Sentenza n. 126 del 2015

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SENTENZA N. 126

ANNO 2015

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Alessandro                  CRISCUOLO                                  Presidente

-           Giuseppe                     FRIGO                                             Giudice

-           Paolo                           GROSSI                                                   ”

-           Giorgio                       LATTANZI                                               ”

-           Aldo                            CAROSI                                                   ”

-           Marta                           CARTABIA                                             ”

-           Mario Rosario              MORELLI                                                ”

-           Giancarlo                     CORAGGIO                                            ”

-           Giuliano                       AMATO                                                   ”

-           Silvana                         SCIARRA                                                ”

-           Daria                            de PRETIS                                               ”

-           Nicolò                          ZANON                                                   ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 3, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1032 (Approvazione del testo unico delle norme sulle prestazioni previdenziali a favore dei dipendenti civili e militari dello Stato), e dell’art. 9, primo comma, del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 4 aprile 1947, n. 207 (Trattamento giuridico ed economico del personale civile non di ruolo in servizio nelle Amministrazioni dello Stato), promosso dal Tribunale amministrativo regionale dell’Umbria nel procedimento vertente tra R.G. e l’Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell’amministrazione pubblica (INPDAP) ed altri con ordinanza dell’11 aprile 2013, iscritta al n. 167 del registro ordinanze 2013 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 29, prima serie speciale, dell’anno 2013.

Visto l’atto di costituzione dell’INPS, nella qualità di successore ex lege dell’INPDAP, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 28 aprile 2015 il Giudice relatore Silvana Sciarra;

uditi l’avvocato Dario Marinuzzi per l’INPS, nella qualità di successore ex lege dell’INPDAP e l’avvocato dello Stato Massimo Salvatorelli per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza dell’11 aprile 2013, iscritta al n. 167 del registro ordinanze 2013, il Tribunale amministrativo regionale dell’Umbria ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 36, primo comma, e 38, secondo comma, della Costituzione, dell’art. 3, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1032 (Approvazione del testo unico delle norme sulle prestazioni previdenziali a favore dei dipendenti civili e militari dello Stato), nella parte in cui richiede, per la maturazione del diritto all’indennità di buonuscita, almeno un anno d’iscrizione al Fondo di previdenza per il personale civile e militare dello Stato, e dell’art. 9, primo comma, del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 4 aprile 1947, n. 207 (Trattamento giuridico ed economico del personale civile non di ruolo in servizio nelle Amministrazioni dello Stato), nella parte in cui subordina il sorgere del diritto all’indennità di fine rapporto alla prestazione di almeno un anno di servizio continuativo.

Il giudice a quo prospetta la violazione dei princípi di ragionevolezza, di proporzionalità della retribuzione, di disponibilità dei mezzi adeguati alle esigenze della vecchiaia, in quanto la normativa censurata pregiudica i diritti retributivi e previdenziali dei supplenti nominati con incarico infrannuale e ne discrimina arbitrariamente il trattamento rispetto a quello dei supplenti con nomina annuale.

Il giudice amministrativo premette di dover decidere la controversia promossa da R.G., che ha chiesto all’Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell’amministrazione pubblica (INPDAP) il riconoscimento del diritto all’indennità di buonuscita, per il periodo in cui è stata iscritta al “Fondo opera di previdenza” (nove anni, tre mesi, tre giorni), e ha chiesto all’amministrazione scolastica, per i periodi restanti, il riconoscimento dell’indennità di fine rapporto.

A sostegno di tali pretese, la ricorrente ha dedotto di essere stata collocata in quiescenza il primo settembre 1998, senza mai essere stata immessa in ruolo e dopo avere insegnato musica presso le scuole statali dal primo gennaio 1960 sino al 30 marzo 1973 e dal 20 settembre 1977 fino all’anno scolastico 1997/1998.

La controversia, radicata innanzi al giudice amministrativo, prende le mosse dal diniego che l’ufficio provinciale INPDAP di Perugia, il 26 ottobre 1998, e il Provveditorato agli studi di Perugia, il 23 agosto 1999, hanno opposto alla richiesta della ricorrente di vedersi computare, ai fini dell’indennità di buonuscita, alcuni periodi in cui il Provveditorato aveva omesso d’iscriverla al “Fondo opera di previdenza”.

