Sentenza n. 192 del 2014

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SENTENZA N. 192

ANNO 2014

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Sabino                        CASSESE                              Presidente

-           Paolo Maria                NAPOLITANO                     Giudice

-           Giuseppe                    FRIGO                                           ”

-           Alessandro                 CRISCUOLO                                ”

-           Paolo                          GROSSI                                        ”

-           Aldo                           CAROSI                                        ”

-           Marta                          CARTABIA                                  ”

-           Sergio                         MATTARELLA                            ”

-           Mario Rosario             MORELLI                                     ”

-           Giancarlo                    CORAGGIO                                 ”

-           Giuliano                      AMATO                                        ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 20, comma 7, della legge 23 febbraio 1999, n. 44 (Disposizioni concernenti il Fondo di solidarietà per le vittime delle richieste estorsive e dell’usura), come sostituito dall’art. 2, comma 1, lettera d), numero 1), della legge 27 gennaio 2012, n. 3 (Disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonché di composizione delle crisi da sovraindebitamento), promosso dal Tribunale ordinario di Roma nel procedimento vertente tra l’Immobiliare Tirrena spa e R.A. con ordinanza dell’11 novembre 2013, iscritta al n. 16 del registro ordinanze 2014 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 9, prima serie speciale, dell’anno 2014.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 21 maggio 2014 il Giudice relatore Giancarlo Coraggio.

Ritenuto in fatto

1.− Il Tribunale ordinario di Roma, con ordinanza dell’11 novembre 2013, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 20, comma 7, della legge 23 febbraio 1999, n. 44 (Disposizioni concernenti il Fondo di solidarietà per le vittime delle richieste estorsive e dell’usura), come sostituito dall’art. 2, comma 1, lettera d), numero 1), della legge 27 gennaio 2012, n. 3 (Disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonché di composizione delle crisi da sovraindebitamento), secondo cui «Le sospensioni dei termini di cui ai commi 1, 3 e 4 e la proroga di cui al comma 2 hanno effetto a seguito del provvedimento favorevole del procuratore della Repubblica competente per le indagini in ordine ai delitti che hanno causato l’evento lesivo di cui all’articolo 3, comma 1. In presenza di più procedimenti penali che riguardano la medesima parte offesa, anche ai fini delle sospensioni e della proroga anzidette, è competente il procuratore della Repubblica del procedimento iniziato anteriormente», in riferimento agli artt. 101, secondo comma, e 111, primo e secondo comma, della Costituzione.

2.− Premette il Tribunale di essere stato adito dalla società Immobiliare Tirrena spa che, con citazione in data 12 febbraio 2013, intimava a R.A. lo sfratto per morosità, in relazione ad un immobile sito in Roma, in ragione dell’omesso pagamento del canone di locazione a partire dal mese di agosto 2012.

La parte intimata, costituitasi in giudizio, aveva chiesto che le fosse concesso il cosiddetto “termine di grazia” per sanare la morosità, ai sensi dell’art. 55, della legge 27 luglio 1978, n. 392 (Disciplina delle locazioni di immobili urbani).

Alla successiva udienza così fissata, la società locatrice dava atto che nessun pagamento era intervenuto, mentre R.A. produceva un provvedimento emesso dal pubblico ministero presso il Tribunale ordinario di Roma, in data 2 maggio 2013, del seguente tenore su «richiesta datata 30 aprile 2013» della medesima intimata, «visto l’art. 20 comma 7 della legge n. 44 del 1999 come modificata dalla legge n. 3 del 2012; rilevato che R.A. e F.N. risultano parti offese nel delitto di usura nell’ambito del procedimento» […] «pendente presso questo ufficio in fase di interrogatorio richiesto a seguito della notifica ex art. 415-bis del codice di procedura penale, sospende i termini della procedura attivata nei confronti di R.A.» […] «pendente innanzi al Tribunale civile di Roma per la durata di giorni 300».

3.− Tanto premesso, rileva il giudice a quo che il pubblico ministero aveva inteso fare applicazione dell’art. 20, in particolare i commi 3 e 7, della legge n. 44 del 1999.

