Sentenza n. 83 del 2015

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SENTENZA N. 83

ANNO 2015

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Alessandro                  CRISCUOLO                                  Presidente

-           Paolo Maria                 NAPOLITANO                                 Giudice

-           Giuseppe                     FRIGO                                                     ”

-           Paolo                           GROSSI                                                   ”

-           Giorgio                        LATTANZI                                              ”

-           Aldo                            CAROSI                                                   ”

-           Marta                           CARTABIA                                             ”

-           Mario Rosario              MORELLI                                                ”

-           Giancarlo                     CORAGGIO                                            ”

-           Giuliano                       AMATO                                                   ”

-           Silvana                         SCIARRA                                                ”

-           Daria                            de PRETIS                                               ”

-           Nicolò                          ZANON                                                   ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 62-quater del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504 (Testo unico delle disposizioni legislative concernenti le imposte sulla produzione e sui consumi e relative sanzioni penali e amministrative), promossi dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, con due ordinanze del 29 aprile 2014, rispettivamente iscritte ai nn. 164 e 165 del registro ordinanze del 2014, pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell’anno 2014.

Visto l’atto di costituzione della Flavourart srl ed altre, nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 14 aprile 2015 e nella camera di consiglio del 15 aprile 2015 il Giudice relatore Giuliano Amato;

udito l’avvocato Fabio Francario per Flavourart srl ed altre, e gli avvocati dello Stato Anna Collabolletta e Francesco Meloncelli per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.– Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, con due ordinanze del 29 aprile 2014 (reg. ord. n. 164 e n. 165 del 2014), ha sollevato − in riferimento agli artt. 3, 23, 41 e 97 della Costituzione − questione di legittimità costituzionale dell’art. 62-quater del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504 (Testo unico delle disposizioni legislative concernenti le imposte sulla produzione e sui consumi e relative sanzioni penali e amministrative), nella parte in cui assoggetta alla preventiva autorizzazione da parte dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli la commercializzazione dei prodotti succedanei dei prodotti da fumo e sottopone, a decorrere dal 1° gennaio 2014, i medesimi prodotti ad imposta di consumo nella misura pari al 58,5 per cento del prezzo di vendita al pubblico.

La disposizione impugnata è stata introdotta dall’art. 11, comma 22, del decreto- legge 28 giugno 2013, n. 76 (Primi interventi urgenti per la promozione dell’occupazione, in particolare giovanile, della coesione sociale, nonché in materia di Imposta sul valore aggiunto ‒ IVA ‒ e altre misure finanziarie urgenti), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 9 agosto 2013, n. 99.

In particolare i primi due commi dell’art. 62-quater, in vigore dal 23 agosto 2013, prevedono quanto segue: «1. A decorrere dal 1° gennaio 2014 i prodotti contenenti nicotina o altre sostanze idonei a sostituire il consumo dei tabacchi lavorati nonché i dispositivi meccanici ed elettronici, comprese le parti di ricambio, che ne consentono il consumo, sono assoggettati ad imposta di consumo nella misura pari al 58,5 per cento del prezzo di vendita al pubblico. 2. La commercializzazione dei prodotti di cui al comma 1, è assoggettata alla preventiva autorizzazione da parte dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli nei confronti di soggetti che siano in possesso dei medesimi requisiti stabiliti, per la gestione dei depositi fiscali di tabacchi lavorati, dall’articolo 3 del regolamento di cui al decreto del Ministro delle finanze 22 febbraio 1999, n. 67».

2.− Il giudice a quo riferisce di essere chiamato a decidere in ordine ai ricorsi proposti da alcuni operatori del settore della produzione e commercializzazione delle sigarette elettroniche, al fine di ottenere l’annullamento del decreto emanato dal Ministero dell’economia e delle finanze il 16 novembre 2013, recante «Disciplina, ai sensi dell’articolo 62-quater, comma 4, del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504, e successive modificazioni, del regime della commercializzazione dei prodotti contenenti nicotina o altre sostanze, idonei a sostituire il consumo dei tabacchi lavorati nonché i dispositivi meccanici ed elettronici, comprese le parti di ricambio, che ne consentono il consumo».

La disposizione dell’art. 62-quater viene censurata nella parte in cui, senza curarsi di specificare quali prodotti o sostanze possano essere considerati idonei a sostituire il consumo del tabacco, ha assoggettato a regime autorizzativo, tariffario e all’imposta di consumo qualsiasi sostanza liquida e vaporizzabile, anche non contenente nicotina; qualsiasi dispositivo atto a consentire la vaporizzazione, a prescindere dal fatto che essa abbia ad oggetto sostanze contenenti nicotina o, comunque, oggettivamente qualificabili come succedanee del tabacco; ed infine anche i prodotti accessori e strumentali, aventi uso promiscuo.