L’INPDAP ha motivato il diniego con il rilievo che, solo per il periodo 10 settembre 1990-9 settembre 1991, la ricorrente avesse diritto all’iscrizione al Fondo e che, nondimeno, per tale periodo, il diritto, già maturato il 10 settembre 1991, fosse prescritto in base all’art. 20 del d.P.R. n. 1032 del 1973.

Il Provveditorato, dal canto suo, ha evidenziato che difetta il presupposto dell’anno di servizio continuativo, indispensabile per il riconoscimento dell’indennità di fine rapporto, e che non possono essere valutati i servizi computati e/o riscattati per il trattamento di quiescenza e quelli che abbiano comportato l’iscrizione al Fondo di previdenza ex lege.

Quanto alla rilevanza della questione, il giudice rimettente puntualizza che le disposizioni impugnate, nel condizionare il diritto all’indennità di buonuscita e all’indennità di fine rapporto, rispettivamente, ad un anno d’iscrizione al Fondo di previdenza per il personale civile e militare dello Stato e alla prestazione di un anno di servizio continuativo, si riverberano sulla fondatezza della domanda proposta dalla ricorrente.

Il giudice rimettente ricorda che, della questione di legittimità costituzionale, la Corte è stata già investita, dichiarandola manifestamente inammissibile con ordinanza n. 99 del 2011.

Tale pronuncia d’inammissibilità – argomenta il giudice a quo – non sarebbe d’ostacolo alla riproposizione della questione, sulla scorta di diverse e più convincenti argomentazioni.

Tali argomentazioni, in punto di non manifesta infondatezza, vertono sulla natura sostanzialmente unitaria del rapporto di lavoro dei docenti precari, che impone di salvaguardare il diritto costituzionalmente garantito ad una vita dignitosa e al trattamento economico adeguato al lavoro svolto.

Non si potrebbero addurre – come elemento ostativo – le finalità pubblicistiche ed il principio di rango costituzionale del buon andamento della pubblica amministrazione, che ispirano l’indirizzo restrittivo in tema di progressione in carriera dei supplenti.

A suggello di tali notazioni, il giudice a quo rileva che la normativa contravviene ai principi di ragionevolezza, di proporzionalità della retribuzione, di disponibilità di mezzi adeguati alle esigenze della vecchiaia.

Invero, l’innegabile specialità della disciplina delle supplenze annuali e temporanee, che inibisce la trasformazione dei rapporti di lavoro a termine in rapporti di lavoro a tempo indeterminato, non potrebbe compromettere il diritto alle indennità di quiescenza e/o di fine rapporto.

La disciplina impugnata, dal punto di vista del giudice rimettente, determina un ingiustificato arricchimento della pubblica amministrazione e un depauperamento del lavoratore, tanto più censurabile in quanto coincide col momento «particolarmente delicato» di transizione allo status di pensionato.

L’ordinanza di rimessione pone in risalto la peculiarità della posizione della ricorrente, che si vede pregiudicato il diritto alle indennità di fine rapporto per il carattere infrannuale della nomina, benché le funzioni svolte siano uguali in tutto e per tutto a quelle degli insegnanti con nomina annuale.

2.– È intervenuto nel giudizio l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), quale successore ex lege dell’INPDAP, concludendo per la manifesta inammissibilità della questione e, in via gradata, per la sua infondatezza.

Quanto all’inammissibilità, la difesa dell’INPS specifica che l’ordinanza della Corte costituzionale n. 99 del 2011 non è una pronuncia di mero rito e si addentra anche nella disamina del merito, rilevando la mancanza di concreti elementi a sostegno delle censure.

La questione – soggiunge la difesa dell’Istituto – si palesa infondata anche nel merito, in quanto il requisito minimo d’iscrizione al Fondo di previdenza per il personale civile e militare dello Stato non determina discriminazioni di sorta e la tutela previdenziale dei lavoratori a tempo determinato è affidata alla discrezionalità del legislatore.

L’INPS specifica che, in quest’àmbito, l’art. 1, comma 9, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 20 dicembre 1999 (Trattamento di fine rapporto e istituzione dei fondi pensione dei pubblici dipendenti), ha dettato, per le situazioni successive al 30 maggio 2000, una disciplina innovativa e compiuta.

3.– Nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, e ha concluso per l’inammissibilità e, in ogni caso, per l’infondatezza della questione.