4.− Assume il rimettente che con detta norma il legislatore ha apprestato una serie di benefici di varia natura (proroga dei ratei di mutuo e dei termini delle procedure esecutive, proroga dei termini per adempimenti fiscali, sospensione di tutti i termini, sia sostanziali che processuali, da cui derivi la perdita di diritti, azioni, facoltà, sospensione dei titoli esecutivi di rilascio) in favore dei soggetti persone offese dei delitti di usura e di estorsione che abbiano utilmente formulato richiesta di elargizione come previsto dalla medesima legge n. 44 del 1999.

Ciò, al fine di favorire il risanamento patrimoniale delle predette persone offese, alleggerendo il carico delle obbligazioni di qualsiasi specie, quali derivanti da contratti di mutuo, dall’imposizione fiscale, da provvedimenti giurisdizionali, da contratti in genere.

5.− Quindi, rilevava il giudice rimettente, che il cosiddetto termine di grazia ha natura di termine sostanziale ad adempiere. Esso viene assegnato al convenuto inadempiente in virtù della lex specialis contenuta nella legge n. 392 del 1978, in deroga alla disciplina generale della risoluzione del contratto per inadempimento.

Anche detto termine, rientrerebbe, pertanto, nel novero dell’art. 20, comma 3, della legge n. 44 del 1999, con la conseguenza che lo stesso può essere sospeso ai sensi di quanto previsto dal comma 7.

6.− Ritenuta le rilevanza della questione, il Tribunale ordinario di Roma a sostegno della non manifesta infondatezza della stessa, ha prospettato le seguenti argomentazioni, deducendo la lesione degli artt. 101, secondo comma, e 111, primo e secondo comma, Cost.

7.− Espone il rimettente che la norma impugnata consentirebbe al pubblico ministero di incidere direttamente sulla controversia, in aperta violazione del principio della soggezione del giudice soltanto alla legge.

Da detto principio la giurisprudenza costituzionale ha fatto discendere l’illegittimità di disposizioni che assegnavano ad organi terzi e diversi dal giudice investito della singola controversia, il potere di ingerirsi e di incidere sul procedimento ad esso attribuito.

In tal senso, il giudice a quo ricorda le sentenze n. 40 del 1964 e la sentenza n. 22 del 1959, nonché la sentenza n. 457 del 2005 che dichiarava l’illegittimità costituzionale dell’art. 20, comma 7, della legge n. 44 del 1999, «limitatamente alla parola favorevole».

Ed infatti, si afferma nella citata sentenza, la valutazione in ordine alla sussistenza dei presupposti per la sospensione del processo esecutivo in favore dei soggetti presi in considerazione dalla norma risulta, in tal modo, integralmente attribuita (non al giudice dell’esecuzione, bensì) al prefetto, e cioè ad un organo del potere esecutivo, mentre, rispetto a tale valutazione, l’autorità giudiziaria è chiamata a svolgere, attraverso la previsione del parere non vincolante del presidente del tribunale, solo una funzione consultiva.

La violazione dei princìpi costituzionali posti a presidio dell’indipendenza e dell’autonomia della funzione giurisdizionale appare pertanto palese, considerato che il prefetto viene ad essere investito, dalla norma impugnata, del potere di decidere in ordine alle istanze di sospensione dei processi esecutivi promossi nei confronti delle vittime dell’usura; potere che, proprio perché incidente sul processo e, quindi, giurisdizionale, non può che spettare in via esclusiva all’autorità giudiziaria.

8.− Proprio le statuizioni contenute nella sentenza n. 457 del 2005 rafforzerebbero il dubbio di costituzionalità del citato art. 20, comma 7, anche nell’attuale formulazione, atteso che è stato riassegnato ad un organo diverso dal giudice naturale precostituito per legge e designato per la trattazione il potere di incidere direttamente e, quindi, decidere della controversia, mediante l’adozione di un provvedimento di sospensione di termini stabiliti dal giudicante, con la conseguente violazione dell’art. 101, secondo comma, Cost.

9.− Sarebbe, altresì leso l’art. 111, primo e secondo comma, Cost., poiché non sembra possa definirsi “giusto processo” quello nel quale un’autorità diversa dal giudice può influire sull’esito della controversia, a favore di una delle parti in lite.