Osserva il TAR Lazio che le disposizioni del d.m. 16 novembre 2013, impugnato dai ricorrenti, rappresentano la pedissequa riproduzione del contenuto della fonte primaria, ed in particolare dell’art. 62-quater del d.lgs. n. 504 del 1995. Peraltro, la contestuale entrata in vigore della disciplina dell’autorizzazione e dell’imposta sarebbe indicativa del fatto che l’unica finalità dell’autorizzazione, come strutturata dalla disposizione censurata, è rappresentata dalla vigilanza fiscale, in funzione strumentale al versamento, all’accertamento e alla riscossione dell’imposta.

3.− Il giudice a quo denuncia, in primo luogo, la violazione dell’art. 3 Cost., per l’intrinseca irrazionalità della disposizione, che non individua in maniera oggettiva i prodotti succedanei dei prodotti da fumo, colpiti dall’imposta. Infatti, con la nozione di “bene succedaneo” si fa riferimento ad un bene idoneo a sostituirne altri per soddisfare un bisogno o un reimpiego. Si tratterebbe, pertanto, di un concetto di natura empirica ed economica, che riflette preferenze soggettive dei consumatori.

Parimenti incerta ed opinabile sarebbe l’individuazione dei prodotti che «consentono» il consumo dei succedanei del tabacco, potendo, in tale generica nozione, essere ricompresa tutta una serie di beni di natura promiscua, il cui uso non sarebbe necessariamente ed esclusivamente strumentale al fumo elettronico e la cui commercializzazione, in altri settori, è del tutto libera.

 

 

  Tale situazione spiegherebbe quindi la contraddittorietà delle prime indicazioni operative contenute nelle circolari dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli, le quali, pur escludendo che prodotti accessori, come caricabatterie e custodie, siano assoggettati all’imposta, hanno comunque stabilito che, qualora il prezzo di vendita del prodotto succedaneo comprenda anche gli accessori, esso concorre integralmente a formare la base imponibile.

Dall’imprecisa formulazione della norma e dalla mancanza di criteri atti ad individuare con certezza le componenti della base imponibile, discenderebbe inoltre la previsione di un’aliquota indifferenziata, destinata a gravare con lo stesso peso su tutta la filiera del fumo elettronico e anche su prodotti ad uso promiscuo, in aperta violazione dei principi di eguaglianza e ragionevolezza in materia tributaria.

 

  3.1.− In assenza di un contenuto sufficientemente determinato, e quindi di una valida base legislativa, l’amministrazione sarebbe sostanzialmente libera di includere (o meno) nella base imponibile qualsivoglia bene che, secondo il suo insindacabile apprezzamento, venga ritenuto idoneo a sostituire il consumo dei tabacchi lavorati.

 

  Ciò determinerebbe la violazione dell’art. 23 Cost. e della riserva di legge in materia di prestazioni imposte, nonché dei principi di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione, di cui all’art. 97 Cost.

3.2.− L’indeterminatezza del precetto sarebbe inoltre lesiva dell’art. 41 Cost. e del diritto di libera iniziativa economica

 

 

  , in quanto gli operatori del settore si troverebbero nell’impossibilità di pianificare correttamente i propri investimenti e di adeguare le strutture aziendali alla nuova imposizione.

4.− Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto nel giudizio relativo al reg. ord. n. 165 del 2014 con memoria depositata il 28 ottobre 2014, nella quale ha eccepito, in via preliminare, l’inammissibilità delle questioni sollevate dal TAR Lazio, per la mancata indicazione dei parametri costituzionali violati, nonché per l’omessa individuazione della disciplina di raffronto che consenta di ritenere irragionevole quella sospettata d’incostituzionalità. In particolare, il TAR rimettente non avrebbe motivato la denunciata irrazionalità della normativa primaria che sottopone ad autorizzazione il commercio dei prodotti succedanei, al pari dei tabacchi lavorati.

4.1.− In punto di rilevanza, l’Avvocatura generale dello Stato esclude la sussistenza di un nesso di strumentalità necessaria tra il regime autorizzativo e l’obbligazione tributaria, in quanto l’imposta sarebbe comunque dovuta, a prescindere dall’autorizzazione al commercio. Si osserva, a questo riguardo, che il presupposto dell’imposta non è costituito dall’istituzione e dall’esercizio di un deposito fiscale, ma dall’immissione in consumo dei beni (art. 61, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 504 del 1995). Parimenti, la determinatezza del presupposto impositivo sarebbe del tutto slegata dal regime di autorizzazione. Pertanto, la questione di legittimità costituzionale relativa all’imposta in sé sarebbe irrilevante nel giudizio a quo, il quale ha ad oggetto la legittimità del regime autorizzatorio.

4.1.1.− L’Avvocatura generale dello Stato eccepisce inoltre l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale per il mancato assolvimento dell’obbligo di interpretazione conforme della norma alla luce del diritto comunitario. In particolare, il TAR Lazio non avrebbe tenuto conto della direttiva n. 2014/40/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 3 aprile 2014, sul ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri relative alla lavorazione, alla presentazione e alla vendita dei prodotti del tabacco e dei prodotti correlati e che abroga la direttiva 2001/37/CE.