A tali esiti, secondo la difesa dello Stato, conducono numerosi e concorrenti rilievi.

Anzitutto, il giudice rimettente, pur dando atto che, per cinque anni, gli incarichi hanno avuto durata superiore all’anno, non si preoccuperebbe di approfondire le implicazioni di tale aspetto sulla fondatezza della pretesa azionata e, conseguentemente, sulla rilevanza della questione.

In secondo luogo, l’Avvocatura generale dello Stato imputa al giudice rimettente di non avere esplorato una lettura costituzionalmente orientata della normativa, trascurando quella giurisprudenza di merito che, per gli incarichi avvicendatisi nel tempo, configura l’unicità dei rapporti tra il docente e l’amministrazione di appartenenza.

La difesa dello Stato si duole, inoltre, che l’ordinanza di rimessione non chiarisca per quale via il principio di eguaglianza, il diritto alla giusta retribuzione e a un adeguato trattamento di vecchiaia siano pregiudicati dalla normativa impugnata.

Anche a voler trascurare tali rilievi, l’accoglimento della questione incontrerebbe un ostacolo insormontabile nella discrezionalità del legislatore.

Al prudente apprezzamento del legislatore, difatti, sarebbe demandata la scelta tra le molteplici soluzioni possibili con riguardo alla determinazione dei criteri per l’accesso a tali benefici.

Quanto alle pronunce, che l’ordinanza di rimessione invoca a sostegno dei propri asserti, la difesa dello Stato evidenzia che non hanno mai censurato la razionalità complessiva del sistema, che ha uno dei suoi capisaldi nel requisito dell’anno d’iscrizione al Fondo di previdenza per il personale civile e militare dello Stato, per l’indennità di buonuscita, e dell’anno di servizio continuativo, per l’indennità di fine rapporto.

La previsione di requisiti minimi di continuità per la concessione di alcuni benefici, pertanto, non potrebbe essere stigmatizzata come discriminazione illegittima e rappresenterebbe una soluzione equilibrata e tutt’altro che arbitraria.

Considerato in diritto

1.– Con ordinanza dell’11 aprile 2013, iscritta al n. 167 del registro ordinanze 2013, il Tribunale amministrativo regionale dell’Umbria dubita della legittimità costituzionale dell’art. 3, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1032 (Approvazione del testo unico delle norme sulle prestazioni previdenziali a favore dei dipendenti civili e militari dello Stato), e dell’art. 9, primo comma, del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 4 aprile 1947, n. 207 (Trattamento giuridico ed economico del personale civile non di ruolo in servizio nelle Amministrazioni dello Stato), in riferimento agli artt. 3, primo comma, 36, primo comma, e 38, secondo comma, della Costituzione.

L’art. 3, primo comma, del d.P.R. n. 1032 del 1973 richiede, per il maturare del diritto all’indennità di buonuscita, almeno un anno d’iscrizione al Fondo di previdenza per il personale civile e militare dello Stato.

Quanto all’art. 9, primo comma, del d.lgs.C.p.S. n. 207 del 1947, la disposizione subordina il sorgere del diritto all’indennità di fine rapporto alla prestazione di almeno un anno di servizio continuativo.

I dubbi di legittimità costituzionale non investono il profilo della successione degli incarichi di supplenza infrannuale e si appuntano sulle implicazioni previdenziali di tali rapporti e, in particolare, sulla disciplina antecedente alla novella, recata dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 20 dicembre 1999 (Trattamento di fine rapporto e istituzione dei fondi pensione dei pubblici dipendenti), che, nei termini tratteggiati dall’art. 1, comma 9, ha accordato il trattamento di fine rapporto (art. 2120 del codice civile) anche a chi lavora a tempo determinato alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni per periodi inferiori all’anno solare.

Tale normativa, che dispiega i propri effetti dal 30 maggio 2000, non si applica ratione temporis alla vicenda controversa.

Il giudice rimettente assume che le disposizioni censurate, con precipuo riguardo alla posizione dei supplenti con incarichi inferiori all’anno, contrastino con gli artt. 3, primo comma, 36, primo comma, e 38, secondo comma, Cost., e configurino una violazione dei princípi di ragionevolezza, di proporzionalità della retribuzione e di disponibilità di mezzi adeguati alle esigenze della vecchiaia.

