Sentenza n. 82 del 2015

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SENTENZA N. 82

ANNO 2015

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Alessandro                 CRISCUOLO                        Presidente

-           Paolo Maria                NAPOLITANO                       Giudice

-           Giuseppe                    FRIGO                                          

-           Paolo                          GROSSI                                       

-           Giorgio                       LATTANZI                                  

-           Aldo                           CAROSI                                       

-           Marta                          CARTABIA                                 

-           Mario Rosario             MORELLI                                    

-           Giancarlo                    CORAGGIO                                 

-           Giuliano                      AMATO                                       

-           Silvana                        SCIARRA                                    

-           Daria                           de PRETIS                                    

-           Nicolò                         ZANON                                        

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 28, commi 2, 3, 6, 7, 8, 9, 10 e 11-ter, e 48 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214, promossi dalla Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol, dalla Provincia autonoma di Trento, dalla Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, dalla Regione siciliana, dalla Provincia autonoma di Bolzano, dalla Regione autonoma Sardegna e dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, con ricorsi notificati il 24, il 23-28, il 25, il 24 e il 25 febbraio 2012, depositati in cancelleria il 28 e il 29 febbraio, il 1°, il 2 e il 5 marzo 2012 e rispettivamente iscritti ai nn. 33, 34, 38, 39, 40, 47 e 50 del registro ricorsi 2012.

Visti gli atti di costituzione (di cui quattro fuori termine) del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 25 marzo 2015 il Giudice relatore Marta Cartabia;

uditi gli avvocati Luigi Manzi per la Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol, per la Provincia autonoma di Trento e per la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, Francesco Saverio Marini per la Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, Beatrice Fiandaca per la Regione siciliana, Massimo Luciani per la Regione autonoma Sardegna e l’avvocato dello Stato Paolo Gentili per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso notificato in data 24 febbraio 2012 e depositato il successivo 28 febbraio 2012 (reg. ric. n. 33 del 2012), la Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol ha promosso questioni di legittimità costituzionale, tra l’altro, degli artt. 28, comma 3, e 48 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214, per violazione del Titolo VI, e in particolare degli artt. 69 e 79, nonché degli artt. 103, 104 e 107 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige); degli artt. 2 e 4 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento); degli artt. 9, 10 e 10-bis del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige in materia di finanza regionale e provinciale); degli artt. 3, 117, 118 e 119 della Costituzione, «in combinato disposto» con l’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3; dell’art. 2, comma 108, della legge 23 dicembre 2009, n. 191 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2010), nonché del principio di leale collaborazione.

1.1.– La Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol dubita della legittimità costituzionale dell’art. 28, comma 3, del d.l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011, in riferimento agli artt. 69, 79, 104 e 107 dello statuto speciale, oltre che con l’art. 3 Cost.

Dopo aver ricordato che l’art. 28 ha ad oggetto il concorso alla manovra degli enti territoriali e ulteriori riduzioni di spese, la ricorrente riporta il contenuto del comma 3, sottolineando come esso configuri una ulteriore rilevante sottrazione di risorse alle Regioni speciali, che si aggiunge a quelle già stabilite con altri interventi del legislatore statale. In particolare, la disposizione impugnata prevede che: «Con le procedure previste dall’articolo 27, della legge 5 maggio 2009, n. 42, le Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e Bolzano assicurano, a decorrere dall’anno 2012, un concorso alla finanza pubblica di euro 860 milioni annui. Con le medesime procedure le Regioni Valle d’Aosta e Friuli-Venezia Giulia e le Province autonome di Trento e Bolzano assicurano, a decorrere dall’anno 2012, un concorso alla finanza pubblica di 60 milioni di euro annui, da parte dei Comuni ricadenti nel proprio territorio. Fino all’emanazione delle norme di attuazione di cui al predetto articolo 27, l’importo complessivo di 920 milioni è accantonato, proporzionalmente alla media degli impegni finali registrata per ciascuna autonomia nel triennio 2007-2009, a valere sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali. Per la Regione siciliana si tiene conto della rideterminazione del fondo sanitario nazionale per effetto del comma 2».

Ad avviso della ricorrente, il concorso richiesto, a decorrere dall’anno 2012, alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano, oltre che ai Comuni ricadenti nel territorio di alcune di esse (incluse le due Province autonome), non avrebbe alcuna base statutaria. Anzi, l’impugnato art. 28, comma 3, contrasterebbe sia con l’art. 69 dello statuto, laddove assicura alla Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol le risorse finanziarie necessarie all’esercizio delle sue funzioni, in particolare mediante la devoluzione di quote del gettito di talune entrate tributarie dello Stato riscosse nella Regione; sia, soprattutto, con l’art. 79 del medesimo statuto (come sostituito dalla lettera h del comma 107 dell’art. 2 della legge 23 dicembre 2009, n. 191), che disciplinerebbe in modo preciso, esaustivo ed esclusivo le regole secondo cui la Regione autonoma assolve gli «obblighi di carattere finanziario posti dall’ordinamento comunitario, dal patto di stabilità interno e dalle altre misure di coordinamento della finanza pubblica stabilite dalla normativa statale».

La ricorrente, inoltre, sottolinea come quest’ultima disposizione configuri un regime speciale, che non può essere alterato unilateralmente dal legislatore ordinario – i cui interventi in materia non troverebbero dunque applicazione nella Regione speciale (art. 79, comma 4) – ma che potrebbe essere configurato solo con la procedura prevista dall’art. 104, primo comma, dello statuto, ossia «con legge ordinaria dello Stato su concorde richiesta del Governo e, per quanto di rispettiva competenza, della regione o delle due province». Ciò, in coerenza con il principio dell’accordo che, ad avviso della ricorrente, dominerebbe tutto il regime dei rapporti finanziari tra lo Stato e le Regioni speciali, riconosciuto anche nella giurisprudenza costituzionale (si richiamano le sentenze di questa Corte n. 133 del 2010; n. 82 del 2007; n. 353 del 2004; n. 98 del 2000; n. 39 del 1984).

La ricorrente ritiene che il rinvio alle norme di attuazione dello statuto, in base all’art. 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione), non dovrebbe trarre in inganno, per tre ordini di ragioni: in primo luogo, dal momento che già l’accantonamento di risorse finanziarie – pari complessivamente a 920 milioni – a valere sulle quote di compartecipazione dei tributi erariali, sarebbe di per sé lesivo delle prerogative regionali; in secondo luogo, perché l’art. 79 dello statuto, che così verrebbe ad essere derogato, sarebbe modificabile solo con l’apposita procedura di cui all’art. 104 del medesimo statuto (ossia «con legge ordinaria dello Stato su concorde richiesta del Governo e, per quanto di rispettiva competenza, della regione o delle due province»), e non in sede di attuazione; in terzo e ultimo luogo, posto che in tal modo si verrebbe a determinare un vincolo di contenuto per le norme di attuazione dello statuto. Su questi ultimi due elementi si fonda perciò la pretesa violazione degli artt. 104 e 107 dello statuto speciale.

È oggetto di censura altresì il criterio di riparto dell’accantonamento determinato dal terzo periodo dell’art. 28, comma 3, impugnato, che deve aver luogo «proporzionalmente alla media degli impegni finali registrata per ciascuna autonomia nel triennio 2007-2009», in quanto non risulta essere stato in alcun modo pariteticamente concordato tra Stato e Regioni speciali.

Ulteriori profili di illegittimità riguarderebbero, infine, il quarto periodo del medesimo art. 28, comma 3, impugnato, sulla base del quale «[p]er la Regione siciliana si tiene conto della rideterminazione del fondo sanitario nazionale, per effetto del comma 2». Ad avviso della ricorrente la disposizione, ancorché oscura, sarebbe interpretabile nel senso che la quota di risorse da addossare alla Regione siciliana andrebbe ridotta in corrispondenza delle minori risorse del Fondo sanitario destinate alla medesima Regione. Se così fosse, si configurerebbe un’alterazione in peggio per la Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol, che sarebbe chiamata a contribuire al finanziamento parziale della sanità siciliana, in violazione dell’art. 3 della Cost. – con censura reputata analoga ad altra già ritenuta ammissibile (e infondata) dalla Corte nella sentenza n. 16 del 2010 – e dell’autonomia finanziaria e amministrativa della Regione.

La Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol dubita altresì della legittimità costituzionale dell’art. 48, commi 1 e 1-bis, del medesimo d.l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011, in riferimento agli artt. 69, 79, 103, 104 e 107 dello statuto speciale, oltre che delle relative norme di attuazione (in particolare gli artt. 9, 10 e 10-bis del d.lgs. n. 268 del 1992), e del principio di leale collaborazione.

L’art. 48 si compone di due commi che contengono due distinte disposizioni.

Al comma 1 è dettata una generale «clausola di finalizzazione», in base alla quale le maggiori entrate erariali derivanti dal decreto-legge «sono riservate all’Erario, per un periodo di cinque anni, per essere destinate alle esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea, anche alla luce della eccezionalità della situazione economica internazionale. Con apposito decreto del Ministero dell’economia e delle finanze, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto e da trasmettere alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica, sono stabilite le modalità di individuazione del maggior gettito, attraverso separata contabilizzazione».

Ad avviso della ricorrente tale disposizione risulterebbe in contrasto anzitutto con l’art. 69, comma 2, lettera b), dello statuto del Trentino-Alto Adige/Südtirol, che garantisce alla Regione una precisa compartecipazione all’IVA.

Inoltre, essa non rispetterebbe due dei tre requisiti, stabiliti dall’art. 9 del d.lgs. n. 268 del 1992, necessari affinché il gettito derivante da maggiorazioni di aliquote o dall’istituzione di nuovi tributi possa essere riservato all’erario, e che questa Corte ha enunciato nella sentenza n. 182 del 2010. Mancherebbero, infatti, nella specie: in primo luogo, la finalizzazione del maggior gettito a finalità diverse tanto dal raggiungimento degli obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica (art. 10, comma 6, del d.lgs. n. 268 del 1992), quanto dalla copertura di spese derivanti dall’esercizio delle funzioni statali delegate alla Regione (art. 10-bis, comma 1, lettera b, del medesimo decreto legislativo), posto che le finalità individuate («raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea») coinciderebbero con il riequilibrio della finanza pubblica; in secondo luogo, la destinazione del maggior gettito alla copertura di nuove specifiche spese di carattere non continuativo che non rientrino nelle materie di competenza della Regione o delle Province, visto che nella specie, diversamente dall’art. 13-bis, comma 8, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78 (Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini e della partecipazione italiana a missioni internazionali), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 3 agosto 2009, n. 102, e scrutinato nella già citata sentenza n. 182 del 2010, ciò non accadrebbe.

L’impugnato art. 48, comma 1, non potrebbe neppure trovare fondamento, sempre ad avviso della ricorrente, nell’art. 10 del d.lgs. n. 268 del 1992. Anzitutto perché tale disposizione risulterebbe inapplicabile una volta abrogato – dall’art. 2, comma 107, lettera a), della legge 23 dicembre 2009, n. 191, a decorrere dal 1° gennaio 2010 – l’art. 78 dello statuto speciale, cui tale disposizione dà attuazione. Anche qualora il suddetto art. 10 si ritenesse tuttora applicabile, limitatamente al suo comma 6, la norma impugnata risulterebbe non in linea con esso, posto che mentre in quest’ultimo si ribadisce il principio consensuale che regola i rapporti finanziari tra Stato e Regioni speciali e comunque e si fa riferimento ad «una quota del previsto incremento del gettito tributario», nella norma impugnata lo Stato riserverebbe unilateralmente all’erario tutte «le maggiori entrate» derivanti dal d.l. n. 201 del 2011.

L’art. 48, comma 1, risulterebbe in contrasto altresì con l’art. 79 dello statuto speciale (come sostituito dalla lettera h del comma 107 dell’art. 2 della legge 23 dicembre 2009, n. 191), già richiamato, che configurerebbe un sistema completo di concorso della Regione agli obiettivi di finanza pubblica, non derogabile se non con le modalità previste dallo Statuto.

Proprio in quanto configurerebbe una deroga agli artt. 69 e 79 dello statuto speciale e alle relative norme di attuazione, perché disposta con una fonte primaria “ordinaria” – ossia un decreto-legge convertito –, l’art. 48, comma 1, impugnato, violerebbe altresì, ad avviso della ricorrente, gli artt. 103, 104 e 107 dello statuto speciale che, rispettivamente, disciplinano: il procedimento di revisione costituzionale per modificare lo statuto speciale in via ordinaria; la modifica della disciplina finanziaria con legge statale, ma «su concorde richiesta del Governo e, per quanto di rispettiva competenza, della regione o delle due province»; la procedura per l’adozione delle norme di attuazione dello statuto speciale.

Una specifica censura è poi rivolta dalla ricorrente nei confronti del secondo periodo dell’art. 48, comma 1, che demanda ad un decreto del Ministro dell’economia e delle finanze le modalità di individuazione del maggiore gettito. Oltre ad essere affetta dai medesimi vizi che caratterizzerebbero il periodo precedente, la disposizione sarebbe in contrasto con il principio di leale collaborazione, in quanto, in una materia dominata dal principio consensuale, prevede un decreto ministeriale senza intesa con la Regione.

L’impugnato art. 48, comma 1-bis, reca la cosiddetta «clausola di salvaguardia», rinviando alle norme di attuazione degli statuti speciali di cui all’art. 27 della legge n. 42 del 2009 la definizione delle modalità di applicazione del decreto-legge e i suoi effetti finanziari per le Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e di Bolzano, stabilendo peraltro che restano ferme le disposizioni previste dagli artt. 13, 14 e 28, nonché quelle del medesimo art. 48 (comma 1).

A parte la difficoltà di individuare un contenuto alle norme di attuazione ivi prefigurate, la ricorrente argomenta per l’illegittimità costituzionale anche di tale disposizione, in quanto non spetterebbe alla legge ordinaria disciplinare il contenuto delle norme di attuazione dello statuto.

1.2.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha depositato, in data 11 maggio 2012, e dunque fuori termine (trenta giorni dal termine perentorio di trenta giorni dalla scadenza del termine stabilito per il deposito del ricorso, ai sensi dell’art. 19, comma 3, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale), una propria memoria, argomentando per l’infondatezza del ricorso e chiedendone il rigetto.

1.3.– In prossimità dell’udienza pubblica fissata per il 29 gennaio 2014, la Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol ha depositato, in data 7 gennaio 2014, una memoria, nella quale reitera le censure rivolte agli artt. 28, comma 3, e 48 del d.l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011.

Riguardo all’art. 28, comma 3, la ricorrente sostiene che la fondatezza delle censure sollevate sarebbe avvalorata dalle sentenze n. 118 del 2012 e n. 241 del 2012, che hanno confermato l’importanza del principio pattizio nei rapporti tra lo Stato e le Regioni speciali in materia finanziaria.

Riguardo all’art. 48, la ricorrente rileva che l’illegittimità costituzionale delle «riserve all’erario» sarebbe confermata dalle sentenze n. 142 e n. 241 del 2012, che hanno accolto le censure relative, rispettivamente, alla riserva allo Stato del gettito dell’addizionale erariale sulla tassa automobilistica e ad una riserva integrale di entrate erariali avente analoga destinazione rispetto a quella oggetto di impugnazione.

1.4.– In prossimità dell’udienza pubblica fissata per il 22 ottobre 2014, la Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol ha depositato, in data 30 settembre 2014, una ulteriore memoria, richiamando in particolare, la sentenza n. 23 del 2014 della Corte costituzionale, che confermerebbe l’illegittimità dell’art. 28, comma 3, impugnato, per violazione dell’art. 69 dello statuto.

1.5.– La Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol, in data 28 gennaio 2015, ha depositato il proprio atto di rinuncia all’impugnazione degli artt. 28, comma 3, e 48 del d.l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011. In data 4 febbraio 2015 la medesima Regione ha depositato altresì la delibera con cui il Consiglio regionale del Trentino-Alto Adige/Südtirol, il 21 gennaio 2015, ha ratificato la delibera con cui la Giunta rinunciava al ricorso.

1.6.– Con memoria depositata il 19 febbraio 2015, l’Avvocatura generale dello Stato, sulla base della delibera del Consiglio dei ministri del 10 febbraio 2015, ha comunicato di accettare, a nome del Presidente del Consiglio dei ministri, la rinuncia al giudizio da parte della Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol.

2.– Con ricorso notificato in data 24 febbraio 2012 e depositato il successivo 28 febbraio 2012 (reg. ric. n. 34 del 2012), la Provincia autonoma di Trento ha promosso questioni di legittimità costituzionale, tra l’altro, degli artt. 28, comma 3, e 48 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214, per violazione del Titolo VI, e in particolare degli artt. 75, 79, 80, 81 e 82, nonché degli artt. 103, 104 e 107 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige); degli artt. 9, 10 e 10-bis del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige in materia di finanza regionale e provinciale); degli artt. 2 e 4 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento); degli artt. 3, 117, 118 e 119 della Costituzione, «in combinato disposto» con l’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3; dell’art. 2, comma 108, della legge 23 dicembre 2009, n. 191 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2010), nonché del principio di leale collaborazione.