Si osserva in particolare che, nell’art. 2 della direttiva, vengono fornite le definizioni di «sigaretta elettronica» (numero 16), di «contenitore di liquido di ricarica» (numero 17), di «aroma» (numero 24) e di «aroma caratterizzante» (numero 25).

Ne discenderebbe l’inammissibilità della questione formulata dal TAR rimettente, nella parte in cui viene denunciata l’indeterminatezza della definizione normativa nel diritto interno, dovendosi integrare la disposizione nazionale con la definizione comunitaria del prodotto.

4.2.− Nel merito, l’Avvocatura generale dello Stato ritiene infondata la censura relativa alla violazione dell’art. 3 Cost. e del principio di ragionevolezza, in primo luogo per quanto riguarda la previsione dei prodotti contenenti nicotina, idonei a sostituire il consumo dei tabacchi lavorati. In particolare, laddove viene indicato ‒ quale caratteristica del prodotto ‒ il contenuto di nicotina, la determinatezza del precetto sarebbe evidente.

Quanto all’altra parte della definizione normativa, relativa all’idoneità a sostituire il consumo dei tabacchi, ad avviso dell’Avvocatura generale dello Stato, la stessa sarebbe altrettanto determinata, alla luce della definizione normativa comunitaria di sigaretta elettronica di cui all’art. 2, numero 16), della direttiva n. 40 del 2014, che chiarisce il concetto d’idoneità sostitutiva, indicando − quale caratteristica della sigaretta elettronica − il suo utilizzo per il consumo di vapore contenente nicotina.

Ad avviso dell’Avvocatura generale dello Stato, l’idoneità sostitutiva dei prodotti succedanei dei prodotti da fumo sarebbe quindi determinata proprio dalla qualificazione impressa dal produttore o dal rivenditore, in ordine alla destinazione dei prodotti ad essere usati per il consumo di fumo o vapore.

4.2.1.− La questione di legittimità costituzionale sarebbe infondata anche in riferimento ai prodotti contenenti altre sostanze idonee a sostituire il consumo di tabacchi lavorati.

La disposizione impugnata avrebbe assoggettato ad imposta di consumo i prodotti che consentono di aspirare la sostanza rilasciata dal riscaldamento del prodotto, producendo fumo inteso in senso estensivo, ossia quale vapore avente apparenza del fumo da combustione.

In definitiva, poiché il vapore da sigaretta elettronica è ragionevolmente assimilabile al fumo, per il principio di sostituzione equivalente, sarebbe ragionevole e proporzionata l’imposta di consumo sul commercio delle sigarette elettroniche, in quanto calibrata in maniera analoga a quella delle accise per le sigarette. La ragionevolezza si manifesterebbe infatti nel concetto giuridico di “sostituzione nel consumo”, contenuto nell’art. 62-quater in esame, che ha assoggettato consumi analoghi alla medesima imposizione, indipendentemente dal processo tecnico con cui il consumo è reso possibile.

4.2.2.− L’infondatezza della questione di legittimità costituzionale sarebbe rilevabile anche con riferimento ai dispositivi meccanici ed elettronici, comprese le parti di ricambio, che consentono il consumo dei prodotti sostitutivi del consumo del tabacco.

Al riguardo, si osserva che − per determinare gli elementi costitutivi dell’imposta − sarebbe rilevante non solo la natura del bene, ma anche la destinazione d’uso impressa allo stesso bene dal soggetto passivo d’imposta. L’idoneità sostitutiva non riguarderebbe, quindi, soltanto il prodotto vaporizzato, ma anche lo strumento che ne consente il consumo. Inoltre, l’assoggettamento ad imposta delle parti di ricambio svolgerebbe una chiara finalità antielusiva, allo scopo di evitare che la scomposizione dei dispositivi consenta di aggirare la norma impositiva.

4.2.3.− D’altra parte, non sarebbe ravvisabile alcuna irragionevolezza nella previsione di un’aliquota indifferenziata per le sostanze, i dispositivi e le parti di ricambio, attesa la concorrente finalità della disposizione di disincentivare il consumo di prodotti succedanei dei prodotti da fumo, per obiettivi di tutela della salute umana e di lotta al tabagismo. Tali ragioni giustificherebbero l’assoggettamento ad imposta di consumo in misura analoga a quella prevista per i tabacchi lavorati.

4.3.− Con riferimento alle censure relative alla violazione degli artt. 23 e 97 Cost., l’Avvocatura generale dello Stato ritiene che l’art. 62-quater impugnato non disponga alcuna delegificazione in materia fiscale. La norma di fonte primaria sarebbe infatti autosufficiente e non necessiterebbe di alcuna integrazione in sede attuativa. All’autorità amministrativa non sarebbe lasciata alcuna possibilità di ampliare arbitrariamente l’oggetto dell’imposta. Pertanto, anche la paventata violazione dell’art. 97 Cost. sarebbe infondata.