10.− La violazione dei citati parametri costituzionali sarebbe ancora più evidente laddove si consideri che la norma in esame non prevede neanche la possibilità per il giudice investito della controversia, di verificare e valutare l’effettiva ricorrenza dei presupposti previsti dall’art. 20 della legge n. 44 del 1999 per la concedibilità del beneficio della sospensione dei termini di cui al comma 3 dell’art. 20 della legge n. 44 del 1999, e se del caso, di interloquire con l’ufficio del pubblico ministero, laddove il provvedimento di sospensione risulti gravemente carente anche sotto il profilo formale (ad esempio) privo dell’indicazione del dies a quo di decorrenza del periodo di sospensione di trecento giorni, e della data dell’evento lesivo, la cui ricognizione, invece, appare indispensabile per la stessa applicazione della norma.

11.− È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata.

12.− Dopo aver richiamato il contenuto della disposizione impugnata e il contesto normativo in cui la stessa si colloca, la difesa dello Stato assume la inammissibilità della questione proprio per le carenze del provvedimento del pubblico ministero evidenziate dal rimettente.

Ed infatti, poiché ai sensi del comma 1 dell’art. 20, la proroga concerne i termini che ricadono entro un anno dalla data dell’evento lesivo, in assenza di qualunque indicazione nel provvedimento del pubblico ministero della data dell’evento lesivo e della possibilità, dunque, di stabilire se il termine di cui si discute nel processo principale rientri o meno in tale ambito temporale, la sospensione dei termini non risulta applicabile nel caso all’esame del giudice rimettente.

13.− Nel merito, ad avviso dell’Avvocatura dello Stato, la questione sarebbe non fondata, in quanto il provvedimento di sospensione è affidato al pubblico ministero che con il giudice partecipa all’esercizio della funzione giurisdizionale nelle stesse condizioni di indipendenza degli altri poteri dello Stato e comunque il provvedimento incide solo temporalmente sull’esercizio delle funzioni giurisdizionali e sui diritti dei terzi, per una finalità di protezione di interessi che l’ordinamento ha ritenuto particolarmente meritevoli di tutela. Pertanto non sembra realizzarsi quell’indebita ingerenza nell’esercizio delle funzioni giurisdizionali che l’art. 101, secondo comma, Cost., esclude.

L’attribuzione al pubblico ministero del potere in questione trova, altresì, giustificazione nella circostanza che quest’ultimo è l’organo che nella fase delle indagini è in condizione di valutare al meglio la serietà della notitia criminis, tenendo conto dei possibili sviluppi della vicenda investigativa.

Considerato in diritto

1.− Il Tribunale ordinario di Roma, con ordinanza dell’11 novembre 2013, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 20, comma 7, della legge 23 febbraio 1999, n. 44 (Disposizioni concernenti il Fondo di solidarietà per le vittime delle richieste estorsive e dell’usura), come sostituito dall’art. 2, comma 1, lettera d), numero 1), della legge 27 gennaio 2012, n. 3 (Disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonché di composizione delle crisi da sovraindebitamento), che prevede «Le sospensioni dei termini di cui ai commi 1, 3 e 4 e la proroga di cui al comma 2, hanno effetto a seguito del provvedimento favorevole del procuratore della Repubblica competente per le indagini in ordine ai delitti che hanno causato l’evento lesivo di cui all’articolo 3, comma 1. In presenza di più procedimenti penali che riguardano la medesima parte offesa, anche ai fini delle sospensioni e della proroga anzidette, è competente il procuratore della Repubblica del procedimento iniziato anteriormente».

2.− Il giudizio principale ha ad oggetto intimazione di sfratto per morosità per omesso pagamento del canone di locazione, e nel corso del procedimento il giudice aveva concesso il cosiddetto termine di grazia, previsto dall’art. 55, secondo comma, della legge 27 luglio 1978, n. 392 (Disciplina delle locazioni di immobili urbani), per consentire al conduttore di sanare la mora. Senonché, ai sensi della disposizione censurata, il pubblico ministero aveva disposto la sospensione temporanea del termine di grazia in favore del conduttore quale parte offesa del reato di usura.

Secondo il rimettente l’attribuzione di tale potere ad un soggetto diverso dal giudice concreterebbe la violazione sia dell’art. 101, secondo comma, della Costituzione, sia dell’art. 111, primo e secondo comma, Cost.

3.− La norma impugnata si inserisce in un articolata disciplina dettata, nel tempo, dal legislatore per contrastare il reato di usura e quello di estorsione, non solo mediante una compiuta definizione delle fattispecie penali che prevedono e puniscono tali delitti, ma anche attraverso misure economiche di sostegno per le vittime e le persone offese.

