Sentenza n. 131 del 2015

 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N. 131

ANNO 2015

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Marta                          CARTABIA                                      Presidente

-           Giuseppe                    FRIGO                                              Giudice

-           Paolo                           GROSSI                                                   ”

-           Giorgio                       LATTANZI                                               ”

-           Aldo                            CAROSI                                                   ”

-           Mario Rosario              MORELLI                                                ”

-           Giancarlo                     CORAGGIO                                            ”

-           Giuliano                       AMATO                                                   ”

-           Silvana                         SCIARRA                                                ”

-           Daria                            de PRETIS                                               ”

-      Nicolò                          ZANON                                                   ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 5, comma 2, 61, comma 1, alinea e lettera a), e 85, comma 1, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 9 agosto 2013, n. 98, promosso dalla Regione siciliana con ricorso notificato il 19 ottobre 2013, depositato in cancelleria il 25 ottobre 2013 ed iscritto al n. 97 del registro ricorsi 2013.

Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 27 maggio 2015 il Giudice relatore Marta Cartabia;

uditi l’avvocato Beatrice Fiandaca per la Regione siciliana e l’avvocato dello Stato Gianni De Bellis per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso notificato il 19 ottobre 2013 e depositato il successivo 25 ottobre (reg. ric. n. 97 del 2013), la Regione siciliana ha promosso questioni di legittimità costituzionale degli articoli 5, comma 2, 61, comma 1, alinea e lettera a), e 85, comma 1, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 9 agosto 2013, n. 98, per violazione degli artt. 36 e 37 dello Statuto della Regione siciliana (approvato con il regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455, convertito in legge costituzionale dalla legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2) e dell’art. 2 del decreto del Presidente della Repubblica 26 luglio 1965, n. 1074 (Norme di attuazione dello Statuto della Regione siciliana in materia finanziaria).

In particolare la ricorrente ha ritenuto illegittimi: «il comma 1, alinea e lettera a) dell’art. 61, ove applicabile ricomprendendo nell’aumento di gettito, derivante dalle misure previste dagli articoli 5, comma 1, e 55, da utilizzare a copertura degli oneri derivanti allo Stato per effetto delle disposizioni indicate nell’alinea, anche la parte relativa ai tributi riscossi in Sicilia»; «comma 2 dell’art. 5, ove applicabile ricomprendendo nelle maggiori entrate come ivi previste e destinate anche la parte relativa a tributi ricossi in Sicilia»; «le suindicate norme in combinato disposto ove, per effetto del medesimo, non risulti salvaguardata la spettanza alle Regione delle maggiori entrate riscosse nel suo territorio»; «l’art. 85, comma 1, ove applicabile ricomprendendo fino all’anno 2024 nella quota parte delle maggiori entrate derivanti dall’applicazione delle disposizioni di cui all’art. 28, commi 1, lettera a), e 2, della legge 12 novembre 2011, n.183 […] anche la parte di gettito riscossa in Sicilia».

1.1.– Si tratta delle maggiori entrate che derivano: dall’estensione della platea dei contribuenti soggetti alla cosiddetta “Robin Hood Tax” per effetto dell’abbassamento delle soglie di ricavi e di reddito imponibile previsti ai fini dell’assoggettamento all’addizionale sull’imposta sui redditi delle società (art. 5, comma 1); dall’esclusione del rimborso, mediante norma di interpretazione autentica, dell’imposta sul valore aggiunto assolta sulla cessione di beni o sulle prestazioni di servizi effettuate da terzi nei confronti di agenzie di viaggio stabilite fuori dell’Unione europea (art. 55, comma 1); dall’aumento del contributo unificato per i giudizi di impugnazione, nella misura del 50% per l’appello e del 100% per il ricorso in cassazione (art. 28, comma 1, lettera a), della legge 12 novembre 2011, n. 183, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2012»).

1.2.– Per le maggiori entrate relative alla cosiddetta “Robin Hood Tax” e alla norma di interpretazione autentica con la quale si è escluso il rimborso dell’imposta sul valore aggiunto, l’impugnato art. 61, comma 1, lettera a), stabilisce che esse siano utilizzate, per quota parte, a copertura degli oneri derivanti da varie iniziative comprese nel medesimo provvedimento e dirette al rilancio dell’economia.