4.4.− In riferimento all’art. 41 Cost., la determinatezza della norma censurata escluderebbe qualsivoglia violazione della libertà d’iniziativa economica privata. Data la chiarezza del quadro normativo, per gli imprenditori sarebbe piena la facoltà di pianificazione della loro attività nel settore.

5.− Nel giudizio relativo all’ordinanza di rimessione n. 165 del 2014, con memoria depositata il 28 ottobre 2014, si sono costituite le parti ricorrenti nel giudizio a quo, le quali hanno chiesto che sia dichiarata la illegittimità costituzionale dell’art. 62-quater del d.lgs. n. 504 del 1995.

5.1.− Viene dedotta, in primo luogo, la violazione degli artt. 3, 11, 53 e 117 Cost., attesa l’irragionevolezza dell’equiparazione tra tabacchi e sigarette elettroniche sul piano della disciplina autorizzatoria e fiscale.

Infatti, mentre il regime fiscale dell’accisa sui tabacchi sarebbe giustificato dal disfavore nei confronti di un bene universalmente riconosciuto come gravemente nocivo per la salute e del quale si cerca di scoraggiare il consumo, l’inesistenza di un tale presupposto in relazione alle sigarette elettroniche renderebbe manifestamente inapplicabile il medesimo regime amministrativo e tributario a beni che con il consumo del tabacco non hanno nulla in comune.

L’irragionevolezza sarebbe evidenziata anche dal contrasto con la direttiva 2014/40/UE, adottata il 3 aprile 2014, la quale ha consentito l’assoggettamento della sigaretta elettronica alle disposizioni previste per la lavorazione, presentazione e vendita dei prodotti del tabacco solo nel caso in cui la sigaretta elettronica comporti consumo di nicotina.

5.1.1.− Viene, inoltre,  dedotto che, in realtà, la disposizione in esame non opera un intervento perequativo − volto cioè ad equiparare il trattamento fiscale della sigaretta tradizionale e di quella elettronica − ma un intervento assolutamente peggiorativo rispetto a quello riservato alle sigarette tradizionali. Tale conclusione discenderebbe da un duplice ordine di considerazioni.

Da un lato, l’accisa del 58,5 per cento incide non solo sul quantitativo dei liquidi contenenti nicotina immessi in commercio, ma – indiscriminatamente − su tutto il complesso di beni (liquidi vaporizzabili, dispositivi elettronici e relativi accessori) che, nel loro insieme, costituiscono il kit comunemente denominato sigaretta elettronica.

Dall’altro lato, l’imposta sui tabacchi lavorati è comunque strutturata in modo da garantire un sistema di aliquote differenziate per ciascuna tipologia di prodotto (sigarette, sigari e sigaretti, tabacco da fumo trinciato, tabacco da fiuto e da mastico). Viceversa, l’attuale imposta sulle sigarette elettroniche prevede l’applicazione di un’aliquota proporzionale, unica ed indifferenziata, pari al 58,5 per cento.

5.2.− Con riferimento alla denunciata violazione del principio della capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost., si sottolinea che lo stesso, secondo la giurisprudenza della Corte, debba «essere inteso come espressione dell’esigenza che ogni prelievo tributario abbia causa giustificatrice in indici concretamente rivelatori di ricchezza» (è richiamata la sentenza n. 120 del 1972). Viceversa, nel caso in esame, non si comprenderebbe quale sia il fatto indice di capacità contributiva considerato dal legislatore quale presupposto dell’imposta.

Il vulnus sarebbe aggravato, inoltre, dalla duplicazione impositiva derivante dall’applicazione dell’aliquota sul prezzo di vendita dei prodotti al pubblico e, quindi, in riferimento ad un importo al lordo dell’IVA.

Si osserva, d’altra parte, che la sigaretta elettronica rappresenta un valido strumento per la lotta contro il fumo e non sarebbe, pertanto, neppure invocabile un principio di precauzione, che giustifichi l’introduzione dell’imposta in funzione della finalità extrafiscale di ostacolare la produzione ed il consumo delle sigarette elettroniche.

L’imposta sarebbe, inoltre, sproporzionata in relazione alla capacità contributiva delle singole aziende sulle quali grava, poiché la stessa si attesterebbe su un importo superiore all’intero utile aziendale di ciascuna annualità, essendo calcolata sul prezzo di vendita dal dettagliante al consumatore (e non già sul prezzo di vendita dal produttore al grossista). Il tributo non sarebbe commisurato ad alcun indice di capacità economica del produttore, ossia del soggetto passivo dell’imposta, in relazione al quale va valutato il rispetto del principio costituzionale di capacità contributiva.

