Ordinanza n. 113 del 2014

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ORDINANZA N. 113

ANNO 2014

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Gaetano                        SILVESTRI                                       Presidente

-           Luigi                             MAZZELLA                                        Giudice

-           Sabino                           CASSESE                                                   ”

-           Giuseppe                       TESAURO                                                  ”

-           Paolo Maria                   NAPOLITANO                                          ”

-           Giuseppe                       FRIGO                                                        ”

-           Alessandro                    CRISCUOLO                                             ”

-           Paolo                             GROSSI                                                      ”

-           Giorgio                          LATTANZI                                                ”

-           Aldo                              CAROSI                                                     ”

-           Marta                            CARTABIA                                               ”

-           Sergio                            MATTARELLA                                         ”

-           Mario Rosario               MORELLI                                                  ”

-           Giancarlo                      CORAGGIO                                              ”

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122, promossi dal Tribunale amministrativo regionale per le Marche, con ordinanza del 6 giugno 2013, e dal Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sezione staccata di Salerno, con ordinanza del 30 maggio 2013, rispettivamente iscritte ai numeri 226 e 265 del registro ordinanze 2013 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 43 e 50, prima serie speciale, dell’anno 2013.

Visti gli atti di costituzione di Conti Paolo ed altri e del Coordinamento nazionale dei professori associati delle università italiane (CoNPAss), nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 12 marzo 2014 il Giudice relatore Giancarlo Coraggio.

Ritenuto che con ordinanza di rimessione del 6 giugno 2013, iscritta al n. 226 del registro ordinanze 2013, il Tribunale amministrativo regionale per le Marche ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122, in riferimento agli artt. 3, 36 e 53 della Costituzione;

che il procedimento principale veniva introdotto con tre ricorsi, poi riuniti, proposti da docenti universitari di ruolo, in servizio, rispettivamente, presso l’Università degli studi di Camerino, l’Università degli studi di Macerata e l’Università Politecnica delle Marche, nei confronti delle suddette Università, del Ministero dell’economia e delle finanze, del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, e del Presidente del Consiglio dei ministri;

che i ricorrenti si dolgono delle decurtazioni economiche scaturenti dalla disciplina censurata;

che il TAR rimettente ha ritenuto la rilevanza della questione di costituzionalità, in quanto la normativa in esame concerne la retribuzione dei ricorrenti;

che a sostegno della non manifesta infondatezza il rimettente richiama la sentenza n. 223 del 2012, con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 9, comma 22, del d.l. n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, tra l’altro, nella parte in cui non esclude, per il personale di cui alla legge 19 febbraio 1981, n. 27 (Provvidenze per il personale di magistratura), l’applicazione del primo periodo del comma 21 del citato art. 9;

che il rimettente espone più profili di censura deducendo che:

a) in ragione delle modalità della progressione economica dei professori e ricercatori universitari, l’effetto del blocco di classi e scatti sulle retribuzioni sarebbe più incisivo sugli stipendi dei docenti con minore anzianità, rispetto a quelli con oltre sedici anni di anzianità;

b) sussisterebbe la violazione dell’art. 3 Cost. per la disparità di trattamento tra i ricorrenti e le altre categorie di dipendenti pubblici menzionati dall’art. 9, comma 21, atteso che i primi non sono più titolari di un vero e proprio diritto al conseguimento degli scatti stipendiali, come disciplinato dal d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382 (Riordinamento della docenza universitaria, relativa fascia di formazione nonché sperimentazione organizzativa e didattica), in ragione della disciplina introdotta dall’art. 3-ter del decreto-legge 10 novembre 2008, n. 180 (Disposizioni urgenti per il diritto allo studio, la valorizzazione del merito e la qualità del sistema universitario e della ricerca), convertito con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 9 gennaio 2009, n. 1, e dalla legge 30 dicembre 2010, n. 240 (Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l’efficienza del sistema universitario);

