Ordinanza n. 88 del 2015

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ORDINANZA N. 88

ANNO 2015

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-    Alessandro             CRISCUOLO                                     Presidente

-    Giuseppe                FRIGO                                                  Giudice

-    Paolo                      GROSSI                                                     ”

-    Giorgio                   LATTANZI                                                ”

-    Aldo                       CAROSI                                                     ”

-    Marta                     CARTABIA                                               ”

-    Mario Rosario        MORELLI                                                  ”

-    Giancarlo               CORAGGIO                                              ”

-    Giuliano                 AMATO                                                     ”

-    Silvana                   SCIARRA                                                  ”

-    Daria                      de PRETIS                                                 ”

-    Nicolò                    ZANON                                                     ”

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 10-ter del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 (Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell’articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205), promosso dal Tribunale ordinario di Milano nel procedimento penale a carico di V.M. con ordinanza del 18 dicembre 2013, iscritta al n. 62 del registro ordinanze 2014 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 19, prima serie speciale, dell’anno 2014.

Udito nella camera di consiglio del 29 aprile 2015 il Giudice relatore Giuseppe Frigo.

Ritenuto che, con ordinanza del 18 dicembre 2013, il Tribunale ordinario di Milano ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 10-ter del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 (Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell’articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205), nella parte in cui, limitatamente ai fatti commessi sino al 17 settembre 2011, prevede per il delitto di omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto (IVA) una soglia di punibilità inferiore a quelle stabilite per i delitti di dichiarazione infedele e di omessa dichiarazione dagli artt. 4 e 5 del medesimo decreto legislativo, prima delle modifiche operate dal decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148;

che il giudice a quo premette di essere investito del processo penale nei confronti di una persona imputata del delitto previsto dalla norma censurata, per avere omesso, quale legale rappresentante di una società in nome collettivo, di versare l’IVA risultante dalla dichiarazione per l’anno 2008 – pari ad euro 67.878 – entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo (27 dicembre 2009);

che il rimettente dubita, peraltro, della legittimità costituzionale dell’art. 10-ter del d.lgs. n. 74 del 2000, nella parte in cui, tramite il richiamo al precedente art. 10-bis, prevede per il delitto contestato una soglia di rilevanza penale di euro 50.000;

che prima delle modifiche introdotte dal d.l. n. 138 del 2011, gli artt. 4 e 5 del d.lgs. n. 74 del 2000 prevedevano, infatti, che la dichiarazione infedele e l’omessa dichiarazione fossero punibili solo qualora l’imposta evasa superasse, rispettivamente, euro 103.291[,38] ed euro 77.468[,53];

che, di conseguenza, qualora l’imputato nel giudizio a quo, in luogo di presentare regolarmente la dichiarazione IVA per l’anno 2008 e non versare l’imposta dovuta in base ad essa (euro 67.878), avesse presentato una dichiarazione infedele o avesse omesso di presentare la dichiarazione, non avrebbe commesso alcun reato, giacché l’ammontare dell’imposta evasa sarebbe rimasta al di sotto delle soglie di punibilità stabilite per tali ipotesi: le attuali soglie di punibilità dei delitti di cui agli artt. 4 e 5 del d.lgs. n. 74 del 2000 – ridotte dal d.l. n. 138 del 2011, rispettivamente, ad euro 50.000 e ad euro 30.000 – sono, infatti, applicabili ai soli fatti commessi dopo l’entrata in vigore della legge di conversione del citato decreto-legge (17 settembre 2011);

che la convenienza, per il contribuente, di omettere la dichiarazione o di presentarla in modo infedele, piuttosto che presentarla regolarmente e non provvedere al pagamento dell’imposta dovuta, ove l’ammontare di questa fosse superiore ad euro 50.000 ma non ad euro 77.468[,53] e ad euro 103.291[,38], si risolverebbe in un trattamento discriminatorio, contrastante con il principio di eguaglianza (art. 3 Cost.);

che l’omessa dichiarazione e la presentazione di una dichiarazione infedele costituiscono, infatti, condotte più insidiose e di più difficile accertamento rispetto a quella, maggiormente trasparente, contestata all’imputato, il quale, rappresentando regolarmente la propria posizione fiscale, ha omesso il versamento dell’importo dichiarato;

che la rilevata discrasia non potrebbe essere, d’altra parte, giustificata con la discrezionalità del legislatore, che è infatti intervenuto con il d.l. n. 138 del 2011 per ridurre i limiti di rilevanza penale dei fatti descritti dagli artt. 4 e 5 del d.lgs. n. 74 del 2000 ad un importo, rispettivamente, pari e inferiore a quello previsto dalla norma censurata;

che la questione sarebbe, altresì, rilevante nel giudizio a quo, giacché dal suo accoglimento deriverebbe il proscioglimento dell’imputato.

Considerato che il Tribunale ordinario di Milano dubita, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 10-ter del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 (Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell’articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205), nella parte in cui, limitatamente ai fatti commessi sino al 17 settembre 2011, prevede per il delitto di omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto (IVA) una soglia di punibilità (euro 50.000) inferiore a quelle stabilite per i delitti di dichiarazione infedele e di omessa dichiarazione dagli artt. 4 e 5 del medesimo decreto legislativo, prima delle modifiche operate dal decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148 (rispettivamente, euro 103.291,38 ed euro 77.648,53);

che, successivamente all’ordinanza di rimessione, questa Corte è, peraltro, già intervenuta nei sensi auspicati dal rimettente, dichiarando costituzionalmente illegittima, con la sentenza n. 80 del 2014, la norma censurata «nella parte in cui, con riferimento ai fatti commessi sino al 17 settembre 2011, punisce l’omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto, dovuta in base alla relativa dichiarazione annuale, per importi non superiori, per ciascun periodo d’imposta, ad euro 103.291,38»;

che, dunque, la questione deve essere dichiarata manifestamente inammissibile per sopravvenuta mancanza di oggetto, in quanto, a seguito della sentenza ora citata, la norma censurata è stata già rimossa dall’ordinamento, in parte qua, con efficacia ex tunc (ex plurimis, ordinanze n. 28 del 2015, n. 272 e n. 206 del 2014, n. 321 del 2013).

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 10-ter del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 (Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell’articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205), sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Milano con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 29 aprile 2015.

F.to:

Alessandro CRISCUOLO, Presidente

Giuseppe FRIGO, Redattore

Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 15 maggio 2015.