5.3.− Sotto un diverso profilo, la difesa delle parti private costituite ha, inoltre, denunciato la violazione del principio di riserva di legge in materia tributaria, di cui all’art. 23 Cost., del principio di buon andamento della pubblica amministrazione, di cui all’art. 97 Cost., e del principio di certezza del diritto, di cui all’art. 3 Cost.

Viene rilevato che l’ambito applicativo dell’art. 62-quater del d.lgs. n. 504 del 1995 sarebbe così ampio da non consentire una predeterminazione legislativa della concreta imposizione fiscale applicabile alle singole fattispecie, lasciando all’amministrazione, la decisione in ordine alla determinazione della base imponibile, in violazione del principio di buon andamento della pubblica amministrazione, di cui all’art. 97 Cost., atteso che quest’ultima non sarebbe posta nelle condizioni di operare legittimamente per il perseguimento degli interessi pubblici sottesi alla sua azione.

L’indeterminatezza del precetto normativo comporterebbe inoltre l’impossibilità − per gli operatori economici − di comprendere quale sia la base imponibile, con conseguente violazione dei principi del legittimo affidamento e della certezza del diritto, il cui fondamento è individuato nell’art. 3 Cost.

5.4.− Viene, inoltre, denunciata la violazione del diritto alla salute di cui all’art. 32 Cost., poiché la normativa censurata, equiparando ai fini impositivi le sigarette tradizionali alle sigarette elettroniche, i liquidi e gli accessori alle stesse destinati, a prescindere dal loro contenuto, finirebbe per favorire il settore dei tabacchi tradizionali, concorrendo al suo sviluppo e proteggendolo dalle “turbative” determinate dalla diffusione delle sigarette elettroniche.

5.5.− La difesa delle parti private denuncia infine la violazione del principio di libertà economica, di cui all’art. 41 Cost.; del principio della tutela del lavoro, di cui all’art. 35 Cost.; degli artt. 30, 34, 35, 110 e 119 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), fatto a Roma il 25 marzo 1957; dell’art. 16 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000; dell’art. 1 della direttiva n. 118/2008/CE del Consiglio del 16 dicembre 2008, relativa al regime generale delle accise e che abroga la direttiva 92/12/CEE; dell’art. 401 della direttiva di rifusione n. 112/2006/CE, del Consiglio del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, anche in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost. L’illegittimità dell’imposizione fiscale in esame deriverebbe dalla violazione del principio di iniziativa economica privata e del principio di libera concorrenza anche nell’ambito del mercato unico europeo.

L’imposizione fiscale nazionale avrebbe l’effetto di deprimere il mercato italiano, indebolendo i suoi operatori, i quali si troverebbero a vendere lo stesso prodotto di un loro concorrente europeo ad un prezzo circa tre volte superiore. Ciò sarebbe in contrasto con gli artt. 34 e 35 del TFUE e rappresenterebbe un concreto pregiudizio per l’esercizio della libera concorrenza nell’ambito del mercato comune, determinando distorsioni tra discipline dei singoli Stati membri in ordine alle modalità di commercializzazione dei prodotti.

Viene infine denunciata la violazione della normativa comunitaria in materia di accise. Al riguardo si evidenzia che – sebbene l’imposta di cui all’art. 62-quater non rientri nella categoria delle cosidette imposte armonizzate − la stessa debba comunque rispettare i criteri di cui all’art. 1 della direttiva n. 118/2008/CE, che esclude la possibilità di introduzione di imposte che abbiano il carattere di imposta sul volume d’affari o che possano creare formalità connesse all’attraversamento delle frontiere. Viceversa, tali parametri non sarebbero rispettati dall’art. 62-quater in esame.

Considerato in diritto

1.– Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, con due ordinanze del 29 aprile 2014 (reg. ord. n. 164 e n. 165 del 2014), ha sollevato − in riferimento agli artt. 3, 23, 41 e 97 Cost. − questione di legittimità costituzionale dell’art. 62-quater del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504 (Testo unico delle disposizioni legislative concernenti le imposte sulla produzione e sui consumi e relative sanzioni penali e amministrative), nella parte in cui assoggetta alla preventiva autorizzazione da parte dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli la commercializzazione dei prodotti succedanei dei prodotti da fumo e sottopone i medesimi, a decorrere dal 1° gennaio 2014, ad imposta di consumo nella misura pari al 58,5 per cento del prezzo di vendita al pubblico.

2.− Le due ordinanze di rimessione pongono questioni identiche, o tra loro strettamente connesse, in relazione alla normativa censurata.

Ed invero, lo stesso giudice rimettente − ravvisando la violazione dei medesimi parametri costituzionali − denuncia la disposizione sopra indicata, nella parte in cui assoggetta alla preventiva autorizzazione la commercializzazione dei prodotti succedanei dei prodotti da fumo e sottopongono i medesimi prodotti ad imposta di consumo.

I giudizi, pertanto, vanno riuniti per essere congiuntamente esaminati e decisi con unica pronuncia.