c) sarebbe violato l’art. 36 Cost. in quanto il meccanismo degli scatti legati ad una valutazione dell’attività effettivamente svolta è presidio anche del principio di proporzionalità tra la retribuzione e la qualità e quantità del lavoro effettivamente svolto dal docente;

d) la disposizione in esame sarebbe, altresì, illegittima in quanto priva di carattere temporaneo, e non transeunte, come confermato dall’art. 16, comma 1, lettera b), del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111, che limita la crescita dei trattamenti economici anche accessori del personale delle pubbliche amministrazioni ivi previste fino al 31 dicembre 2014, nonché irragionevole, in quanto il blocco di cui al citato art. 9, comma 21, del d.l. n. 78 del 2010 verrebbe applicato anche a forme di progressioni che non presentano alcun automatismo, in ragione dalla legge n. 240 del 2010, che superando il sistema degli automatismi stipendiali, è volta ad introdurre meccanismi di premialità fondati sul merito, e quindi ad assicurare il buon andamento e l’effettività dell’amministrazione;

e) sarebbe leso, altresì, l’art. 53 Cost., in quanto non sono rispettati né il principio di progressività (il blocco colpisce solo una determinata categoria di contribuenti), né quello della capacità contributiva (dato che il meccanismo del blocco colpisce in modo maggiore i titolari di stipendi più bassi);

che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, deducendo l’infondatezza della questione, attese le esigenze di contenimento della spesa pubblica che costituiscono il fondamento della disposizione in esame;

che si sono costituiti i ricorrenti nel giudizio a quo, chiedendo l’accoglimento della questione;

che con ordinanza del 30 maggio 2013, iscritta al n. 265 del registro ordinanze 2013, il Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sezione staccata di Salerno, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, del d.l. n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122, in riferimento agli artt. 3, 9, 33, 34, 36, 37, 53, 77 e 97 Cost.;

che nella motivazione dell’ordinanza, tuttavia, il rimettente prospetta le censure solo con riguardo agli artt. 3, 36, 53 e 97 Cost.;

che il procedimento principale veniva introdotto con ricorso proposto da docenti universitari di ruolo, in servizio presso l’Università degli studi di Salerno, nei confronti della medesima Università, del Ministero dell’economia e delle finanze e del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca;

che i ricorrenti si dolgono delle decurtazioni economiche scaturenti dalla disciplina sopra richiamata;

che nel giudizio principale spiegava intervento il Coordinamento nazionale dei professori associati delle università italiane (CoNPAss);

che il giudice a quo ritiene sussistere la rilevanza della questione atteso che tale disposizione si applica anche ai ricorrenti;

che quanto alla non manifesta infondatezza il TAR Campania rileva quanto segue:

a) la disciplina in esame presenterebbe un carattere non eccezionale che la rende illegittima, come confermato dall’art. 16, comma 1, lettera b), del d.l. n. 98 del 2011, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 111 del 2011, che stabilisce la proroga fino al 31 dicembre 2014 delle vigenti disposizioni che limitano la crescita dei trattamenti economici anche accessori del personale delle pubbliche amministrazioni;

b) sarebbero, altresì, violati gli artt. 36 e 97 Cost., atteso che l’esclusione di qualsiasi recupero comporta che i meccanismi di adeguamento riprenderanno a decorrere solo dal 2014, con la possibile alterazione del rapporto tra valore reale della retribuzione e aumento del costo della vita;

c) la violazione degli artt. 3 e 97 sussisterebbe anche per la disparità di trattamento tra i ricorrenti e le altre categorie di dipendenti pubblici menzionati dal citato art. 9, comma 21, atteso che i primi non sono più titolari di un vero e proprio diritto al conseguimento degli scatti stipendiali, come disciplinato dal d.P.R. n. 382 del 1980, e sarebbero privati definitivamente di utilità economiche che erano acquisite, senza poter contare, allo scadere del blocco, come tutti gli altri dipendenti non contrattualizzati, della ripresa del più favorevole regime automatico dell’applicazione degli scatti;