Inoltre, limitatamente alle maggiori entrate relative alla cosiddetta “Robin Hood Tax”, il censurato art. 5, comma 2, stabilisce che esse siano parzialmente «destinate alla riduzione della componente A2 della tariffa elettrica deliberata dall’Autorità per l’energia elettrica e il gas sulla base delle modalità individuate con decreto adottato dal Ministro dell’economia e delle finanze di concerto con il Ministro dello sviluppo economico» entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore del medesimo decreto-legge.

Per le maggiori entrate relative, invece, all’aumento del contributo unificato per i giudizi di impugnazione, l’impugnato art. 85, comma 1, stabilisce che «quota parte» delle stesse siano utilizzate per la copertura delle spese relative ai giudici ausiliari di Corte di appello e al tirocinio formativo presso gli uffici giudiziari.

1.3 – La Regione lamenta che, ritenendo applicabili le disposizioni di cui sopra (artt. 5, comma 2, 61, comma 1, alinea e lettera a), e 85, comma 1) anche ai tributi riscossi in Sicilia, si violerebbe l’assetto finanziario stabilito dagli artt. 36 e 37 dello statuto – in base ai quali spettano alla Regione siciliana, oltre alle entrate tributarie da essa direttamente deliberate, tutte le entrate tributarie erariali riscosse nell’ambito del suo territorio, dirette o indirette, comunque denominate, ad eccezione di quelle espressamente riservate allo Stato – e dall’art. 2 del d.P.R. n. 1074 del 1965, ai sensi del quale possono essere destinate allo Stato le nuove entrate tributarie il cui gettito sia destinato, alla copertura di oneri diretti a soddisfare particolari finalità contingenti o continuative dello Stato, specificate nelle apposite leggi che prevedano tale destinazione.

In ordine all’applicazione della disciplina finanziaria di cui sopra, viene richiamata la sentenza n. 348 del 2000 di questa Corte, secondo cui la riserva allo Stato di nuove entrate tributarie rappresenta un meccanismo derogatorio rispetto al principio di attribuzione alla Regione siciliana dei tributi statali ivi riscossi: perché tale riserva sia legittima devono congiuntamente sussistere tutte le condizioni stabilite dal citato art. 2 del d.P.R. n. 1074 del 1965. Esse sono costituite, segnatamente, da: la natura tributaria dell’entrata, la novità della stessa e la destinazione del gettito a specificate finalità particolari dello Stato.

La ricorrente ritiene, peraltro, che dette condizioni non sussistano, difettando in particolare i requisiti della novità dell’entrata tributaria e della specificità della finalizzazione del gettito.

Per quanto riguarda le maggiori entrate relative alla cosiddetta “Robin Hood Tax”, infatti, le medesime non originerebbero né da tributi nuovi, né da aumento di aliquote di tributi esistenti, e neppure avrebbero ricevuto una specifica destinazione.

Analogamente non potrebbero ritenersi nuove le entrate derivanti dai mancati rimborsi dell’imposta sul valore aggiunto, in quanto relativi a una norma di interpretazione autentica, corrispondente a pronunciamenti comunitari in proposito, che avrebbe dovuto operare anche in precedenza.

Neppure nuova dovrebbe considerarsi l’entrata dovuta all’aumento del contributo unificato per i giudizi di impugnazione, in quanto l’aumento era già stato disposto con il precedente art. 28, comma 1, lettera a), della legge n. 183 del 2011, mentre il successivo art. 85, comma 1, del d.l. n. 69 del 2013, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 98 del 2013 – oggi impugnato – ha ora destinato senza limiti di tempo quota parte dell’aumento di gettito alla copertura delle spese per i giudici ausiliari e per il tirocinio formativo, sottraendo così alla Regione siciliana il maggiore gettito che le sarebbe spettato a partire dal periodo successivo a quello di cinque anni per il quale esso era già stato riservato allo Stato dall’art. 28, comma 2, della medesima legge n. 183 del 2011 e in tali limiti giudicato legittimo dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 265 del 2012.