3.− In via preliminare, va dichiarata l’inammissibilità delle deduzioni svolte dalla difesa delle parti private costituite nel giudizio iscritto al n. 165 del 2014, volte ad estendere il thema decidendum – come fissato nella ordinanza di rimessione – anche alla violazione degli artt. 11, 32, 35, 53 e 117 Cost.; degli artt. 30, 34, 35, 110 e 119 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) fatto a Roma il 25 marzo 1957; dell’art. 16 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000; dell’art. 1 della direttiva n. 118/2008/CE del Consiglio del 16 dicembre 2008, relativa al regime generale delle accise e che abroga la direttiva 92/12/CEE; dell’art. 401 della direttiva di rifusione n. 112/2006/CE, del Consiglio del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, anche in relazione agli artt. 3 e 53 Cost. Tali questioni hanno formato oggetto di discussione nell’ambito del giudizio a quo e tuttavia non sono state recepite nell’ordinanza di rimessione che, dopo averle valutate, le ha espressamente disattese.

Per costante giurisprudenza di questa Corte, l’oggetto del giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale è limitato alle disposizioni e ai parametri indicati nelle ordinanze di rimessione. Pertanto, non possono essere presi in considerazione ulteriori questioni o profili di costituzionalità dedotti dalle parti, sia eccepiti, ma non fatti propri dal giudice a quo, sia volti ad ampliare o modificare successivamente il contenuto delle stesse ordinanze (fra le molte, sentenze n. 271 del 2011, n. 236 e n. 56 del 2009, n. 86 del 2008 e n. 244 del 2005; ordinanza n. 174 del 2003).

4.− L’eccezione di inammissibilità della questione di legittimità costituzionale, per difetto del requisito della rilevanza nel giudizio a quo, è infondata.

4.1.− L’Avvocatura generale dello Stato ritiene l’insussistenza di un nesso di strumentalità necessaria tra il regime autorizzativo e l’obbligazione tributaria, in quanto l’imposta sarebbe comunque dovuta, a prescindere dall’autorizzazione al commercio. Il presupposto dell’imposta, infatti, non è costituito dall’istituzione e dall’esercizio di un deposito fiscale, ma dall’immissione in consumo dei beni (art. 61, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 504 del 1995). Parimenti, la determinatezza del presupposto impositivo sarebbe del tutto slegata dal regime di autorizzazione. Pertanto, la questione di legittimità costituzionale relativa all’imposta in sé sarebbe irrilevante nel giudizio a quo, in cui si controverte della legittimità del regime autorizzatorio.

Tuttavia, la necessità dell’autorizzazione che forma oggetto del provvedimento impugnato dinanzi al giudice amministrativo è prevista dalla medesima disposizione legislativa che – nel successivo comma dello stesso articolo − regola anche l’imposizione, evidenziando una connessione funzionale inscindibile tra la disciplina autorizzatoria e quella impositiva.

Del resto, anche dall’esame dei lavori preparatori della disposizione censurata e dalla valutazione delle caratteristiche strutturali del regime autorizzatorio e di quello impositivo, emerge la preminenza dell’esigenza di carattere fiscale nell’insieme delle disposizioni impugnate.

Da ciò la rilevanza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 62-quater del d.lgs. n. 504 del 1995 nel giudizio a quo, avente ad oggetto l’impugnazione del decreto ministeriale 16 novembre 2013, attuativo dell’art. 62-quater, comma 4, del d.lgs. citato.

4.1.1.− La questione conserva la sua rilevanza nel giudizio a quo, anche a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 1, comma 1, lettera f), del decreto legislativo 15 dicembre 2014, n. 188 (Disposizioni in materia di tassazione dei tabacchi lavorati, dei loro succedanei, nonché di fiammiferi, a norma dell articolo 13 della legge 11 marzo 2014, n. 23).

Tale disposizione ha modificato l’art. 62-quater, con l’inserimento del comma 1-bis, il quale assoggetta i prodotti da inalazione senza combustione, contenenti o meno nicotina, e costituiti da sostanze liquide, a un’imposta modellata in termini radicalmente differenti rispetto a quelli della norma oggetto di censura.

Peraltro, la disposizione originaria dell’art. 62-quater, che già aveva trovato attuazione con la normativa di carattere secondario, oggetto di impugnazione nel giudizio a quo, non è stata abrogata. Il citato art. 1, comma 1, lettera f), del d.lgs. n. 188 del 2014, dispone espressamente, all’ultimo capoverso, che dalla data di entrata in vigore della nuova disciplina (24 dicembre 2014) «cessa di avere applicazione l’imposta prevista dal comma 1, le cui disposizioni continuano ad avere applicazione esclusivamente per la disciplina delle obbligazioni sorte in vigenza del regime di imposizione previsto dal medesimo comma».

L’operatività della precedente disciplina impositiva viene dunque circoscritta alle obbligazioni tributarie sorte nella vigenza di essa. Così delimitato l’ambito di efficacia della disposizione censurata, permane la rilevanza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 62-quater, nella formulazione in vigore sino al 23 dicembre 2014.