2.1.– La Provincia autonoma di Trento sospetta l’illegittimità costituzionale dell’art. 28, comma 3, del d.l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011, in riferimento agli artt. 69, 79, 104 e 107 dello statuto speciale, oltre che all’art. 3 della Costituzione.

Con riguardo all’art. 28, comma 3, la ricorrente, dopo aver sottolineato come esso, nel determinare il concorso alla finanza pubblica delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e di Bolzano, configuri una rilevante sottrazione di risorse alle Regioni speciali, evidenzia come venga stabilito altresì, per effetto del terzo periodo di tale comma («le Regioni Valle d’Aosta e Friuli-Venezia Giulia e le Province autonome di Trento e di Bolzano assicurano, a decorrere dall’anno 2012, un concorso alla finanza pubblica di 60 milioni di euro annui, da parte dei Comuni ricadenti nel proprio territorio»), un taglio di risorse anche a carico degli enti locali situati nel territorio della Provincia autonoma. Tale taglio, ad avviso della ricorrente, inciderebbe in sostanza sempre sulla Provincia autonoma, visto che ai sensi dell’art. 81, comma 2, dello statuto speciale la Provincia autonoma deve finanziare adeguatamente i Comuni, e sarebbe comunque impugnabile anche ad opera della Provincia (ex multis, le sentenze di questa Corte n. 278 del 2010; n. 298 del 2009; n. 169 del 2007; n. 95 del 2007; n. 417 del 2005; n. 196 del 2004; n. 533 del 2002).

La sottrazione di risorse operata dall’art. 28, comma 3, impugnato, non avrebbe alcuna base statutaria e si porrebbe in contrasto con gli artt. 75, laddove assicura alla Provincia autonoma di Trento le finanze necessarie all’esercizio delle sue funzioni, e 79 dello statuto speciale. Quest’ultima disposizione definirebbe infatti in modo preciso, esaustivo ed esclusivo le modalità con cui le Province autonome assolvono gli obblighi di carattere finanziario derivanti dalle misure di coordinamento della finanza pubblica stabilite dalla legislazione statale, con regole che possono essere modificate esclusivamente con la procedura prevista dall’art. 104 dello statuto speciale, configurando un regime speciale che non può essere unilateralmente alterato dal legislatore statale, in violazione del principio dell’accordo circa il regime dei rapporti finanziari tra Stato e Regioni speciali, riconosciuto dalla giurisprudenza costituzionale (sentenze n. 133 del 2010; n. 82 del 2007; n. 353 del 2004; n. 98 del 2000; n. 39 del 1984).

Per quel che specificamente riguarda le Province autonome, viene invocato, poi, l’art. 79, comma 3, dello statuto, il quale, nel quadro della generale competenza legislativa provinciale in materia di finanza locale di cui all’art. 80 dello statuto, attribuisce alle medesime Province poteri di coordinamento finanziario con riferimento agli enti locali: questa competenza è stata esercitata con la legge provinciale 15 novembre 1993, n. 36 (Norme in materia di finanza locale), il cui art. 3 dispone che le misure necessarie a garantire il coordinamento della finanza comunale con quella provinciale, incluse quelle per il perseguimento degli obiettivi correlati al patto di stabilità interno, sono stabilite in sede di definizione dell’accordo di cui all’art. 81 dello statuto speciale, fra il Presidente della Provincia autonoma e una rappresentanza unitaria dei rispettivi comuni.

La ricorrente ritiene che il rinvio alle norme di attuazione dello statuto speciale, in base all’art. 27 della legge n. 42 del 2009, non dovrebbe trarre in inganno, per tre ordini di ragioni: in primo luogo, dal momento che già l’accantonamento di risorse finanziarie – pari complessivamente a 920 milioni – a valere sulle quote di compartecipazione dei tributi erariali, sarebbe autonomamente lesivo; in secondo luogo, perché l’art. 79 dello statuto, che così verrebbe ad essere derogato, sarebbe modificabile solo con l’apposita procedura di cui all’art. 104 del medesimo statuto (ossia «con legge ordinaria dello Stato su concorde richiesta del Governo e, per quanto di rispettiva competenza, della regione o delle due province»), e non in sede di attuazione; in terzo e ultimo luogo, posto che in tal modo si verrebbe a determinare un vincolo di contenuto per le norme di attuazione dello statuto. Su questi ultimi due elementi si fonda perciò la pretesa violazione degli artt. 104 e 107 dello statuto speciale.

Analoghe censure possono essere rivolte alla quota di 60 milioni di euro che, ai sensi dell’impugnato art. 28, comma 3, terzo periodo, lo Stato esige (anche) dalla Provincia autonoma di Trento «da parte dei Comuni ricadenti nel proprio territorio», dal momento che non rientrerebbe tra i compiti della Provincia autonoma quello di fungere da esattore per conto dello Stato, né lo Stato avrebbe titolo per esigere dalla medesima Provincia somme che ritenga a qualsiasi titolo dovute dai Comuni.

È oggetto di censura altresì il criterio di riparto dell’accantonamento determinato dal terzo periodo dell’art. 28, comma 3, impugnato, secondo cui esso deve aver luogo «proporzionalmente alla media degli impegni finali registrata per ciascuna autonomia nel triennio 2007-2009», in quanto non risulterebbe essere stato in alcun modo pariteticamente concordato tra Stato e Regioni speciali.

Ulteriori profili di illegittimità riguarderebbero, infine, il quarto periodo del medesimo art. 28, comma 3, impugnato, sulla base del quale «Per la Regione Siciliana si tiene conto della rideterminazione del fondo sanitario nazionale, per effetto del comma 2». Ad avviso del ricorrente la disposizione, ancorché oscura, sarebbe interpretabile nel senso che la quota di risorse da addossare alla Regione siciliana andrebbe ridotta in corrispondenza delle minori risorse del Fondo sanitario destinate alla medesima Regione. Se così fosse, si configurerebbe un’alterazione in peggio per la Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol, che sarebbe chiamata a contribuire al finanziamento parziale della sanità siciliana, in violazione dell’art. 3 della Cost. e dell’autonomia finanziaria e amministrativa della Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol.

La Provincia autonoma di Trento sospetta, altresì, l’illegittimità costituzionale dell’art. 48, commi 1 e 1-bis, del medesimo d.l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011, in riferimento agli artt. 69, 79, 103, 104 e 107 dello statuto speciale, oltre che alle relative norme di attuazione (in particolare gli artt. 9, 10 e 10-bis del d.lgs. n. 268 del 1992), e al principio di leale collaborazione.

Ad avviso della ricorrente il comma 1, il quale, con una «clausola di finalizzazione», riserva il maggior gettito all’Erario, per un periodo di cinque anni, destinandolo alle esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea e demanda ad un decreto del Ministero dell’economia e delle finanze le modalità di individuazione del maggior gettito, risulterebbe in contrasto con l’art. 75 dello statuto del Trentino-Alto Adige/Südtirol, che garantisce alla Provincia ben precise compartecipazione a tutti i tributi erariali.

Inoltre, tale disposizione non rispetterebbe due dei tre requisiti, stabiliti dall’art. 9 del d.lgs. n. 268 del 1992, necessari affinché il gettito derivante da maggiorazioni di aliquote o dall’istituzione di nuovi tributi possa essere riservato all’erario (sentenza n. 182 del 2010). Mancherebbero, infatti, nella specie: in primo luogo, la finalizzazione del maggior gettito a finalità diverse tanto dal raggiungimento degli obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica quanto dalla copertura di spese derivanti dall’esercizio delle funzioni statali delegate alla Regione – ai sensi, rispettivamente, dell’art. 10, comma 6, e dell’art. 10-bis, comma 1, lettera b), del d.lgs. n. 268 del 1992 –, posto che le finalità individuate («raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea») coinciderebbero con il riequilibrio della finanza pubblica; e, in secondo luogo, la destinazione del maggior gettito alla copertura di nuove specifiche spese di carattere non continuativo che non rientrino nelle materie di competenza della Regione o delle Province autonome, visto che in questo caso, diversamente dall’art. 13-bis, comma 8, del d.l. n. 78 del 2009, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 102 del 2009, e scrutinato nella già citata sentenza n. 182 del 2010, ciò non accadrebbe.

L’impugnato art. 48, comma 1, non potrebbe neppure trovare fondamento, sempre ad avviso della ricorrente, nell’art. 10 del d.lgs. n. 268 del 1992. Anzitutto perché tale disposizione risulterebbe inapplicabile una volta abrogato – dall’art. 2, comma 107, lettera a), della legge n. 191 del 2009, a decorrere dal 1° gennaio 2010 – l’art. 78 dello statuto speciale, cui tale disposizione dà attuazione. Anche qualora il suddetto art. 10 si ritenesse tuttora applicabile, limitatamente al suo comma 6, la norma impugnata risulterebbe non in linea con esso, posto che mentre in quest’ultimo si ribadisce il principio consensuale che regola i rapporti finanziari tra Stato e Regioni speciali e comunque e si fa riferimento ad «una quota del previsto incremento del gettito tributario», nella norma impugnata lo Stato riserverebbe unilateralmente all’erario tutte «le maggiori entrate» derivanti dal d.l. n. 201 del 2011.

L’impugnato art. 48, comma 1, risulterebbe in contrasto altresì con l’art. 79 dello statuto speciale – come sostituito dalla lettera h) del comma 107 dell’art. 2 della legge n. 191 del 2009 –, già richiamato, che configurerebbe un sistema completo di concorso della Regione agli obiettivi di finanza pubblica, non derogabile se non con le modalità previste dallo statuto.

Proprio in quanto configurerebbe una deroga agli artt. 75 e 79 dello statuto speciale e alle relative norme di attuazione, disposta con una fonte primaria “ordinaria” – ossia un decreto-legge convertito –, l’art. 48, comma 1, impugnato, violerebbe altresì, ad avviso della ricorrente, gli artt. 103, 104 e 107 dello statuto che, rispettivamente, disciplinano: il procedimento di revisione costituzionale per modificare lo statuto in via ordinaria; la modifica della disciplina finanziaria con legge statale, ma «su concorde richiesta del Governo e, per quanto di rispettiva competenza, della regione o delle due province»; la procedura per l’adozione delle norme di attuazione dello statuto.

Una specifica censura è poi rivolta dalla ricorrente nei confronti del secondo periodo dell’art. 48, comma 1, che demanda ad un decreto del Ministro dell’economia e delle finanze le modalità di individuazione del maggiore gettito. Oltre ad essere affetta dai medesimi vizi che caratterizzerebbero il periodo precedente, la disposizione sarebbe in contrasto con il principio di leale collaborazione, in quanto, in una materia dominata dal principio consensuale, prevede un decreto ministeriale senza intesa con la Provincia autonoma di Trento.

L’impugnato art. 48, comma 1-bis, reca la cosiddetta «clausola di salvaguardia», rinviando alle norme di attuazione degli statuti speciali di cui all’art. 27 della legge n. 42 del 2009 la definizione delle modalità di applicazione del decreto-legge e i suoi effetti finanziari per le Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e di Bolzano, stabilendo peraltro che restano ferme le disposizioni previste dagli artt. 13, 14 e 28, nonché quelle del medesimo art. 48 (comma 1).

A parte la difficoltà di individuare un contenuto alle norme di attuazione ivi prefigurate, la ricorrente argomenta per l’illegittimità costituzionale anche di tale disposizione, in quanto non spetterebbe alla legge ordinaria disciplinare il contenuto delle norme di attuazione dello Statuto.

2.2.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha depositato, in data 11 maggio 2012, e dunque fuori termine, una propria memoria, argomentando per l’infondatezza del ricorso e chiedendone il rigetto.

2.3.– In prossimità dell’udienza pubblica fissata per il 29 gennaio 2014, la Provincia autonoma di Trento ha depositato, in data 7 gennaio 2014, una memoria, nella quale reitera le censure rivolte agli artt. 28, comma 3, e 48 del d.l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011.

Riguardo all’art. 28, comma 3, la ricorrente sostiene che la fondatezza delle censure sollevate sarebbe avvalorata dalle sentenze n. 118 del 2012 e n. 241 del 2012 di questa Corte, che hanno confermato l’importanza del principio pattizio nei rapporti tra lo Stato e le Regioni speciali in materia finanziaria.

Riguardo all’art. 48, la ricorrente rileva che l’illegittimità costituzionale delle «riserve all’erario» sarebbe confermata dalle sentenze n. 142 e n. 241 del 2012, che hanno accolto le censure relative, rispettivamente, alla riserva allo Stato del gettito dell’addizionale erariale sulla tassa automobilistica e ad una riserva integrale di entrate erariali avente analoga destinazione rispetto a quella oggetto di impugnazione.

2.4.– La Provincia autonoma di Trento, in data 28 gennaio 2015, ha depositato il proprio atto di rinuncia all’impugnazione degli artt. 28, comma 3, e 48 del d.l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011. In data 24 febbraio 2015 la medesima Provincia autonoma ha depositato altresì, la delibera con cui il Consiglio provinciale di Trento, il 3 febbraio 2015, ha ratificato la delibera con cui la Giunta rinunciava al ricorso.

2.5.– Con memoria depositata il 19 febbraio 2015, l’Avvocatura generale dello Stato, sulla base della delibera del Consiglio dei ministri del 10 febbraio 2015, ha comunicato di accettare, a nome del Presidente del Consiglio dei ministri, la rinuncia al giudizio da parte della Provincia autonoma di Trento.

3.– Con ricorso notificato in data 23-28 febbraio 2012 e depositato il successivo 29 febbraio 2012 (ric. n. 38 del 2012), la Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste ha promosso questioni di legittimità costituzionale, tra l’altro, degli artt. 28, comma 3, e 48 del d.l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011, per violazione: nel caso della prima disposizione, del principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost., degli artt. 2, comma 1, lettere a) e b), 3, comma 1, lettera f), 12, 48-bis e 50 dello statuto speciale della Regione Valle d’Aosta (legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4) e della relativa normativa di attuazione di cui agli artt. da 2 a 7 della legge 26 novembre 1981, n. 690 (Revisione dell’ordinamento finanziario della regione Valle d’Aosta), nonché del principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost.; nel caso della seconda disposizione, degli artt. 3, comma 1, lettera f), 12, 48-bis e 50 del medesimo statuto e delle relative norme di attuazione – in particolare, dell’art. 8 della legge n. 690 del 1981 – nonché del principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost.

3.1.– Ad avviso della ricorrente, il censurato art. 28, comma 3, che definisce unilateralmente la misura puntuale delle entità finanziarie cui sono tenute le singole autonomie speciali, aggiuntive rispetto a quelle già stabilite dalla legislazione vigente, e altresì, senza alcun criterio di proporzionalità, la quota gravante sui Comuni ricadenti nei territori delle Regioni a statuto speciale, sarebbe manifestamente illegittimo per violazione del principio costituzionale di leale collaborazione, di cui agli artt. 5 e 120 Cost., e quindi della particolare autonomia finanziaria, sia regionale che locale, di cui gode la Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, alla luce degli artt. 2, comma 1, lettere a) e b), 3, comma 1, lettera f), 12, 48-bis e 50 del suo statuto e della relativa normativa di attuazione, in base a cui occorrerebbe privilegiare, nei rapporti finanziari tra lo Stato e la Regione autonoma, il metodo dell’accordo. Dello strumento preferenziale dell’accordo, che in base alla giurisprudenza costituzionale sarebbe da ritenersi espressione della particolare autonomia finanziaria di cui godono le Regioni a statuto speciale (sentenze n. 74 del 2009; n. 82 del 2007; n. 353 del 2004), non vi sarebbe traccia nella disposizione impugnata.

L’impugnato art. 28, comma 3, sarebbe in contrasto altresì con il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., in particolare laddove determina la misura puntuale del contributo dovuto dalla Regione e dai Comuni del suo territorio a prescindere dalla necessaria preventiva enunciazione dei criteri sulla cui base l’individuazione è stata fatta.

La ricorrente evidenzia poi che la lesione delle prerogative regionali deriverebbe dal fatto che la disposizione impugnata determina immediatamente l’accantonamento delle risorse così individuate, e quindi una riduzione delle quote di partecipazione ai tributi erariali, ponendosi perciò in contrasto con la normativa di attuazione di cui agli articoli da 2 a 7 della legge n. 690 del 1981, cui sarebbe riservata la disciplina relativa alle modalità di compartecipazione regionale ai tributi erariali, e che non potrebbe essere modificata con legge ordinaria: quest’ultima normativa, adottata previo accordo con la Giunta regionale ai sensi dell’art. 50, comma 5, dello statuto della Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, rientrerebbe nel novero delle norme modificabili esclusivamente con il particolare procedimento previsto dall’art. 48-bis dello statuto (decreti legislativi elaborati da una commissione paritetica e sottoposti al parere del Consiglio stesso), richiamato, con specifico riferimento all’ordinamento finanziario della Regione, dall’art. 1 del decreto legislativo 22 aprile 1994, n. 320 (Norme di attuazione dello statuto speciale della regione Valle d’Aosta).