La disciplina impugnata, compromettendo il diritto alle indennità di quiescenza, riserverebbe un trattamento deteriore proprio ai soggetti che, in ragione dell’accentuata precarietà del rapporto, sarebbero più bisognosi di tutela nel «momento particolarmente delicato, qual è il passaggio alla condizione di pensionato».

Le disposizioni censurate, inoltre, determinerebbero un’illegittima disparità di trattamento tra i supplenti con incarichi annuali, che beneficiano di un’adeguata tutela previdenziale, e i supplenti con incarichi inferiori all’anno, pregiudicati benché svolgano funzioni «uguali in tutto e per tutto a quelle degli insegnanti con nomina annuale».

2.– Occorre, in via preliminare, sgombrare il campo dall’eccezione d’inammissibilità, mossa dalla difesa dell’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS).

L’INPS ritiene preclusa la riproposizione della questione di legittimità costituzionale, sulla scorta del rilievo che l’ordinanza n. 99 del 2011, pur arrestandosi ad una declaratoria di manifesta inammissibilità, non abbia mancato di affrontare taluni profili inerenti al merito.

L’ordinanza n. 99 del 2011, che racchiude una pronuncia di mero rito, non è d’ostacolo alla riproposizione dell’odierna questione di legittimità costituzionale.

L’ordinanza di rimessione, oggi al vaglio di questa Corte, è incentrata su argomentazioni più articolate rispetto a quelle della precedente ordinanza, che si limitava ad un mero rinvio per relationem alle deduzioni delle parti.

La diversità delle argomentazioni è un elemento distintivo sufficiente a tracciare una nitida linea di discontinuità e a scongiurare il rischio di un bis in idem, che si risolverebbe in una surrettizia impugnazione della precedente decisione di questa Corte (sentenza n. 113 del 2011).

2.1.– L’ordinanza di rimessione, inoltre, si sottrae alle ulteriori eccezioni d’inammissibilità, sollevate dalla difesa dello Stato con riguardo al difetto di motivazione sulla rilevanza, per un verso, e, per altro verso, con riguardo al mancato esperimento di un’interpretazione costituzionalmente compatibile.

L’ordinanza di rimessione – ad avviso della difesa dello Stato – non chiarisce se gli incarichi, conferiti alla ricorrente, abbiano avuto sempre durata inferiore all’anno e se l’eventuale durata superiore all’anno possa incidere sulla fondatezza della pretesa azionata e, specularmente, sulla rilevanza della questione.

Tale critica non coglie nel segno, in quanto il giudice a quo, al punto 1.2. delle Considerazioni in diritto, argomenta che il servizio della ricorrente, per alcuni periodi, si è modulato in incarichi di durata inferiore all’anno.

Per quel che attiene a tali incarichi, dunque, la questione di legittimità costituzionale della normativa, che sancisce il requisito dell’anno di servizio continuativo, riveste un’indiscutibile rilevanza e tale rilevanza non è scalfita dalla presenza di incarichi protrattisi per un periodo superiore all’anno.

2.2.– L’ordinanza di rimessione non presta il fianco neppure alla critica, di non avere sperimentato un’interpretazione conforme al dettato costituzionale.

Il giudice rimettente ha mostrato di aderire al diritto vivente, inequivocabile nell’escludere un nesso di continuità tra i disparati incarichi di supplenze per l’insegnamento, che, pur avvicendandosi nel tempo, sono contraddistinti da un carattere «ontologicamente precario» (Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza 21 settembre 2010, n. 6993).

Secondo tale indirizzo, che il giudice rimettente addita a premessa logica dell’incidente di costituzionalità, ciascun incarico di supplenza è autonomo rispetto all’altro.

Non si può ravvisare, pertanto, un nesso di continuità tra incarichi che si succedono nel tempo, allo scopo di sopperire ad esigenze temporanee.

3.– La questione non sfugge, nondimeno, nei termini in cui è stata delineata, ad ulteriori e dirimenti censure d’inammissibilità.

L’ordinanza di rimessione non illustra in maniera convincente ed esaustiva né le ragioni del dedotto contrasto della normativa impugnata con i precetti della Costituzione né il senso e la portata dell’intervento caducatorio richiesto a questa Corte.

4.– Tali lacune ridondano in profili d’inammissibilità della questione.