d) la norma impugnata violerebbe l’art. 97 Cost., sia perché la disparità di trattamento cui dà luogo si traduce nella violazione del principio costituzionale di imparzialità dell’azione amministrativa, sia perché le prescrizioni derivanti dal combinato disposto dell’art. 9 del d.l. n. 78 del 2010 e degli artt. 6 e 8 della legge n. 240 del 2010, si traducono in uno slittamento in avanti di ben tre anni (dopo il 2014) degli effetti della riforma, che superando il sistema degli automatismi stipendiali, è volta ad introdurre meccanismi di premialità fondati sul merito, e quindi ad assicurare il buon andamento e l’effettività dell’amministrazione;

e) la norma in questione avrebbe natura tributaria, con conseguente dubbio di costituzionalità in riferimento ai principi di cui all’art. 53 Cost. e alla mancanza di raccordo con la capacità contributiva, in quanto applicherebbe una misura indistinta a classi di stipendio disomogenee, senza considerare la complessiva e personale situazione reddituale degli incisi, con un effetto regressivo colpendo in modo maggiore le classi di stipendio più basse;

f) il meccanismo introdotto con l’art. 9, comma 21, sarebbe illegittimo perché comporta l’esclusione di qualsiasi recupero successivo degli scatti;

che si è costituito il CoNPAss, prospettando la lesione dei parametri costituzionali invocati nell’ordinanza di rimessione e chiedendo l’accoglimento della questione, ed ha depositato memoria fuori termine.

Considerato che con due ordinanze, rispettivamente del 6 giugno 2013 e del 30 maggio 2013, il Tribunale amministrativo regionale per le Marche e il Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sezione staccata di Salerno, hanno sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122, in riferimento, il primo rimettente agli artt. 3, 36 e 53 Cost. ed il secondo agli artt. 3, 9, 33, 34, 36, 37, 53, 77 e 97 Cost.;

che i giudizi vanno riuniti perché pongono questioni identiche o comunque fra loro strettamente connesse, in relazione alla normativa censurata;

che la questione di costituzionalità sollevata dal TAR Campania, deve intendersi proposta in riferimento ai soli artt. 3, 36, 53 e 97 Cost., in quanto solo in ordine a questi ultimi parametri costituzionali sono state prospettate le censure;

che questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, del d.l. n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, analoghe a quelle sollevate dagli odierni rimettenti, sono state dichiarate non fondate in ragione di quanto statuito dalla sentenza n. 310 del 2013, la quale ha affermato, tra l’altro, che «il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, attraverso cui può attuarsi una politica di riequilibrio del bilancio, implicano sacrifici gravosi, quali quelli in esame, che trovano giustificazione nella situazione di crisi economica. In particolare, in ragione delle necessarie attuali prospettive pluriennali del ciclo di bilancio, tali sacrifici non possono non interessare periodi, certo definiti, ma più lunghi rispetto a quelli presi in considerazione dalle richiamate sentenze di questa Corte, pronunciate con riguardo alla manovra economica del 1992. Le norme impugnate, dunque, superano il vaglio di ragionevolezza, in quanto mirate ad un risparmio di spesa che opera riguardo a tutto il comparto del pubblico impiego, in una dimensione solidaristica − sia pure con le differenziazioni rese necessarie dai diversi statuti professionali delle categorie che vi appartengono − e per un periodo di tempo limitato, che comprende più anni in considerazione della programmazione pluriennale delle politiche di bilancio»;

che le ordinanze di rimessione del TAR Marche e del TAR Campania, sezione staccata di Salerno, non introducono argomenti per rimeditare queste conclusioni;

che, pertanto, le questioni sono manifestamente infondate.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, commi 1 e 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122, sollevate, in riferimento, nel complesso, agli artt. 3, 36, 53 e 97 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per le Marche e dal Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sezione staccata di Salerno, con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 aprile 2014.

F.to:

Gaetano SILVESTRI, Presidente

Giancarlo CORAGGIO, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 5 maggio 2014.