Quanto all’indicazione, collocata in apertura del terzo periodo dell’art. 28, comma 3, impugnato, secondo cui la disciplina ivi dettata si applicherebbe «[f]ino all’emanazione delle norme di attuazione» di cui all’art. 27 della legge n. 42 del 2009, la Regione autonoma rileva come si tratterebbe di una disposizione temporalmente illimitata, dal momento che il termine di trenta mesi, decorrenti dalla data di entrata in vigore della medesima legge n. 42 del 2009, originariamente previsto per l’adozione della disciplina di attuazione degli statuti speciali, è stato abrogato dal comma 4 della disposizione qui considerata.

Ad avviso della ricorrente, anche l’art. 48 del d.l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011, laddove prevede una riserva generale all’erario, per cinque anni, delle maggiori entrate derivanti dal medesimo decreto-legge, configurerebbe una lesione dell’autonomia legislativa e finanziaria della Regione autonoma. Tale disposizione, infatti, altererebbe unilateralmente l’assetto finanziario della ricorrente e si porrebbe in contrasto con l’art. 8 della legge n. 690 del 1981, laddove dispone che l’ammontare delle maggiori entrate derivanti da tributi devoluti alla Regione autonoma da riversare al bilancio dello Stato sia determinato per ciascun esercizio finanziario con decreto ministeriale, «d’intesa con il presidente della giunta regionale», originando anche la lesione del principio di leale collaborazione, di cui agli artt. 5 e 120 Cost.

Questi vizi, ad avviso della ricorrente, non sarebbero esclusi dal contenuto dell’art. 48, comma 1-bis, impugnato, che, ferme restando le disposizioni previste dagli artt. 13, 14, 28 e dello stesso art. 48, demanda alle norme di attuazione statutaria di cui all’art. 27 della legge n. 42 del 2009 le modalità di applicazione del decreto-legge per le Regioni a statuto speciale. In tal modo, infatti, il legislatore ribadirebbe la volontà di incidere in via unilaterale sui rapporti finanziari con le autonomie speciali.

3.2.– Con atto depositato in data 10 aprile 2012, si è costituito nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile o comunque rigettato.

Premesso che tutte le censure addotte nei confronti delle varie disposizioni del d.l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011, non sarebbero articolate in modo sufficientemente specifico – con riguardo sia alle norme censurate e alla loro interpretazione, sia ai parametri evocati – e che, pertanto, il ricorso risulterebbe complessivamente inammissibile, nel merito, con specifico riguardo all’impugnato art. 28, comma 3, la difesa erariale deduce che quest’ultimo, nel determinare il contributo da versare al bilancio dello Stato, lascia all’autonoma determinazione delle Regioni e degli enti locali le modalità di reperimento di tali risorse. D’altra parte, tale contribuzione sarebbe inquadrata nel processo di attuazione negoziata del coordinamento finanziario Stato-autonomie speciali, di cui all’art. 27 della legge n. 42 del 2009, e il meccanismo di accantonamento automatico costituirebbe una misura di salvaguardia temporanea, giustificata dall’urgenza sottesa all’intero d.l. n. 201 del 2011 e destinata a durare solo sino all’attuazione del citato art. 27.

Con riguardo al censurato art. 48, l’Avvocatura generale dello Stato osserva che appunto l’urgenza di conformare la finanza pubblica agli obblighi assunti in sede europea giustifica la riserva allo Stato delle maggiori entrate di natura erariale, derivanti dall’applicazione dello stesso decreto-legge; e che anche questa è una misura temporanea, della quale non sarebbe dimostrata la manifesta eccessività o sproporzione, né l’efficacia pregiudizievole rispetto all’equilibrio finanziario della ricorrente.

3.3.– L’11 giugno 2013, in prossimità dell’udienza pubblica del 2 luglio 2013, la ricorrente ha depositato memoria, ribadendo che il censurato art. 28, comma 3, risulterebbe costituzionalmente illegittimo in quanto stabilisce unilateralmente il criterio di quantificazione dell’entità del contributo dovuto, in violazione del principio consensuale che deve presiedere alla regolamentazione dei rapporti finanziari tra lo Stato e la Regione, a tutela della specialità, anche finanziaria, dell’ente autonomo. La ricorrente reitera anche le censure sull’art. 48 del medesimo decreto-legge, riaffermando di essere titolare di un interesse processuale al ricorso giustificato dal fatto che la norma censurata comporta una minore entrata rispetto al gettito che sarebbe spettato, in sua assenza, alla Regione. Nel merito, rileva che si tratterebbe di una riserva di risorse in favore dell’erario ampia, generica e lesiva dell’autonomia finanziaria delle Regioni speciali, contrastante con i presupposti di cui all’art. 8 della legge n. 690 del 1981, dal momento che i relativi proventi non sono destinati alla copertura di nuovi o maggiori spese e che la loro determinazione non è stabilita di intesa con la Regione. L’esclusione di tale riserva, disposta per un periodo di cinque anni e dunque non qualificabile come transitoria, dall’ambito di applicazione del meccanismo di cui all’art. 27 della legge n. 42 del 2009, perciò, determinerebbe una violazione dell’autonomia finanziaria della Regione autonoma della Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, garantita dagli 3, comma 1, lettera f), 12, 48-bis e 50, comma 5, del suo statuto.

4.– Con ricorso notificato in data 25 febbraio 2012 e depositato il successivo 1° marzo (reg. ric. n. 39 del 2012) la Regione siciliana ha promosso questioni di legittimità costituzionale, tra l’altro, degli artt. 28, commi 2, 3, 6, 7, 8, 9 e 10, e 48 del d.l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011, in riferimento agli artt. 17, primo comma, lettera b), 36, 37 e 43 dello statuto della Regione siciliana (approvato con il regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455, convertito in legge costituzionale dalla legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2); all’art. 2 delle relative norme di attuazione in materia finanziaria (si intende quelle di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 luglio 1965, n. 1074); nonché al principio di leale collaborazione.

4.1.– Una prima censura, riferita agli artt. 28 e 48 – oltre che agli artt. 13 e 14 – del d.l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, si fonderebbe sul fatto che tali disposizioni siano immediatamente applicabili alla Regione siciliana, senza il previo espletamento delle modalità attuative di cui all’art. 27 della legge n. 42 del 2009, per espressa previsione dell’art. 48, comma 1-bis, del decreto-legge impugnato. Esse darebbero origine a una violazione dell’art. 43 dello statuto siciliano, laddove demanda ad una commissione paritetica la determinazione delle norme di attuazione dello statuto; nonché del principio di leale collaborazione, del quale le procedure di cui all’art. 27 della legge n. 42 del 2009, con la previsione del tavolo di confronto per il coordinamento della finanza delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome, sarebbero espressione. Ad avviso della ricorrente, lo Stato avrebbe dovuto concordare le modalità applicative dei censurati artt. 13, 14, 28 e 48 nell’ambito di tale tavolo di confronto, così conformandosi alle indicazioni provenienti dalla giurisprudenza costituzionale, che in più occasioni ha evidenziato il rilievo del principio di leale collaborazione.

Una seconda censura riguarda, ad avviso della ricorrente, i commi 2 e 3 del citato art. 28, laddove prevedono che l’aumento dell’aliquota di base dell’addizionale IRPEF – elevata, a norma del comma 1 dello stesso art. 28, dallo 0,9 all’1,23 per cento retroattivamente dall’anno 2011 – si applica anche alle Regioni a statuto speciale, compresa la ricorrente, ma non destinano il conseguente aumento di gettito a quest’ultima, bensì rideterminano a vantaggio dell’erario il Fondo sanitario nazionale, per assicurare da parte della Regione siciliana l’apporto di cui al censurato comma 3. In tal modo, la contribuzione statale necessaria a coprire il fabbisogno sanitario regionale sarebbe stata ulteriormente ridotta, sino a essere annullata, senza il rispetto delle procedure di cui all’art. 27 della legge n. 42 del 2009 e, quindi, senza considerare le peculiari esigenze della Regione. Tale intervento legislativo contrasterebbe con il principio di leale collaborazione, in quanto la riduzione dello stanziamento avrebbe dovuto essere determinata quantomeno sentita la Regione; degli artt. 36 e 37 dello statuto e dell’art. 2 delle relative norme di attuazione (di cui al d.P.R. n. 1074 del 1965), che delineano l’autonomia finanziaria della Regione; nonché dell’art. 17, primo comma, lettera b), dello statuto, che assegna alla Regione la competenza legislativa concorrente in materia sanitaria.

Una terza censura è riferita al comma 6 del censurato art. 28, che si ritiene violi i già ricordati artt. 36 e 17, primo comma, lettera b), dello statuto e art. 2 delle relative norme di attuazione (di cui al d.P.R. n. 1074 del 1965).

La disposizione aggiunge un periodo, del medesimo tenore, ai commi 4 e 5 dell’art. 77-quater del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 6 agosto 2008, n. 133. In particolare, a seguito di tale novella, il comma 5 risulta così formulato: «Alla Regione siciliana sono erogate le somme spettanti a titolo di Fondo sanitario nazionale, quale risulta dall’Intesa espressa, ai sensi delle norme vigenti, dalla Conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano sulla ripartizione delle disponibilità finanziarie complessive destinate al finanziamento del Servizio sanitario nazionale, previo accantonamento di un importo corrispondente alla quota del finanziamento indistinto del fabbisogno sanitario condizionata alla verifica degli adempimenti regionali, ai sensi della legislazione vigente. Le risorse corrispondenti al predetto importo, condizionate alla verifica positiva degli adempimenti regionali, rimangono accantonate in bilancio fino alla realizzazione delle condizioni che, ai sensi della vigente legislazione, ne consentono l’erogabilità alle regioni e comunque per un periodo non superiore al quinto anno successivo a quello di iscrizione in bilancio».

Ad avviso della ricorrente, l’aggiunta dell’ultimo periodo, subordinando l’erogazione alla Regione siciliana delle risorse destinate al finanziamento del Servizio sanitario nazionale alla verifica positiva degli adempimenti regionali, sottrarrebbe alla Regione medesima l’immediata disponibilità delle risorse in questione, per un periodo massimo di un quinquennio.

Una quarta censura riguarda, infine, i commi 7, 8, 9 e 10 dell’art. 28 del d.l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011, per violazione del principio di leale collaborazione. Sostiene infatti la ricorrente che le suddette disposizioni, riducendo il finanziamento dello Stato agli enti locali siciliani, in misura proporzionale alla distribuzione territoriale dell’imposta municipale propria (IMU) di cui all’art. 13 dello stesso d.l. n. 201 del 2011, determinerebbero una diminuzione di fondi il cui importo non è stato previamente quantificato e che non terrebbe in alcuna considerazione le peculiari condizioni economiche della Regione siciliana e dei suoi enti locali.

4.2.– Con atto depositato in data 8 maggio 2012, fuori termine, si è costituito nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le censure dedotte, tra l’altro, contro l’art. 28 del d.l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011, siano dichiarate infondate.

Premesso che l’intero decreto-legge impugnato sarebbe riconducibile all’armonizzazione dei bilanci pubblici e al coordinamento delle pubbliche finanze, anche nella prospettiva del rispetto degli obblighi comunitari, la difesa erariale, con riguardo all’art. 28, osserva che la determinazione del contributo richiesto alle Regioni a statuto speciale non entra nel merito delle scelte sul reperimento di tali risorse; che l’art. 2 del d.P.R. n. 1074 del 1965 consente di riservare all’erario l’incremento di gettito delle imposte riscosse nel territorio regionale, per far fronte a esigenze specifiche e contingenti, come quelle di carattere finanziario risultanti dal censurato art. 48; che il comma 1-bis di tale articolo prevede una norma di salvaguardia per le Regioni a statuto speciale; che lo stesso art. 28, censurato, richiama le procedure di cui all’art. 27 della legge n. 42 del 2009; che in tale contesto andrebbe inquadrato anche il comma 3 del citato art. 28, in virtù del quale, per la Regione siciliana, il maggior gettito derivante dall’aumento dell’addizionale IRPEF finanzierebbe una parte della quota della spesa sanitaria ancora a carico dello Stato.

5.– Con ricorso notificato in data 24 febbraio 2012 e depositato il successivo 1° marzo (reg. ric. 40 del 2012) la Provincia autonoma di Bolzano ha promosso questioni di legittimità costituzionale, tra l’altro, degli artt. 28, comma 3, e 48 del d.l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011, per violazione del Titolo VI, e, in particolare, degli artt. 75, 79, 80, 81, 82 e 83, nonché degli artt. 103, 104 e 107 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige); del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento), degli artt. 9, 10 e 10-bis, del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige in materia di finanza regionale e provinciale); dell’art. 2, comma 108, della legge 23 dicembre 2009, n. 191 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2010), nonché dei principi di ragionevolezza e di leale collaborazione.

5.1.– La Provincia autonoma di Bolzano censura l’art. 28, comma 3, del d.l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011, in riferimento all’art. 79 dello statuto speciale.

Ad avviso della ricorrente, infatti, la disposizione impugnata, prevedendo un ulteriore concorso alla riduzione della spesa pubblica, solo a carico delle autonomie speciali – dopo le misure già assunte in precedenti decreti-legge adottati nel 2010 e nel 2011 – si porrebbe in contrasto con l’art. 79 dello statuto speciale, che già disciplina il concorso della Provincia autonoma al conseguimento degli obiettivi di perequazione e di solidarietà, all’assolvimento degli obblighi di carattere finanziario posti dall’ordinamento comunitario, dal patto di stabilità interno e dalle altre misure di coordinamento della finanza pubblica disposte dalla normativa statale.

La Provincia autonoma di Bolzano dubita poi della legittimità costituzionale dell’art. 48 del d.l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011, in riferimento agli artt. 75 e 79 dello statuto speciale e delle relative norme di attuazione di cui al decreto legislativo n. 268 del 1992, oltre che con l’art. 2, comma 108, della legge n. 191 del 2009.

Dopo aver ricordato il contenuto dei commi 1 e 1-bis dell’impugnato art. 48, sottolineando che esso è diretto a riservare al bilancio dello Stato il maggior gettito derivante dalle maggiori entrate tributarie previste dal decreto-legge, introducendo apposite modalità di contabilizzazione delle stesse, la ricorrente sintetizza la disciplina contenuta nei parametri invocati, che, all’art. 75 dello statuto speciale riconosce alle Province autonome quote di compartecipazione al gettito delle entrate tributarie dello Stato percette nei relativi territori; nella normativa di attuazione, individua tassativamente le ipotesi di riserva allo Stato delle entrate tributarie erariali; all’art. 79 dello statuto speciale definisce in modo completo ed esaustivo i termini e le modalità del concorso delle Province autonome al conseguimento degli obiettivi stabiliti dalla normativa statale. Quest’ultima disposizione stabilisce altresì che tali misure possono essere modificate esclusivamente con la procedura prevista dall’art. 104 dello statuto speciale, in ossequio della quale è stato in effetti approvato l’art. 2, comma 108, della legge n. 191 del 2009.

5.2.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha depositato, in data 4 aprile 2012, una propria memoria, argomentando per l’infondatezza del ricorso e chiedendone il rigetto. In particolare, si sostiene che le norme impugnate non si porrebbero in contrasto con i parametri statutari invocati, perché si richiamerebbero alle procedure di cui all’art. 27 della legge n. 42 del 2009 e perché sarebbero giustificate dalla necessità di fronteggiare temporaneamente la difficile situazione economica in cui versa il Paese, allo scopo di raggiungere nei tempi concordati in sede comunitaria gli obiettivi di finanza pubblica imposti a livello europeo.

5.3.– In prossimità dell’udienza pubblica originariamente fissata per il 6 novembre 2012, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ed intervenuto in giudizio, ha depositato, in data 16 ottobre 2012, una propria memoria.

Riguardo all’art. 28, comma 3, la difesa statale rileva che la disposizione non entrerebbe nel merito delle modalità di reperimento delle risorse attraverso cui la Provincia autonoma è chiamata a concorrere al risanamento dei conti pubblici e, pertanto, non potrebbe ritenersi lesiva delle prerogative provinciali in materia di destinazione delle risorse finanziarie provenienti dal territorio: verrebbe predeterminata solo l’entità della somma da versare, lasciandosi all’accordo tra la Provincia autonoma e il Ministro dell’economia i criteri del riparto interno. Sottolinea poi che l’ordinamento finanziario delle autonomie speciali, per come disciplinato dagli statuti speciali e dalle relative norme di attuazione, prevedrebbe la possibilità di riservare allo Stato l’incremento di gettito delle imposte riscosse nel territorio delle Regioni, disposto dalla legge statale per far fronte a specifiche esigenze, in particolare, per le autonomie speciali, attraverso le procedure previste dall’art. 27 della legge n. 42 del 2009. Spetterebbe alla ricorrente, perciò, provare l’invocata lesione all’equilibrio finanziario regionale, dimostrando che l’intervento normativo in questione abbia dato luogo a una complessiva insufficienza dei mezzi finanziari a disposizione della Provincia autonoma per l’adempimento dei propri compiti (sentenze n. 145 del 2008 e n. 431 del 2004).

Relativamente all’art. 48, la difesa statale reputa adeguatamente giustificate le ragioni della destinazione, temporanea, del maggior gettito esclusivamente allo Stato, consistenti nelle esigenze prioritarie del «pareggio di bilancio» e nella riduzione del debito in un periodo di eccezionale gravità della situazione economica interna. E si richiama all’art. 48, comma 1-bis, del decreto-legge impugnato, che porrebbe una precisa clausola di salvaguardia delle Regioni ad autonomia speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano, che a suo avviso sarebbe applicabile anche all’art. 48, comma 1.