D’altro canto, che le maggiori entrate portate dalle disposizioni di cui sopra siano riservate allo Stato anche per la parte riscossa in Sicilia, si desumerebbe, ad avviso della ricorrente, dalle procedure di calcolo impiegate per la stima delle maggiori entrate, quali evidenziate nella relazione tecnica, e che sembrano prendere a riferimento l’intero territorio nazionale e, quindi, anche quello della Regione siciliana.

2.– Con atto depositato il 28 novembre 2013, si è costituito nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o comunque infondata.

In particolare, la difesa dello Stato ha osservato che la questione dovrebbe essere considerata inammissibile per genericità della motivazione e «mancanza di autosufficienza», non avendo il ricorrente quantificato il pregiudizio lamentato e gli elementi finanziari e contabili di propria competenza che sarebbero stati lesi, non adempiendo così all’onere di allegazione del danno patito, che sarebbe richiesto in questi casi dalla giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 246 del 2012).

In ogni caso il ricorso sarebbe infondato, essendo state rispettate le disposizioni statutarie – e, segnatamente, quelle di cui all’art. 2 del d.P.R. n. 1074 del 1965, costituite dal carattere tributario dell’entrata, della sua novità e specifica destinazione a particolari finalità contingenti o continuative dello Stato – previste per la riserva del gettito allo Stato in deroga al principio generale dell’attribuzione alla Regione siciliana di quelle riscosse nel suo territorio.

Infatti, risultando pacifica la natura tributaria delle entrate in discussione, le stesse dovrebbero considerarsi «nuove» sulla base della giurisprudenza costituzionale – in particolare viene richiamata la sentenza n. 135 del 2012, che a sua volta cita la sentenza n. 198 del 1999 – in quanto per integrare tale requisito ciò che rileva è la novità del provento, intesa come «incremento di gettito» o «entrata aggiuntiva», e non la novità del tributo.

Proprio perché le modifiche normative introdotte producono nuovi proventi, le stesse costituirebbero nuove entrate tributarie che lo Stato può a sé riservare purché le destini a specificate finalità particolari dello Stato medesimo, che possono essere contingenti o continuative.

Simile destinazione sarebbe stata specificamente prevista nella specie, disponendosi che: le maggiori entrate relative alla cosiddetta “Robin Hood Tax” e al mancato rimborso dell’imposta sul valore aggiunto, siano utilizzate quota parte per la copertura degli oneri particolari e specifici, puntualmente indicati, quali quelli relativi alla previsione di contributi a tasso agevolato, alla proroga del credito d’imposta per il settore cinematografico, alla realizzazione del fascicolo sanitario elettronico e all’acquisto di mobili e arredi ad uso scolastico e per l’infanzia.

Pienamente legittime risulterebbero, pertanto, le impugnate disposizioni.

3.– In data 6 maggio 2015, la difesa dello Stato ha depositato memoria con la quale ha insistito per il rigetto del ricorso, rimarcando che sussistono nella specie i presupposti per la destinazione allo Stato di nuove entrate tributarie, mediante specifica finalizzazione a particolari finalità contingenti o continuative, anche sulla base dei principi ribaditi dalla giurisprudenza costituzionale successiva, con particolare riguardo a quelli affermati dalla sentenza n. 207 del 2014.

Considerato in diritto

1.– Con ricorso n. 97 del 2013, la Regione siciliana ha promosso questioni di legittimità costituzionale degli articoli 5, comma 2, 61, comma 1, alinea e lettera a), e 85, comma 1, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 9 agosto 2013, n. 98, per violazione degli artt. 36 e 37 dello Statuto della Regione siciliana (approvato con il regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455, convertito in legge costituzionale dalla legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2) e dell’art. 2 del decreto del Presidente della Repubblica 26 luglio 1965, n. 1074 (Norme di attuazione dello Statuto della Regione siciliana in materia finanziaria).

Si tratta di disposizioni che destinano al bilancio dello Stato le maggiori entrate derivanti da: l’abbassamento (stabilito dall’art. 5, comma 1, del medesimo decreto) della soglia di ricavi e di reddito previsti per l’assoggettamento all’«addizionale» sull’imposta sui redditi delle società di cui all’art. 81, comma 16, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 6 agosto 2008, n. 133; l’esclusione dal rimborso dell’imposta sul valore aggiunto assolta sulla cessione di beni e prestazioni di servizi effettuate da terzi nei confronti di agenzie di viaggio stabilite fuori dell’Unione europea, per effetto dell’interpretazione autentica dell’art. 74-ter, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 (Istituzione e disciplina dell’imposta sul valore aggiunto), operata dall’art. 55, comma 1, del medesimo d.l. n. 69 del 2013, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 98 del 2013; l’aumento del contributo unificato per i giudizi di impugnazione, nella misura del 50% per l’appello e del 100% per il ricorso in cassazione, stabilito dall’art. 28, comma 1, lettera a), della legge 12 novembre 2011, n. 183, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2012).

