avrebbe dettato norme di principio di coordinamento della finanza pubblica, applicabili sull’intero territorio nazionale «nell’ottica di una diversa organizzazione degli enti locali connessa alla riduzione della spesa pubblica», rispetto alle quali le disposizioni impugnate si porrebbero in insanabile contrasto.

Al riguardo, l’Avvocatura generale dello Stato richiama la giurisprudenza della Corte costituzionale che ha costantemente affermato l’estensione dei principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica anche alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome (sono menzionate le sentenze n. 289 e n. 190 del 2008 e n. 169 e n. 82 del 2007).

1.2.– In particolare, secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, il censurato comma 1 dell’art. 1 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 3 del 2012, prevedendo, nelle more dell’attuazione della riforma dell’ente Provincia, l’applicazione della legislazione regionale in materia elettorale, nonché sugli organi di governo e sulle funzioni fondamentali degli enti locali, detterebbe modalità di elezione e di composizione degli organi provinciali difformi da quelle dell’art. 23, commi 16 e 17, del d.l. n. 201 del 2011, come convertito, i quali prevedono rispettivamente che il consiglio provinciale sia «composto da non più di dieci componenti eletti dagli organi elettivi dei Comuni ricadenti nel territorio della Provincia» e che il Presidente della Provincia sia «eletto dal Consiglio provinciale tra i suoi componenti secondo le modalità stabilite dalla legge statale».

1.3.– È impugnato anche il comma 2 dell’art. 1 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 3 del 2012, il quale, confermando le vigenti modalità di elezione, la formazione e la composizione degli organi di governo degli enti locali, nonché le funzioni comunali e provinciali e le relative modalità di esercizio, determinerebbe una proroga a tempo indeterminato della vigente disciplina regionale organizzativa delle Province, ponendosi in tal modo in contrasto con l’art. 23, comma 20, del citato d.l. n. 201 del 2011, che dispone, da un lato, il commissariamento delle Province i cui organi devono essere rinnovati entro il 31 dicembre 2012 (data entro la quale avrebbe dovuto intervenire la nuova legge elettorale), e, dall’altro, la proroga per i soli organi provinciali che devono essere rinnovati in data successiva al 31 dicembre 2012.

Ne conseguirebbe che, pur avendo la Regione competenza legislativa esclusiva in materia di ordinamento degli enti locali, le disposizioni censurate si porrebbero in contrasto con quelle contenute nell’art. 23 del decreto-legge più volte evocato, considerate come norme-parametro interposte, le quali, contenendo scelte sulla composizione degli organi di governo della Provincia e limitando il numero dei consiglieri provinciali, costituirebbero principi di coordinamento della finanza pubblica. Al riguardo, è richiamata la giurisprudenza costituzionale che ha affermato la legittimità degli interventi del legislatore statale volti a imporre vincoli puntuali alle politiche di bilancio delle Regioni, al fine di assicurare l’equilibrio unitario della finanza pubblica complessiva (sentenze n. 284 e n. 237 del 2009).

Nel rassegnare le proprie conclusioni, la difesa statale asserisce che le norme impugnate, determinando l’«avocazione integrale alla legislazione regionale della materia della riorganizzazione delle Province», esorbiterebbero dalla competenza in materia di «ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni» attribuita alla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia dai già ricordati art. 4, numero 1-bis), dello statuto speciale e artt. 2 e 8 delle relative norme di attuazione in materia di ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni.

2.– Con atto depositato nella cancelleria di questa Corte il 22 giugno 2012, si è costituta nel presente giudizio la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile o infondato.

3.– Con memoria del 24 aprile 2014, depositata nella cancelleria di questa Corte il successivo 28 aprile, la resistente Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia ha preliminarmente eccepito la «radicale inammissibilità» del ricorso, atteso che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 220 del 2013, ha dichiarato, tra l’altro, l’illegittimità costituzionale «dell’art. 23, commi 14, 15, 16, 17, 18, 19 e 20, del d.l. n. 201 del 2011», nonché, in via consequenziale, «dell’art. 23, comma 20-bis, del d.l. n. 201 del 2011», vale a dire di tutte le disposizioni evocate a parametro interposto nel presente giudizio.

3.1.– Stante l’effetto retroattivo della richiamata sentenza n. 220 del 2013 in relazione alle questioni che non risultino ancora giuridicamente concluse, conseguirebbe, ad avviso della resistente, che l’impugnazione proposta dal Presidente del Consiglio dei ministri risulterebbe priva di alcun parametro sulla cui base effettuare una valutazione di legittimità costituzionale.

