Ordinanza n. 136 del 2015

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ORDINANZA N. 136

ANNO 2015

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-    Marta                     CARTABIA                                       Presidente

--  Giuseppe                FRIGO                                                  Giudice

-    Paolo                      GROSSI                                                     ”

-    Giorgio                   LATTANZI                                                ”

-    Aldo                       CAROSI                                                     ”

-    Mario Rosario        MORELLI                                                  ”

-    Giancarlo               CORAGGIO                                              ”

-    Giuliano                 AMATO                                                     ”

-    Silvana                   SCIARRA                                                  ”

-    Daria                      de PRETIS                                                 ”

-    Nicolò                    ZANON                                                     ”

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 23, comma 1, e 24, comma 1, della legge della Regione Lombardia 8 agosto 1998, n. 14 (Nuove norme per la disciplina della coltivazione di sostanze minerali di cava), promosso dal Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia nel procedimento vertente tra P.G. ed altro e la Provincia di Varese ed altri con ordinanza del 2 maggio 2014, iscritta al n. 147 del registro ordinanze 2014 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell’anno 2014.

Udito nella camera di consiglio del 10 giugno 2015 il Giudice relatore Paolo Grossi.

Ritenuto che il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, con ordinanza del 2 maggio 2014, ha sollevato, in riferimento agli artt. 42, terzo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, questione di legittimità costituzionale degli artt. 23, comma 1, e 24, comma 1, della legge della Regione Lombardia 8 agosto 1998, n. 14 (Nuove norme per la disciplina della coltivazione di sostanze minerali di cava);

che il Tribunale rimettente espone di essere stato adìto per l’annullamento, «previa rimessione degli atti alla Corte costituzionale», del provvedimento con il quale il dirigente del settore Ecologia ed Energia della Provincia di Varese ha assegnato in concessione a terzi alcuni terreni di proprietà dei ricorrenti per la coltivazione di una cava, con la determinazione di un indennizzo annuale;

che, sviluppati analiticamente i motivi di censura prospettati dai ricorrenti circa l’illegittimità costituzionale di una serie di disposizioni della richiamata legge della Regione Lombardia n. 14 del 1998 e le repliche delle controparti, il TAR rappresenta, in punto di rilevanza, che le disposizioni censurate costituiscono il fondamento normativo del provvedimento impugnato, il quale andrebbe annullato se queste venissero dichiarate incostituzionali;

che l’art. 23, comma 1 – nel disporre, in caso di concessione del giacimento a terzi, che al titolare del diritto sul giacimento medesimo sia corrisposto, per il periodo di durata della concessione, un indennizzo annuo pari al 30 per cento del valore agricolo delle aree delimitate nel provvedimento di concessione, determinato ai sensi delle leggi statali – prevedrebbe un criterio di determinazione dell’indennizzo «astratto e predeterminato (quale quello del valore agricolo)», svincolato dall’effettivo valore di mercato dei suoli, tale da non garantire agli aventi diritto un indennizzo integrale o ragionevole, «in netto contrasto con l’art. 1, primo protocollo, allegato alla Convenzione CEDU», nell’interpretazione della Corte europea dei diritti dell’uomo e, così, in violazione dell’art. 117, primo comma, Cost.;

che sarebbe anche violato l’art. 42, terzo comma, Cost., in quanto si adotterebbe un criterio di indennizzo «simbolico ed irrisorio», tale da non rappresentare per il proprietario un «serio ristoro», tenuto conto della vocazione produttiva dell’area;

che di detta disposizione risulterebbe impossibile un’interpretazione «conforme alle statuizioni convenzionali»;

che, per «le medesime ragioni», e con riferimento ai medesimi parametri, sarebbe rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 24, comma 1, della legge regionale n. 14 del 1998, nella parte in cui dispone che il titolare del diritto sul giacimento, benché diffidato ai sensi dell’art. 22, comma 2, della stessa legge regionale, ove ritenga di non presentare domanda di autorizzazione alla coltivazione, possa far pervenire, a chi abbia presentato la richiesta di coltivazione del giacimento, una proposta irrevocabile di cessione temporanea del diritto di scavo, ad un compenso annuo pari al 30 per cento del valore agricolo delle aree interessate dal giacimento.