4.− In relazione a quest’ultimo aspetto, la legge 7 marzo 1996, n. 108 (Disposizioni in materia di usura), all’art. 14, ha istituito il Fondo di solidarietà per le vittime dell’usura, prevedendo l’erogazione di mutui senza interessi di durata non superiore al decennio ai soggetti che esercitano attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o comunque economica, ovvero una libera arte o professione, i quali dichiarino di essere vittime del delitto di usura e risultino parti offese nel relativo procedimento penale.

5.− La legge n. 44 del 1999 – nel costituire il Fondo di solidarietà per le vittime delle richieste estorsive e la elargizione di una somma di danaro a favore dei soggetti danneggiati da attività estorsive − ha introdotto un istituto non presente nella disciplina dettata dalla legge n. 108 del 1996, prevedendo la sospensione dei termini a favore dei soggetti in questione.

In particolare al comma 1, l’art. 20 stabilisce che «A favore dei soggetti che abbiano richiesto o nel cui interesse sia stata richiesta l’elargizione» […] «i termini di scadenza, ricadenti entro un anno dalla data dell’evento lesivo, degli adempimenti amministrativi e per il pagamento dei ratei dei mutui bancari e ipotecari, nonché di ogni altro atto avente efficacia esecutiva, sono prorogati dalle rispettive scadenze per la durata di trecento giorni»; al comma 2, prevede che «[…] i termini di scadenza, ricadenti entro un anno dalla data dell’evento lesivo, degli adempimenti fiscali sono prorogati dalle rispettive scadenze per la durata di tre anni»; al comma 3, sancisce che «Sono altresì sospesi, per la medesima durata di cui al comma 1, i termini di prescrizione e quelli perentori, legali e convenzionali, sostanziali e processuali, comportanti decadenze da qualsiasi diritto, azione ed eccezione, che sono scaduti o che scadono entro un anno dalla data dell’evento lesivo»; al comma 4, prevede che «Sono sospesi per la medesima durata di cui al comma 1 l’esecuzione dei provvedimenti di rilascio di immobili e i termini relativi a processi esecutivi mobiliari ed immobiliari, ivi comprese le vendite e le assegnazioni forzate».

Il comma 7 dell’art. 20, infine, nel testo storico stabiliva che «La sospensione dei termini di cui ai commi 1, 2, 3 e 4 ha effetto a seguito del parere favorevole del prefetto competente per territorio, sentito il presidente del tribunale».

L’estensione della misura della sospensione dei termini anche nel caso di usura si rinviene, oltre che nel comma 6 dell’art. 20, nella più ampia previsione di cui all’art. 3, comma 2, della medesima legge n. 44 del 1999, secondo il quale «Ai soli fini della presente legge sono equiparate alle richieste estorsive le condotte delittuose che, per circostanze ambientali o modalità del fatto, sono riconducibili a finalità estorsive, purché non siano emersi elementi indicativi di una diversa finalità».

I due Fondi, ai sensi dell’art. 18-bis, della legge n. 44 del 1999, come introdotto dal’art. 51, comma 1, della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato − legge finanziaria 2002), sono stati infine unificati.

6.− Questa Corte con la sentenza n. 457 del 2005 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 20, comma 7, della legge n. 44 del 1999 limitatamente alla parola «favorevole», e a seguito di ciò la norma è stata sostituita dall’art. 2, comma 1, lettera d), numero 1), della legge n. 3 del 2012, e sono stati altresì introdotti i commi 7-bis e 7-ter.

È stato invece dichiarato inammissibile il conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato sollevato dal giudice istruttore del Tribunale ordinario di Padova, sezione distaccata di Cittadella, in relazione al provvedimento adottato in data 12 dicembre 2012, dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Padova, per carenza del requisito soggettivo poiché «il provvedimento di sospensione dei termini, emesso ai sensi dell’art. 20, comma 7, della legge n. 44 del 1999, non concernendo l’esercizio dell’azione penale, né attività di indagine ad essa finalizzata, non è espressione di attribuzioni costituzionali riconosciute al pubblico ministero, ai sensi dell’art. 112 Cost.» (ordinanza n. 296 del 2013).