La Regione lamenta che, ritenendo applicabili le disposizioni di cui sopra anche ai tributi riscossi in Sicilia, si violerebbe l’assetto finanziario stabilito dagli artt. 36 e 37 dello statuto – in base ai quali spettano alla Regione siciliana, oltre alle entrate tributarie da essa direttamente deliberate, anche tutte le entrate tributarie erariali riscosse nell’ambito del suo territorio, dirette o indirette, comunque denominate, ad eccezione di quelle espressamente riservate allo Stato – e dall’art. 2 del d.P.R. n. 1074 del 1965, secondo cui possono essere destinate allo Stato le nuove entrate tributarie il cui gettito sia destinato, alla copertura di oneri diretti a soddisfare particolari finalità contingenti o continuative dello Stato, specificate nelle apposite leggi che prevedano tale destinazione.

2.– In via preliminare devono essere esaminate le eccezioni di inammissibilità prospettate dal Presidente del Consiglio dei ministri.

2.1.– Il resistente chiede, in primo luogo, che il ricorso sia dichiarato inammissibile per genericità e mancanza di «autosufficienza».

L’eccezione non è fondata.

Essa, infatti, non trova riscontro nella motivazione del ricorso presentato dalla Regione siciliana, dove sono state enunciate sia le disposizioni oggetto di censura, sia i parametri statutari che si ritengono violati e le ragioni della violazione, sostanzialmente riconnesse alla mancanza dei requisiti della novità dell’entrata tributaria e della specificità della finalizzazione delle entrate, che soli possono giustificarne la riserva allo Stato ai sensi delle disposizioni di attuazione finanziaria dello statuto regionale.

L’atto introduttivo del giudizio risulta, quindi, adeguatamente motivato, seppure succintamente, con argomentazioni specifiche e del tutto autosufficienti.

È pur vero, peraltro, che l’impugnazione regionale è stata proposta in riferimento alle disposizioni censurate «ove applicabil[i] ricomprendendo nelle maggiori entrate come ivi previste e destinate anche la parte relativa a tributi ricossi in Sicilia». Tuttavia, le questioni formulate sulla base di una delle possibili interpretazioni della disposizione impugnata – in questo caso il dubbio riguarda l’applicabilità o meno della disposizione censurata ai tributi riscossi nel territorio della Regione siciliana – sono già state ritenute ammissibili da questa Corte (da ultimo con la sentenza n. 207 del 2014).

Infatti, secondo il costante indirizzo della giurisprudenza costituzionale, il giudizio in via principale, a differenza del giudizio in via incidentale, può concernere questioni sollevate sulla base di interpretazioni prospettate dal ricorrente come possibili (sentenze n. 255 del 2013, n. 228 del 2003, n. 412 del 2001, n. 244 del 1997 e n. 242 del 1989) e sempre che, come in questo caso, sia raggiunta la «soglia minima di chiarezza e completezza» (sentenze n. 255 e n. 187 del 2013). Più precisamente, le interpretazioni prospettate dal ricorrente non devono essere implausibili o irragionevolmente scollegate dalle disposizioni impugnate, così da farle ritenere del tutto astratte o pretestuose (sentenze n. 228 del 2003, n. 412 del 2001, n. 244 del 1997 e n. 242 del 1989), ciò in quanto «il giudizio di legittimità costituzionale proposto in via principale non può essere azionato con la sola finalità di definire un mero contrasto sulla interpretazione della norma» (sentenza n. 412 del 2001).

Nella specie la ricorrente ha certamente prospettato una interpretazione non implausibile delle disposizioni impugnate, traendo argomenti circa l’applicabilità della disposizione oggetto di giudizio dalla mancanza di una clausola di salvaguardia e dalla relazione tecnica allegata al provvedimento, così da escludere che l’odierno giudizio principale sia stato azionato con la sola finalità di definire un contrasto interpretativo.