Del resto, non forma oggetto di contestazione tra le parti − le quali, anzi, vi hanno fatto espressamente riferimento nel corso della discussione orale all’udienza del 14 aprile 2015 – la circostanza che le stesse abbiano avanzato richiesta di autorizzazione al commercio di prodotti succedanei dei prodotti da fumo e che tale attività sia stata effettivamente svolta nel corso dell’anno 2014, nella vigenza della precedente disciplina. La titolarità dell’autorizzazione in capo alle parti ricorrenti e lo svolgimento dell’attività autorizzata hanno quindi determinato l’insorgere dell’obbligazione tributaria nella vigenza della disciplina previgente, oggetto di censura da parte del rimettente.

4.2.− Anche l’eccezione di inammissibilità della questione di legittimità costituzionale per il mancato assolvimento dell’obbligo di interpretazione conforme è infondata.

L’Avvocatura generale dello Stato contesta il mancato esperimento del doveroso tentativo di interpretazione conforme alla luce del diritto comunitario, in particolare perché il TAR Lazio non avrebbe tenuto conto della direttiva n. 2014/40/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, sul ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri relative alla lavorazione, alla presentazione e alla vendita dei prodotti del tabacco e dei prodotti correlati e che abroga la direttiva 2001/37/CE.

Tuttavia la direttiva richiamata, la cui pubblicazione è comunque successiva alla disposizione impugnata, non è stata ancora recepita nell’ordinamento interno e non è direttamente applicabile. Il termine fissato per il suo recepimento è il 20 maggio 2016.

Va, inoltre, rilevato che la stessa direttiva, sebbene fornisca una analitica definizione della sigaretta elettronica, distingue tra i prodotti contenenti nicotina e gli altri prodotti aromatizzati, rimettendo agli Stati membri «la responsabilità di adottare norme sugli aromi», nonché di motivare e di notificare «qualsiasi divieto di tali prodotti aromatizzati» (considerando n. 47). Ne consegue che dalla stessa direttiva sono ricavabili principi e definizioni oggi non ancora vigenti in Italia e comunque non utilmente applicabili ai fini dell’interpretazione della disposizione censurata.

5.− La questione di legittimità costituzionale dell’art. 62-quater del d.lgs. n. 504 del 1995 è fondata.

5.1.− La disposizione impugnata, introdotta dall’art. 11, comma 22, del decreto- legge 28 giugno 2013, n. 76 (Primi interventi urgenti per la promozione dell’occupazione, in particolare giovanile, della coesione sociale, nonché in materia di Imposta sul valore aggiunto ‒ IVA ‒ e altre misure finanziarie urgenti), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 9 agosto 2013, n. 99, ha previsto una disciplina autorizzatoria ed impositiva per l’attività di commercio dei prodotti sostitutivi dei prodotti da fumo.

Come emerge dall’esame dei lavori preparatori, essa trova primaria giustificazione nell’esigenza fiscale, di recupero di un’entrata erariale − l’accisa sui tabacchi, con particolare riguardo alle sigarette − la quale ha subito una rilevante erosione, per effetto dell’affermazione sul mercato delle sigarette elettroniche.

Ma anche in materia tributaria, il principio della discrezionalità e dell’insindacabilità delle opzioni legislative incontra il limite della manifesta irragionevolezza, che nel caso in esame risulta varcato dalla indiscriminata sottoposizione ad imposta di qualsiasi prodotto contenente «altre sostanze», diverse dalla nicotina, purché idoneo a sostituire il consumo dei tabacchi lavorati, nonché dei dispositivi e delle parti di ricambio, che ne consentono il consumo, e in definitiva di prodotti che non hanno nulla in comune con i tabacchi lavorati.

La violazione del parametro di cui all’art. 3 Cost. va ravvisata nell’intrinseca irrazionalità della disposizione che assoggetta ad un’aliquota unica e indifferenziata una serie eterogenea di sostanze, non contenenti nicotina, e di beni, aventi uso promiscuo.

Infatti, mentre il regime fiscale dell’accisa con riferimento al mercato dei tabacchi, trova la sua giustificazione nel disfavore nei confronti di un bene riconosciuto come gravemente nocivo per la salute e del quale si cerca di scoraggiare il consumo, tale presupposto non è ravvisabile in relazione al commercio di prodotti contenenti «altre sostanze», diverse dalla nicotina, idonee a sostituire il consumo del tabacco, nonché dei dispositivi e delle parti di ricambio che ne consentono il consumo.

Appare quindi del tutto irragionevole l’estensione, operata dalla disposizione censurata, del regime amministrativo e tributario proprio dei tabacchi anche al commercio di liquidi aromatizzati e di dispositivi per il relativo consumo, i quali non possono essere considerati succedanei del tabacco.