4.1.– Per quel che attiene al primo dei profili denunciati, l’ordinanza non svolge critiche mirate, che avvalorino la prospettata violazione dei princípi costituzionali con riguardo al requisito dell’anno d’iscrizione al Fondo di previdenza per il personale civile e militare dello Stato e ne dimostrino l’irragionevolezza, la gravosità sproporzionata, pregiudizievole per i diritti inerenti al rapporto previdenziale.

4.2.– Anche con riferimento alla paventata violazione del principio di eguaglianza, che è prospettata esclusivamente dall’angolo visuale della disparità di trattamento con i supplenti con incarichi annuali, le argomentazioni del giudice rimettente non si diffondono sulle ragioni del contrasto con l’art. 3 Cost. (punti 6.2. e 6.2.1. delle Considerazioni in diritto).

Per quel che riguarda la valutazione comparativa con i supplenti con incarichi annuali, specificamente demandata a questa Corte, il giudice rimettente si limita a richiamare, senza altri dettagli, la pronuncia, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 18 del d.lgs.C.p.S. n. 207 del 1947, nella parte in cui negava agli insegnanti non di ruolo con nomina annuale il diritto a percepire l’indennità di fine rapporto, discriminandoli rispetto a tutti gli altri dipendenti non di ruolo dello Stato (sentenza n. 518 del 1987).

Tale pronuncia ha completato il percorso già intrapreso con la sentenza n. 40 del 1973, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, per contrasto con l’art. 3 Cost., dell’art. 1 della legge 6 dicembre 1966, n. 1077 (Estensione ai dipendenti civili non di ruolo delle Amministrazioni dello Stato delle norme sul trattamento di quiescenza e di previdenza vigenti per i dipendenti di ruolo), nella parte in cui non contemplava tra i destinatari del diritto al trattamento di quiescenza e di previdenza a carico dello Stato anche gli insegnanti non di ruolo con nomina annuale.

Questa Corte ha affermato che la differente condizione riservata agli insegnanti non di ruolo rispetto agli altri dipendenti non di ruolo dello Stato era sprovvista di ogni razionale giustificazione, giacché gli uni e gli altri sono assunti per un periodo non inferiore all’anno e si trovano quindi in condizioni eguali o tali da essere considerate equivalenti.

Nei precedenti citati veniva dunque in rilievo la discriminazione tra gli insegnanti non di ruolo con nomina annuale e gli altri dipendenti non di ruolo dell’amministrazione dello Stato con un eguale periodo di servizio continuativo.

Le pronunce, enfatizzate dal giudice rimettente, non si cimentavano in alcun modo con la diversa fattispecie dei supplenti con nomina inferiore all’anno.

Questa Corte, nello scrutinare l’ammissibilità della questione in precedenza sollevata dallo stesso giudice rimettente, aveva precisato che «nell’occasione evocata dal rimettente, veniva in rilievo la prevista esclusione degli insegnanti con “nomina annuale” dal riconoscimento del diritto a percepire l’indennità di fine rapporto, non ponendosi in alcun modo in discussione la diversa posizione (così considerata nello stesso contesto della motivazione della sentenza n. 518 del 1987) degli insegnanti con nomina infra-annuale (analogamente, si veda anche sentenza n. 40 del 1973)» (ordinanza n. 99 del 2011 già citata).

Anche tale precisazione conferma che al caso di specie non si attaglia una pronuncia, chiamata ad analizzare un’ipotesi diversa (l’indennità di fine rapporto dei supplenti con nomina annuale) e ispirata a una diversa ratio decidendi e alla necessità di rimuovere le disparità di trattamento tra supplenti e altri dipendenti non di ruolo dell’amministrazione dello Stato, che possiedano entrambi il requisito dell’anno di servizio continuativo.

Tale requisito, qui messo in discussione, non era in alcun modo sospettato d’irragionevolezza nei precedenti citati, che non possono, pertanto, corroborare le ragioni del rimettente.

Le due ipotesi non possono essere assimilate, giacché divergono in un elemento cruciale (la durata dell’incarico), che può assurgere ad elemento distintivo non irragionevole anche con riguardo alla modulazione della tutela previdenziale (ordinanze n. 438 del 2000 e n. 710 del 1988).

4.3.– Anche con riferimento all’anno di servizio continuativo, che la legge richiede per poter fruire dell’indennità di fine rapporto, le critiche non appaiono sorrette da una motivazione persuasiva, idonea a superare il vaglio di ammissibilità sollecitato a questa Corte.