Al conseguente esito di inammissibilità del presente giudizio non osterebbe – sempre secondo la Regione autonoma – la circostanza che, con la legge 7 aprile 2014, n. 56 (Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni), è stata introdotta una disciplina ispirata ai medesimi principi organizzativi che già caratterizzavano le disposizioni del d.l. n. 201 del 2011, considerate parametro interposto nel ricorso statale.

Infatti, anche a prescindere da ogni valutazione sull’effettiva corrispondenza tra le disposizioni sopravvenute e quelle originariamente  evocate a parametro, sarebbe decisiva la considerazione che «non vi può essere continuità alcuna tra una disposizione dichiarata costituzionalmente illegittima (sia pure per una ragione attinente alla non utilizzabilità della fonte normativa mediante la quale le norme erano state disposte) ed una seguente disposizione, che pure in ipotesi ne riproducesse il contenuto, utilizzando altra fonte». Al riguardo, è richiamata la sentenza n. 167 del 2004 della Corte costituzionale, con la quale è stata dichiarata inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, commi 1 e 2, 2 e 3 della legge della Regione Emilia-Romagna 25 novembre 2002, n. 30 (Norme concernenti la localizzazione degli impianti fissi per l’emittenza radio e televisiva e di impianti per la telefonia mobile), promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., e in relazione agli artt. 3, commi 1 e 2, e 5, del decreto legislativo 4 settembre 2002, n. 198 (Disposizioni volte ad accelerare la realizzazione delle infrastrutture di telecomunicazioni strategiche per la modernizzazione e lo sviluppo del Paese, a norma dell’articolo 1, comma 2, della legge 21 dicembre 2001, n. 443), per sopravvenuta declaratoria di illegittimità costituzionale delle disposizioni contenute nel decreto legislativo evocato a parametro interposto in quel giudizio.

Ad avviso della resistente, una ipotetica trasposizione del parametro interposto violerebbe altresì il diritto di difesa della Regione.

3.2.– Nel merito, secondo la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, il ricorso sarebbe comunque infondato, non essendo la Regione tenuta in alcun modo ad adeguarsi a norme dichiarate costituzionalmente illegittime.

4.– Nell’imminenza dell’udienza pubblica del 20 maggio 2014, il Presidente del Consiglio dei ministri ha presentato istanza di rinvio della trattazione del ricorso, al fine di valutare la permanenza del proprio interesse alla relativa definizione.

Tale istanza, con l’accordo della Regione autonoma, è stata accolta ed il giudizio, di conseguenza, è stato rinviato a nuovo ruolo.

5.– In prossimità della successiva udienza pubblica, fissata per il 22 settembre 2015, la difesa della Regione ha depositato una memoria, in data 31 agosto 2015, insistendo affinché il ricorso sia dichiarato inammissibile, o comunque, nel merito, infondato.

Oltre a confermare quanto già esposto nel precedente atto, la difesa regionale sottolinea che la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, in seguito all’instaurazione del giudizio, ha disciplinato la materia delle elezioni degli organi delle Province con la legge regionale 14 febbraio 2014, n. 2 (Disciplina delle elezioni provinciali e modifica all’articolo 4 della legge regionale 3/2012 concernente le centrali di committenza), in corrispondenza con quanto poi previsto dall’art. 1, commi 54 e seguenti, della legge statale n. 56 del 2014. La Regione avrebbe, dunque, anticipato la conformazione dell’ordinamento regionale ai principi della legge da ultimo menzionata, che, per altro, concedeva alle Regioni, per l’adeguamento, dodici mesi dalla data della sua entrata in vigore. Tale circostanza – ad avviso della difesa regionale – rafforzerebbe l’impossibilità di utilizzare i principi della legge n. 56 del 2014 quale parametro interposto di legittimità, in sostituzione di quelli espressi nella normativa dichiarata costituzionalmente illegittima con la sentenza n. 220 del 2013.

Osserva, infine, la difesa regionale, ancora a sostegno della declaratoria di inammissibilità del ricorso, che la sentenza citata da ultimo ha dichiarato, in via consequenziale, l’illegittimità costituzionale del comma 20-bis dell’art. 23 del d.l. n. 201 del 2011, come convertito, con la specifica motivazione che esso poneva «un obbligo di adeguamento degli ordinamenti delle Regioni speciali a norme incompatibili con la Costituzione»: venuto meno tale obbligo, non vi sarebbe parametro interposto idoneo a giustificare la declaratoria di incostituzionalità delle disposizioni impugnate, le quali avrebbero semplicemente disposto che le elezioni regionali si svolgessero, nel periodo della sua vigenza, nel solo modo costituzionalmente legittimo, proprio alla luce della decisione sopra citata.