7.− Va esaminata preliminarmente l’eccezione di inammissibilità sollevata dall’Avvocatura dello Stato, secondo cui mancherebbe la rilevanza della questione, in quanto, non essendo indicati nel provvedimento del pubblico ministero alcuni elementi integrativi della fattispecie, come la decorrenza della sospensione di trecento giorni e la data dell’evento lesivo, non sarebbe possibile stabilire se il termine di grazia rientra nella sospensione, con la conseguenza che la disciplina censurata non sarebbe applicabile alla vicenda in questione.

L’eccezione deve essere disattesa.

Questi elementi di fatto attengono evidentemente alle valutazioni da compiere a cura del pubblico ministero competente a conoscere dei profili penali della vicenda, valutazioni la cui puntuale motivazione configgerebbe con il canone della necessaria riservatezza delle indagini, e la cui plausibilità non è stata messa in discussione se non in modo del tutto ipotetico ed eventuale.

8.− Come si è accennato, il giudizio principale ha ad oggetto intimazione di sfratto per morosità e, quindi, al fine del vaglio delle censure, occorre prendere in esame la disciplina del relativo procedimento, con particolare attenzione all’istituto del cosiddetto “termine di grazia”, anche alla luce della giurisprudenza di legittimità intervenuta in materia. Occorre, infatti, verificare se, nell’ambito di tale procedimento, l’esercizio della funzione giurisdizionale sia condizionato o limitato da quanto previsto dalla norma impugnata.

L’art. 55 della legge n. 392 del 1978 stabilisce, per quanto qui rileva: «La morosità del conduttore nel pagamento dei canoni o degli oneri di cui all’articolo 5 può essere sanata in sede giudiziale […]. Ove il pagamento non avvenga in udienza, il giudice, dinanzi a comprovate condizioni di difficoltà del conduttore, può assegnare un termine non superiore a giorni novanta.

In tal caso rinvia l’udienza a non oltre dieci giorni dalla scadenza del termine assegnato».

La giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di vagliare diverse problematiche cui tale disciplina ha dato luogo.

In particolare, ha affermato che in tema di locazione di immobili urbani, il conduttore che, convenuto in un giudizio di sfratto per morosità, abbia richiesto la concessione del “termine di grazia”, manifesta implicitamente, per ciò solo, una volontà incompatibile con quella di opporsi alla convalida, sicché al mancato adempimento nel termine fissato dal giudice consegue ipso facto l’emissione da parte di questi dell’ordinanza di convalida ex art. 663 del codice di procedura civile, senza che possano assumere rilievo eventuali eccezioni o contestazioni circa la sussistenza e/o l’entità del credito vantato dal locatore sollevate dopo la richiesta di termine per sanare la morosità, giacché, a norma dell’art. 55 della legge n. 392 del 1978, il comportamento del conduttore deve consistere nell’estinzione di tutto quanto dovuto per canoni, oneri accessori, interessi e spese fino alla scadenza del termine di grazia, senza che l’inadempimento residuo sia suscettibile di nuova verifica sotto il profilo della gravità (Corte di cassazione, terza sezione civile, sentenza n. 5540 del 2012).

Si è anche affermato che il termine per sanare la morosità, come previsto dall’art. 55 della legge n. 392 del 1978, in materia di locazioni di immobili urbani, è da qualificarsi perentorio (e, quindi, non prorogabile dal giudice). Pertanto, costituendo questo tipo di sanatoria un’eccezione al principio generale stabilito dall’art. 1453, ultimo comma, del codice civile (secondo cui dalla data della domanda di risoluzione l’inadempiente non può più adempiere la propria obbligazione), se entro il termine il conduttore non ha provveduto a sanare la mora, al giudice non è concessa la possibilità di valutare la gravità o meno dell’inadempimento, a norma dell’art. 1455 cod. civ.

9.− Nel merito la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale ordinario di Roma non è fondata.

Il rimettente afferma che sarebbe leso l’art. 101, secondo comma, Cost. («I giudici sono soggetti soltanto alla legge»), in quanto il legislatore avrebbe attribuito ad un organo − il pubblico ministero − diverso dal giudice naturale precostituito per legge e designato per la trattazione e definizione della singola controversia, il potere di incidere direttamente e quindi decidere (sia pure in via interlocutoria) con un provvedimento di sospensione dei termini assegnati dal giudice.