2.2.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha più specificamente chiesto che venga dichiarata l’inammissibilità del ricorso, in considerazione della «mancata quantificazione del pregiudizio lamentato, [de]i criteri utilizzati per la sua definizione e [del]le partite dei rispettivi bilanci finanziari dalle quali si ricavano le relative censure», avendo la ricorrente non adempiuto all’onere di quantificazione affermato, come incombente in questi casi sulla ricorrente, dalla sentenza n. 246 del 2012 della Corte costituzionale.

Anche questa eccezione non è fondata.

Il principio della necessaria allegazione del danno, affermato dalla sentenza n. 246 del 2012, vale solo quando la norma censurata dispone una minore entrata per la Regione e non anche quando, come nella specie, comporti l’esclusione dal beneficio del maggior gettito da essa stessa introdotto (sentenza n. 207 del 2014). Non è dunque richiesto che la Regione siciliana specifichi la quantificazione del minor gettito quando lamenta la violazione dei principi stabiliti nello statuto di autonomia e nelle relative norme di attuazione in merito alla riserva all’erario delle entrate ricosse sul territorio regionale.

2.3.– Ancora in punto di ammissibilità, va rilevato che, con la sentenza n. 10 del 2015, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’«addizionale» dell’imposta sui redditi delle società (IRES) prevista dall’art. 81, commi 16, 17 e 18, del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 133 del 2008, «e successive modificazioni».

Tra le «successive modificazioni» al citato art. 81, dichiarate illegittime, è compresa la disposizione dell’art. 5, comma 1, del d.l. n. 69 del 2013, convertito, con modificazioni dall’art. 1, comma 1, della legge n. 98 del 2013, che abbassa le soglie di ricavi e di reddito imponibile previsti ai fini dell’assoggettamento alla predetta «addizionale». Tali maggiori entrate rientrano tra quelle che gli impugnati artt. 5, comma 2, e 61, comma 1, alinea e lettera a), dello stesso decreto riservano allo Stato anche se riscosse nel territorio della Regione ricorrente.

Pur essendo stata dichiarata l’illegittimità costituzionale della disposizione che prevede la maggiore entrata, non può peraltro ritenersi che, nella specie, sia cessata la materia del contendere.

Infatti, la sentenza n. 10 del 2015 ha chiaramente ed espressamente stabilito che gli effetti della norma dichiarata illegittima cessino solo dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica (intervenuta l’11 febbraio 2015), sicché, per le ragioni specificate nella decisione medesima, la declaratoria di illegittimità costituzionale non produce gli effetti retroattivi previsti dall’art. 30 della legge n. 87 del 1953.

In conseguenza di tale regolazione degli effetti temporali della dichiarazione di illegittimità del citato art. 5, comma 1 – le cui maggiori entrate sono riservate allo Stato in forza delle impugnate disposizioni di cui agli artt. 5, comma 2, e 61, comma 1, alinea e lettera a) –, persiste l’interesse della Regione alla relativa impugnazione, in considerazione degli effetti, che si sono in tal modo consolidati, della norma a base degli atti impositivi pregressi e della conseguente legittima riscossione dei relativi tributi sino al giorno della pubblicazione della sentenza di questa Corte sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica.

3.– Nel merito deve osservarsi quanto segue.

3.1.– La Regione siciliana contesta la legittimità costituzionale delle impugnate disposizioni nella parte in cui destinano allo Stato le maggiori entrate tributarie, riscosse in Sicilia, in forza delle previsioni contenute negli impugnati artt. 5, comma 2, 61, comma 1, alinea e lettera a), e 85, comma 1.

In effetti, la mancanza di una clausola di salvaguardia che preveda l’inapplicabilità delle disposizioni in esame alle Regioni ad autonomia speciale, ove siano in contrasto con gli statuti e le relative norme di attuazione, e la circostanza che la relazione tecnica, nel quantificare ed esporre i dati contabili ed economici ricollegabili alle misure introdotte, prenda a riferimento le entrate riscosse in tutto il territorio nazionale, compreso quello della Regione interessata, portano a ritenere, come già si era accennato, che le disposizioni impugnate comprendano effettivamente anche le maggiori entrate derivanti dai tributi riscossi nella Regione siciliana.