Il giudice rimettente non revoca in dubbio la razionalità di un requisito minimo di continuità del servizio, ma si prefigge piuttosto – per i supplenti – di ridefinire tale continuità, disconoscendo ogni rilievo alla cesura tra un incarico di supplenza e l’altro.

È indicativo, in tal senso, il riferimento alla necessità di postulare un «nesso istituzionale di continuità che lega i singoli contratti (solo formalmente annuali)» e di considerare il rapporto «nella sua globalità quantomeno nel momento in cui il dipendente giunge al termine dell’attività lavorativa, con riferimento agli istituti preposti alla previdenza e all’assistenza» (punto 4.3. delle Considerazioni in diritto dell’ordinanza di rimessione).

5.– Tale aspetto introduce al secondo dei profili d’inammissibilità denunciati, concernente la carenza d’indicazioni perspicue e coerenti sul senso dell’intervento richiesto a questa Corte.

5.1.– La caducazione integrale del requisito dell’anno di servizio continuativo mal si accorda con un’ordinanza di rimessione, che non enuncia argomenti per dimostrare l’irragionevolezza intrinseca del presupposto della continuità del servizio e si propone, piuttosto, di calibrare tale requisito alla stregua della particolarità degli incarichi di supplenza.

Non è dato comprendere in quali termini debba tradursi, nella declaratoria d’illegittimità costituzionale che è richiesta, la necessità di considerare in maniera globale i rapporti che hanno legato i docenti supplenti alle amministrazioni di appartenenza.

Da tale necessità, che certo non condurrebbe alla pronuncia ablativa pura e semplice menzionata nel dispositivo, scaturisce la necessità di ridefinire in radice, per i supplenti, la stessa nozione di continuità del servizio.

Nondimeno, un tale intervento manipolativo, tanto penetrante quanto inafferrabile nelle sue coordinate, rischierebbe di invadere lo spazio riservato alla discrezionalità legislativa, in difetto di soluzioni a rime costituzionalmente obbligate.

5.2.– Anche le indicazioni sulla portata dell’intervento richiesto a questa Corte risentono delle incongruenze appena segnalate e delle aporie tra le richieste finali di caducazione radicale e le argomentazioni più problematiche dell’ordinanza di rimessione.

Il giudice rimettente, nel dispositivo dell’ordinanza di rimessione, chiede – sic et simpliciter – la caducazione di una norma sul requisito di continuità del servizio, che riguarda tutti i dipendenti non di ruolo dell’amministrazione dello Stato e non la sola categoria dei supplenti.

L’ordinanza di rimessione, che indugia sul peculiare regime dei supplenti, non offre ragguagli né sulle ragioni di un intervento caducatorio, destinato a riverberarsi su una disciplina applicabile a tutti i dipendenti non di ruolo dello Stato, né sulle ragioni di una eventuale diversificazione tra la posizione dei supplenti e quella degli altri dipendenti non di ruolo.

Tale diversificazione, peraltro, sarebbe disarmonica rispetto ad una linea di tendenza, che mira a ripristinare un trattamento omogeneo tra le varie categorie dei dipendenti non di ruolo (sentenze n. 518 del 1987 e n. 40 del 1973 già citate).

6.– Tutti questi profili d’inammissibilità, indissolubilmente connessi, si frappongono alla disamina del merito della questione.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1032 (Approvazione del testo unico delle norme sulle prestazioni previdenziali a favore dei dipendenti civili e militari dello Stato), nella parte in cui richiede, per la maturazione del diritto all’indennità di buonuscita, almeno un anno d’iscrizione al Fondo di previdenza per il personale civile e militare dello Stato, e dell’art. 9, comma 1, del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 4 aprile 1947, n. 207 (Trattamento giuridico ed economico del personale civile non di ruolo in servizio nelle Amministrazioni dello Stato), nella parte in cui subordina il sorgere del diritto all’indennità di fine rapporto alla prestazione di almeno un anno di servizio continuativo, sollevata, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 36, primo comma, e 38, secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale dell’Umbria con l’ordinanza di rimessione riportata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’8 giugno 2015.

F.to:

Alessandro CRISCUOLO, Presidente

Silvana SCIARRA, Redattore

Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria l'1 luglio 2015.