5.4.– In data 15 ottobre 2012 la Provincia autonoma di Bolzano ha depositato una propria memoria nella quale insiste per l’illegittimità costituzionale delle disposizioni impugnate.

Oltre a ribadire le ragioni del ricorso, la Provincia autonoma evidenzia che il rinvio, contenuto nell’art. 28 del d.l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011, alla procedura di cui all’art. 27 della legge n. 42 del 2009 non sarebbe idoneo a superare il profilo di incostituzionalità, in quanto tale rinvio risulterebbe svuotato dalla immediata previsione di una nuova misura di compartecipazione al perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica – unilaterale, puntuale e stabile, e dunque non rientrante nella competenza concorrente in materia di finanza pubblica – posta a carico della Provincia autonoma, con conseguente immediata alterazione dell’assetto delineato dall’art. 79 dello statuto speciale. La sostanziale inconsistenza del rinvio suddetto sarebbe poi ulteriormente vanificato dal fatto che l’art. 48, comma 1-bis, del decreto-legge impugnato fa espressamente salve le previsioni dell’art. 28 dalla clausola di salvaguardia in cui si stabilisce che le modalità di applicazione e gli effetti finanziari del decreto-legge siano definiti con le norme di attuazione statutaria di cui all’art. 27 della legge n. 42 del 2009.

Riguardo poi all’art. 48 del decreto-legge impugnato, la Provincia autonoma ribadisce come tale articolo, nell’imporre indiscriminatamente che siano destinate allo Stato tutte le maggiori entrate da esso derivanti, contrasterebbe frontalmente con l’art. 75 dello statuto speciale, il quale stabilisce che siano attribuite alle Province autonome di Trento e di Bolzano i nove decimi di tutte le entrate tributarie erariali, dirette o indirette, comunque denominate, diverse da quelle espressamente indicate in tale articolo. Né sarebbero invocabili l’eccezionale gravità della situazione economica o la natura transitoria della destinazione, alla luce del carattere tassativo del sistema pattizio nel delineare l’autonomia finanziaria delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome (sentenza n. 133 del 2010).

5.5.– La Provincia autonoma di Bolzano, in data 21 gennaio 2015, ha depositato il proprio atto di rinuncia all’impugnazione degli artt. 28, comma 3, e 48 del d.l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011.

5.6.– Con memoria depositata il 19 febbraio 2015, l’Avvocatura generale dello Stato, sulla base della delibera del Consiglio dei ministri del 10 febbraio 2015, ha comunicato di accettare, a nome del Presidente del Consiglio dei ministri, la rinuncia al giudizio da parte della Provincia autonoma di Bolzano.

6.– Con ricorso notificato in data 24 febbraio 2012 e depositato il successivo 2 marzo (reg. ric. 47 del 2012) la Regione autonoma Sardegna ha promosso questioni di legittimità costituzionale, tra l’altro, degli artt. 28, commi 3, 7, 8, 9 e 11-ter, e 48 del d.l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011, per violazione degli artt. 3, 4, 5, 7 e 8 dello statuto della Regione Sardegna (legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3), nonché degli artt. 3, 116, 117 e 119 Cost.

6.1.– Quale premessa generale a tutte le censure svolte contro le singole disposizioni del decreto-legge impugnato, la Regione richiama l’attenzione sull’art. 8 del proprio statuto, come modificato, in applicazione dell’art. 54, comma 5, dello stesso statuto, dall’art. 1, comma 834, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007): tale revisione ha determinato rilevanti modifiche al sistema delle entrate regionali, per consentire alla ricorrente di assolvere ai propri compiti istituzionali; ma essa non è stata correttamente attuata da parte dello Stato, con grave vulnus all’autonomia regionale.

6.1.1.– L’art. 28 del d.l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011, fissa un ulteriore concorso delle Regioni speciali alla finanza pubblica, stabilendo – senza alcuna intesa o forma di cooperazione – che, fino all’emanazione delle norme di attuazione degli statuti, come richiamate anche dall’art. 27 della legge n. 42 del 2009, ciascuna Regione, in misura proporzionale alla media degli impegni nel triennio 2007-2009, sopporti questi oneri attraverso l’accantonamento delle somme corrispondenti a valere sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali. Così facendo, ad avviso della ricorrente, il legislatore sarebbe incorso in una duplice violazione dell’art. 8 dello statuto della Sardegna: il contributo della Regione sarebbe equiparato a quello delle altre autonomie speciali, benché proprio la citata modifica del parametro statutario, disposta nel 2006, attesti la particolare necessità di adeguare il quadro normativo regionale alla mutata realtà economico-finanziaria; inoltre, incorrendo in una contraddizione intrinseca censurabile anche in relazione al principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., sarebbero stati fissati obiettivi di finanza pubblica incoerenti con la novella statutaria.

Sarebbero violati anche gli artt. 117 e 119 Cost., ed altresì gli artt. 3, 4 e 5, nonché 7 e 8 dello statuto della Sardegna – i quali, rispettivamente, enumerano le competenze legislative della Regione e garantiscono la sua autonomia finanziaria, anche mediante specifiche entrate tributarie e patrimoniali – giacché, in mancanza di una completa e corretta attuazione del citato art. 8, l’aggravio degli oneri finanziari impedirebbe alla Regione e agli enti locali del suo territorio di adempiere alle proprie funzioni senza essere condizionati da “vincoli eterodeterminati” e irragionevoli. È richiamato, al riguardo, il principio, affermato nella giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 245 del 1984), che vieterebbe di imporre alle Regioni oneri senza corrispondente attribuzione di risorse: a maggior ragione, visto che, contestualmente alla riscrittura dell’art. 8 dello statuto sardo, lo stesso legislatore statale, con l’art. 1, commi 836 e 837, della legge n. 296 del 2006, avrebbe ulteriormente ampliato il catalogo delle funzioni pubbliche che la Regione è tenuta a finanziare.

Ancora gli artt. 3, 4, 5, 7 e 8 dello statuto della Sardegna, nonché gli artt. 116, 117 e 119 Cost., anche in relazione al principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., sarebbero violati in quanto l’art. 28 impugnato avrebbe creato uno “pseudo-comparto”, composto dalle autonomie regionali speciali, accomunando in un’unica voce realtà diverse sia in punto di fatto, per la localizzazione geografica, condizione di sviluppo economico, popolazione residente, sia in punto di diritto, per il diverso regime di compartecipazione alle entrate erariali fissato per ciascun ente dal rispettivo statuto.

Per questo specifico profilo, la ricorrente specifica poi che l’ultimo periodo dell’art. 28, comma 3, impugnato, laddove stabilisce che «Per la Regione Siciliana si tiene conto della rideterminazione del fondo sanitario nazionale», violerebbe l’art. 3 Cost., sia sotto il profilo del principio d’eguaglianza, sia sotto il profilo del principio di ragionevolezza, oltre all’art. 7 dello statuto della Sardegna, che ne tutela l’autonomia finanziaria, e all’art. 119 Cost.: si sarebbe imposto alla Sardegna, assieme alle altre autonomie speciali (ma non anche alle Regioni ordinarie), di farsi carico pro parte della spesa sanitaria della Regione siciliana.

6.1.2.– In contrasto con l’art. 3 Cost., sia sotto il profilo del principio d’eguaglianza, sia sotto il profilo del principio di ragionevolezza, e con l’art. 7 dello statuto della Sardegna, si porrebbero anche – sempre ad avviso della ricorrente – i commi 7 e 8 dell’impugnato art. 28.

Essi dispongono una riduzione rispettivamente pari a 1.450 milioni di euro e di 415 milioni di euro, per il 2012 e per gli anni successivi, da un lato, del fondo sperimentale di riequilibrio e del fondo perequativo di cui agli artt. 2 e 13 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 (Disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale) e dei trasferimenti erariali dovuti ai Comuni della Regione siciliana e della Regione autonoma della Sardegna; dall’altro, del fondo sperimentale di riequilibrio e del fondo perequativo di cui agli artt. 21 e 23 del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68 (Disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario) e dei trasferimenti erariali dovuti alle Province della Regione siciliana e della Regione autonoma della Sardegna.

La ricorrente sottolinea che in tal modo il legislatore statale avrebbe introdotto una misura che graverebbe soltanto sugli enti locali delle due Regioni, senza che tale limitazione sia legata a specifici elementi o a parametri obiettivi. Sarebbero dunque violati gli stessi parametri in relazione ai quali sono censurati gli artt. 13 e 14, comma 13-bis, del decreto-legge impugnato, e dunque gli artt. 3, 5, 117 e 119 Cost., nonché gli artt. 3, comma primo, lettera b), 7 e 8 dello statuto della Sardegna: in particolare, l’art. 3 Cost., sotto il profilo dei principi di eguaglianza e ragionevolezza, in relazione all’art. 7 dello statuto della Sardegna, che tutela l’autonomia finanziaria della Regione, pregiudicata anche dalla necessità per la stessa Regione autonoma di sovvenire agli enti locali depauperati dalla misura in questione.

6.1.3.– Una specifica censura è poi rivolta al comma 11-ter dell’impugnato art. 28, in cui si prevede che «[a]l fine di potenziare il coordinamento della finanza pubblica è avviata la ridefinizione delle regole del patto di stabilità interno», senza tenere conto, ad avviso della ricorrente, del principio dell’accordo con le Regioni e senza prevedere alcun contraddittorio con esse.

Sarebbero in tal modo violati il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., il principio di leale collaborazione di cui all’art. 5 Cost. e all’intero Titolo V della parte seconda Cost., e in particolare gli artt. 117 e 119 Cost. e l’art. 7 dello statuto della Sardegna, tenuto conto anche della rilevanza del metodo dell’accordo, affermata altresì nella giurisprudenza costituzionale con la sentenza n. 82 del 2007.

Gli art. 3 e 117 Cost., nonché gli artt. 3, comma primo, lettera b), e 7 dello statuto della Sardegna sarebbero altresì violati dalla norma in questione, giacché la declinazione per gli enti locali del patto di stabilità interno non potrebbe prescindere da un intervento regolativo delle Regioni e, specialmente, di quelle a statuto speciale, come riconosciuto dallo stesso legislatore statale mediante la cosiddetta territorializzazione del patto di stabilità prevista, tra l’altro, all’art. 1, comma 141, della legge 13 dicembre 2010, n. 220 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2011), nonché in analoghe disposizioni anteriori.

6.1.4.– La Regione dubita poi della legittimità costituzionale dell’art. 48 del d.l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011, in riferimento agli artt. 7 e 8 dello statuto speciale e degli artt. 3, 117 e 119 Cost.

Nel riservare allo Stato le maggiori entrate erariali derivanti dall’impugnato decreto-legge, infatti, l’art. 48, comma 1, acquisirebbe alla disponibilità dello Stato maggiori entrate che, almeno in notevole misura, dovrebbero essere di spettanza regionale, in violazione dei principi affermati, proprio con riferimento alla Regione autonoma Sardegna, dalla sentenza n. 198 del 1999. Ciò vale in particolare per le maggiori entrate derivanti da diverse misure, previste nel d.l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011, per il contrasto dell’evasione fiscale: ad avviso della ricorrente, sarebbe paradossale che la Regione subisse la diminuzione di entrate cui avrebbe avuto diritto, se le somme dovute fossero state regolarmente versate. Inoltre, poiché l’attuale regime delle risorse della Regione è stato riconosciuto come insufficiente attraverso la richiamata revisione dell’art. 8 dello statuto, riservare allo Stato entrate che dovrebbero sopperire a tali insufficienze comporterebbe una violazione, oltre che della disposizione appena citata, dell’art. 7 dello statuto della Sardegna, degli artt. 117 e 119 Cost. e del principio di ragionevolezza, di cui all’art. 3 Cost. Inoltre, la censurata riserva sarebbe prevista per un periodo di tempo (cinque anni), ad avviso della ricorrente, “lunghissimo”, né sarebbe previsto uno scopo specifico al quale destinare il sacrificio imposto alla Regione.

La disposizione di cui all’art. 48, comma 1-bis, del decreto-legge impugnato non sarebbe idonea ad escludere i vizi di legittimità costituzionale ipotizzati, visto che rinvia a future determinazioni, da adottarsi ai sensi dell’art. 27 della legge n. 42 del 2009, solo le modalità di applicazione e gli effetti finanziari del decreto-legge, senza prevedere che la Regione possa fruire della quota di compartecipazione che le spetterebbe in applicazione delle norme statutarie.

6.2.– Con atto depositato in data 4 aprile 2012, si è costituito nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile o infondato o, comunque, sia rigettato.

Premesso che, in generale, le misure previste nel d.l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011, tendono a contenere il deficit di bilancio, in un momento particolarmente difficile per la tenuta del sistema finanziario italiano, in assolvimento anche degli obblighi derivanti dall’ordinamento europeo, e appaiono riconducibili all’armonizzazione dei bilanci pubblici e al coordinamento della finanza pubblica, con particolare riguardo al censurato art. 28, la difesa erariale sottolinea che le prerogative regionali sono salvaguardate dall’assenza di vincoli in merito al reperimento delle risorse da versare allo Stato e dalla prevista necessità che gli obblighi relativi al patto di stabilità, con riguardo ai saldi di bilancio da conseguire, e segnatamente i criteri di riparto della somma da versare, siano concordati con il Ministro dell’economia e delle finanze.

L’ordinamento finanziario delle Regioni a statuto speciale consentirebbe la riserva all’erario dell’incremento di gettito di imposte riscosse nei territori regionali, per far fronte a esigenze specifiche e contingenti. Dal canto suo, il censurato art. 28 richiama le previsioni dell’art. 27 della legge n. 42 del 2009, in merito al concorso di tali enti al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica. Proprio la necessità di fronteggiare temporaneamente la difficile situazione finanziaria sorreggerebbe la previsione di cui al comma 6 del citato art. 28, in merito all’accantonamento di somme destinate al finanziamento del fabbisogno sanitario, e quelle di cui ai successivi commi da 7 a 10, in merito alla riduzione di alcuni tradizionali trasferimenti erariali.

Analoga giustificazione varrebbe per il censurato art. 48, il cui comma 1-bis conterrebbe comunque una clausola di salvaguardia idonea a garantire che l’attuazione del precedente comma 1 avvenga nel rispetto degli statuti speciali e delle relative norme di attuazione.

6.3.– In data 16 ottobre 2012, in prossimità delle udienze pubbliche fissate per il 6 e 7 novembre 2012, la Regione autonoma Sardegna ha depositato due memorie di identico contenuto in cui, insistendo nelle conclusioni già formulate, si sofferma su alcuni principi affermati nella più recente giurisprudenza costituzionale e replica a talune argomentazioni presenti nell’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri.

Pur riconoscendo la difficile congiuntura e la delicata situazione economico-finanziaria della Repubblica, che del resto costituiscono i presupposti, ai sensi dell’art. 77 Cost., del d.l. n. 201 del 2011, e dichiarando di non volersi sottrarre al contributo dovuto da tutti gli enti territoriali per migliorare lo stato della finanza pubblica, la ricorrente ricorda anzitutto come la stessa giurisprudenza costituzionale, nella sentenza n. 151 del 2012, abbia affermato che l’emergenza finanziaria deve essere affrontata dallo Stato con rimedi consentiti dall’ordinamento e compatibili con le garanzie di autonomia spettanti agli enti territoriali.

In merito al censurato art. 28, la Regione autonoma sottolinea che sia il contributo obbligatorio, di cui al comma 3, sia le riduzioni ai finanziamenti per gli enti locali, di cui ai commi 7 e 8 (da praticare secondo i criteri di cui ai commi 9 e 10, ritenuti ancillari), sono previsti per tutti gli anni a partire dal 2012: quindi, a tempo indeterminato. Si tratterebbe perciò di vincoli posti in via definitiva, in violazione dei principi affermati dalla giurisprudenza costituzionale, che ha ammesso analoghe limitazioni soltanto in caso di vincoli stabiliti in via transitoria (oltre alla sentenza n. 82 del 2007, viene invocata la sentenza n. 193 del 2012).

La ricorrente ribadisce poi che l’art. 28, impugnato, violerebbe l’art. 7 dello statuto della Sardegna e l’art. 119 Cost., che tutelano l’autonomia finanziaria della Regione, nonché l’art. 8 dello stesso statuto e il principio di leale collaborazione di cui all’art. 117 Cost., dal momento che il contributo ivi previsto sarebbe fatto valere direttamente sulle quote di compartecipazione alle entrate erariali, nonostante che lo Stato non abbia dato ancora completa esecuzione al nuovo regime di tali entrate, per come previsto dal citato art. 8.

In replica all’argomentazione secondo cui la riserva all’erario statale dell’aumento di gettito sarebbe prevista dall’ordinamento finanziario delle Regioni a statuto speciale, la ricorrente replica che la propria situazione normativa sarebbe ben diversa da quella di altre Regioni a statuto speciale e fa presente che lo Stato non sarebbe stato in grado di citare alcuna disposizione dello statuto speciale, o di attuazione del medesimo, che valga da base normativa dell’intervento contestato.