3.2.– Occorre ancora rammentare che in ordine alla destinazione del gettito derivante dai tributi erariali riscossi nel territorio della Regione siciliana, sussistono ben precisi vincoli costituzionali, stabiliti dall’art. 36, primo comma, dello Statuto della Regione siciliana e dalle disposizioni di attuazione statutarie, contenute nell’art. 2, primo comma, del d.P.R. n. 1074 del 1965, secondo cui spettano alla Regione siciliana tutte le entrate tributarie erariali riscosse nell’ambito del suo territorio (ad eccezione di alcuni specifici tributi, tra i quali non rientrano quelli in discussione). Tuttavia è possibile per la legge statale prevedere diversamente, attribuendo allo Stato il gettito derivante da uno o più tributi, purché siano rispettate tutte le seguenti tre tassative condizioni: a) la natura tributaria dell’entrata; b) la novità di tale entrata; c) la sua destinazione «con apposite leggi alla copertura di oneri diretti a soddisfare particolari finalità contingenti o continuative dello Stato specificate nelle leggi medesime». L’art. 37 del citato statuto regionale precisa, poi, che spetta alla Regione anche la quota di tributo relativa ad impianti e stabilimenti con sede nel territorio regionale, anche se di imprese commerciali o industriali che hanno sede centrale al di fuori.

Questa Corte ha già avuto modo di precisare che i tributi istituiti e regolati da una legge dello Stato, ma il cui gettito è parzialmente destinato a un ente territoriale (nella specie la Regione siciliana), conservano inalterata la loro natura di tributi erariali (ex multis, sentenze n. 97 del 2013, n. 123 del 2010, n. 216 del 2009, n. 397 del 2005, n. 37 del 2004, n. 296 del 2003). Conseguentemente il legislatore statale può sempre modificarli, diminuirli o persino sopprimerli, senza che ciò comporti una violazione dell’autonomia finanziaria regionale, in quanto lo statuto di autonomia non assicura alla Regione siciliana una garanzia quantitativa di entrate, con il solo limite che la riduzione delle entrate non sia, però, di entità tale da rendere impossibile lo svolgimento delle funzioni regionali o da produrre uno squilibrio incompatibile con le esigenze complessive della spesa regionale (ex plurimis, sentenze n. 241 del 2012, n. 298 del 2009, n. 256 del 2007, n. 155 del 2006, n. 138 del 1999).

Tuttavia, quando, il legislatore statale intende destinare allo Stato tributi riscossi nel territorio della Regione siciliana, occorre che vengano rispettate le condizioni cui l’art. 2 del d.P.R. n. 1074 del 1965 subordina la deroga al principio generale (contenuto negli artt. 36 e 37 dello Statuto della Regione siciliana) della loro destinazione alla medesima Regione siciliana (ex plurimis sentenze n. 207 e n. 145 del 2014, n. 97 e n. 42 del 2013, n. 241, n. 143, n. 142, n. 135 e n. 99 del 2012). Ai fini dello scrutinio delle promosse questioni, è perciò necessario verificare, in relazione a ciascun tributo e a ciascuna norma impugnata, se la riserva allo Stato della maggiore entrata da essa prevista sia conforme alla normativa statutaria ed alle relative disposizioni di attuazione e, in particolare, se sia verificata la natura erariale del tributo, la novità dell’entrata e la specifica finalizzazione della stessa.

4.– La Regione siciliana contesta la legittimità costituzionale della destinazione allo Stato, in forza delle disposizioni di cui agli impugnati artt. 5, comma 2, e 61, comma 1, alinea e lettera a), delle maggiori entrate derivanti dall’aumento della platea dei contribuenti soggetti all’«addizionale» IRES, previsto dall’art. 5, comma 1, del d.l. n. 69 del 2013, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 98 del 2013.

La questione non è fondata.

