Ordinanza n. 28 del 2015

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ORDINANZA N. 28

ANNO 2015

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Alessandro                  CRISCUOLO                                  Presidente

-           Paolo Maria                 NAPOLITANO                                 Giudice

-           Giuseppe                     FRIGO                                                     ”

-           Paolo                           GROSSI                                                   ”

-           Giorgio                        LATTANZI                                              ”

-           Aldo                            CAROSI                                                   ”

-           Marta                           CARTABIA                                             ”

-           Sergio                          MATTARELLA                                       ”

-           Mario Rosario              MORELLI                                                ”

-           Giancarlo                     CORAGGIO                                            ”

-           Giuliano                       AMATO                                                   ”

-           Silvana                         SCIARRA                                                ”

-           Daria                            de PRETIS                                               ”

-           Nicolò                          ZANON                                                   ”

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 516 del codice di procedura penale, promosso dal Tribunale ordinario di Lecce nel procedimento penale a carico di D.M.J. ed altri, con ordinanza del 31 marzo 2014, iscritta al n. 119 del registro ordinanze 2014 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 30, prima serie speciale, dell’anno 2014.

Visto l’atto di costituzione di N.R.;

udito nella camera di consiglio del 28 gennaio 2015 il Giudice relatore Giuseppe Frigo.

Ritenuto che, con ordinanza del 31 marzo 2014, il Tribunale ordinario di Lecce ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 117 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 516 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che l’imputato possa chiedere il giudizio abbreviato in corso di dibattimento, ove il pubblico ministero abbia modificato l’imputazione per adeguarla alle nuove risultanze dibattimentali;

che il giudice a quo premette che, nel corso del dibattimento, il pubblico ministero aveva modificato l’imputazione di associazione di tipo mafioso contestata ad uno degli imputati al fine di adeguarla alle «risultanze processuali», posticipando la cessazione della permanenza del reato dal giugno 2010 – data indicata nell’imputazione originaria – al marzo 2013;

che il difensore dell’imputato aveva chiesto che, alla luce dei principi enunciati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 237 del 2012, il processo fosse definito nelle forme del giudizio abbreviato in relazione all’imputazione così modificata, eccependo, in subordine, l’illegittimità costituzionale dell’art. 516 cod. proc. pen., nella parte in cui non consente una simile richiesta;

che, ad avviso del giudice a quo, si sarebbe di fronte, nella specie, alla contestazione di un fatto diverso, regolata dal citato art. 516, e non già – come sostenuto dal pubblico ministero – alla contestazione di un fatto nuovo, che a norma dell’art. 518 cod. proc. pen. presuppone il consenso dell’imputato (il quale, non prestandolo, potrebbe salvaguardare la facoltà di chiedere i riti alternativi nel procedimento separato che occorrerebbe instaurare);

che secondo la costante giurisprudenza di legittimità, infatti, di contestazione del fatto nuovo può parlarsi solo quando il pubblico ministero estenda l’imputazione ad un fatto ulteriore, distinto da quello già contestato e ad esso non connesso ai sensi dell’art. 12, comma 1, lettera b), cod. proc. pen. (essendo la contestazione del reato connesso disciplinata dall’art. 517 cod. proc. pen. in modo analogo all’art. 516);

che lo spostamento in avanti della data di consumazione di un reato permanente, e associativo in particolare, non implicherebbe, di contro, la contestazione di un nuovo episodio criminoso, ma soltanto una diversa individuazione della durata del reato già contestato: introducendo così un elemento che, potendo incidere quantomeno sul trattamento sanzionatorio, determinerebbe l’insorgenza di quelle nuove esigenze difensive che la disciplina dell’art. 516 cod. proc. pen. mira a tutelare;

che, anche dopo le sentenze n. 333 del 2009 e n. 237 del 2012 della Corte costituzionale, la norma censurata non consente, tuttavia, all’imputato di chiedere il giudizio abbreviato nel caso di contestazione del fatto diverso finalizzata ad adeguare l’imputazione agli elementi emersi in dibattimento: e ciò quantunque la scelta relativa al rito da seguire rappresenti pacificamente una espressione del diritto di difesa;