Il medesimo profilo viene fatto valere anche riguardo all’art. 48, comma 1, impugnato, in quanto non vi sarebbe alcuna norma statutaria, o di attuazione dello statuto, idonea a consentire allo Stato di riservarsi il maggior gettito derivante da modificazioni del sistema tributario. Alla Regione ricorrente, pertanto, non sarebbe applicabile quella giurisprudenza costituzionale che ha fatto applicazione di norme di tal tipo, esistenti negli ordinamenti di altre autonomie speciali (sentenze n. 143, n. 142 e n. 135 del 2012, n. 182 del 2010).

6.4.– Anche il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato una memoria in data 16 ottobre 2012.

Ribadite le finalità del d.l. n. 201 del 2011, come convertito, la loro rilevanza costituzionale e l’attinenza delle misure adottate alle competenze dello Stato, la difesa erariale sottolinea come, secondo la giurisprudenza costituzionale, anche le Regioni a statuto speciale potrebbero essere assoggettate a vincoli di bilancio introdotti in via transitoria o in vista del conseguimento di specifici obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica né, d’altra parte, sarebbe vietato allo Stato disporre in merito a tributi da esso istituiti, benché il loro gettito sia destinato alle Regioni, purché non sia alterato il rapporto tra i complessivi bisogni regionali e le risorse per farvi fronte.

Ciò premesso, in merito al censurato art. 28, oltre a reiterare argomenti già enunciati, il Presidente del Consiglio dei ministri osserva che spetterebbe alla ricorrente provare l’invocata lesione all’equilibrio finanziario regionale, dimostrando che l’intervento normativo in questione abbia dato luogo a una complessiva insufficienza dei mezzi finanziari a disposizione della Regione per l’adempimento dei propri compiti (sentenza n. 431 del 2004). Da ciò deriverebbe la genericità delle doglianze della ricorrente, con conseguente inammissibilità delle questioni sollevate.

Anche in merito all’art. 48, censurato, sono ribaditi gli argomenti già enunciati, soggiungendosi in conclusione che tale disposizione altro non è se non la logica conseguenza della ratio dell’intero d.l. n. 201 del 2011: predisporre una serie di misure che, in una difficile congiuntura, consentano di conseguire nei tempi concordati gli obiettivi di finanza pubblica imposti a livello europeo.

6.5.– In prossimità dell’udienza pubblica fissata per il 29 gennaio 2014, la Regione autonoma Sardegna ha depositato, in data 27 dicembre 2013, un’ulteriore memoria, tutta incentrata sulle censure rivolte agli artt. 28 e 48 del d.l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011, che in parte ribadisce argomenti già esposti, in parte li sviluppa e correda di ulteriori riferimenti.

Con riguardo all’art. 28, comma 3, la Regione Sardegna si richiama alle sentenze n. 99 e n. 118 del 2012 e alla sentenza n. 95 del 2013 di questa Corte, oltre che alle considerazioni svolte dalla Corte dei conti, sezione di controllo per la Regione Sardegna, nel giudizio di parificazione del bilancio regionale per l’esercizio 2011. In particolare, i passaggi della sentenza n. 95 del 2013 in cui questa Corte ha rilevato che «l’inerzia statale troppo a lungo ha fatto permanere uno stato di incertezza che determina conseguenze negative sulle finanze regionali», e che «il ritardo accumulato sta determinando una emergenza finanziaria», rafforzerebbero la censura secondo cui la disposizione impugnata, imponendo un ulteriore contributo di finanza pubblica, comporterebbe la violazione degli artt. 3, 4, 5, 7 e 8 dello statuto della Sardegna, degli artt. 3, 117 e 119 Cost.: si impedirebbe alla Regione di disporre di risorse idonee a finanziare integralmente le funzioni pubbliche a essa attribuite. La Corte dei conti, nel citato giudizio di parificazione, ha evidenziato come il quadro di riferimento finanziario della Regione ricorrente sia stato cristallizzato alle disponibilità del 2005, e, nella requisitoria del Procuratore regionale, ha rinnovato l’auspicio che “le problematiche connesse al regime di compartecipazione al gettito dei tributi erariali siano risolte al più presto”.

Quanto alle censure relative ai commi 3, 7 e 8 dell’impugnato art. 28, la memoria replica alle argomentazioni dell’Avvocatura generale dello Stato secondo cui tali disposizioni sarebbero legittime, in quanto non entrerebbero nel merito delle modalità di reperimento delle risorse da versare allo Stato e salvaguarderebbero comunque, nell’ambito del patto di stabilità interno, la partecipazione paritetica della Regione alla determinazione dell’obiettivo, in termini di saldi di bilancio, di finanza pubblica. In senso contrario, la difesa regionale osserva che le disposizioni in questione, ponendo vincoli non transitori ma definitivi alla sua autonomia di spesa, senza delineare meccanismi di interlocuzione con il Ministero dell’economia e delle finanze che possano condurre ad una modulazione né del quantum né del quando del contributo ivi previsto, violerebbero l’autonomia finanziaria della Regione. A maggior ragione sussisterebbe il contrasto con l’art. 8 dello statuto della Sardegna, visto che – come riconosciuto dalla sentenza n. 241 del 2012 – nessuna norma dello statuto speciale o di attuazione del medesimo prevede la possibilità di derogare al regime delle compartecipazioni fisse alle entrate tributarie.

Nel ribadire le censure nei confronti del comma 11-ter dell’art. 28 impugnato, circa l’avvio di una ridefinizione unilaterale delle regole del patto di stabilità interno, la ricorrente sottolinea come, successivamente all’entrata in vigore di tale disposizione, la disciplina del patto di stabilità sia stata effettivamente modificata dall’art. 32 della legge 12 novembre 2011, n. 183 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2012), e dall’art. 1, commi 428 e seguenti, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), nel senso, tra l’altro, di imporre il rispetto dei limiti derivanti anche dai contributi finanziari imposti dallo Stato; nonché dall’art. 11, comma 5-bis, del decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35 (Disposizioni urgenti per il pagamento dei debiti scaduti della pubblica amministrazione, per il riequilibrio finanziario degli enti territoriali, nonché in materia di versamento di tributi degli enti locali), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 6 giugno 2013, n. 64. Dopo aver ricordato di avere impugnato le citate disposizioni di cui alla legge n. 228 del 2012 e al d.l. n. 35 del 2013, la Regione osserva come esse renderebbero ancora più evidente la lesività del censurato art. 28, comma 11-ter, che ha posto un principio metodologico, senza definire i principi che dovrebbero necessariamente ispirare la ridefinizione delle regole del patto di stabilità, con riferimento alla Regione autonoma Sardegna e agli enti locali in essa ricompresi.

In particolare, il suddetto comma 11-ter sarebbe costituzionalmente illegittimo, in quanto non menziona principi quali: la necessità di un accordo sui limiti alla spesa della Regione; il rispetto delle quote di compartecipazione ai tributi erariali di cui all’art. 8 dello statuto; la facoltà della Regione di operare quale “camera di compensazione” della capacità di impiego delle risorse da parte degli enti locali del proprio territorio; il dovere per lo Stato di cercare un accordo con la Regione sul contenuto del patto di stabilità, nel rispetto dello statuto e ferma restando la possibilità per lo Stato di fissare unilateralmente un regime transitorio in caso di mancato accordo.

Quanto infine alle censure relative all’art. 48, comma 1, del d.l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011, la ricorrente, ricapitolando i rilievi della difesa erariale e riproponendo, in replica a essi, argomenti già illustrati in precedenza, richiama l’attenzione soprattutto sulla sentenza n. 241 del 2012 di questa Corte. Le disposizioni allora in questione, che riservavano allo Stato per un periodo di cinque anni le maggiori entrate da esse previste, sono state giudicate incompatibili con la disciplina delle compartecipazioni regionali di cui all’art. 8 dello statuto della Sardegna, sul presupposto che non risultino eccezioni poste da norme di rango statutario a tale attribuzione di gettito alla Regione autonoma.

6.6.- Sempre in prossimità dell’udienza fissata per il 29 gennaio 2014, anche l’Avvocatura generale dello Stato ha depositato, in data 8 gennaio 2014, una propria memoria, in cui richiama e ribadisce, in replica alle ragioni illustrate dalla ricorrente, le argomentazioni formulate in precedenza.

In aggiunta a quanto già dedotto, la difesa erariale osserva che l’obbligo di solidarietà di cui all’art. 27 della legge n. 42 del 2009 non potrebbe essere paralizzato, per la ricorrente, da un’eccezione, da parte di quest’ultima, di inadempienza dello Stato ai doveri connessi con la riforma dello statuto speciale. Sarebbe in proposito necessario che la Regione dimostrasse – secondo quanto richiesto dalla sentenza n. 431 del 2004 di questa Corte – che la riduzione delle risorse finanziarie abbia dato luogo ad una complessiva insufficienza dei mezzi finanziari a disposizione per l’adempimento dei propri compiti, mentre le doglianze della ricorrente sarebbero, sul punto, generiche, e pertanto inidonee a documentare tale insufficienza. Quanto infine alla sentenza n. 95 del 2013 di questa Corte, richiamata nella memoria della ricorrente, la difesa erariale rileva che essa riconosce che l’inadempimento dello Stato è solo parziale e dichiara inammissibile il ricorso proprio in base alla considerazione che il legislatore statale ha già operato, con la legge 16 ottobre 2012, n. 182 (Disposizioni per l’assestamento del bilancio dello Stato e dei bilanci delle Amministrazioni autonome per l’anno finanziario 2012), gli aggiustamenti contabili necessari all’esecuzione dell’art. 8 dello statuto della Sardegna.

6.7.– La Regione autonoma Sardegna in data 17 marzo 2015 (con successiva correzione di errore materiale depositata il 24 marzo 2015) ha depositato la delibera della Giunta regionale del 10 marzo 2015 di rinuncia al ricorso, limitatamente all’art. 28, commi 3, da 7 a 10, e 11-ter, e all’art. 48 del decreto-legge impugnato.

7.– Con ricorso notificato in data 25 febbraio 2012 e depositato il successivo 5 marzo (reg. ric. n. 50 del 2012) la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia ha promosso questioni di legittimità costituzionale, tra l’altro, degli artt. 28, comma 3, e 48 del d.l. n. 201 del 2011 convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011, in riferimento agli artt. 3, 116, primo comma, e 119 della Costituzione; agli artt. 48, 49, 51, 54, 63 e 65 dello statuto speciale adottato con legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1, dell’art. 9 del decreto legislativo 2 gennaio 1997, n. 9 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Friuli-Venezia Giulia in materia di ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni), all’art. 4 del decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1965, n. 114 (Norme di attuazione dello Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia in materia di finanza regionale), nonché al principio di leale collaborazione.

7.1.– In merito al censurato art. 28, comma 3, la ricorrente premette che esso determina una rilevante sottrazione di risorse per le Regioni speciali, aggiuntiva rispetto a quelle già previste con precedenti interventi dello Stato, ed estesa anche agli enti locali ricompresi nel territorio di tali Regioni. La ricorrente si ritiene legittimata ad agire anche a tutela di tali enti, il cui concorso, peraltro, incide comunque sulla Regione, in forza dell’art. 54 dello statuto del Friuli-Venezia Giulia e dell’art. 9 del d.lgs. n. 9 del 1997.

La disposizione censurata, ad avviso della difesa regionale, non avrebbe alcuna base statutaria e, anzi, contrasterebbe con le disposizioni dello statuto speciale, a partire dall’art. 49, le quali assicurano alla Regione le finanze necessarie all’esercizio delle funzioni e, ad avviso della ricorrente, non avrebbero senso, ove fosse consentito alla legge ordinaria dello Stato di riportare, con deliberazione unilaterale, riportare all’erario tali risorse. Ciò a maggior ragione se si considera che lo Stato avrebbe già ridefinito, con l’art. 1, commi da 152 a 155, della legge n. 220 del 2010, con norme che hanno recepito il cosiddetto «accordo di Roma» del 29 ottobre 2010, le modalità con cui la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia concorre al risanamento della finanza pubblica. In tal modo il legislatore statale avrebbe invaso la generale competenza legislativa regionale in materia di finanza locale prevista dagli artt. 51 e 54 dello statuto speciale e dall’art. 9 del d.lgs. n. 9 del 1997, e avrebbe operato in contrasto con il principio dell’accordo che, ad avviso della ricorrente, dominerebbe i rapporti finanziari tra lo Stato e le Regioni speciali, riconosciuto anche nella giurisprudenza costituzionale.

La ricorrente ritiene che il rinvio alle norme di attuazione dello statuto, in base all’art. 27 della legge n. 42 del 2009, non sia sufficiente a nascondere l’illegittimità della disposizione impugnata: in primo luogo, l’accantonamento di risorse finanziarie, previsto in attesa delle norme di attuazione, sarebbe autonomamente lesivo; in secondo luogo, nemmeno con le norme di attuazione si potrebbe derogare all’art. 49 dello statuto del Friuli-Venezia Giulia, modificabile solo con l’apposita procedura di cui all’art. 104 (recte: 63, quinto comma) dello statuto speciale (secondo cui «Le disposizioni contenute nel titolo IV possono essere modificate con leggi ordinarie, su proposta di ciascun membro delle Camere, del Governo e della Regione, e, in ogni caso, sentita la Regione»); in terzo luogo, il censurato art. 28, comma 3, porrebbe un vincolo di contenuto alle norme di attuazione. Sarebbero dunque violate diverse previsioni dello statuto della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia: l’art. 49, perché sarebbe ridotto l’importo delle compartecipazioni spettanti in virtù di tale previsione statutaria; l’art. 63, comma quinto, che richiederebbe il consenso della Regione per la modifica delle disposizioni del Titolo VI (recte: IV) dello statuto; l’art. 65, perché una fonte primaria pretenderebbe di vincolare il contenuto delle norme di attuazione.

Analoghe censure possono essere rivolte alla quota di 60 milioni di euro che, ai sensi dell’impugnato art. 28, comma 3, secondo periodo, lo Stato esige dalla Regione come «da parte dei Comuni ricadenti nel proprio territorio», dal momento che non rientrerebbe tra i compiti della Regione quello di fungere da esattore per conto dello Stato, né quest’ultimo avrebbe titolo per esigere dalla prima somme che ritenga a qualsiasi titolo dovute dai Comuni.

È oggetto di censura altresì il criterio di riparto dell’accantonamento determinato dal terzo periodo dell’art. 28, comma 3, impugnato, che deve aver luogo «proporzionalmente alla media degli impegni finali registrata per ciascuna autonomia nel triennio 2007-2009», in quanto non risulta essere stato in alcun modo pariteticamente concordato tra Stato e Regioni speciali.

Ulteriori profili di illegittimità riguarderebbero, infine, il quarto periodo del medesimo art. 28, comma 3, impugnato, sulla base del quale per la Regione siciliana «si tiene conto della rideterminazione del fondo sanitario nazionale, per effetto del comma 2». Ad avviso del ricorrente la disposizione, ancorché oscura, sarebbe interpretabile nel senso che la quota di risorse da addossare alla Regione siciliana andrebbe ridotta in corrispondenza delle minori risorse del Fondo sanitario destinate alla medesima Regione. Se così fosse, si configurerebbe un’alterazione peggiorativa per la ricorrente, che sarebbe chiamata a contribuire al finanziamento parziale della sanità siciliana, in violazione dell’art. 3 Cost. – con censura reputata analoga ad altra già ritenuta ammissibile nella sentenza n. 16 del 2010 – e dell’autonomia finanziaria e amministrativa della Regione.

In subordine alle deduzioni incentrate sulla mancanza di una base statutaria per i censurati interventi del legislatore statale, la ricorrente sviluppa ulteriori argomenti.

Anzitutto, in relazione al “principio di corrispondenza tra autonomia finanziaria ed esercizio delle funzioni”, la ricorrente sostiene che il “taglio” di risorse previsto nel censurato art. 28, comma 3, se considerato insieme alle riduzioni di cui alla legge n. 220 del 2010, pregiudica la possibilità per la Regione autonoma di assolvere alle proprie funzioni, in violazione dell’art. 119 Cost. e dell’art. 48 dello statuto del Friuli Venezia-Giulia. Tale duplice violazione sarebbe dimostrata anche dal denunciato contrasto con l’art. 116, primo comma, Cost.: la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia finirebbe per ricevere un trattamento deteriore rispetto alle Regioni ordinarie, dato che solo alla prima l’art. 1, comma 152, della legge n. 220 del 2010 ha imposto un maggiore onere di 370 milioni di euro annui.

Né tali compressioni delle prerogative regionali potrebbero essere giustificate richiamando la competenza dello Stato a stabilire principi di coordinamento della finanza pubblica; o l’eventualità che le manovre finanziarie statali determinino un maggior gettito di tributi erariali dei quali, in quote fisse, beneficiano le Regioni; o ancora le esigenze di solidarietà nazionale. Anche la considerazione di questi valori deve avvenire mediante strumenti previsti dall’ordinamento, come la possibilità di riservare allo Stato il gettito derivante da modificazioni in ordine ai tributi devoluti alla Regione, a norma dell’art. 4 del d.P.R. n. 114 del 1965, alle condizioni ivi stabilite, o ulteriori strumenti da introdurre in via di modifica alle pertinenti disposizioni statutarie.