6.– All’udienza pubblica del 22 settembre 2015 l’Avvocatura generale dello Stato, a nome del Presidente del Consiglio dei ministri, ha confermato la permanenza del proprio interesse alla trattazione del ricorso. La Regione autonoma Friuli Venezia-Giulia ha ribadito le argomentazioni contenute negli scritti difensivi.

Considerato in diritto

1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso questione di legittimità costituzionale, in via principale, dell’art. 1, commi 1 e 2, della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 9 marzo 2012, n. 3 (Norme urgenti in materia di autonomie locali), denunciandone il contrasto con i principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica posti dall’art. 23, commi da 16 a 20-bis, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214, e, conseguentemente, con l’art. 117, terzo comma, della Costituzione.

La disposizione impugnata interviene in materia di autonomie locali, dettando norme sulla competenza della Regione a proposito di legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali degli enti locali. Al comma 1, essa stabilisce che – in conformità all’art. 4, primo comma, numero 1-bis) della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia), e agli artt. 2 e 8 del decreto legislativo 2 gennaio 1997, n. 9 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Friuli-Venezia Giulia in materia di ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni), al fine di valorizzare gli strumenti di autonomia normativa e le forme di rappresentanza delle comunità locali, perseguendo il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica – nella Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia si applica, nelle more dell’attuazione della riforma dell’ente Provincia nell’ambito dell’ordinamento costituzionale, la legislazione regionale in materia elettorale, sugli organi di governo e sulle funzioni fondamentali dei Comuni, delle Province e delle Città metropolitane. Al comma 2, aggiunge che, fino al recepimento nell’ordinamento regionale della riforma costituzionale appena ricordata, sono confermate le vigenti modalità di elezione, la formazione e la composizione degli organi di governo dei Comuni e delle Province del Friuli-Venezia Giulia, nonché le funzioni comunali e provinciali e le relative modalità di esercizio.

Attraverso questa disciplina, e in particolare confermando – «nelle more della attuazione della riforma dell’ente Provincia» – l’applicabilità sul territorio regionale delle vigenti modalità di elezione, formazione e composizione degli organi di governo e della legislazione in materia di funzioni comunali e provinciali, la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia avrebbe dettato modalità di elezione e di composizione degli organi provinciali difformi da quelle dell’art. 23, commi 16 e 17, del d.l. n. 201 del 2011, come convertito, i quali prevedevano rispettivamente che il consiglio provinciale fosse «composto da non più di dieci componenti eletti dagli organi elettivi dei Comuni ricadenti nel territorio della Provincia» e che il Presidente della Provincia fosse «eletto dal Consiglio provinciale tra i suoi componenti secondo le modalità stabilite dalla legge statale». A tali disposizioni avrebbe invece dovuto conformarsi anche la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, in quanto il comma 20-bis del richiamato art. 23 prevedeva che le Regioni a statuto speciale adeguassero i propri ordinamenti alle disposizioni summenzionate entro sei mesi dall’entrata in vigore del decreto stesso.

In relazione al comma 2 dell’art. 1 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 3 del 2012, il ricorrente ha assunto che tale disposizione, determinando una proroga a tempo indeterminato della vigente disciplina regionale, si poneva in contrasto con l’art. 23, comma 20, del d.l. n. 201 del 2011, come convertito, che disponeva, da un lato, il commissariamento delle Province i cui organi avrebbero dovuto essere rinnovati entro il 31 dicembre 2012 (data entro la quale avrebbe dovuto essere approvata la nuova legge elettorale), e, dall’altro, prevedeva una proroga per i soli organi provinciali che avrebbero dovuto essere rinnovati in data successiva al 31 dicembre 2012.

2.– La questione è inammissibile.

2.1.– La sentenza n. 220 del 2013 di questa Corte ha dichiarato costituzionalmente illegittimi, per violazione dell’art. 77 Cost., i commi da 14 a 20 dell’art. 23 del d.l. n. 201 del 2011, come convertito.