La sola indicazione dell’idoneità a sostituire il consumo dei tabacchi lavorati − riferita ai prodotti non contenenti nicotina, e ai dispositivi che ne consentono il consumo – evidenzia, inoltre, l’indeterminatezza della base imponibile e la mancata indicazione di specifici e vincolanti criteri direttivi, idonei ad indirizzare la discrezionalità amministrativa nella fase di attuazione della normativa primaria. Discende da ciò il contrasto della disposizione in esame con la riserva di legge in materia di prestazioni patrimoniali imposte, di cui all’art. 23 Cost.

Ed invero, se è indubbio che la riserva di legge di cui all’art. 23 della Costituzione, abbia carattere relativo, nel senso che lascia all’autorità amministrativa consistenti margini di regolazione delle fattispecie, va rilevato – in conformità al consolidato orientamento di questa Corte − che ciò «non relega tuttavia la legge sullo sfondo, né può costituire giustificazione sufficiente per un rapporto con gli atti amministrativi concreti ridotto al mero richiamo formale ad un prescrizione normativa “in bianco”, genericamente orientata ad un principio-valore, senza una precisazione, anche non dettagliata, dei contenuti e modi dell’azione amministrativa limitativa della sfera generale di libertà dei cittadini» (sentenza n. 115 del 2011).

Questa Corte ha inoltre ritenuto, sin dalle sue prime pronunce, che «l’espressione “in base alla legge”, contenuta nell’art. 23 della Costituzione», si deve interpretare «in relazione col fine della protezione della libertà e della proprietà individuale, a cui si ispira tale fondamentale principio costituzionale»; questo principio «implica che la legge che attribuisce ad un ente il potere di imporre una prestazione non lasci all’arbitrio dell’ente impositore la determinazione della prestazione» (sentenza n. 4 del 1957). Lo stesso orientamento è stato ribadito in tempi recenti, quando la Corte ha affermato che, per rispettare la riserva relativa di cui all’art. 23 Cost., è quanto meno necessaria la preventiva determinazione di «sufficienti criteri direttivi di base e linee generali di disciplina della discrezionalità amministrativa» (sentenze n. 350 del 2007 e n. 105 del 2003), richiedendo in particolare che «la concreta entità della prestazione imposta sia desumibile chiaramente dagli interventi legislativi che riguardano l’attività dell’amministrazione» (sentenze n. 190 del 2007 e n. 115 del 2011).

Viceversa, la norma dell’art. 62-quater del d.lgs n. 504 del 1995, affida ad una valutazione soggettiva ed empirica − la idoneità di prodotti non contenenti nicotina alla sostituzione dei tabacchi lavorati – l’individuazione della base imponibile e nemmeno offre elementi dai quali ricavare, anche in via indiretta, i criteri e i limiti volti a circoscrivere la discrezionalità amministrativa nella definizione del tributo. Né l’elasticità delle indicazioni legislative è accompagnata da forme procedurali partecipative, già indicate da questa Corte come possibile correttivo (sentenze n. 180 e n. 157 del 1996; n. 182 del 1994; n. 507 del 1988).

La disposizione in esame costituisce quindi violazione della riserva di legge prevista dall’art. 23 Cost., che impone al legislatore l’obbligo di determinare preventivamente i criteri direttivi e le linee generali di disciplina della discrezionalità amministrativa.

Va, pertanto, dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 62-quater del d.l.gs. n. 504 del 1995, nel testo originario, antecedente alle modifiche apportate dall’art. 1, comma 1, lettera f), del d.lgs n. 188 del 2014, nella parte in cui sottopone ad imposta di consumo, nella misura pari al 58,5 per cento del prezzo di vendita al pubblico, la commercializzazione dei prodotti non contenenti nicotina, idonei a sostituire il consumo dei tabacchi lavorati, nonché i dispositivi meccanici ed elettronici, comprese le parti di ricambio, che ne consentono il consumo.

Restano assorbite le ulteriori censure.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 62-quater del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504 (Testo unico delle disposizioni legislative concernenti le imposte sulla produzione e sui consumi e relative sanzioni penali e amministrative), nel testo originario, antecedente alle modifiche apportate dall’art. 1, comma 1, lettera f), del decreto legislativo 15 dicembre 2014, n. 188 (Disposizioni in materia di tassazione dei tabacchi lavorati, dei loro succedanei, nonché di fiammiferi, a norma dell’articolo 13 della legge 11 marzo 2014, n. 23), nella parte in cui sottopone ad imposta di consumo, nella misura pari al 58,5 per cento del prezzo di vendita al pubblico, la commercializzazione dei prodotti non contenenti nicotina, idonei a sostituire il consumo dei tabacchi lavorati, nonché i dispositivi meccanici ed elettronici, comprese le parti di ricambio, che ne consentono il consumo.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 aprile 2015.

F.to:

Alessandro CRISCUOLO, Presidente

Giuliano AMATO, Redattore

Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 15 maggio 2015.