che la norma denunciata si porrebbe, di conseguenza, in contrasto tanto con l’art. 24 Cost., che sancisce l’inviolabilità del predetto diritto, quanto con l’art. 117 Cost., in riferimento all’art. 6, paragrafo 3, lettera b), della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, che riconosce alla persona accusata di un reato il diritto di disporre delle «facilitazioni necessarie a preparare la sua difesa»;

che risulterebbe violato, altresì, l’art. 3 Cost., stante l’ingiustificata disparità di trattamento dell’ipotesi della contestazione del fatto diverso rispetto a quella, sostanzialmente analoga, della contestazione del reato concorrente emerso in dibattimento e oggetto di contestazione suppletiva ai sensi dell’art. 517 cod. proc. pen.: norma, quest’ultima, dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 237 del 2012, nella parte in cui non prevedeva la facoltà dell’imputato di richiedere il giudizio abbreviato relativamente al reato oggetto della nuova contestazione;

che si è costituito N.R., imputato nel giudizio a quo, il quale ha svolto deduzioni a sostegno delle tesi del giudice rimettente, chiedendo l’accoglimento della questione.

Considerato che il Tribunale ordinario di Lecce dubita, in riferimento agli artt. 3, 24 e 117 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 516 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che l’imputato possa chiedere il giudizio abbreviato in corso di dibattimento, ove il pubblico ministero abbia modificato l’imputazione per adeguarla alle nuove risultanze dibattimentali;

che, come si desume dall’argomento posto a sostegno della dedotta violazione dell’art. 3 Cost., il giudice a quo mira a conseguire – in rapporto alla contestazione dibattimentale del fatto diverso, disciplinata dalla norma censurata – una pronuncia analoga a quella adottata da questa Corte, con la sentenza n. 237 del 2012, in relazione alla contestazione del reato concorrente, regolata dall’art. 517 cod. proc. pen.: vale a dire, una pronuncia che riconosca all’imputato la facoltà di richiedere al giudice del dibattimento il giudizio abbreviato relativamente al reato oggetto della nuova contestazione, anche quando si tratti di contestazione cosiddetta “tempestiva” o “fisiologica”, intesa, cioè, ad adeguare l’imputazione ai nuovi elementi emersi nel corso dell’istruzione dibattimentale, e non già di contestazione cosiddetta “tardiva” o “patologica”, basata, cioè, su elementi già risultanti dagli atti al momento dell’esercizio dell’azione penale (fattispecie, questa seconda, attinta dalla precedente dichiarazione di illegittimità costituzionale di cui alla sentenza n. 333 del 2009, tanto in riferimento all’art. 516 che all’art. 517 cod. proc. pen.);

che, successivamente all’ordinanza di rimessione, questa Corte è, peraltro, già intervenuta nei sensi auspicati dal rimettente, dichiarando costituzionalmente illegittima, con la sentenza n. 273 del 2014, la norma censurata «nella parte in cui non prevede la facoltà dell’imputato di richiedere al giudice del dibattimento il giudizio abbreviato relativamente al fatto diverso emerso nel corso dell’istruzione dibattimentale, che forma oggetto della nuova contestazione»;

che, dunque, la questione deve essere dichiarata manifestamente inammissibile per sopravvenuta mancanza di oggetto, in quanto, a seguito della sentenza da ultimo citata, la norma censurata è stata già rimossa dall’ordinamento, in parte qua, con efficacia ex tunc (ex plurimis, ordinanze n. 276 e n. 206 del 2014, n. 321 e n. 177 del 2013, n. 315 del 2012).

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 516 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 117 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Lecce con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28 gennaio 2015.

F.to:

Alessandro CRISCUOLO, Presidente

Giuseppe FRIGO, Redattore

Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 3 marzo 2015.