In generale, poi, i rapporti finanziari tra Stato e Regione autonoma sarebbero governati dal “principio della determinazione consensuale”: in particolare, nella sentenza n. 82 del 2007 di questa Corte si afferma la necessità di contemperare l’obbligo generale di partecipazione di tutte le Regioni, ivi comprese quelle a statuto speciale, all’azione di risanamento della finanza pubblica con la speciale autonomia in materia finanziaria di cui godono le Regioni speciali, in forza dei loro statuti, qualificando perciò il metodo dell’accordo tra il Ministero dell’economia e delle finanze e le Regioni a statuto speciale come espressione della loro autonomia finanziaria; e questo principio ha trovato attuazione sia nell’art. 27 della legge n. 42 del 2009, sia nelle misure di cui all’art. 1, commi da 152 a 156, della legge n. 220 del 2010, che sono state oggetto di confronto e discussione tra Stato e Regione autonoma.

La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia sospetta altresì l’illegittimità costituzionale dell’art. 48 del d.l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011.

La ricorrente sottolinea anzitutto che l’art. 1-bis avrebbe solo l’apparenza di una clausola di salvaguardia delle autonomie speciali, visto che, in realtà, essa ribadirebbe la diretta applicabilità sia degli artt. 13, 14 e 28 dell’impugnato decreto-legge, sia del medesimo art. 48, comma 1.

Il citato comma 1, che, con una «clausola di finalizzazione», riserva all’erario, per un periodo di cinque anni, il maggior gettito derivante dal decreto-legge, destinandolo alle esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea e demanda ad un decreto del Ministero dell’economia e delle finanze le modalità di individuazione del maggior gettito, risulterebbe in contrasto con l’art. 49 dello statuto speciale, che garantisce alla Regione ben precise compartecipazioni a tutti i tributi erariali.

Inoltre, a rendere legittima tale disposizione non sarebbe sufficiente invocare l’art. 4, comma 1, del d.P.R. n. 114 del 1965, il quale consente che il gettito derivante da maggiorazioni di aliquote o da altre modificazioni in ordine ai tributi devoluti alla Regione possa essere riservato all’erario, a condizione, tra l’altro, che tale gettito sia destinato per legge «alla copertura di nuove specifiche spese di carattere non continuativo, che non rientrano nelle materie di competenza della regione, ivi comprese quelle relative a calamità naturali»: ad avviso della ricorrente, che a supporto della propria argomentazione richiama la sentenza n. 182 del 2010 di questa Corte, non si tratterebbe, nel caso di specie, di «spese» e le situazioni alle quali si intende fare fronte non sarebbero né «nuove», né «specifiche». Né l’impugnato art. 48, comma 1, potrebbe trovare fondamento, sempre ad avviso della ricorrente, nell’art. 6, comma 2, del decreto legislativo 2 gennaio 1997, n. 8 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Friuli-Venezia Giulia recanti modifiche ed integrazioni al D.P.R. 23 gennaio 1965, n. 114, concernente la finanza regionale). Tale disposizione risulterebbe non applicabile nel caso di specie, perché priva di portata generale. Quand’anche fosse ritenuta applicabile, con essa non risulterebbe coerente la disposizione censurata: sia perché quest’ultima disporrebbe una riserva all’erario di tutte le maggiori entrate derivanti dal decreto-legge; sia per il carattere unilaterale di tale riserva, mentre il citato art. 6, comma 2, presuppone comunque un accordo, in applicazione del principio di leale collaborazione e del principio consensuale.

L’impugnato art. 48, comma 1, in quanto configurerebbe una deroga agli artt. 48 e 49 dello statuto, disposta con una «fonte primaria “ordinaria”», violerebbe altresì, ad avviso della ricorrente, gli artt. 63, commi primo e quinto, e 65 dello statuto che, rispettivamente, disciplinano: il procedimento di revisione costituzionale per modificare lo statuto in via ordinaria; la modifica della disciplina finanziaria con legge statale, ma «su proposta di ciascun membro delle Camere, del Governo e della Regione e, in ogni caso, sentita la Regione»; la procedura per l’adozione delle norme di attuazione dello statuto. Su un piano più generale, la ricorrente sostiene che l’impugnato art. 48 altererebbe unilateralmente la relazione strutturale che intercorre tra il tributo erariale e la compartecipazione statutaria regionale, violando il carattere automatico della compartecipazione nel momento in cui esclude che talune innovazioni fiscali possano tradursi in beneficio per l’entrata della Regione. Se, come affermato nella sentenza n. 155 del 2006, la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia non può contestare nuove norme tributarie statali che, incidendo su tributi erariali cui la Regione compartecipa, riducano il gettito per la Regione, reciprocamente anche i vantaggi economici che derivino dalla modifica di aliquote o da altre novità relative ai tributi erariali dovrebbero andare, pro quota, a beneficio della Regione, secondo quanto stabilito nello statuto speciale.

Una specifica censura è infine rivolta dalla ricorrente nei confronti del secondo periodo dell’art. 48, comma 1, che demanda ad un decreto del Ministro dell’economia e delle finanze le modalità di individuazione del maggiore gettito. Oltre ad essere affetta dai medesimi vizi che caratterizzerebbero il periodo precedente, la disposizione sarebbe in contrasto con il principio di leale collaborazione, in quanto, in una materia dominata dal principio consensuale, prevede un decreto ministeriale senza intesa con la Regione autonoma.

7.2.– Con atto depositato in data 11 maggio 2012, fuori termine, si è costituito nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le censure dedotte, tra l’altro, contro gli artt. 28, comma 3, e 48 del d.l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011, siano dichiarate infondate.

Riproponendo argomenti analoghi a quelli con cui ha replicato alle censure dedotte in altri ricorsi contro le stesse disposizioni, la difesa erariale deduce che il censurato art. 28, comma 3, demanda a un accordo tra la ricorrente e il Ministro dell’economia e delle finanze la determinazione dei criteri di riparto del contributo da versare allo Stato e, infatti, richiama le procedure di cui all’art. 27 della legge n. 42 del 2009; e che sarebbe onere della ricorrente provare che l’intervento legislativo in questione abbia reso complessivamente insufficienti i mezzi finanziari con cui la Regione autonoma dovrebbe adempiere ai propri compiti. Quanto all’art. 48, e precisamente al suo comma 2 (recte: 1), l’Avvocatura generale dello Stato rileva che la riserva all’erario degli incrementi di gettito ivi previsti è giustificata, come tutte le misure di cui al d.l. n. 201 del 2001, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011, dall’esigenza di raggiungere il pareggio del bilancio in un periodo di eccezionale crisi economica; e che, comunque, tale previsione va coordinata con quella di cui al comma 1-bis, che contiene una clausola di salvaguardia per le Regioni e le Province ad autonomia speciale.

7.3.– In data 16 ottobre 2012, in prossimità dell’udienza pubblica originariamente fissata per il 6 novembre 2012, la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia ha depositato una memoria a integrazione di quanto già dedotto nel proprio ricorso.

Riguardo al censurato art. 28, comma 3, la ricorrente ricorda che il concorso alla finanza pubblica è stato rideterminato prima dall’art. 35, comma 4, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 (Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 24 marzo 2012, n. 27; poi dall’art. 4, comma 11, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 26 aprile 2012, n. 44; resterebbero però ferme tutte le censure proposte nel ricorso. A sostegno di esse la ricorrente rinviene, peraltro, ulteriori argomenti nella sentenza n. 193 del 2012 di questa Corte, che riconosce una portata generale al meccanismo di cui all’art. 27 della legge n. 42 del 2009; nella sentenza n. 118 del 2012 di questa Corte, che ha ribadito come lo strumento dell’accordo si sia ormai consolidato come idoneo a conciliare e regolare in modo negoziato il doveroso concorso delle Regioni a statuto speciale alla manovra di finanza pubblica e la tutela della loro autonomia finanziaria, costituzionalmente rafforzata; e infine nella sentenza n. 142 del 2012 di questa Corte, che ha dichiarato illegittima la riserva allo Stato del gettito derivante dall’addizionale erariale sulla tassa automobilistica.

Riguardo al censurato art. 48, e al suo comma 1, la Regione autonoma sottolinea che esso è stato attuato dal decreto del Direttore generale delle finanze e del Ragioniere generale dello Stato 20 luglio 2012 (Modalità di individuazione del maggior gettito da riservare all’Erario, ai sensi dell’art. 2, comma 36, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, e dell’art. 48, comma 1, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214) e ritiene che l’illegittimità costituzionale della riserva ivi contemplata sia confermata dalla citata sentenza n. 142 del 2012, che ha dichiarato illegittima la riserva allo Stato del gettito dell’addizionale erariale sulla tassa automobilistica, per la mancanza dei presupposti di cui all’art. 9 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268 (Norme di attuazione dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige in materia di finanza regionale e provinciale),

7.4.– In data 3 gennaio 2014, in prossimità dell’udienza pubblica del 29 gennaio 2014, la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia ha depositato un’ulteriore memoria, nella quale svolge talune considerazioni integrative.

Riguardo all’art. 28, comma 3, impugnato, ricorda che è intervenuta la sentenza n. 241 del 2012 di questa Corte, che ha ribadito il principio pattizio nei rapporti in materia finanziaria tra Stato e Regioni speciali, rilevando che l’art. 27 della legge n. 42 del 2009, laddove pone una vera e propria riserva di competenza alle norme di attuazione degli statuti, si configura «quale autentico presidio procedurale della specialità finanziaria di tali enti». La medesima sentenza viene richiamata anche riguardo all’art. 48, impugnato. Con essa infatti questa Corte ha accertato – riguardo alla riserva all’erario prevista dall’art. 2, comma 36, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 14 settembre 2011, n. 148, avente la medesima destinazione della disposizione impugnata – la non ricorrenza di uno dei requisiti prescritti dall’art. 4 del d.P.R. n. 114 del 1965: ossia, quello consistente nella «copertura di nuove specifiche spese di carattere non continuativo», posto che gli obiettivi ai quali è destinato il maggior gettito sono stati ritenuti privi della specificità richiesta dalla norma di attuazione statutaria. Tali obiettivi sarebbero uguali a quelli cui si riferirebbe il censurato art. 48.

7.5.– In data 30 settembre 2014, in prossimità dell’udienza pubblica del 22 ottobre 2014, la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia ha depositato un’altra memoria, nella quale, insistendo per l’accoglimento del ricorso, svolge ulteriori considerazioni integrative, segnatamente in merito al censurato art. 28, comma 3.

L’illegittimità costituzionale di questa disposizione sarebbe confermata dalla sentenza n. 23 del 2014 di questa Corte, relativa al taglio di alcuni trasferimenti erariali, nella misura dell’ottanta per cento, a titolo di sanzione per il caso di mancata tempestiva adozione di una serie di provvedimenti. Il taglio era stato impugnato dalla ricorrente Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia per violazione dell’art. 49 del proprio statuto, per il caso che esso comprendesse le spettanze finanziarie garantite da tale norma statutaria. Secondo la Regione, questa Corte ha ritenuto doveroso interpretare le disposizioni censurate in modo da escludere effetti sulle compartecipazioni ai tributi erariali spettanti alle Regioni ad autonomia speciale, giacché altrimenti si sarebbe dovuto concludere che una legge ordinaria avesse imposto limiti o condizioni a una fonte di rango costituzionale.

7.6.– La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia in data 23 marzo 2015 ha depositato la delibera della Giunta regionale del 13 marzo 2015 di rinuncia al ricorso, limitatamente agli artt. 28, comma 3, e 48 del decreto-legge impugnato.

Considerato in diritto

1.– Con sette ricorsi (rispettivamente iscritti ai nn. 33, 34, 38, 39, 40, 47 e 50 del registro ricorsi 2012), la Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol, la Provincia autonoma di Trento, la Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, la Regione siciliana, la Provincia autonoma di Bolzano, la Regione autonoma Sardegna e la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia hanno promosso questioni di legittimità costituzionale degli artt. 28 e 48 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214.

Riservata a separate pronunce la decisione delle ulteriori questioni promosse nei confronti di altre disposizioni del d.l. n. 201 del 2011, come convertito, i richiamati ricorsi devono essere riuniti e qui esaminati congiuntamente, limitatamente agli artt. 28 e 48, censurati da tutte le ricorrenti in riferimento a parametri e per motivi almeno in parte coincidenti (ex plurimis, sentenze n. 144, n. 44, n. 28 e n. 23 del 2014).

Il Presidente del Consiglio dei ministri si è costituito in tutti i giudizi. Tuttavia, in relazione ai citati ricorsi n. 33, n. 34, n. 39 e n. 50, gli atti di costituzione del Governo sono stati depositati oltre il termine perentorio di cui all’art. 19, terzo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti la Corte costituzionale e sono pertanto inammissibili.

2.– La Regione autonoma Trentino-Alto Adige e le due Province autonome di Trento e di Bolzano hanno rinunciato ai propri ricorsi. Previa deliberazione del Consiglio dei ministri, il Presidente del Consiglio dei ministri, tramite l’Avvocatura generale dello Stato, ha dichiarato di accettare le rinunce. Pertanto, a prescindere dalla tardività della costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri in due di questi giudizi, i relativi processi devono essere dichiarati estinti, ai sensi dell’art. 23 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

3.– Successivamente, anche la Regione autonoma Sardegna e la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia hanno rinunciato ai rispettivi ricorsi, in seguito ad accordi stipulati con lo Stato in materia di finanza pubblica. Dette rinunce, non avendo riportato la formale accettazione del Presidente del Consiglio dei ministri, comportano la cessazione della materia del contendere in relazione alle parti dei ricorsi oggetto del presente giudizio (ex plurimis, sentenza n. 19 del 2015).

4.– Restano da esaminare i ricorsi presentati dalla Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste e dalla Regione siciliana.

4.1.– La Regione autonoma Valle d’Aosta ha censurato anzitutto l’art. 28, comma 3, del d.l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011. Tale disposizione prevede che le Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e Bolzano assicurino, a decorrere dall’anno 2012, un concorso alla finanza pubblica di euro 860 milioni annui; che le Regioni Valle d’Aosta e Friuli-Venezia Giulia e le Province autonome di Trento e Bolzano assicurino, parimenti a decorrere dall’anno 2012, un concorso alla finanza pubblica di 60 milioni di euro annui da parte dei Comuni ricadenti nel proprio territorio; che, in entrambe le sue forme, il previsto concorso si realizzi con le procedure di cui all’art. 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione), vale a dire «secondo criteri e modalità stabiliti da norme di attuazione dei rispettivi statuti, da definire, con le procedure previste dagli statuti medesimi» (comma 1); e che, fino all’emanazione delle norme di attuazione di cui al predetto art. 27, l’importo complessivamente corrispondente all’anzidetto concorso sia accantonato, in misura proporzionale alla media degli impegni finali registrata per ciascuna autonomia nel triennio 2007-2009, a valere sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali.

Ad avviso della ricorrente, il censurato comma 3 violerebbe, in primo luogo, il principio di leale collaborazione, di cui agli artt. 5 e 120 della Costituzione, in quanto definisce unilateralmente l’assetto dei rapporti finanziari tra lo Stato e la Regione; in secondo luogo, gli artt. 2, comma 1, lettere a) e b), 3, comma 1, lettera f), 12, 48-bis e 50 dello statuto speciale e della relativa normativa di attuazione (articoli da 2 a 7 della legge 26 novembre 1981, n. 690, recante «Revisione dell’ordinamento finanziario della regione Valle d’Aosta»), in quanto lede la particolare autonomia finanziaria, anche con riguardo all’ambito locale, della Regione autonoma, senza rispettare il metodo dell’accordo e determinando l’immediato accantonamento di somme spettanti alla stessa Regione; in terzo luogo, il principio di ragionevolezza, di cui all’art. 3 Cost., in quanto non enuncia i criteri in base ai quali è determinata la misura del contributo dovuto dalla Regione autonoma e dai Comuni valdostani. Il rinvio operato dall’art. 28, comma 3, alla futura emanazione delle norme di attuazione statutaria di cui all’art. 27 della legge n. 42 del 2009, non sarebbe una garanzia sufficiente, dal momento che il termine di trenta mesi, decorrenti dalla data di entrata in vigore della medesima legge n. 42 del 2009, originariamente previsto per l’adozione delle norme anzidette, è stato abrogato dal comma 4 del censurato art. 28.

La stessa ricorrente ha censurato, altresì, l’art. 48 del d.l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011, il quale, dopo aver riservato all’erario, per cinque anni, le maggiori entrate derivanti dal decreto-legge, dispone che con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze siano stabilite le modalità di individuazione del maggior gettito, attraverso apposita contabilizzazione. La disposizione si porrebbe in contrasto con gli artt. 3, comma 1, lettera f), 12, 48-bis e 50 della l. cost. n. 4 del 1948, nonché con l’art. 8 della legge n. 690 del 1981 e, altresì, con il principio di leale collaborazione, di cui agli artt. 5 e 120 Cost., in particolare in quanto non stabilisce che l’apposito decreto sia emanato previa intesa con il Presidente della Giunta regionale.

