Ordinanza n. 74 del 2014

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ORDINANZA N. 74

ANNO 2014

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Gaetano                       SILVESTRI                                     Presidente

-           Luigi                            MAZZELLA                                      Giudice

-           Sabino                         CASSESE                                                ”

-           Giuseppe                     TESAURO                                               ”

-           Paolo Maria                 NAPOLITANO                                       ”

-           Giuseppe                     FRIGO                                                     ”

-           Alessandro                  CRISCUOLO                                          ”

-           Paolo                           GROSSI                                                   ”

-           Giorgio                        LATTANZI                                              ”

-           Aldo                            CAROSI                                                   ”

-           Marta                           CARTABIA                                             ”

-           Sergio                          MATTARELLA                                       ”

-           Mario Rosario              MORELLI                                                ”

-           Giancarlo                     CORAGGIO                                            ”

-           Giuliano                       AMATO                                                   ”

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 275, comma 3, secondo periodo, del codice di procedura penale, come modificato dall’art. 2, comma 1, del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 23 aprile 2009, n. 38, in relazione all’art. 7 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152 (Provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata e di trasparenza e buon andamento dell’attività amministrativa), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 12 luglio 1991, n. 203, promosso dal Tribunale ordinario di Salerno, sezione del riesame, nel procedimento penale a carico di P.E.G. ed altri, con ordinanza del 26 ottobre 2012, iscritta al n. 51 del registro ordinanze 2013 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 12, prima serie speciale, dell’anno 2013.

Udito nella camera di consiglio del 12 febbraio 2014 il Giudice relatore Giorgio Lattanzi.

Ritenuto che, con ordinanza depositata il 26 ottobre 2012 (r.o. n. 51 del 2013), il Tribunale ordinario di Salerno, sezione del riesame, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 13, primo comma, e 27, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 275, comma 3, secondo periodo, del codice di procedura penale, come modificato dall’art. 2, comma 1, del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 23 aprile 2009, n. 38, nella parte in cui – nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti commessi «con il metodo mafioso» o al fine di agevolare «le attività delle associazioni» previste dall’art. 416-bis del codice penale, contestati a chi non faccia parte di associazioni di tipo mafioso, è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari – non fa salva, altresì, l’ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure;

che il giudice rimettente riferisce di essere investito degli appelli presentati dal pubblico ministero avverso le ordinanze con le quali il Tribunale ordinario di Nocera Inferiore aveva disposto, ai sensi dell’art. 299 cod. proc. pen., la sostituzione con gli arresti domiciliari della custodia cautelare in carcere applicata agli imputati, cui erano contestati reati aggravati a norma dell’art. 7 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152 (Provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata e di trasparenza e buon andamento dell’attività amministrativa), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 12 luglio 1991, n. 203;

che le ordinanze impugnate avevano aderito a un «orientamento minoritario» della Corte di cassazione, secondo il quale la presunzione assoluta di adeguatezza della custodia cautelare in carcere, prevista dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., sarebbe «sussistente con esclusivo riferimento alla fase genetica del vincolo e non anche con riferimento alla fase funzionale di esso, potendo il giudice, in tale ultimo caso, procedere alla ordinaria verifica del trattamento cautelare adeguandolo al caso concreto attraverso la scelta della misura ritenuta più idonea alla salvaguardia dell’esigenza cautelare»;

che il pubblico ministero aveva impugnato l’ordinanza deducendo la violazione dell’art. 299 cod. proc. pen., in relazione all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen.;

che, come riferisce il giudice rimettente, nel corso dell’udienza camerale, l’«incidente cautelare» era stato riunito ad altro analogo e «le parti private» avevano concluso, in via principale, per il rigetto dell’appello e, in via subordinata, «affinché il tribunale distrettuale sollevasse la questione di legittimità costituzionale dell’art. 275, cpv., cod. proc. pen., per contrasto con gli artt. 3, 13 e 27 Cost.»;

che il giudice rimettente dichiara di condividere l’orientamento delle sezioni unite penali della Corte di cassazione secondo cui la presunzione di adeguatezza della custodia in carcere, ex art. 275, comma 3, cod. proc. pen., opera non solo in occasione dell’adozione del provvedimento genetico della misura coercitiva, ma anche nelle successive vicende della stessa;

che, «fatta esclusione per coloro che siano seriamente indiziati di legami con le organizzazioni di tipo mafioso», il giudice rimettente dubita della legittimità costituzionale dell’art. 275, comma 3, secondo periodo, cod. proc. pen., «nella parte in cui – nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti commessi con il metodo mafioso o al fine di agevolare le attività delle associazioni previste dall’art. 416-bis c.p. (aggravanti così contestate nel […] procedimento), è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari – non fa salva, altresì, l’ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure»;