Va, in proposito, anzitutto sottolineato come la sospensione dei termini prevista dai primi quattro commi dell’art. 20 non sia discrezionale: essa infatti è legata sostanzialmente alla presenza della richiesta dell’«elargizione» o del mutuo senza interessi di cui, rispettivamente, all’art. 3, commi 1 e 2, della legge n. 44 del 1999 e all’art. 14 della legge n. 108 del 1996.

Il comma 7-bis dell’art. 20 onera il prefetto che riceve la domanda di elargizione di compilare l’elenco delle procedure esecutive in corso a carico del richiedente e di informarne senza ritardo il procuratore della Repubblica competente «che trasmette il provvedimento al giudice, o ai giudici, dell’esecuzione entro sette giorni dalla comunicazione del prefetto».

Al pubblico ministero compete la mera verifica di riferibilità della comunicazione del prefetto alle indagini per delitti che hanno causato l’evento lesivo condizione dell’elargizione. Il relativo provvedimento non concerne, dunque, l’esercizio dell’azione penale né l’attività di indagine ad essa finalizzata (ordinanza n. 296 del 2013).

Si aggiunga che l’unico in grado di svolgere questo compito non può che essere il pubblico ministero competente in sede penale, tenuto conto della attinenza di tale compito ai procedimenti relativi ai delitti in questione, con le problematiche di riservatezza che questi ultimi comportano, nonché degli obiettivi di incisivo contrasto dei reati in questione (attuato anche mediante le misure a favore delle vittime).

In proposito, è significativa la disciplina dettata dal d.P.R.19 febbraio 2014, n. 60 (Regolamento recante la disciplina del Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso, delle richieste estorsive e dell’usura, a norma dell’articolo 2, comma 6-sexies, del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10) il cui art. 28, comma 2, prevede che «Gli organi e gli uffici preposti alla gestione del Fondo sono tenuti al segreto in ordine ai soggetti interessati all’accesso ed alle relative procedure, ai sensi del decreto del Ministro dell’Interno 10 maggio 1994, n. 415 e successive modificazioni. Gli atti dei procedimenti sono coperti dal segreto di ufficio; degli stessi e del loro contenuto è vietata la pubblicazione. Non è ammessa la comunicazione a terzi delle informazioni riguardanti lo stato dei procedimenti, salvo che esibiscano apposita delega degli interessati […]».

È pur vero che non può negarsi una interferenza con il giudizio civile, ma ciò non si traduce in una illegittima compressione della relativa funzione giurisdizionale.

Si è visto, infatti, che l’impugnato art. 20, comma 7, della legge n. 44 del 1999, che deve essere letto in uno al comma 1 nonché al comma 3, prevede la possibilità di una mera sospensione, delimitata nel tempo (trecento giorni, periodo di sospensione che si aggiunge a quello del termine iniziale), di termini, tra i quali è ricompreso anche il termine di grazia, la cui concessione resta ferma, sia nel suo contenuto, sia negli effetti che si determineranno alla scadenza.

10.− Le argomentazioni esposte inducono a ritenere non fondata anche la seconda censura, con la quale si assume che, poiché non potrebbe definirsi “giusto processo” quello nel quale un’autorità diversa dal giudice può influire sull’esito della controversia, a favore di una delle parti in lite, sarebbe leso l’art. 111, primo e secondo comma, Cost.

La ricostruzione del dato normativo operata dal rimettente non tiene conto della ratio e della portata dell’intervento legislativo censurato, che, avendo un carattere meramente temporaneo e non decisorio, non ha alcuna influenza sostanziale sul giudizio civile.

11.− Pertanto la questione di legittimità costituzionale dell’art. 20, comma 7, della legge n. 44 del 1999, come sostituito dall’art. 2, comma 1, lettera d), numero 1), della legge n. 3 del 2012, deve essere dichiarata non fondata.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 20, comma 7, della legge 23 febbraio 1999, n. 44 (Disposizioni concernenti il Fondo di solidarietà per le vittime delle richieste estorsive e dell’usura), come sostituito dall’art. 2, comma 1, lettera d), numero 1), della legge 27 gennaio 2012, n. 3 (Disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonché di composizione delle crisi da sovraindebitamento), sollevata, in riferimento agli artt. 101, secondo comma, e 111, primo e secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Roma con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 giugno 2014.

F.to:

Sabino CASSESE, Presidente

Giancarlo CORAGGIO, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 4 luglio 2014.