4.2.– La Regione siciliana ha impugnato gli artt. 28 e 48 del d.l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011, in quanto immediatamente applicabili a essa ricorrente, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 48. Tali articoli violerebbero, in primo luogo, l’art. 43 dello statuto speciale, il quale demanda la determinazione delle norme per la propria attuazione a una commissione paritetica; in secondo luogo, il principio di leale collaborazione, come espresso dall’art. 27 della legge n. 42 del 2009, il quale prevede un tavolo di confronto per il coordinamento della finanza delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome.

La medesima Regione siciliana ha censurato poi, più specificamente, l’art. 28, il quale, dopo aver previsto, al comma 2, l’applicabilità anche alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano dell’aumento dell’aliquota di base dell’addizionale IRPEF, impone alle suddette autonomie speciali di assicurare il già descritto concorso alla finanza pubblica di cui al comma 3, con il pure già descritto accantonamento dell’importo complessivo a valere sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali; e precisa, sempre al comma 3, ultimo periodo, che per la sola Regione siciliana si tiene conto della rideterminazione del fondo sanitario nazionale conseguente all’applicazione dell’incrementata aliquota di base dell’addizionale IRPEF.

Ad avviso della ricorrente, tali disposizioni si porrebbero in contrasto con il principio di leale collaborazione, con gli artt. 36 e 37 dello statuto speciale e con l’art. 2 delle relative norme di attuazione in materia finanziaria – si intende, del decreto del Presidente della Repubblica 26 luglio 1065, n. 1074 (Norme di attuazione dello statuto della Regione siciliana in materia finanziaria) – nonché con l’art. 17, primo comma, lettera b), dello statuto speciale. In particolare, secondo la ricorrente, «l’aumento del detto gettito non è destinato alla Regione siciliana per il soddisfacimento dei suoi bisogni indistinti» e, «contemporaneamente, la rideterminazione del Fondo sanitario nazionale […] viene destinata all’erario statale»; tale rideterminazione; ridurrebbe, fino ad azzerarlo, il contributo dello Stato alla spesa sanitaria regionale; non sarebbero rispettate le procedure previste dall’art. 27 della legge n. 42 del 2009, né sarebbe contemplata una previa consultazione della Regione autonoma.

Oggetto di impugnazione è anche l’art. 28, comma 6, del citato d.l. n. 201 del 2011, come convertito, nella parte in cui prevede l’accantonamento delle somme spettanti alla Regione siciliana a titolo di Fondo sanitario nazionale, per un periodo non superiore al quinto anno successivo a quello di iscrizione in bilancio, subordinandone l’erogazione alla verifica positiva degli adempimenti regionali, ai sensi della legislazione vigente. Tale disposizione violerebbe, in primo luogo, l’art. 36 dello statuto speciale e l’art. 2 del d.P.R. n. 1074 del 1965, in quanto sottrarrebbe alla Regione, per un periodo di un quinquennio, l’immediata disponibilità delle risorse in questione; in secondo luogo, l’art. 17, primo comma, lettera b), dello statuto speciale, in quanto inciderebbero sulla competenza concorrente in materia sanitaria.

La Regione siciliana ha censurato, altresì, i commi da 7 a 10 dell’impugnato art. 28, i quali prevedono una riduzione del finanziamento dello Stato ai Comuni (commi 7 e 9) e alle Province (commi 8 e 10) ricompresi sia nel territorio delle Regioni ordinarie, sia nel territorio della Regione siciliana e della Regione autonoma Sardegna, per gli anni 2012 e successivi.

In particolare, la riduzione opera, da un lato, sui trasferimenti erariali dovuti ai Comuni e alle Province delle due Regioni insulari e, dall’altro, sulle dotazioni di due Fondi, entrambi istituiti in attuazione della legge n. 42 del 2009: il Fondo sperimentale di riequilibrio, determinato, per i Comuni, dall’art. 2 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 (Disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale) e, per le Province, dall’art. 21 del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68 (Disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle Province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario); il Fondo perequativo, determinato, per i Comuni, dall’art. 13 del d.lgs. n. 23 del 2011 e, per le Province, dall’art. 23 del d.lgs. n. 68 del 2011. Ai sensi del comma 9 del censurato art. 28, il riparto tra i Comuni della riduzione in questione avviene in proporzione all’imposta municipale propria (IMU), istituita dall’art. 13 del d.l. n. 201 del 2011, impugnato. Il successivo comma 10 stabilisce che il riparto tra le Province della relativa riduzione avvenga «proporzionalmente».

Ad avviso della Regione siciliana, sarebbe violato il principio di leale collaborazione, in quanto gli importi delle descritte riduzioni non sarebbero stati previamente quantificati, né si sarebbe tenuto conto delle peculiari condizioni economiche della Regione siciliana e degli enti locali del suo territorio.

5.– Procedendo all’esame delle singole censure, occorre anzitutto esaminare quella rivolta dalla Regione siciliana nei confronti dell’intero testo degli artt. 28 e. 48 del d.l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011 – oltre che degli artt. 13 e 14 del medesimo atto normativo, i quali sono però oggetto di separato giudizio.

Nei termini in cui è formulata, la doglianza è inammissibile.

Questa Corte ha già più volte chiarito che il ricorso in via principale deve identificare esattamente la questione nei suoi termini normativi, indicando le norme costituzionali e ordinarie, la definizione del cui rapporto di compatibilità o incompatibilità costituisce l’oggetto della questione e che, inoltre, deve contenere una argomentazione di merito a sostegno della richiesta declaratoria di illegittimità costituzionale, giacché l’esigenza di una adeguata motivazione a supporto della impugnativa si pone in termini perfino più pregnanti nei giudizi diretti rispetto a quelli incidentali (ex plurimis, sentenza n. 259 del 2014). La censura ora in esame è generica, perché rivolta indiscriminatamente contro l’intero contenuto normativo di entrambi questi articoli, i quali sono composti da una pluralità di proposizioni normative e solo in parte riguardano la Regione siciliana.

6.– La Regione siciliana ha impugnato, altresì, l’art. 28, comma 3, ultimo periodo, del d.l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011, in quanto esso disporrebbe una rideterminazione del fondo sanitario nazionale, tale da ridurre sino ad annullarla la contribuzione statale alla spesa sanitaria della ricorrente.

La censura è inammissibile, per un duplice ordine di motivi.

Anzitutto, più volte questa Corte ha chiarito che non è possibile considerare in modo atomistico singole disposizioni incidenti su entrate tributarie delle Regioni, senza valutare nel suo complesso la manovra fiscale entro la quale esse trovano collocazione, ben potendosi verificare che, per effetto di plurime disposizioni, contenute nella stessa legge oggetto di impugnazione principale, o in altre leggi dirette a governare la medesima manovra, il gettito complessivo destinato alla finanza regionale non subisca riduzioni (ex plurimis, sentenza n. 26 del 2014). Nel caso, la ricorrente trascura che lo stesso art. 28, pur richiamando le Regioni speciali e le Province autonome a un maggiore concorso agli obiettivi nazionali di finanza pubblica, prevede altresì, al comma 2, che anche a questi enti si applichi l’aumento dell’aliquota di base dell’addizionale IRPEF disposta dal comma 1, incrementandone le entrate.

Inoltre, nel lamentare la riduzione dei finanziamenti alla propria spesa sanitaria, la ricorrente trascura che l’ultimo periodo del comma 3 si limita a presupporre la «rideterminazione del fondo sanitario nazionale per effetto del comma 2», cui fa riferimento allo scopo di ridurre in pari misura il concorso dovuto dalla Regione autonoma a norma dei periodi precedenti dello stesso comma 3. Non si comprende, dunque, dove risieda la lesività della disposizione impugnata.

La censura è dunque inammissibile per insufficienza della motivazione e incompleta ricostruzione del quadro normativo (ex plurimis, sentenza n. 165 del 2014).

7.– Comune ad entrambi i ricorsi è un gruppo di censure che hanno ad oggetto l’art. 28, comma 3, i cui contenuti possono essere sintetizzati come segue. A decorrere dal 2012 – e quindi per ciascun anno a partire da questo – è dovuto un concorso agli obiettivi nazionali di finanza pubblica da parte delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome, specificato nella sua dimensione quantitativa. Il concorso è assicurato con le procedure previste dall’art. 27 della legge n. 42 del 2009 e, quindi, secondo criteri e modalità stabiliti da norme di attuazione dei rispettivi statuti. Tuttavia, fino all’emanazione delle suddette norme di attuazione l’importo dovuto è accantonato, proporzionalmente alla media degli impegni finali registrata per ciascuna autonomia nel triennio 2007-2009, a valere sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali. Il predetto accantonamento perdura fino al completamento delle procedure di cui al richiamato art. 27 della legge n. 42 del 2009.

7.1.– Per una corretta comprensione della normativa impugnata, occorre ricordare che il d.l. n. 201 del 2011 è stato adottato in applicazione del comma 6 dell’art. 10-bis della legge di contabilità e finanza pubblica (legge 31 dicembre 2009, n. 196), come introdotto dall’art. 2, comma 3, della legge 7 aprile 2011, n. 39 (Modifiche alla legge 31 dicembre 2009, n. 196, conseguenti alle nuove regole adottate dall’Unione europea in materia di coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri). Esso è il primo provvedimento che, pur successivo alla legge di stabilità, può qualificarsi come a essa collegato, in quanto reca gli interventi correttivi necessari per garantire l’equilibrio della manovra (sentenza n. 6 del 2015). Infatti, il Governo, nella Relazione al Parlamento presentata il 4 dicembre 2011, rilevava la gravità della congiuntura economica e riteneva indispensabile una manovra ulteriore, correttiva rispetto a quella di cui alla legge 12 novembre 2011, n. 183 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2012), comprensiva anche di interventi sulla finanza degli enti territoriali, anche al fine di rispettare gli impegni assunti in seno all’Unione europea. Tali specifiche contingenze si riflettono anche nel titolo e nel preambolo del decreto-legge, oltre che nel suo contenuto e nel collegamento procedurale con la legge di stabilità.

7.2.– Venendo, poi, più specificamente all’art. 28, di cui fa parte l’impugnato comma 3, è bene dare conto anche delle previsioni di cui ai commi 1 e 2, il cui contenuto concorre ad una corretta comprensione della manovra nel suo insieme. Infatti, il comma 1 dispone un incremento da 0,9 a 1,23 per cento dell’aliquota base dell’addizionale regionale all’IRPEF, a decorrere dall’anno di imposta 2011: quindi, anche con riguardo all’anno solare nel cui ultimo mese il decreto-legge è stato emanato. Il comma 2 prevede che l’aliquota così incrementata si applica anche alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano. Pertanto, i primi due commi determinano un incremento delle entrate delle Regioni ordinarie e speciali, per effetto della maggiorazione dell’aliquota di base dell’addizionale IRPEF.

È in questo contesto che si collocano il concorso delle Regioni a statuto speciale disposto dall’impugnato comma 3 e il relativo accantonamento.

7.3.– Ancora in via preliminare, va osservato che il concorso delle Regioni speciali e delle Province autonome di cui al citato art. 28, comma 3, oggetto del presente giudizio, è stato successivamente più volte rideterminato, anzitutto con l’art. 35, comma 4, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 (Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 24 marzo 2012, n. 27, oggetto di un giudizio già deciso da questa Corte con sentenza n. 65 del 2015. In seguito, a tale disposizione hanno fatto riferimento ulteriori norme volte a disciplinare il contributo delle Regioni speciali e delle Province autonome agli obiettivi nazionali di finanza pubblica, a cominciare dall’art. 16, comma 4, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135, oggetto di separato giudizio. Tuttavia, tali evoluzioni legislative non interferiscono con l’esame dei ricorsi qui in esame, dato che esse non hanno portata retroattiva né, soprattutto, contenuto satisfattivo rispetto alle doglianze delle ricorrenti.

7.4.– Nel merito, il principale nucleo tematico delle censure rivolte, da parte di entrambe le ricorrenti, nei confronti dell’art. 28, comma 3, riguarda l’unilateralità della decisione statale, sia laddove impone un concorso delle Regioni ad autonomia speciale al risanamento della finanza pubblica, sia laddove richiede che a tale concorso venga data attuazione mediante l’accantonamento di quanto dovuto a valere sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali, sia laddove ne determina l’ammontare complessivo da ripartirsi «proporzionalmente alla media degli impegni finali registrata per ciascuna autonomia nel triennio 2007-2009».

Le questioni non sono fondate.

Questa Corte ha costantemente affermato che di regola i principi fondamentali fissati dalla legislazione dello Stato nell’esercizio della competenza di coordinamento della finanza pubblica si applicano anche ai soggetti ad autonomia speciale (ex plurimis, sentenze n. 46 del 2015, n. 54 del 2014, n. 30 del 2012, n. 229 del 2011, n. 120 del 2008, n. 169 e n. 82 del 2007, n. 417 del 2005, n. 353 e n. 36 del 2004), in quanto essi sono funzionali a prevenire disavanzi di bilancio, a preservare l’equilibrio economico-finanziario del complesso delle amministrazioni pubbliche e anche a garantire l’unità economica della Repubblica, come richiesto dai principi costituzionali e dai vincoli derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea. Tali principi e vincoli sono oggi ancor più pregnanti nel quadro delineato dall’art. 2, comma 1, della legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1 (Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale) che, nel comma premesso all’art. 97 Cost., obbliga il complesso delle pubbliche amministrazioni ad assicurare «l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico» (sentenze n. 175 e n. 39 del 2014; n. 60 del 2013).

Gli obiettivi programmatici del patto di stabilità e crescita non possono che essere perseguiti dal legislatore nazionale attraverso norme capaci d’imporsi all’intero sistema delle autonomie (sentenza n. 284 del 2009). In tale prospettiva, questa Corte si è pronunciata recentemente con la sentenza n. 19 del 2015, specificamente in merito a disposizioni (art. 32, comma 10, della legge n. 183 del 2011) che, come quelle impugnate nel presente giudizio, determinavano i contributi alla finanza pubblica posti a carico di ciascuna autonomia speciale. Esaminando le censure rivolte a queste disposizioni, in quanto il contributo ivi previsto era stato determinato in via unilaterale dallo Stato, la Corte ha attribuito un preciso rilievo alla tempestività degli adempimenti nazionali rispetto alle cadenze temporali tipiche del sistema europeo di coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri; tempestività che non può essere messa in pericolo dalla necessità, per lo Stato, di attendere di avere completato l’iter di negoziazione con ciascun ente territoriale.

È vero che anche nella pronuncia da ultimo citata questa Corte non ha mancato di sottolineare che in riferimento alle Regioni a statuto speciale merita sempre di essere intrapresa la via dell’accordo, espressione di un principio generale che governa i rapporti finanziari tra lo Stato e le autonomie speciali; è altresì vero, tuttavia, che tale principio non è stato recepito dagli statuti di autonomia che vengono in rilievo nel presente giudizio – o dalle norme di attuazione degli stessi –, cosicché esso può essere derogato dal legislatore statale (sentenze n. 46 del 2015; n. 23 del 2014 e n. 193 del 2012), tanto più in casi come quello in esame in cui la norma impugnata si colloca in un più ampio contesto normativo nel quale il principio pattizio è già largamente adottato per volontà dello stesso legislatore ordinario.

È sulla base di questo presupposto che il richiamato art. 27 della legge n. 42 del 2009 prevede che le autonomie speciali concorrono al patto di stabilità interno sulla base del principio dell’accordo «secondo criteri e modalità stabiliti dalle norme di attuazione dei rispettivi statuti»: una tale previsione non sarebbe necessaria se le fonti dell’autonomia speciale avessero già provveduto a disciplinare la materia, recependo il principio dell’accordo in forme opponibili al legislatore ordinario. Con specifico riguardo all’art. 27 della legge n. 42 del 2009 – rispetto al quale la disciplina oggetto del presente giudizio esplicitamente e transitoriamente si discosta, in attesa della sua attuazione – questa Corte ha già osservato (sentenza n. 23 del 2014) che esso pone bensì una riserva di competenza a favore delle norme di attuazione degli statuti speciali per la modifica della disciplina finanziaria degli enti ad autonomia differenziata (sentenza n. 71 del 2012), così da configurarsi quale presidio procedurale della specialità finanziaria di tali enti (sentenza n. 241 del 2012). Nondimeno esso ha rango di legge ordinaria, derogabile da atti successivi aventi pari forza normativa; sicché, specie in un contesto di grave crisi economica, il legislatore può discostarsi dal modello consensualistico nella determinazione delle modalità del concorso delle autonomie speciali alle manovre di finanza pubblica (sentenza n. 193 del 2012), fermo restando il necessario rispetto della sovraordinata fonte statutaria (sentenza n. 198 del 2012).

Del resto, già in passato e in più occasioni, pur riguardanti fattispecie non perfettamente sovrapponibili a quella oggetto del presente giudizio, la competenza in materia di coordinamento della finanza pubblica ha consentito allo Stato di imporre all’autonomia finanziaria delle Regioni speciali e delle Province autonome limiti analoghi a quelli che valgono per le Regioni a statuto ordinario, nelle more delle trattative finalizzate al raggiungimento dei necessari accordi (sentenze n. 120 del 2008, n. 169 e n. 82 del 2007, n. 353 del 2004).