In tale sentenza, in estrema sintesi, questa Corte ha rilevato come le norme citate apportassero radicali modifiche alla disciplina in tema di funzioni delle Province, limitandole al solo indirizzo e coordinamento delle attività dei Comuni, e in tema di organi provinciali, eliminando la Giunta, prevedendo che il Consiglio sia composto da non più di dieci membri eletti dagli organi elettivi dei Comuni e disponendo che il Presidente della Provincia sia eletto dal Consiglio provinciale. E ha osservato che una riforma così ampia di una parte del sistema delle autonomie locali, destinata a ripercuotersi sull’intero assetto degli enti esponenziali delle comunità territoriali, riconosciuti e garantiti dalla Costituzione, risulta incompatibile, logicamente e giuridicamente, con lo strumento della decretazione d’urgenza.

In via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), la sentenza ricordata ha dichiarato costituzionalmente illegittimo anche l’art. 23, comma 20-bis, del citato d.l. n. 201 del 2011, che obbligava le Regioni speciali ad adeguare i propri ordinamenti alle disposizioni di cui ai precedenti commi da 14 a 20, nei sei mesi successivi alla data di entrata in vigore del suddetto decreto-legge.

La sentenza n. 220 del 2013 ha pertanto dichiarato costituzionalmente illegittime tutte le disposizioni evocate a parametro interposto – contenenti, nella prospettiva del ricorrente, principi di coordinamento della finanza pubblica – la cui asserita lesione, da parte delle disposizioni regionali impugnate, avrebbe infine comportato la violazione dell’art. 117, comma terzo, Cost.

2.2.– All’udienza pubblica del 22 settembre 2015 l’Avvocatura generale dello Stato, pur affermando la permanenza dell’interesse alla decisione del ricorso, non ha fornito alcun argomento utile a contrastare le allegazioni della Regione resistente.

Quest’ultima ha correttamente rilevato che, in virtù dell’effetto retroattivo della richiamata sentenza n. 220 del 2013 in relazione alle questioni ancora pendenti, l’impugnazione proposta dal Presidente del Consiglio dei ministri risulta inammissibile, perché priva di alcun parametro sulla cui base effettuare una valutazione di legittimità costituzionale.

L’esito conseguente di inammissibilità della questione, in particolare, non è impedito dalla circostanza che, con la legge 7 aprile 2014, n. 56 (Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni), è stata introdotta una disciplina ispirata a principi organizzativi che potrebbero essere ritenuti analoghi a quelli che già caratterizzavano le disposizioni del d.l. n. 201 del 2011, come convertito, elevate a parametro interposto nel ricorso statale. A prescindere da qualunque indagine sull’effettiva corrispondenza tra le disposizioni sopravvenute e quelle originariamente indicate quali norme interposte, nessuna continuità normativa può sussistere tra le disposizioni del d.l. n. 201 del 2011 dichiarate costituzionalmente illegittime e quelle successive della legge n. 56 del 2014, poiché la declaratoria di illegittimità costituzionale delle prime ne ha comportato la rimozione con effetto ex tunc.

Neppure ipotizzabile è perciò un eventuale utilizzo delle disposizioni di cui alla legge n. 56 del 2014 quali norme parametro sopravvenute: utilizzo, peraltro, nemmeno prospettato dall’Avvocatura generale dello Stato, e del resto possibile, secondo la giurisprudenza di questa Corte, unicamente laddove le disposizioni di principio evocate a parametro interposto siano state abrogate, nel corso del giudizio, e quindi trasfuse, in pendenza di questo, con contenuto sostanzialmente inalterato, in un successivo atto normativo (sentenze n. 34 del 2012, n. 12 del 2007 e n. 274 del 2003).

Nel presente caso, invece, la dichiarata illegittimità costituzionale delle disposizioni del d.l. n. 201 del 2011, come convertito, la cui violazione ridonderebbe, secondo il ricorrente, in lesione dell’art. 117, terzo comma, Cost., ha inciso radicalmente sui termini della questione proposta, privandola di uno dei suoi requisiti essenziali, così da renderla inammissibile (negli identici termini, sentenza n. 167 del 2004).

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 1 e 2, della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 9 marzo 2012, n. 3 (Norme urgenti in materia di autonomie locali), promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all’art. 117, terzo comma, della Costituzione e in relazione all’art. 23, commi da 16 a 20-bis, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214, con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 settembre 2015.

F.to:

Alessandro CRISCUOLO, Presidente

Nicolò ZANON, Redattore

Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 9 ottobre 2015.