che nel senso della non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale militerebbero, in primo luogo, gli argomenti con i quali la giurisprudenza costituzionale è pervenuta ad escludere l’operatività della presunzione assoluta di adeguatezza della custodia cautelare in carcere per alcuni dei reati previsti dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen.;

che, in secondo luogo, occorrerebbe considerare che i delitti aggravati ai sensi dell’art. 7 del d.l. n. 152 del 1991, potendo avere carattere individuale, per le loro caratteristiche, non implicherebbero esigenze cautelari affrontabili esclusivamente con la custodia in carcere;

che le connotazioni criminologiche e strutturali di un fatto di reato aggravato dall’art. 7 del d.l. n. 152 del 1991 potrebbero differire notevolmente, sotto il profilo dell’offensività e della pericolosità sociale, dalle condotte di chi fa parte di un’associazione di tipo mafioso, sicché «la presunzione di adeguatezza della sola custodia cautelare in carcere a soddisfare il bisogno cautelare non poggerebbe nel primo caso (coincidente peraltro con i fatti di cui al […] procedimento nei quali il vincolo associativo non risulta né provato e neppure contestato) su solide basi razionali e su massime di esperienza generalizzate derivando da ciò un’inammissibile parificazione ed una ingiustificabile disciplina derogatoria fondata su presunzioni assolute»;

che, alla luce delle considerazioni già svolte dalla Corte costituzionale, dovrebbe concludersi per la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., nei termini sopraindicati, in quanto la norma impugnata violerebbe sia l’art. 3 Cost., per l’ingiustificata parificazione dei procedimenti relativi ai delitti aggravati dall’art. 7 del d.l. n. 152 del 1991, contestati a chi non faccia parte di associazioni di tipo mafioso, a quelli concernenti il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., nonché per l’irrazionale assoggettamento a un medesimo regime cautelare delle diverse ipotesi concrete riconducibili ai paradigmi punitivi considerati; sia l’art. 13, primo comma, Cost., quale referente fondamentale del regime ordinario delle misure cautelari privative della libertà personale; sia, infine, l’art. 27, secondo comma, Cost., in quanto sarebbero attribuiti alla coercizione processuale tratti funzionali tipici della pena;

che il Tribunale rimettente richiama le valutazioni del giudice che aveva emesso il provvedimento impugnato, secondo cui l’incensuratezza della maggior parte degli imputati, il periodo risalente nel tempo dei precedenti di quelli non incensurati, il decorso non trascurabile del periodo di detenzione sofferto, la mancata violazione delle prescrizioni connesse agli arresti domiciliari e lo scioglimento del Consiglio comunale del Comune di Pagani, pur essendo insuscettibili di escludere la sussistenza delle esigenze cautelari, avrebbero consentito di salvaguardarle con la concessione degli arresti domiciliari;

che tali elementi di fatto non potrebbero essere valutati dal giudice dell’appello cautelare se non fosse «rimossa la presunzione assoluta di adeguatezza della custodia cautelare in carcere prevista dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen.».

Considerato che il Tribunale ordinario di Salerno, sezione del riesame, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 13, primo comma, e 27, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 275, comma 3, secondo periodo, del codice di procedura penale, come modificato dall’art. 2, comma 1, del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 23 aprile 2009, n. 38, nella parte in cui – nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti commessi «con il metodo mafioso» o al fine di agevolare «le attività delle associazioni» previste dall’art. 416-bis del codice penale, contestati a chi non faccia parte di associazioni di tipo mafioso, è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari – non fa salva, altresì, l’ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure;

che con la sentenza n. 57 del 2013, successiva all’ordinanza di rimessione, questa Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 275, comma 3, secondo periodo, cod. proc. pen., come modificato dall’art. 2, comma 1, del d.l. n. 11 del 2009, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 38 del 2009, nella parte in cui – nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416-bis cod. pen. ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo, è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari – non fa salva, altresì, l’ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure;

che, pertanto, a seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale di cui alla sentenza n. 57 del 2013, la questione sollevata deve essere dichiarata manifestamente inammissibile, in quanto è diventata priva di oggetto (ex plurimis, ordinanza n. 315 del 2012).

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 275, comma 3, secondo periodo, del codice di procedura penale, come modificato dall’art. 2, comma 1, del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 23 aprile 2009, n. 38, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 13, primo comma, e 27, secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Salerno, sezione del riesame, con l’ordinanza di cui in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 marzo 2014.

F.to:

Gaetano SILVESTRI, Presidente

Giorgio LATTANZI, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 2 aprile 2014.