7.5.– Alla luce dei principi sopra richiamati, appare chiaro che lo Stato ha stabilito la misura del contributo richiesto alle autonomie speciali, nonché ai Comuni ricompresi nel territorio di alcune Regioni speciali, nell’adempimento della propria funzione di coordinamento della finanza pubblica e nell’esercizio della relativa competenza legislativa. Solo in via transitoria è disposto che l’importo complessivo sia ripartito tra i vari enti proporzionalmente alla media degli impegni finali registrata per ciascuno di essi nel triennio 2007-2009 e che la somma così determinata sia accantonata a valere sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali.

L’accantonamento è disposto al fine di rendere immediatamente effettivo il concorso che le Regioni speciali e le Province autonome hanno il dovere di assicurare, con i mezzi di cui sono titolari, il raggiungimento degli obiettivi finanziari nazionali. Una volta chiarito che il contributo imposto alle ricorrenti è legittimo, l’accantonamento delle quote di compartecipazione è il mezzo procedurale attraverso il quale le autonomie speciali assolvono tempestivamente gli obblighi di partecipazione al risanamento delle finanze pubbliche. Così come è configurata nella disposizione impugnata, una simile tecnica non viola i parametri dedotti dalle ricorrenti, giacché si risolve nell’omessa erogazione di somme che queste ultime non avrebbero comunque potuto impiegare.

L’accantonamento avviene sul presupposto che le relative somme appartengano agli enti territoriali, come previsto dai rispettivi statuti speciali: da questo punto di vista, non vi è alcuna sostituzione dello Stato alle autonomie speciali nella titolarità del gettito. Naturalmente, affinché esso non si tramuti in una definitiva sottrazione e appropriazione di risorse regionali da parte dello Stato, occorre che tale modalità non si protragga senza limite. Anche sotto questo profilo la disposizione non incorre in vizi di incostituzionalità dal momento che essa prevede che, quando saranno completate le procedure di cui all’art. 27 della legge n. 42 del 2009, siano le nuove norme di attuazione statutaria a definire l’entità e le modalità del concorso dei soggetti ad autonomia speciale agli obiettivi della finanza pubblica nazionale. La disposizione impugnata si configura, dunque, come misura transitoria, necessaria per assicurare il conseguimento effettivo degli obiettivi di coordinamento finanziario, nell’ambito della particolare contingenza nella quale si inseriva il decreto-legge impugnato, anche in relazione alle indicazioni provenienti dalle istituzioni europee.

È appena il caso di ribadire che nell’attuazione delle previsioni sopra richiamate deve essere rispettato il principio di leale collaborazione, il quale richiede un confronto autentico, orientato al superiore interesse pubblico di conciliare l’autonomia finanziaria delle Regioni con l’indefettibile vincolo di concorso di ciascun soggetto ad autonomia speciale alla manovra di stabilità, sicché su ciascuna delle parti coinvolte ricade un preciso dovere di collaborazione e di discussione, articolato nelle necessarie fasi dialogiche (ex plurimis, sentenza n. 19 del 2015). Non mancano alle Regioni e alle Province autonome gli strumenti per reagire a eventuali comportamenti, anche omissivi, dello Stato che non appaiano conformi al principio di leale collaborazione, cosicché nessuna delle parti possa abbandonarsi ad atteggiamenti arbitrari di inerzia o dilazione pretestuosa.

8.– L’art. 28, comma 6, è oggetto di impugnazione da parte della sola Regione siciliana, ad avviso della quale le somme che le spettano a titolo di Fondo sanitario nazionale dovrebbero giungere immediatamente nella sua disponibilità e non dovrebbero restare accantonate in bilancio, per un massimo di cinque anni, fino a che sia stata verificata la realizzazione delle condizioni che ne consentono l’erogazione.

La questione non è fondata.

Occorre premettere che la Regione siciliana è l’unica, tra quelle a statuto speciale, che non autofinanzia integralmente le proprie prestazioni sanitarie, ma beneficia, come le Regioni a statuto ordinario, di fondi statali. Pertanto, in analogia con quanto disposto per le Regioni a statuto ordinario, già prima dell’introduzione della norma in questione, l’art. 77-quater del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 6 agosto 2008, n. 133, prevedeva, al comma 5, che all’odierna ricorrente fossero erogate le somme spettanti a titolo di Fondo sanitario nazionale, «previo accantonamento di un importo corrispondente alla quota del finanziamento indistinto del fabbisogno sanitario condizionata alla verifica degli adempimenti regionali, ai sensi della legislazione vigente». L’accantonamento di cui la Regione lamenta l’illegittimità costituzionale non è stato dunque introdotto dal censurato art. 28, comma 6, del d.l. n. 201 del 2011, come convertito, ma era già previsto dal citato art. 77-quater del d.l. n. 112 del 2008 come convertito. Neppure gli adempimenti la cui positiva verifica è condizione per l’erogabilità delle somme spettanti alla Regione siciliana a titolo di fondo sanitario nazionale sono stabiliti nella disposizione impugnata. Quest’ultima si limita, invece, a regolare un solo aspetto dell’accantonamento, fissando per esso una durata massima non superiore al quinto anno successivo a quello di iscrizione in bilancio, esplicitando così la natura temporanea della misura già prevista dalla legislazione vigente. In tal modo, la disposizione anzidetta sicuramente non accresce, e anzi contiene, l’incidenza nei confronti della Regione del già previsto accantonamento, al quale peraltro va riconosciuta valenza di sanzione rispetto all’eventuale trasgressione di obblighi imposti dalla legislazione dello Stato, al fine di garantire la tenuta della finanza pubblica allargata, con conseguente riduzione dei margini di autonomia finanziaria e organizzativa della Regione (sentenza n. 46 del 2015).

9.– Neppure sono fondate le questioni sollevate dalla Regione siciliana nei confronti dei commi da 7 a 10 dell’art. 28, i quali prevedono una riduzione del finanziamento dello Stato ai Comuni (commi 7 e 9) e alle Province (commi 8 e 10) ricompresi sia nel territorio delle Regioni ordinarie, sia nel territorio della Regione siciliana e della Regione autonoma della Sardegna, per gli anni 2012 e successivi.

Non è dubbio che, per il finanziamento delle normali funzioni di Regioni ed enti locali, lo Stato possa erogare fondi senza vincoli specifici di destinazione, in particolare tramite il fondo perequativo di cui all’art. 119, terzo comma, Cost. (ex plurimis, sentenza n. 370 del 2003), così esercitando una competenza che pacificamente gli spetta in via esclusiva, a norma dell’art. 117, comma secondo, lettera e), Cost., a tutela della coesione e dell’unità economica della Repubblica. Allo Stato spetta dunque anche determinare l’entità dei trasferimenti erariali e dei fondi che alimentano la finanza comunale e provinciale ed eventualmente anche di ridurli, naturalmente con il vincolo di assicurare a tutti gli enti territoriali, compresi quelli con minore capacità fiscale per abitante, risorse sufficienti a finanziare integralmente le funzioni loro attribuite, come previsto dall’art. 119, quarto comma, Cost.

La ricorrente lamenta che la riduzione dei finanziamenti, operata in via unilaterale dallo Stato, sia di entità tale da rendere impossibile lo svolgimento delle sue funzioni, anche alla luce delle peculiari condizioni economiche della Regione e dei suoi enti locali. Tuttavia, a supporto di tale circostanza la ricorrente non fornisce alcun elemento che dimostri in concreto che l’intervento normativo abbia dato luogo ad una insufficienza complessiva dei mezzi finanziari a disposizione (ex plurimis, sentenze n. 145 del 2008 e n. 29 del 2004).

D’altra parte, le riduzioni di cui ai commi da 7 a 10 del censurato art. 28 hanno interessato anche i fondi destinati a finanziare gli enti locali delle Regioni ordinarie. In relazione alle altre Regioni ad autonomia speciale, non può considerarsi irragionevole che la riduzione riguardi solo i Comuni e le Province ricompresi nel territorio delle due Regioni isolane: infatti, solo in queste, tra tutte le autonomie speciali, la finanza degli enti locali riceve tuttora contributi a carico dello Stato; non per caso, il comma 3 del censurato art. 28 prevede che le Regioni autonome Valle d’Aosta e Friuli-Venezia Giulia, nonché le due Province autonome, che provvedono alla finanza dei rispettivi enti locali, versino anche un contributo aggiuntivo a titolo di concorso alla finanza pubblica da parte dei Comuni ricadenti nel loro territorio. In forme diverse, la riduzione dei fondi degli enti locali lamentata dalla ricorrente riguarda tutti i soggetti dotati di autonomia, ordinaria e speciale.

Neppure è privo di rilievo il fatto che l’attuazione del riparto delle riduzioni disposte dall’impugnato comma 6 era da attuarsi, e di fatto è stato attuato – in base alla normativa che in quel momento regolamentava i fondi in questione (artt. 2, comma 7, e 13, comma 1, del d.lgs. n. 23 del 2011; art. 21 del d.lgs. n. 68 del 2011) – con decreti ministeriali adottati sulla base di accordi o previa intesa in sede di Conferenza Stato città e autonomie.

Sotto ogni profilo, dunque, le censure appaiono destituite di fondamento.

10.– L’art. 48 del d.l. n. 201 del 2011 era ed è, anche dopo la conversione operata dall’art. 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011, rubricato «clausola di finalizzazione». La rubrica corrisponde al contenuto del comma 1 del suddetto articolo, in virtù del quale le maggiori entrate erariali derivanti dall’applicazione del decreto «sono riservate all’Erario, per un periodo di cinque anni, per essere destinate alle esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea, anche alla luce della eccezionalità della situazione economica internazionale». Ai sensi del secondo periodo dello stesso comma 1, un decreto del Ministero dell’economia e delle finanze, del quale la legge di conversione ha prescritto la trasmissione alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica, stabilisce le modalità di individuazione del maggior gettito, attraverso una contabilizzazione separata.

Il comma 1-bis, introdotto in sede di conversione, reca una clausola di salvaguardia: essa rinvia alle «norme di attuazione statutaria di cui all’articolo 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42, e successive modificazioni», per la definizione delle modalità di applicazione e degli effetti finanziari del d.l. n. 201 del 2011 per le Regioni a statuto speciale e per le Province autonome di Trento e di Bolzano. Tuttavia, la stessa clausola esordisce stabilendo che restano ferme, anche per questi enti, «le disposizioni previste dagli articoli 13, 14 e 28», nonché quelle recate dallo stesso art. 48, si intende al comma 1.

In riferimento al suddetto art. 48, la Regione autonoma Valle d’Aosta censura il comma 1, secondo periodo, lamentando che la disposizione impugnata non ha rispettato le condizioni previste dall’art. 8, primo comma, della legge n. 690 del 1981, il quale consente che maggiori entrate erariali siano riservate allo Stato qualora esse siano destinate per legge alla copertura di nuove o maggiori spese a carico del bilancio statale, a condizione che il maggior gettito riservato all’erario sia «determinato per ciascun esercizio finanziario con decreto dei Ministri delle finanze e del tesoro, d’intesa con il presidente della giunta regionale»; tale intesa, si deduce, non sarebbe prevista dal censurato art. 48 del d.l. n. 201 del 2011, come convertito.

La questione è fondata.

Manca infatti, nell’impugnato art. 48, come nel resto del d.l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011, qualsivoglia previsione in merito all’intesa con il Presidente della Regione autonoma Valle d’Aosta, espressamente richiesta dalla legge n. 690 del 1981: una legge che questa Corte (nella sentenza n. 133 del 2010) ha già ritenuto modificabile solo con il procedimento previsto dall’art. 48-bis dello statuto speciale, prescritto per l’approvazione dei decreti legislativi di attuazione statutaria, anche in forza di quanto disposto dall’art. 1 del decreto legislativo 22 aprile 1994, n. 320 (Norme di attuazione dello statuto speciale della regione Valle d’Aosta).

Neppure in sede attuativa si è verificata tale intesa. Infatti, il decreto del Direttore generale delle finanze e del Ragioniere generale dello Stato 20 luglio 2012 (Modalità di individuazione del maggior gettito da riservare all’Erario, ai sensi dell’art. 2, comma 36 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, e dell’art. 48, comma 1, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214), pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 26 luglio 2012, n. 173, si limita a dare atto che, con una propria nota trasmessa anche alla Regione autonoma Valle d’Aosta, il Ministero dell’economia e delle finanze ha preventivamente comunicato i criteri di contabilizzazione delle riserve erariali previste dal censurato art. 48, comma 1.

Tuttavia, da tempo la giurisprudenza costituzionale ha chiarito la differenza tra un semplice onere di informazione da parte dello Stato, finalizzato a ricercare la cooperazione delle Regioni, e la vera e propria intesa, la quale costituisce «una tipica forma di coordinamento paritario, in quanto comporta che i soggetti partecipanti siano posti sullo stesso piano in relazione alla decisione da adottare, nel senso che quest’ultima deve risultare come il prodotto di un accordo e, quindi, di una negoziazione diretta fra il soggetto cui la decisione è giuridicamente imputata e quello la cui volontà deve concorrere alla decisione stessa» (sentenza n. 337 del 1989; in tal senso, sentenza n. 116 del 1994).

Come questa Corte ha recentemente ribadito nella sentenza n. 65 del 2015, in relazione all’art. 35, comma 4, del d.l. n. 1 del 2012, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 27 del 2012, la normativa di attuazione dello statuto della Regione autonoma Valle d’Aosta richiede l’intesa con il Presidente della Regione ai fini dell’adozione della determinazione ministeriale per la quantificazione delle maggiori entrate, riservate allo Stato, rivenienti nel territorio della Regione autonoma.

Pertanto, ferma restando la spettanza sostanziale del maggiore gettito così riservato allo Stato, il vizio qui accertato risiede esclusivamente nella mancata previsione di un’intesa con il Presidente della Giunta regionale in merito al provvedimento tecnico con il quale si quantifica l’esatto ammontare di tale gettito, in ordine a quanto percepito nel territorio della Regione autonoma Valle d’Aosta.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riservata a separate pronunce la decisione delle ulteriori questioni di legittimità costituzionale promosse con i ricorsi indicati in epigrafe;

riuniti i giudizi,

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 48, comma 1, secondo periodo, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214, nella parte in cui non prevede che il decreto del Ministero dell’economia e delle finanze, che stabilisce le modalità di individuazione delle maggiori entrate erariali derivanti dal d.l. n. 201 del 2011, sia emanato d’intesa con il Presidente della Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste per quanto riguarda le maggiori entrate percepite nel territorio della stessa Regione autonoma;

2) dichiara estinti, ai sensi dell’art. 23 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale e nei limiti di cui sopra, i processi relativamente alle questioni di legittimità costituzionale promosse dalla Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol (reg. ric. n. 33 del 2012), dalla Provincia autonoma di Trento (reg. ric. n. 34 del 2012) e dalla Provincia autonoma di Bolzano (reg. ric. n. 40 del 2012);

3) dichiara cessata la materia del contendere in relazione alle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 28, commi 3, 7, 8, 9, 10 e 11-ter, e 48 del d.l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011, promosse dalla Regione autonoma Sardegna (reg. ric. n. 47 del 2012);

4) dichiara cessata la materia del contendere in relazione alle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 28, comma 3, e 48 del d.l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011, promosse dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia (reg. ric. n. 50 del 2012);

5) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’intero testo degli artt. 28 e 48 del d.l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011, promossa dalla Regione siciliana (reg. ric. n. 39 del 2012);

6) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 28, comma 3, ultimo periodo, del d.l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011, promossa dalla Regione siciliana (reg. ric. n. 39 del 2012);

7) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 28, commi 2 e 3, del d.l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011, promossa, in riferimento agli artt. 17, primo comma, lettera b), 36 e 37 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana) e all’art. 2 del d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074 (Norme di attuazione dello Statuto della Regione siciliana in materia finanziaria) e del principio di leale collaborazione, dalla Regione siciliana (reg. ric. n. 39 del 2012);

8) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 28, comma 3, del d.l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011, promossa, in riferimento agli artt. 2, comma 1, lettere a) e b), 3, comma 1, lettera f), 12, 48-bis e 50 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle d’Aosta), agli artt. da 2 a 7 della legge 26 novembre 1981, n. 690 (Revisione dell’ordinamento finanziario della regione Valle d’Aosta), al principio di leale collaborazione, di cui agli artt. 5 e 120 della Costituzione, nonché al principio di ragionevolezza, di cui all’art. 3 Cost., dalla Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste (reg. ric. n. 38 del 2012);

9) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 28, comma 6, del d.l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011, promossa, in riferimento agli artt. 17, primo comma, lettera b), e 36 del r.d.lgs. n. 455 del 1946 e all’art. 2 del d.P.R. n. 1074 del 1965, dalla Regione siciliana (reg. ric. n. 39 del 2012);

10) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 28, commi 7, 8, 9 e 10, del d.l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011, promossa, in riferimento al principio di leale collaborazione, dalla Regione siciliana (reg. ric. n. 39 del 2012).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 marzo 2015.

F.to:

Alessandro CRISCUOLO, Presidente

Marta CARTABIA, Redattore

Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 15 maggio 2015.