Pacifica risulta la natura erariale del tributo, in quanto l’imposta sui redditi delle società rappresenta un tributo diretto, istituito con legge statale – configurante perciò un prelievo coattivo con riferimento a un presupposto economicamente rilevante, collegato ad una pubblica spesa – rispetto al quale la speciale «addizionale» in esame costituisce in realtà una maggiorazione d’aliquota dell’imposta applicabile al medesimo presupposto e al medesimo imponibile di quest’ultima, come recentemente riconosciuto da questa Corte (sentenza n. 10 del 2015).

Deve poi ritenersi sussistente anche la novità dell’entrata.

Invero, questa Corte ha già avuto modo di precisare (sentenza n. 49 del 1972 e, più recentemente, ex plurimis, sentenze n. 198 del 1999, n. 348 del 2000, n. 265, n. 241 e n. 143 del 2012, n. 145 del 2014) che la novità dell’entrata non equivale alla novità del tributo, ma sussiste ogni qual volta si verifichi un incremento di gettito dovuto ad una modifica normativa della struttura dell’imposta – e, quindi, del conseguente atto impositivo – che ben può riguardare, come nella specie, i volumi di ricavi o l’ammontare del reddito che determinano l’applicazione dell’aliquota maggiorata.

Nessun dubbio, infine, circa la specifica destinazione dell’aumento di gettito a particolari finalità contingenti o continuative dello Stato indicate nella legge medesima.

L’aumento del gettito in esame è, infatti, destinato in parte alla riduzione della componente A2 della tariffa elettrica deliberata dall’Autorità per l’energia elettrica e il gas e, in parte, alla copertura degli oneri derivanti dalle previsioni contenute negli artt. 2, comma 8, 11, 17, 18, comma 8-septies, 22, comma 3, 23, 32, comma 7-ter, 42-ter, 46, comma 1-bis, 46-bis e 56 dello stesso decreto, e cioè degli oneri relativi alla previsione di contributi a tasso agevolato, alla proroga del credito d’imposta per il settore cinematografico, alla realizzazione del fascicolo sanitario elettronico, all’acquisto di mobili e arredi ad uso scolastico e per l’infanzia, alle spese per la sicurezza degli ambiti portuali, alle spese per il rilancio della nautica da diporto e del turismo nautico, al pagamento dei contribuiti previdenziali in misura ridotta per le cooperative non operanti in zone svantaggiate, agli accertamenti sugli affetti da sindrome di Down, alla promozione della Expo Milano 2015, alla proroga del termine di versamento delle imposte sulle transazioni finanziarie.

Risultano pertanto integrate tutte le condizioni che giustificano la deroga al principio della destinazione alla Regione siciliana dei tributi erariali riscossi nel suo territorio.

5.– La Regione siciliana contesta la legittimità costituzionale della destinazione allo Stato, in forza della disposizione di cui all’impugnato art. 85, comma 1, delle maggiori entrate derivanti dall’aumento del contributo unificato per i giudizi di impugnazione previsto dall’art. 28, comma 1, lettera a), della legge n. 183 del 2011.

Quest’ultima norma aveva già previsto la destinazione allo Stato delle entrate in esame, riscosse sul territorio della Regione siciliana, per la durata di cinque anni ed era già stata giudicata non illegittima dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 265 del 2012, che aveva verificato la natura erariale del tributo, la novità dell’entrata e la specifica finalizzazione della stessa.

La disposizione oggi impugnata (art. 85, comma 1, del d.l. n. 69 del 2013, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 98 del 2013), si è limitata ad estendere temporalmente la destinazione di tale nuova maggiore entrata a copertura delle spese per i giudici ausiliari e per il tirocinio formativo.

Continuano, quindi, ad essere rispettate tutte le condizioni previste dalle disposizioni di attuazione ex art. 2 del d.P.R. n. 1074 del 1965 e in particolare la specificità della finalizzazione come stabilita dalla disposizione impugnata. Del resto, né lo statuto della Regione siciliana, né le relative disposizioni di attuazione richiedono in alcun modo – come accade, invece, in altri Statuti regionali – che la destinazione allo Stato della maggiore entrata debba essere temporalmente limitata; tanto meno esse vietano al legislatore statale di protrarre nel tempo la destinazione di nuove entrate al soddisfacimento di esigenze, che da contingenti possono divenire continuative, sempre che ciò avvenga nel rispetto, come avvenuto nella specie, di tutte le condizioni previste dal richiamato art. 2 del d.P.R. n. 1074 del 1965 e, in particolare, della specificità della finalizzazione.