Considerato che il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia ha sollevato, in riferimento agli artt. 42, terzo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, questione di legittimità costituzionale degli artt. 23, comma 1, e 24, comma 1, della legge della Regione Lombardia 8 agosto 1998, n. 14 (Nuove norme per la disciplina della coltivazione di sostanze minerali di cava), nella parte in cui prevedono, rispettivamente, a proposito di coltivazione di sostanze minerali di cava, che in caso di concessione del giacimento a terzi, al titolare del diritto sul giacimento medesimo sia corrisposto, per il periodo di durata della concessione, un indennizzo annuo pari al 30 per cento del valore agricolo delle aree delimitate nel provvedimento di concessione, determinato ai sensi delle leggi statali; e, ancora, che il titolare del diritto sul giacimento, benché diffidato ai sensi dell’art. 22, comma 2, della stessa legge regionale, ove ritenga di non presentare domanda di autorizzazione alla coltivazione, possa far pervenire, a chi abbia presentato la richiesta di coltivazione del giacimento, una proposta irrevocabile di cessione temporanea del diritto di scavo, ad un compenso annuo pari al 30 per cento del valore agricolo delle aree interessate dal giacimento;

che, in particolare, l’art. 23, comma 1, stabilendo un criterio di determinazione dell’indennizzo «astratto e predeterminato», senza alcuna considerazione dell’effettivo valore di mercato dei suoli sulla base delle loro «caratteristiche essenziali» e della loro «possibile utilizzazione economica», assicurerebbe all’avente diritto un indennizzo «del tutto irragionevole, irrisorio e meramente simbolico»;

che, perciò, esso contrasterebbe con l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU, per come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, secondo la quale «una misura che costituisce un’ingerenza nel diritto al rispetto dei beni di una persona fisica o giuridica deve realizzare un “giusto equilibrio” tra le esigenze di interesse generale della comunità ed il principio della salvaguardia dei diritti e delle libertà fondamentali», «aggiungendo che, in caso di espropriazione isolata di un terreno, soltanto un indennizzo integrale può essere considerato ragionevole»;

che risulterebbe anche violato l’art. 42, terzo comma, Cost., per come costantemente interpretato da questa Corte, nel senso che l’indennità da corrispondere in ogni procedimento di tipo ablatorio deve comunque rappresentare un «serio ristoro» per l’interessato;

che la questione relativa all’art. 24, comma 1, risulta priva di adeguata motivazione sulla rilevanza, dal momento che questa disposizione, censurata «per le medesime ragioni» prospettate a proposito dell’art. 23, comma 1, riguarda, come si è ricordato, l’ipotesi della volontaria cessione temporanea del diritto di scavo da parte del titolare del diritto sul giacimento, diversa e alternativa rispetto a quella di cui al predetto art. 23, sulla cui base, invece, è stato adottato il provvedimento di concessione di cui si controverte nel giudizio a quo;

che, peraltro, il Tribunale rimettente – limitandosi a lamentare che il previsto criterio di indennizzo non consenta al titolare del diritto sul giacimento, gravato dell’onere della concessione a terzi, di ottenere, per il suo sacrificio, un «serio ristoro» o un corrispettivo «ragionevole» – formula un petitum privo di indicazioni di tipo emendativo, devolvendo a questa Corte il compito di prescegliere, fra le molteplici soluzioni astrattamente ipotizzabili, quella da adottare come risolutiva delle problematiche enunciate;

che tale indeterminatezza finisce per risolversi nella richiesta di una non consentita invasione della sfera della discrezionalità legislativa, in assenza di criteri univoci di commisurazione che rendano una specifica opzione come costituzionalmente imposta;

che, d’altra parte, il silenzio serbato sul punto dal Tribunale rimettente neppure può essere interpretato come richiesta di una pronuncia meramente caducatoria della intera disciplina censurata, dal momento che una simile soluzione risulterebbe, per un verso, incongrua rispetto al perseguito obiettivo dell’adeguamento dell’indennizzo e, per altro verso, comunque non satisfattiva della domanda formulata nel giudizio a quo, rivolta a censurare non già il procedimento relativo al rilascio della concessione, ma soltanto i previsti criteri di determinazione dell’ammontare dell’indennizzo;

che, pertanto, le questioni proposte devono essere dichiarate manifestamente inammissibili.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi avanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 23, comma 1, e 24, comma 1, della legge della Regione Lombardia 8 agosto 1998, n. 14 (Nuove norme per la disciplina della coltivazione di sostanze minerali di cava), sollevate, in riferimento agli artt. 42, terzo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, dal Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 giugno 2015.

F.to:

Marta CARTABIA, Presidente

Paolo GROSSI, Redattore

Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 7 luglio 2015.