Devono, dunque, considerarsi integrate anche in questo caso tutte le condizioni che giustificano la deroga al principio della destinazione alla Regione siciliana dei tributi erariali riscossi nel suo territorio.

6.– La Regione siciliana contesta la legittimità costituzionale dell’impugnato art. 61, comma 1, alinea e lettera a) anche nella parte in cui destina allo Stato le maggiori entrate derivanti dalla norma di interpretazione autentica di cui all’art. 55, comma 1, del medesimo decreto-legge.

La questione è fondata, nei limiti di seguito precisati.

Manca invero nella specie il carattere di novità del provento. Infatti, l’atto impositivo connesso all’interpretazione dell’art. 74-ter, comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972 – interpretazione ora divenuta obbligatoria, in forza dell’art. 55, comma 1, del decreto impugnato – era ab origine non solo plausibile, ma anche probabile e concretamente praticata, senza che il relativo gettito fosse stato riservato allo Stato.

Occorre rammentare in proposito che il citato comma 3 dell’art. 74-ter pone un divieto di detrazione dell’«imposta relativa ai costi di cui al comma 2» – vale a dire a quelli «sostenuti per le cessioni di beni e prestazioni di servizi effettuate da terzi a diretto vantaggio dei viaggiatori, al lordo della relativa imposta» – in relazione alle operazioni effettuate dalle agenzie di viaggio e di turismo per la organizzazione di pacchetti turistici costituiti da viaggi, vacanze, circuiti tutto compreso e connessi servizi, verso il pagamento di un corrispettivo globale. Tali detrazioni sono infatti considerate come una prestazione di servizi unica ai sensi del comma 1 del medesimo art. 74-ter ai fini del pagamento dell’imposta sul valore aggiunto.

L’inammissibilità della detrazione (comprensiva della relativa imposta) è, quindi, prevista dal citato art. 74-ter in termini generali, come tali idonei a includere nel divieto anche l’imposta assolta sulle cessioni di beni e sulle prestazioni di servizi, di cui al comma 2 dello stesso articolo, effettuate da terzi nei confronti delle agenzie di viaggio stabilite fuori dell'Unione europea a diretto vantaggio dei viaggiatori, vale a dire l’imposta per la quale l’art. 55, comma 1, del decreto impugnato ha precisato, appunto con norma di interpretazione autentica, che non era consentito il rimborso.

Nessuna nuova entrata, diversa da quella che già trovava la propria base normativa nell’art. 74-ter, è stata quindi introdotta ex novo dall’art. 55, comma 1, dell’impugnato decreto.

Difettando, dunque, il requisito della novità dell’entrata, cui l’art. 2 del d.P.R. n. 1074 del 1965 subordina la deroga al principio generale ex artt. 36 e 37 dello Statuto della Regione siciliana, di destinazione alla predetta Regione dei tributi riscossi sul suo territorio, deve dichiararsi l’illegittimità costituzionale dell’art. 61, comma 1, alinea e lettera a), limitatamente alla parte in cui ricomprende nell’aumento di gettito derivante dall’art. 55, comma 1, del decreto impugnato, anche i tributi riscossi nel territorio della Regione siciliana.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 61, comma 1, alinea e lettera a), del decreto-legge 21 giugno 2013 n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 9 agosto 2013, n. 98, limitatamente alla parte in cui ricomprende nell’aumento di gettito derivante dall’art. 55, comma 1, dello stesso decreto, anche i tributi riscossi nel territorio della Regione siciliana;

2) dichiara non fondata nel resto la questione di legittimità costituzionale degli artt. 5, comma 2, 61, comma 1, alinea e lettera a), e 85, comma 1, del d.l. n. 69 del 2013, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 98 del 2013, promosso in riferimento agli artt. 36 e 37 dello Statuto della Regione siciliana (approvato con il regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455, convertito in legge costituzionale dalla legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2) e all’art. 2 del decreto del Presidente della Repubblica 26 luglio 1965, n. 1074 (Norme di attuazione dello Statuto della Regione siciliana in materia finanziaria), dalla Regione siciliana con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 maggio 2015.

F.to:

Marta CARTABIA, Presidente e Redattore

Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 7 luglio 2015.